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L’ISIS E LE DONNE


burqa

In Medio Oriente è in atto un dramma sociale che colpisce le popolazioni dell’area. Come spesso avviene in queste circostanze, quando c’è una guerra, sono generalmente le fasce più deboli a subirne le conseguenze: donne, vecchi e bambini. Sono le vittime silenziose di una tragedia umana. Basterebbe ricordare che le donne yazidi sono state stuprate o vendute come schiave. Basterebbe anche ricordare i bambini che vengono uccisi nei bombardamenti, annegano nel Mediterraneo cercando rifugio all’estero o sono costretti ad addestramenti militari nelle milizie del Califfo. E poi ci sono i vecchi che non hanno più accesso a cure mediche, che muoiono di stenti o perché non hanno la forza di scappare o per difendersi.

Se tutti questi attori incolpevoli non muoiono sotto le bombe o le torture, sono vite perse anche dopo la fine della guerra perché porteranno addosso, nel loro corpo ma soprattutto nel loro spirito, il peso delle terribili esperienze vissute.

Le donne sono, per varie ragioni, quelle che pagano il prezzo più alto perché, in questa parte del mondo, sono relegate ad una posizione sociale subalterna rispetto all’uomo e quindi non hanno potere decisionale. Diventano soggetto passivo nelle mani di altri. A seguito di questa cultura prevalente, il passaggio a diventare un oggetto, merce di scambio, strumento di divertimento sessuale, è quindi breve. Questo spiega in quota parte quel che è successo alle donne dei vinti nelle rispettive parti in lotta.

L’ISIS dedica particolare attenzione al ruolo delle donne con le solite contraddizioni nel diverso trattamento delle proprie donne dalle donne degli altri.

Intanto tra le milizie di Al Baghdadi è stata creata anche una Brigata “al Khansaa” formata da sole donne dedicata allo svolgimento di compiti di polizia “morale”, cioè il controllo delle donne per strada, del loro modo di vestire o di comportarsi in aderenza ai precetti islamici. Quindi sono loro stesse vestite con l’abaya e con il niqab per coprire il volto che è imposto comunque a tutte le donne che vivono sotto lo Stato islamico. Un vestito troppo stretto, il trucco sul volto benché sotto il niqab, gli occhi non nascosti da un doppio velo, l’eventualità che inopinatamente una minima parte del corpo o dei capelli venga esposto, fanno scattano immediatamente la sanzioni che possono andare da una iniziale reprimenda ad un numero di frustate correlate alla gravità della pena. Per l’adulterio, la pena di morte, tramite flagellazione e lapidazione, è inevitabile. Permane inoltre l'obbligo di indossare abiti scuri e uscire fuori casa solo se accompagnate (uniche eccezioni: se si va a studiare teologia, se si è medico o insegnante).

Uno dei compiti della “Khansaa” è anche quello di effettuare controlli di sicurezza sulle donne, qualora necessari. Si accede alla Brigata dopo un breve addestramento nell’uso delle armi e di lezioni di Islam, soprattutto nell’applicazione della sharia alle donne. I membri della “Khansaa” ricevono una paga di circa 100 $ al mese (un miliziano ne riceve generalmente circa 130 $), non sono implicate in attività combattenti, vivono in un acquartieramento proprio (“maqar”, dove vivono le non sposate e le vedove). Tra esse molte sono anche straniere. Esiste accanto alla più famosa “Khamsaa” (che opera prevalentemente nell’area di Raqqa) anche un’altra unità, la “Umm al Rayan” che ha le stesse funzioni.

Comunque, come tutte le donne dello Stato islamico e come anche i membri della “Khansaa” o “Umm al Rayan”, se giovani, sono invitate – meglio dire forzate – a sposarsi con un miliziano e, nel caso del decesso di questo, nuovamente con un altro marito, anche senza rispettare i precetti islamici che impongono almeno tre mesi di vedovanza prima di accedere a nuove nozze (questo per verificare di quale padre potrebbe essere una gravidanza). Lo Stato islamico ritiene inoltre legittimo che una ragazza possa sposare un jihadista all’età di 9 anni. Rimangono invece tuttora limitazioni per l’impiego di donne in combattimento, perché nell’immaginario del califfato la donna musulmana è solo madre, moglie e donna di casa.

Ed in questo contesto viene spesso stigmatizzato dall’ISIS quel concetto di uguaglianza di genere che circola nel mondo occidentale, abbinato a quella cultura che genera la “tirannia del capitalismo”, mentre esiste un sistema islamico di benessere sociale. La donna dell’ISIS non deve essere illetterata o ignorante, ma non deve studiare la scienza (intesa come ricerca della verità che è invece nelle competenze della fede islamica). Viene pure indicata una scaletta della sua istruzione : dai 7 ai 9 anni deve studiare arabo ,religione e scienze naturali; dai 10 ai 12 anni ancora studi religiosi- -mirati soprattutto ai problemi delle donne come matrimonio e divorzio – ed ancora arabo e scienze naturali (ovviamente nel frattempo deve imparare a cucire, ricamare, lavori a maglia e cucina); dai 13 ai 15 anni ancora studi religiosi, questa volta focalizzati sulla sharia, la vita del profeta e la storia dell’Islam. A questo punto vengono meno le scienze (bastano quelle basiche imparate da piccole), e si incomincia ad acquisire abilità nella crescita dei figli. Dopo, niente più, perché è l’ora di sposarsi, fare figli e stare a casa.

Essendo nella sostanza il ruolo della donna nel mondo musulmano in forte contrapposizione con quello del mondo occidentale, l’ISIS ricorre spesso ad affrontare gli argomenti specifici entrando in diatriba sulle questioni più spinose come quello della poligamia. Secondo l’ISIS non è solo l’Islam che ha adottato questo sistema sociale che era già in essere ai tempi di Giacobbe e Davide, entrambi con più mogli e concubine. Ma ha anche risvolti positivi per le donne : sono in numero maggiore degli uomini, affrontano difficoltà negli eventi negativi della vita, i giovani preferiscono le vergini ma questo apre spazio per vedove e divorziate, se soffre di infertilità gli viene concesso la possibilità di non essere allontanata. E poi ci sono altri risvolti pratici: in alcuni momenti non è in grado di assolvere i suoi doveri di donna verso il marito (mestruazioni, gravidanza, sanguinamenti post-partum); la poligamia risolve il problema. Altrimenti ci sarebbe il rischio che il marito cada in altre tentazioni.

Se questa è la realtà in cui vivono le donne dell’ISIS nel califfato, all’esterno, tramite una mirata propaganda, si tende ad fare accreditare che nello Stato islamico il ruolo delle donne è invece attraente, edificante, socialmente pagante.

Di tutto questo se ne fa carico l’apparato propagandistico dell’ISIS, e questo spiega perché siano arrivate sinora nello Stato islamico dalle 400 alle 600 donne provenienti dai Paesi occidentali (in pratica un rapporto di 1 a 8 rispetto ai volontari maschi). Vengono chiamate “muhajirat” (o migranti al femminile) sempre in quella visione del migrante che raggiunge la terra promessa per servire Allah.

La specifica propaganda dell’ISIS è comunque diversamente mirata a seconda che siano donne provenienti da Paesi musulmani o da Paesi occidentali. Soprattutto in questo secondo caso il messaggio è molto più sofisticato basandosi meno sulle giustificazioni teologiche e più sulla descrizione di un mondo virtuale, dove il ruolo della donna è centrale, dove vengono diffuse immagini bucoliche di uno Stato islamico dove si trova tutto, ci si diletta di cucina, si passa il tempo a fare bagni nei fiumi, etc. Un mondo che in realtà non esiste ma che deve essere enfatizzato per rendere attraente l’arrivo di donne abituate a standard alti di confort da Paesi ad alto livello sociale. Sembra che un team di donne provenienti dall’Occidente sia stato adeguatamente addestrato per contattare e attirare donne sui vari social network. Si disegna e celebra una utopia, ci si sofferma più sugli aspetti romantici e si sorvola su quelle difficoltà che esistono nel vivere in una zona di guerra. Questo approccio è stato necessario per controbilanciare i messaggi negativi che alcune donne occidentali, una volta giunte a Raqqa, avevano inizialmente inviato nei propri Paesi. E poi perché esiste, da parte dell’ISIS, l’idea - giusta o sbagliata che sia - che la gente proveniente dall’Occidente sia religiosamente alquanto impreparata.

Per le donne arabe invece si insiste più sul diritto/dovere ad appoggiare lo Stato islamico nell’ambito di una guerra di religione e di cultura contro gli stati apostati o infedeli. Si fa più riferimento al dovere religioso, alle presunte persecuzioni che subisce il popolo musulmano, alla rabbia per queste discriminazioni, alla voglia di vendetta e di giustizia, al senso di appartenenza, agli aspetti messianici ed ideali dell'essere in prima fila nella realizzazione del sogno di Allah.

Questa distinzione nell’esercizio della propaganda dà l’idea che lo strumento sia sofisticato e tarato su uno specifico target umano, quindi particolarmente efficiente. Ma è anche vero che, una volta raggiunto lo Stato islamico, il trattamento riservato alle donne straniere è sicuramente privilegiato rispetto alle colleghe arabe.

Queste attenzioni ed esaltazioni del ruolo femminile nello Stato islamico sono in stridente contrasto con il ruolo ed il destino che viene invece assicurato alle donne non musulmane o apostate (cioè le musulmane che osteggiano l’organizzazione di al Baghdadi).

Qui si dà spazio al commercio delle donne, al loro utilizzo come schiave o come bottino di guerra per la soddisfazione sessuale dei combattenti ed anche in questo caso si cercano giustificazioni teologiche. La rivista del califfato Daqib si è recentemente interessata della questione ed ha pubblicato un articolo dove si enfatizza che la sharia permette questo per le donne kuffar (cioè non musulmane). Altrettanti pamphlet sono stati distribuiti all’uscita delle moschee a Mosul.


isis slaves

Si fa soprattutto riferimento alle donne yazidi, definite appartenenti ad una minoranza pagana e quindi non titolate di nessuna forma di clemenza (in contrapposizione alle cristiane ed ebree, dove si può ricorrere ad una compensazione con la “Jizyah” o tassa islamica). Per quanto concerne le donne “apostate” (cioè musulmane), esistono dubbi per la loro riduzione in schiavitù, anche se si propenderebbe teologicamente per il sì. Ed al riguardo si citano passi del Corano e teologi importanti come Ibn TaYmiyyah, oltre che le scuole di pensiero Hanafi e Hambali.

Le organizzazioni internazionali hanno affermato che circa 2500 donne yazidi sono state oggetto di schiavitù sessuale (ma ne sono sparite complessivamente oltre 4600). Divise tra giovani e vecchie, rinchiuse in palazzine adibite a pseudo-bordelli, alla mercé dei miliziani che periodicamente vengono a prelevarle per portarsele via (anche due o tre alla volta). Poi la vendita al mercato, con l’offerta dei vari clienti che se le portano a casa come schiave. Tutto fatto alla luce del sole, perché “islamicamente” corretto e quindi niente da nascondere. Per lo Stato islamico, problemi morali sull’argomento non ce ne sono. Ovviamente in questo approccio ci sono anche gli aspetti pratici afferenti ai combattenti che acquistano così il diritto a godere delle loro vittorie e/o bilanciare le sofferenze di una guerra con i piaceri della carne.

Dando così per scontato la liceità dell’iniziativa, lo Stato islamico, attraverso tutta una serie di altre pubblicazioni, ha poi inteso ancor più regolamentare questi rapporti sessuali, prefigurando per ogni situazione pratica il relativo comportamento in aderenza ai precetti islamici. In pratica una serie di fatwa (pareri di contenuto religioso) emessi da giudici e teologi. Ad ogni domanda, per quanto scabrosa, una risposta.

Posso avere rapporti subito con una vergine? Sì

E’ se non è vergine? Aspettare di vedere se non è incinta (sempre presente il problema della presunta paternità).

E se non ha raggiunto la pubertà? Nessun problema se risulta adeguata ad un rapporto sessuale. Nel caso invece che non fosse “adeguata”, può “utilizzarla” a prescindere da un rapporto sessuale diretto.

Puoi aver rapporti con donne o ragazzi/e prigionieri? Naturalmente. E puoi venderli. Certamente. Anche regalarli se vuoi. Chi li ha catturati può fare quello che vuole.

L'unica limitazione è se i prigionieri appartengono a due uomini. Uno dei due non potrà avere rapporti con la schiava (altrimenti risorge il problema della paternità).

Esistono comunque altre limitazioni: non è ammesso l’aborto, non si possono avere rapporti con madre e figlia, se entrambe schiave. Lo stesso discorso se sono due sorelle. Non si può avere rapporti con una donna in mestruazione.

E se il padrone muore? Va in eredità come qualsiasi altra proprietà.

Se la schiava appartiene a tua moglie puoi avere rapporti sessuali? No, perché non è di tua proprietà.

Può essere concessa alla schiava la libertà? Sì e chi lo fa avrà benemerenze da Allah.

Puoi baciare le schiave di altri? No, se lo scopo è il piacere.

Può un uomo avere rapporti con il coito interrotto? Certo, e non c’è bisogno del consenso della schiava.

Può un uomo sposare una schiava musulmana o di altra religione? Non è permesso se non per evitare il peccato della fornicazione.

Però ogni tanto spicca un po’ di umanità.

Può una schiava comprare la sua libertà? Risposta positiva.

Può una prigioniera essere separata dai propri figli? No (ovviamente se minorenni).

Può essere venduta una donna incinta? No (solito problema della paternità).

Altre raccomandazioni sono di trattare bene la donna schiava, evitare di “umiliarla”. Però c’è il diritto di picchiarla per educarla, farle rispettare la disciplina. Ma solo per quello e non per il piacere di farle del male o per tortura. Altra limitazione: non colpirla in faccia.

E guai a scappare. E’ uno dei peccati più gravi .Non è prevista alcuna punizione da Allah ma dovrà essere applicata una reprimenda che impedisca il ripetersi del gesto anche per impedire ad altri di seguirne l’esempio. In cosa consista questa reprimenda non è dato di sapere.


kurd women fighters
donne combattenti curde


Questa mercificazione delle donne ha poi risvolti paradossali nella guerra stessa. I miliziani dell’ISIS vivono nel terrore di essere ammazzati da combattenti donne come quelle che militano nell’YPJ (Unità “femminile” di protezione popolare che si distingue dall’YPG -stessa unità maschile) tra le file dei siriani curdi. Perché morire per mano di una donna non solo è per il terrorista islamico squalificante ma pregiudicherebbe le sue benemerenze nel martirio e di fronte al giudizio di Allah. In poche parole, non andrebbe in paradiso.


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