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COME VENGONO ELIMINATI I VERTICI DELL'ISIS


explosion isis


La maniera migliore per sconfiggere l'ISIS risiede oggi nell'eliminazione sistematica dei suoi vertici. Si creano problemi nella catena di comando dell'organizzazione, che oggi appare molto rigida e compartimentata, si determina un senso di frustrazione nei combattenti, si alimenta soprattutto un sentore di insicurezza nei personaggi che ricoprono incarichi di vertice o di comando militare. Oltre all'aspetto pratico che la morte della persona determina, c'è quindi anche l'aspetto psicologico.

Se poi, come avviene attualmente, l'eliminazione è tecnicamente condotta da un drone silenzioso che gira nell'aria o da un missile scagliato da distanza, ecco che il senso di precarietà, la paura di un nemico invisibile, rendono difficile l'azione di comando. Colui che ritiene di essere un obiettivo del nemico perde sicurezza, dedica più tempo a rendere invisibile la sua presenza, si nasconde e evita di farsi vedere con i combattenti. In altre parole, anche la sua efficacia di comandante diventa oggettivamente più difficile.

E' pur vero che il martirio, specie per i personaggi più esposti dell'ISIS, è un elemento primario del loro impegno militare essendo impossibili ogni forma di redenzione o di perdono. Solo la fuga in un’altra parte del globo dove si combatte una guerra dai connotati settari e religiosi potrebbe garantirgli la sopravvivenza. Tali sono infatti le efferatezza attribuite all'ISIS da impedire ogni alternativa. O si vince o si muore. Ma morire combattendo sul fronte è accettabile, mentre perire improvvisamente nel bel mezzo della vita quotidiana è diverso. Ti trova impreparato, indifeso.

Ultimamente la decimazione dei vertici dell'ISIS ha subito un'accelerazione e questo implica che le fortune militari degli uomini di Abu Bakr al Baghdadi stiano volgendo al peggio. C'è sempre una correlazione diretta tra disfatte militari e maggiore intelligence da parte del nemico. La disfatta alimenta il tradimento, la defezione, non si usano più accortezze quando si parla alle radio o ai telefoni, il panico prende il sopravvento sulla prudenza. E quindi il nemico ha più fonti a sua disposizione (così si intensifica l'HUMINT), ha più notizie dall'ascolto sistematico delle comunicazioni (così si intensifica il SIGINT), altrettanto potrà ottenere dal controllo sistematico elettronico (ELINT) o dalle immagini di droni/satelliti/aerei (IMINT). L'individuazione di un obiettivo, sia esso una persona o una struttura, si avvale di tutte queste forme di intelligence.

La catena di comando USA

Gli Stati Uniti hanno recentemente elaborato una procedura decisionale per arrivare all'eliminazione di un vertice dell'ISIS. Una catena di comando che, a seconda dei livelli, implica il coinvolgimento dei vertici militari e politici del Paese.

La prima fase è effettuata dai militari e riguarda la raccolta di notizie, la loro trasformazione in informazioni, una loro prima valutazione di merito. A svolgere tali mansioni è un organismo interforze che lavora con le varie agenzie informative da cui provengono i dati: il Joint Special Operations Center (JSOC). Sopra di esso, con una funzione di coordinamento, opera invece una struttura del Pentagono, una task force per l'intelligence, la sorveglianza e la ricognizione, la Intelligence Surveillance, Reconnaissance Task Force. La JSOC è deputata a sviluppare tutti i dettagli di un’operazione, ovvero l'obiettivo da colpire (nel caso specifico il terrorista) ed il modo in cui colpirlo.

Terminata questa fase il dossier passa, sempre sul canale militare, al livello operativo che dovrebbe effettuare l'operazione, che nel caso del Medio Oriente è CENTCOM, il comando centrale. Questo Comando ha un'area di responsabilità che va dall'Egitto fino al Pakistan ed include tutte le nazioni dell'Asia Centrale facenti parti dell'ex-URSS. Il CENTCOM è l'organismo che porta avanti l'operazione "Inherent Resolve" (Soluzione intrinseca), in corso dall’ottobre 2014, dedicata alla lotta contro l'ISIS e ad altre organizzazioni del terrorismo islamico. Ha il suo quartier generale a Tampa, in Florida, ed una base avanzata in Qatar. Quando CENTCOM riceve il dossier del JSOC ne valuta gli aspetti operativi e, soprattutto, la fattibilità. Dà quindi al dossier stesso maggiore consistenza militare.

L’ultimo passaggio sulla catena militare è la trasmissione del tutto al Joint Chiefs of Staff, organismo che raggruppa i capi di Stato Maggiore interforze, che ha il compito elaborare una propria valutazione del dossier e di offrirla, tramite il suo comandante, alle autorità politiche. In sintesi quindi: si passa dall’individuazione del bersaglio (JSOC), alla valutazione e consenso a colpirlo (CENTCOM e Joint Chiefs of Staff) fino alla fase finale di autorizzazione ad eseguire l'operazione.

Il livello politico

In quest'ultima fase sono molteplici le autorità politiche chiamata ad offrire le proprie consulenze – Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Consigliere per l'Antiterrorismo, Direttore del National Security – o pareri – Segreteria di Stato, altri Dipartimenti. Tuttavia, la decisione politica su questo tipo di operazioni passa direttamente dal Segretario alla Difesa e può essere demandata direttamente al presidente.

Nella pratica, il Presidente degli Stati Uniti non entra nel dettaglio di un’operazione a meno che non si tratti di personaggi di altissimo livello, come Osama bin Laden in passato e Abu Bakr al Baghdadi (sulla cui testa pende una taglia alias "Reward of Justice" di 25 milioni dollari) o Ayman Al Zawahiri (altri 25 milioni) nel prossimo futuro. In quei casi c'è il coinvolgimento diretto del presidente che segue personalmente lo svolgimento dell'operazione. Altrimenti autorizza solo il principio che vengano sistematicamente eliminati i capi dell'ISIS. Dove, come e quando rimane nelle competenze di CENTCOM e nella conoscenza aperiodica del Segretario alla Difesa.

Se così non fosse, se ogni volta che si individuasse un capo dell'ISIS si dovesse procedere con questo sistema di autorizzazioni, se la catena di comando e decisionale fosse così burocratizzata come le autorità militari hanno teoricamente stabilito, si rischierebbe di perdere la tempestività nel condurre l'operazione stessa. E sarebbe soprattutto difficile portare a compimento l'eliminazione di un uomo dell'ISIS. L’unica variante politica in un’operazione è quando si opera in un Paese dove un attacco potrebbe provocare reazioni da parte del governo locale (e non è il caso di Iraq e Siria). In tal caso si procede a coinvolgere maggiormente la Segreteria di Stato (per una valutazione di opportunità) e ad informare l'ambasciatore in loco.

Altra variante all'eliminazione dei vertici dell'ISIS è la loro cattura. In Iraq e Siria operano dei team dell'Expeditionary Targeting Forces, la Delta Force, che dipendono sempre dal JSOC e che sono adibiti all’individuazione e cattura dei terroristi. Anche in questo caso la catena di comando è sempre la stessa, tuttavia il fatto stesso che si tratti di operazioni più pericolose implica una procedura di approvazione più stringente.


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Un drone 'Predator' statunitense


La guerra dei droni

Per quanto riguarda i droni, ogni forza armata americana ha i propri, a cui si affiancano quelli della CIA. Fin dai tempi della seconda Guerra del Golfo, sui cieli dell'Iraq volano contemporaneamente diversi velivoli senza pilota, ognuno con le funzioni dell'ente di appartenenza. In un caso, nel 2004, si sono anche scontrati in cielo.

Come noto, i droni ascoltano, vedono, fotografano, all'occorrenza disturbano le comunicazioni e, ovviamente, sparano. Tante funzioni per tante esigenze. E, soprattutto, sono silenziosi. E' difficile individuarli ed è altrettanto difficile sentirli. Per questo la potenziale vittima di questo micidiale strumento di guerra se viene individuato non ha scampo. Se ne studiano i movimenti, le abitudini, il suo telefonino diventa un GPS che ne stabilisce la presenza esatta. Si aspetta solo il momento giusto per colpirlo.

L’unico problema tecnico è che il drone è pilotato da un uomo, o da una donna, seduta ad una consolle lontana dall'area di intervento. C'è quindi un lasso di tempo minimo che intercorre tra l’individuazione dell'obiettivo, la decisione di intervenire (in molti casi il soldato che manovra la consolle chiede l'OK al suo superiore diretto) e l’ordine al drone di colpire. Quando non è negli Stati Uniti, l'operatore è nella base di Al Udeid in Qatar, mentre l'obiettivo è a Mosul, Raqqa o altrove. Si tratta ovviamente di una manciata di secondi. Ma questo intervallo è talvolta sufficiente a far sì che la vittima predestinata si possa salvare. Inoltre, la presenza di altre persone attorno all’obiettivo e la valutazione dell’opportunità dell’intervento e la sua tempistica rischiano di dilatare ulteriormente l’intervallo decisionale. Quindi, quando si parla di tempestività in operazioni del genere, bisogna riferirsi soprattutto a queste circostanze.

Seppur in una situazione di guerra, la valutazione sull'opportunità di eventuali vittime collaterali potrebbe sembrare argomento futile. Tuttavia, ogni vittima collaterale, quella che muore perché si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato, genera un "risentimento" da parte dei familiari o conoscenti nei confronti di chi ha armato l’assassino. A differenza di un bombardamento tradizionale, dove la distruzione di infrastrutture o di postazioni militari avviene in modo sistematico (ne sono stati effettuati oltre 17.000 dal 2014 ad oggi) ma anche impersonale, con l'attacco chirurgico e visivo di un drone si ha sia il coinvolgimento emotivo da parte di chi guida il velivoli, sia l'opportunità di attendere il momento giusto per colpire.

La sensibilità per le vittime collaterali è più presente negli interventi militari americani in Iraq che non in quelli russi in Siria. Da parte russa c'è infatti un approccio diametralmente opposto: più vittime si fanno, più si incute terrore, più si demoralizza l'avversario e più la popolazione dovrebbe rifarsela con i ribelli. Che la teoria sulle reazioni emotive sia effettivamente valida è tutto da dimostrare. Comunque – e non è un evento casuale – tutte le strutture ospedaliere nell'area di Aleppo in mano ai ribelli sono state sistematicamente distrutte dai bombardamenti russi e/o siriani prima della conquista della città.



abu bakr al baghdadi
Abu Bakr al Baghdadi


Una lunga lista

La caccia ai vertici dell'ISIS è in pieno svolgimento sia a Mosul che a Raqqa. Si concentra nelle ultime due roccaforti dell'ISIS perché adesso il passare inosservati, il confondersi in mezzo alla popolazione, il giocare sulla ritrosia americana per le vittime collaterali è diventato una tattica di sopravvivenza per gli uomini di al Baghdadi. Basti pensare che ultimamente almeno una quindicina di personaggi di alto livello dell'ISIS sono stati eliminati dai droni americani. Ma la lista delle personalità da fare fuori è ancora lunga.

Non solo al Baghdadi, che quando sarà individuato e quindi in procinto di essere eliminato avrà probabilmente il privilegio di scomodare anche il Presidente degli Stati Uniti. Ma c'è ancora una lunga lista di pretendenti al martirio, gente che non può passare inosservata e che sicuramente è sulla lista nera del JSOP. Tutta gente importante nell'organizzazione del califfato. Alcuni sono capi militari come Abu Fatima al Jayshi, capo delle operazioni nel sud dell'Iraq, Abu Shami'a (alias di Rhyad Nuaimi) responsabile degli armamenti, Abu Qassem (alias di Ahmed al Mashadani) dedicato all'impiego dei kamikaze e alla gestione dei volontari stranieri, Abu Saja (alias di Abdul Rahman al Afari) che invece dirige il "martirio" delle donne, Abu Abdallah il "kosovaro" e importante comandante sul terreno, il francese Salim Ben Ghanim che presiede le esecuzioni dei condannati in Siria, Abu Mohammed (alias di Bashar Ali Hamadani) che si occupa dei prigionieri e della relativa eliminazione in Iraq, e tanti altri. Poi ci sono gli emiri, quelli che abbinano comandi militari a guida religiosa, come Abu Suleiman al Nasser emiro di Deir er Zor, Abu Massirah emiro di Baghdad, Abu Nabil emiro di Salaheddin, Abu Luqman emiro di Raqqa, Abu Jarnas emiro delle zone frontaliere. Anche in questo caso la lista potrebbe continuare. Ed infine i "politici": Abu Abdel Qader che si interessa di finanze o Abu Himan al Atari, che si dedica a emanare le fatwa.

Nonostante i vari nomi di battaglia che, almeno inizialmente, avrebbero avuto lo scopo di celare le loro identità, oramai tutti questi personaggi in prima linea sono ben conosciuti con nomi, cognomi e nazionalità. Sono complessivamente una trentina di individui a cui il destino ha attribuito adesso lo scomodo ruolo di morti che camminano. Fino all'arrivo del prossimo razzo. Si aggiungeranno così gli oltre 50mila jihadisti che dal 2014 ad oggi sono stati eliminati nei combattimenti.

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