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IL TRADIMENTO CHE PRECEDE LA CADUTA DELL’ISIS


mosul peshmerga


Quando capita che a un gruppo armato o rivoluzionario si arrivi sistematicamente alla eliminazione dei suoi vertici più importanti, la circostanza è generalmente una: esistono all'interno dell'organizzazione delle spie che forniscono dati ed informazioni al nemico.
E quando questo capita è sopratutto dovuto al fatto che le fortune militari di questo gruppo volgono al peggio, stimolando cosi la defezione dei fedeli. L’avvicinarsi della sconfitta convince gli incerti ad abbandonare il sostegno al perdente ed alimenta i tentativi di guadagnare il consenso del nemico attraverso il tradimento. E lo spionaggio, da che mondo è mondo, è alimentato proprio dal tradimento.
Ed è quello che sta capitando adesso all'Esercito del Califfo, oramai costretto sulla difensiva nel teatro siriano e iracheno e senza più sbocchi di fuga verso l'esterno, vista la chiusura del confine con la Turchia. Un esercito ormai votato alla sconfitta militare.

Quando cade l'utopia di un Califfato nella terra dell'Islam, il miliziano assume caratteristiche più prosaiche per salvaguardarsi la sopravvivenza. L'idea che il martirio possa essere il solo epilogo di questa avventura non trova sempre la dovuta accoglienza.
Ultimamente ci sono una serie di segnali nella direzione di uno Stato Islamico che si avvicina alla sconfitta militare definitiva.

I segnali

Il primo segnale si nota nell'apparato propagandistico dell'ISIS che è sempre stato la punta di diamante del califfato nel divulgare moniti e minacce, esaltare vittorie, reclutare, fare proselitismo e diffondere il credo di un Islam puro e invincibile.
Tutta questa attività surrogata all'esaltazione del califfato si è ultimamente drasticamente ridotta ad un quarto rispetto al passato. Non è solo l'eliminazione del responsabile di questa specifica attività, Mohammed Adnani (e dopo di lui anche di un suo associato : Wail Adil Hassan Salman al Fayad, responsabile della diffusione dei video e considerato "ministro dell'Informazione") ad avere inciso sull'efficienza della struttura, ma l'insieme delle circostanze militari in cui essa è costretta ad operare. E' cambiata anche la sostanza dei messaggi, ora più incentrati sugli aspetti teologici. Quando la realtà non alimenta speranze, ci si rifugia nell'irrazionalità dell'utopia. Si parla più dei doveri di un combattente e meno della vita quotidiana di un buon musulmano sotto l'egida del Califfo.
Anche la diffusione dell'ultimo messaggio di Al Baghdadi - evento abbastanza raro - in cui si invita i combattenti islamici alla lotta ed al martirio è nei fatti una conferma di uno Stato Islamico in difficoltà.

Altro segnale deriva dalle notizie di almeno due tentativi di insurrezione da parte della popolazione di Mosul, repressi nel sangue. Questa circostanza non si era mai presentata nel passato, quando l'ISIS era nel pieno del suo potere militare e soprattutto quando aveva il pieno controllo del territorio. Se la gente trova adesso il coraggio di contrastare le efferatezze dello Stato islamico è perché percepisce le difficoltà della controparte. Non si tratta, nella totale generalità dei casi, di una opposizione che dallo stato clandestino passa allo scoperto, ma del fatto che molta gente, sinora parzialmente solidale o compiacente con l'ISIS, abbia bisogno di marcare il proprio dissenso nell'interesse ad acquisire benemerenze con l'arrivo dell'esercito iracheno a Mosul. Quindi questo fenomeno non è comunque da valutare solo come una rivolta popolare, ma anche come un’esigenza dettata dall'opportunismo del momento. In una città come Mosul, a prevalenza sunnita e fortemente ostile al regime sciita di Baghdad, dove le simpatie per il defunto Saddam Hussein non sono mai state accantonate, l'interesse di molti è di mostrarsi solidale con Baghdad. Anche per evitare il rischio, abbastanza alto, che si passi dalle persecuzioni degli uomini del Califfo a quelle dell'esercito iracheno (o meglio dire delle milizie sciite che affiancano l'esercito e che già hanno dimostrato la loro efferatezza nella recente conquista di altre città sunnite del Paese).

Ci sono poi anche segnali poco incoraggianti all'interno del mondo dell'estremismo islamico. L'ISIS è sorta in contrapposizione e in competizione con Al Qaida. E' una circostanza che ha anche prodotto una divisione sul campo di battaglia siro-irakeno, dove un gruppo militarmente potente come quello di Jabhat al Nusra (ultimamente auto-rinominatosi "Jabhat Fatah Al Sham", in una nuova configurazione per distinguersi anche dal gruppo di Al Zawahiri) si è anche scontrato, in passato, con i miliziani di Al Baghdadi. Ma le differenze sono state sopratutto sul piano teologico (arrivare al califfato non per mano militare, come perseguito dall'ISIS, ma per convinzione religiosa del musulmano), su quello che poteva essere l'obiettivo principale della lotta armata (l'internazionalismo di Al Qaida verso il mondo dei non credenti, contro il prevalente settarismo dell'ISIS nella contrapposizione tra sunnismo e sciismo), e sui sistemi poco ortodossi di gestione del potere (Al Qaida ha sempre cercato di evitare vittime nel mondo islamico e le esecuzioni di massa, peraltro non dando al tutto grande risalto mediatico). Adesso invece, nel momento in cui l'ISIS è in difficoltà, è proprio Al Qaida a prendere l'iniziativa, annunciando la creazione di un emirato islamico nel territorio nord occidentale della Siria. E' come se i ruoli, nelle vicende mediorientali, si fossero adesso invertiti. Non un segnale di solidarietà ma di sciacallaggio religioso.

Sono stati anche segnalati casi di diserzione nelle file dell'ISIS, che ovviamente - una volta scoperti - sono stati repressi nel sangue. La diserzione è nei fatti la maggiore contraddizione di un combattente islamico che si presume abbia aderito al progetto del Califfo Al Baghdadi nella consapevolezza di aderire ad un disegno divino dove le alternative sono la vittoria o il martirio. Le efferatezze di cui si è macchiato l'ISIS nella gestione del territorio rendono alquanto improbabile che un combattente islamico possa trovare clemenza o che gli sia data una opportunità di riabilitazione. Quindi si tratta di una opzione solo per coloro che sono stati marginalmente implicati in queste efferatezze e che quindi possono così eludere i controlli delle forze di sicurezza irachene.

Che la situazione a Mosul e nei territori sotto il controllo dell'ISIS stia degenerando viene confermato indirettamente anche da alcune deroghe alla stretta osservanza della sharia: le donne non devono più portare l'hijab (per il pericolo che possano nascondervi armi o esplosivo), i combattenti islamici tendono adesso a tagliarsi la barba (che prima era imposta a tutti ed era elemento di riconoscimento e prova di fedeltà al califfato). Quando poi le famiglie dei combattenti evacuano Mosul per rifugiarsi a Raqqa, è ulteriore sintomo di un regime che crolla.
E se poi viene bruciata la benzina - come adesso a Mosul - per creare fumo e rendersi invisibili agli aerei nemici, le deduzione è che c'è meno benzina per scappare e che i bombardamenti sono efficaci.

Altro segnale di un mondo che crolla è l'imposizione, nei territori sotto il controllo dell'ISIS, di una fatiscente moneta del califfato con la contestuale requisizione della valuta locale. Significa che il combattente islamico si sta preparando alla fuga e che per scappare servono soldi. Nel contempo si tolgono i soldi alla popolazione che è cosi costretta a restare, non potendosi comprare la collaborazione di nessuno.


iraq mosul


L'eliminazione sistematica dei quadri

Un po come era capitato con il mazzo di carte che raffigurava i vertici del regime iracheno, che veniva di volta in volta ridotto di una carta a seguito dell'uccisione o della cattura di un personaggio, adesso la stessa cosa sta avvenendo con i personaggi che hanno affiancato il Califfo nella gestione del potere. La stessa circostanza che allora certificava il crollo del regime baathista, adesso si sta riproponendo nello Stato islamico.
Venivano eliminati sistematicamente i vertici militari, creando nel contempo un vuoto nella catena di comando e un clima di insicurezza nei quadri ancora in attività, dando il senso del pericolo e della precarietà. Saddam Hussein allora, come Baghdadi oggi, veniva/viene isolato. E la nemesi sarà la stessa ora come allora: scappare (e poi essere giustiziato) o morire nel cosiddetto martirio.
La sequenza delle eliminazioni dei vertici ha recentemente avuto una forte accelerazione. Oltre ai citati Adnani e Al Fayad, sono stati eliminati anche altri importanti vertici dell'ISIS: Abdel Rahmne al Qadouli ("ministro delle finanze"), Abu Al Hija (comandante del fronte di Aleppo), Omar Al Shishani ("ministro della difesa").
Nelle ultime settimane, ben 13 personaggi di rilievo del califfato sono stati eliminati nell'area di Mosul.
Nel cosiddetto mazzo di carte da gioco dell'ISIS ci sono ancora molti nomi da catturare e da eliminare ma il più importante sarà, come nel caso di Saddam Hussein, l'asso di picche: Ibrahim Awad Ibrahim Ali Al Badri al Samarrai, meglio noto come "Abu Bakr Al Baghdadi". Catturato o ucciso lui, tutto lo Stato Islamico si dissolverà.


al baghdadi 2004
Al Baghdadi nel 2004


Cosa accadrà dopo la sconfitta dell’ISIS


La sconfitta militare dell'ISIS - è bene ricordarlo - comunque non porterà alla fine del terrorismo islamico ma alla sua transumanza in un'altra parte del mondo, anche perché rimane inalterato il contesto sociale in cui tale terrorismo generalmente si sviluppa, soprattutto nei Paesi a prevalenza musulmana o nelle aree di povertà endemica dell'Africa.
L'utopia di una guerra di religione che conquistava terre ed assoggettava il nemico è comunque crollata. Era questo in realtà il fascino prevalente di un califfato rispetto alle esperienze di altre guerre e terrorismo sotto la bandiera dell'Islam.
Il "merito" di Al Baghdadi è stato soprattutto questo: andare oltre l'ostacolo o l'immaginario, sfidare l'impossibile, far sognare il suo "popolo".
Adesso però il combattente islamico si confronta con la dura realtà di una guerra che sta perdendo. Sperava/credeva che Allah gli avrebbe comunque garantito la vittoria sui campi di battaglia ma questo non è avvenuto. Incomincia ora a rendersi conto che forse la causa che lui ha abbracciato non era quella giusta, se è mancato il supporto divino. Le strade da percorrere che gli rimangono davanti non sono molte.
Il combattente dell'ISIS è vittima di un sistema che era volutamente efferato, non solo per assicurare il potere ma anche per tagliare i ponti dietro i propri adepti.
Non ha alternative - levata l'opzione immanente del martirio - ma solo la necessità di continuare le sua battaglie altrove. Ed è purtroppo quello che accadrà. Caduta Daqib, che nell'interpretazione religiosa degli Hadith doveva essere la battaglia finale contro i non credenti, l'estremista islamico cercherà un’altra Daqib in un'altra parte del mondo. E Daqib, ironia del destino, è stata invece riconquistata da milizie turcomanne, di fede sunnita, il 16 ottobre scorso, senza quella tenace difesa dei miliziani di Al Baghdadi che la sacralità del luogo avrebbe meritato.


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