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L’ISIS ED IL SUO APPARATO PROPAGANDISTICO


isis propaganda


L’ISIS è una organizzazione che ha assoluto bisogno di un riconoscimento internazionale. La pubblicità delle sue gesta risiede soprattutto in questo. E’ una indiretta legittimazione della sua esistenza.

Persegue un disegno così ambizioso, come la costituzione di uno Stato islamico e la disintegrazione delle esistenti nazioni in Medio Oriente, per il quale occorre che tutto diventi storia islamica, leggenda dei suoi eroi, segno divino, funzione messianica. Se al Baghdadi sventola la bandiera dell’Islam, la sua guerra diventa una guerra di religione.

La pubblicità che viene direttamente assicurata alle vicende dell’ISIS diventa propaganda e parte di questa propaganda è mirata a diffondere quel messaggio messianico dove tutto è Islam, premonizione del Corano, disegno di Allah. Quindi propaganda religiosa.

E se questo è l’aspetto teologico del suo esistere, la pubblicità è anche una forma per attirare nuovi adepti, fare proselitismo, alimentare l’arrivo di nuovi combattenti stranieri, dare nel contempo al disegno di al Baghdadi una taratura internazionale che travalichi i confini geografici del Medio Oriente.

Poi c’è la pubblicità indirizzata nelle truculenti immagini di decapitazioni e crocifissioni, che spaventa il nemico, intimorisce chi vive già sotto la legge del califfo, rende poi il cammino dei combattenti islamici una strada senza ritorno non potendo contare sulla clemenza del nemico in caso di sconfitta.

C’è poi l’aspetto dinamico che deve essere pubblicizzato: uno Stato che combatte, vince, si estende e si consolida nel nome di Allah. L’ISIS ha bisogno di pubblicizzare il suo progredire, ha sempre bisogno di dimostrare che niente lo può fermare. Comunque la narrazione di una epopea militare. Il tutto, indirettamente, serve anche per nascondere le sue sconfitte.

E’ facile capire da tutto questo perché l’apparato propagandistico dell’ISIS, nel suo ricorrere continuo ai mass media, sia diventato un elemento centrale per la sopravvivenza e/o diffusione dello Stato islamico.

Una grande contraddizione

Da un lato è l’ISIS che si rifà all’Islam tradizionale, all’immutabile valore letterale dei suoi libri sacri, senza concedere niente alla contestualizzazione storica dei loro precetti. Un mondo dove la modernità è esclusa. Dall’altro lato – e costituisce il paradosso – l’ISIS è anche quella organizzazione che utilizza le tecnologie più avanzate per diffondere il suo verbo.

Ecco allora che l’apparato dedicato allo specifico settore, il Consiglio dei mass media (o “Istituzione per l’informazione pubblica dello Stato islamico”) diventa una struttura che si affianca a pari dignità con altre strutture centrali dello Stato islamico. Anche perché, essendo esso in diretto contatto con tutti gli organismi principali dell’ISIS (Consiglio Militare, della Sharia, della Shura, Difesa etc) è in grado di tramutare in propaganda/pubblicità ogni evento di rilievo dell’organizzazione.


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Abu al Athir Abbassi


Il Consiglio dei mass media e le sue propaggini

Il Consiglio dei mass media è guidato da Abu al Athir Abbassi mentre il personaggio più famoso è il portavoce dell’ISIS , Taha Subhi Falaha meglio noto con l’alias di Abu Mohammed Adnani di cui non è certa la morte a seguito di un raid aereo americano nella provincia di Anbar nel novembre 2014. Sulla sua testa c’era/c’è una taglia di 5 milioni di dollari emessa dal Dipartimento di giustizia americano nel maggio scorso. Il personaggio, 38enne nato in Siria ma vissuto anche in Iraq, già ospite delle carceri della Coalizione nel 2005 (usava allora differenti alias) in quanto affiliato al gruppo di Zarqawi, è stato anche indicato come responsabile delle attività estere dell’ISIS e quindi il suo nome è stato correlato ai recenti atti terroristici a Parigi e Beirut.

All’interno della struttura del Consiglio dei mass media c’è anche una branca dedicata agli aspetti religiosi, guidata da Abdullah al Janabi, già responsabile del Consiglia della Shura di Falluja.

Ma a parte chi comanda, nell’organismo operano vari altri giovani con particolare attitudine nell’utilizzo di internet e sistemi informatici, nella produzione di filmati, messaggi audio, pubblicazioni, nonché in grado di introdursi nei sistemi di diffusione più popolari, i cosiddetti “social network” come facebook twitter, youtube, instagram, etc..

Per quanto noto operano alle dipendenze di questo organismo una serie di strutture operative che producono filmati, elaborano documenti, dichiarazioni, articoli tematici, pensano alle loro traduzione in varie lingue, sviluppano clips musicali e postano i video e documenti su internet. Ognuna di queste strutture ha nei fatti la sua “specializzazione”.

Al Hayat Media Center, una delle più importanti tra queste strutture, si dedica principalmente agli aspetti propagandistici (quindi mira a magnificare l’operato dell’ISIS e a favorire il reclutamento di nuovi combattenti e volontari). Pensa in proprio alle traduzioni, alla produzione e alla diffusione del tutto attraverso una ragnatela di contatti e accessi internet. Ha come target un pubblico giovane quindi elabora messaggi facilmente assimilabili, ricorrendo alla suggestione e all’infatuazione, all’epopea e alla fratellanza.

Sul fronte opposto, quello dedicato a chi è ostile all’ISIS, la Massassat Furqan (o “Istituto dei criteri”. E' il titolo di una Shura del Corano che stabilisce ciò che è giusto e ciò che è sbagliato), la quale produce minacce, intimidazioni (da lì il largo uso di filmati truculenti con decapitazioni, crocifissioni etc), sentimenti anti-occidentali e film di battaglie e conquiste, Qui il target è il nemico, l’Occidente, l’apostata o il miscredente.

Poi c’è l’Anjad Media Foundation (che nell’idioma arabo è usato come un’intercalare rafforzativo che significa “veramente”, “realmente”) che produce musica. Diffonde canti religiosi, i “nasheed” che sono cori, melodie o nenie. Servono a rendere in musica l’epopea dell’ISIS, fanno da sottofondo a vari filmati, diventano canti di guerra in bocca ai miliziani nei combattimenti, servono anche come strumento di propaganda religiosa e di reclutamento. Tra i più famosi “nasheed” c‘è anche il cosiddetto inno nazionale dello Stato Islamico, il “Dawlat al Islam Qamat”, che nella pura ortodossia salafita non è accompagnato da strumenti musicali ma da rumori: spari di fucili o cannoni, passi di soldati, scimitarre che si incrociano. Parole e suoni che esaltano, di volta in volta, il martirio, la battaglia, la morte di un eroe, il disprezzo ed il dileggio del nemico, l’esaltazione della religione. I nasheed venivano già utilizzati dai Fratelli Musulmani nell’attività di opposizione al regime militare in Siria e Egitto e pure Osama bin Laden aveva, a suo tempo, fondato un gruppo di canti nasheed.

C’è poi la rivista Daqib (un nome che evoca una delle battaglie finali dell’Islam contro i miscredenti o anche una località siriana) che viene pubblicata online in diverse lingue. Anche qui il tema ricorrente è la guerra santa, i valori della comunità islamica, la ricerca della verità religiosa nella trattazione di temi islamici, la qualità della vita nello Stato islamico, ovviamente in chiave elogiativa.

Al servizio dell’ISIS c’è anche una radio che trasmette via internet da Mosul, la Al Bayan (“Il messaggio”).

Poi, qualora non bastasse, ci sono anche un’altra serie minore di strutture dedicate all’informazione, alla propaganda e al reclutamento: la “Al I’tissan Media Foundation”, concentrata sui fatti della Siria e Iraq, la “Al Ghuraba Media” ( “gli stranieri”) che rimbalza e diffonde ulteriormente i proclami dell’ISIS, la “Al Fursan al Balagh Media”, la “Al Malahem Media”, la Masada Media Foundation, la al Asawirti Media e così via. Oltre 30 siti internet sono ritenuti vicini all’ISIS e provvedono alla diffusione del messaggio del Califfo.

Tutta questa produzione mediatica viene elaborata e poi diffusa dai territori sotto controllo dello Stato Islamico. Chiaramente l’accesso che ne viene fatto dagli utenti attraverso internet ne moltiplica l’effetto propagandistico.


isis propaganda


Una struttura efficiente

Questo spiega perché oltre 30.000 combattenti islamici provenienti da ogni parte del mondo si siano sinora aggregati alle milizie di Al Baghdadi. Ma spiega anche che la comunicazione mediatica messa in atto dallo Stato islamico è di alta qualità, sa sfruttare bene gli argomenti che vengono diffusi in modo suadente, ha uno staff in grado di dare il massimo risalto ad ogni evento, ha un supporto di esperti che danno all’evento anche una lettura religiosa. C’è qualità, c’è tempestività (da lì nasce anche la necessità di operare affiancati ai vertici dell’ISIS), c’è insomma professionalità ed un apparato sofisticato.

Ed è un lavoro sistematico enorme se si pensa che dal territorio siriano e da quello irakeno partono mediamente e complessivamente oltre 2000 messaggi/prodotti/filmati video/foto in un mese.

Sembra che ultimamente la produzione mediatica dello Stato islamico abbia subito un ridimensionamento (in qualità e quantità), sia per recenti sconfitte militari sia perché alcuni quadri della specifica organizzazione sarebbero stati eliminati. Ma anche questa circostanza sembra non abbia ancora intaccato la capacità attrattiva e la suggestione del messaggio del Califfo nel mondo.

Ma a parte gli aspetti propagandistici, con l’attività mediatica l’ISIS porta avanti un discorso culturale perché propone un mondo nuovo, ne dà una narrazione propria correlandone una connotazione storico/religiosa, quindi educa, istruisce, plasma la società dove opera. Questo spiega anche l’accanimento con cui l’ISIS si dedica ai giovani minorenni obbligandoli alla frequentazione delle scuole coraniche e forzandoli ad un addestramento militare. Ed è con lo stesso accanimento con cui combatte chi non accetta questo mondo, demonizza il nemico attaccando il suo aspetto religioso o sociale, arrivando anche a quelle forme di iconoclastia che tanto colpiscono l’opinione pubblica mondiale. C’è la voluta distorsione dei miti dell’Occidente da dove, secondo l’ISIS, trae origine un presente di frustrazioni a cui poi viene correlata la promessa di un futuro migliore. La propaganda serve quindi anche per alimentare una guerra di civiltà.

Comunque dietro a tutto questo ricorrere alle comunicazioni internet a fini propagandistici c’è anche un elemento operativo e cioè l’utilizzazione di internet per scambiare informazioni, dare comandi, impartire istruzioni. Ne ha fato recentemente menzione pubblica il capo dell’F.B.I., James Coley. Si utilizza così la tecnologia informatica non solo per la propaganda ma anche per lo scambio di messaggi criptati.

Oggi nel settore propaganda l’ISIS impiega circa un centinaio di persone, di cui la maggioranza sono stranieri proprio perché lo strumento è principalmente orientato verso il mondo esterno.


Raqia Hassan Mohammed
La coraggiosa Raqia Hassan Mohammed


Ma se da un lato l’ISIS riconosce all’informazione un valore centrale nella propagazione del suo credo, nei territori sotto il suo controllo non permette che giornalisti o informazioni contrarie ai propri interessi possano circolare. Per chi non condivide, c’è la morte.

E’ stato il caso recente della trentenne curda Raqia Hassan Mohammed che intendeva svolgere una funzione indipendente di giornalismo a Raqqa (nel settembre scorso è stata eliminata in quanto accusata di essere una spia) e prima di lei Iman al Halabi (agosto 2013) perché considerata attivista politica.

Ed anche qui una ulteriore contraddizione: si sfrutta le libertà del mondo occidentale per diffondere un messaggio o una propaganda, mentre non si permette che altrettanto avvenga nel proprio Stato.

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