L'AFGHANISTAN CHE NESSUNO CONTROLLA

La
storia purtroppo non insegna mai niente. A volte capita per
ignoranza, non conoscendola. A volte per presunzione, perché se ne
sottovalutano gli insegnamenti.
L'Afghanistan è uno di questi casi. Territorio strategicamente e
geograficamente importante, crocevia di traffici e commerci
nell'area indoeuropea; nella sua lunga storia è sempre stato
oggetto di invasioni. Comunque nessun esercito è riuscito a
controllare questa popolazione. Anzi: la ricorrente necessità di
difendersi dagli invasori ha instillato negli afghani il senso di
appartenenza, il rifiuto del dominio straniero, anteponendo la sua
struttura ancora socialmente arcaica alle culture esterne. Popolo
di combattenti, a volte gli afghani, nella loro lunga storia,
hanno anche dominato aree limitrofe. Gengis Khan con i suoi
mongoli, il Tamerlano; tutti hanno occupato l’Afghanistan ma
nessuno è riuscito a domarlo. Ne sanno qualcosa gli inglesi che si
confrontarono senza successo in ben tre guerre contro
l'Afghanistan che già nel 1919 ottenne la propria indipendenza
uscendo dalla tutela degli inglesi.
La guerra con i russi
Ma nel settembre del 1979, disconoscendo la storia e l'orgoglio di
questo popolo, i sovietici invasero il Paese, imponendo un proprio
uomo alla guida della Nazione. 10 anni più tardi, nel febbraio del
1989, dopo innumerevoli sconfitte e perdite di uomini, l'Unione
Sovietica dovette abbandonare l'Afghanistan.
Tutto questo bastava a consigliare ad altri Paesi a lasciare
l'Afghanistan in balia del suo destino?
No, almeno nel caso degli Stati Uniti, che dopo l'attacco alle
Torri Gemelle dell'11 settembre 2001 decisero di invadere il
Paese. Un’altra guerra non vinta in un paese non controllato.
Siamo nel 2017 e gli americani sono ancora lì con tutti i problemi
che avevano avuto, prima di loro, inglesi e russi. L'Afghanistan
non lo controlla nessuno, nonostante una forte presenza NATO e
americana. Il Presidente Bush l'aveva invaso, il Presidente Obama
aveva deciso di ritirarsi ma poi, con il crescente pericolo che il
Paese tornasse in mano ai talebani, era stato costretto a
rimangiarsi l'intenzione. Adesso tocca al successore Trump che ha
deciso di incrementare il contingente americano in quel Paese di
altri 8500 soldati. Basterà questo a creare stabilità nel Paese, a
permettere che i talebani non riprendano il potere e che si ponga
fine ad una strisciante guerra civile?
La situazione sul terreno
Probabilmente no, sia se si guarda alla storia sia se si guarda
alla situazione sul terreno.
Negli ultimi tempi i talebani hanno ripreso il controllo di buona
parte del Paese. L'esercito afghano, quello che dovrebbe
combatterli con le armi e gli addestramenti forniti dagli
americani, dimostra scarsa capacità operativa. Anzi, molte volte
risulta colluso coi talebani a cui vengono rivendute le armi e
carburante. Quando combatte subisce perdite, come dimostrano i
circa 6000 morti avuti nel 2016.
Che cos'è l’Afghanistan
L'Afghanistan è il Paese dove Osama bin Laden aveva operato per
conto degli americani contro i sovietici. Dall'addestramento dei
ribelli afghani è nata poi al Qaida che si è diffusa nel mondo
islamico. L'Afghanistan è anche il paese dove furono consegnati
dagli americani ai ribelli i sistemi contraerei Stinger per
abbattere i velivoli sovietici, gli stessi che poi sono stati
usati per buttare giù gli elicotteri americani. In Afghanistan
niente è definitivo se non la guerra contro l'invasore di turno.
Una società tribale che stenta a riconoscersi in un governo
centrale e dove il potere risiede proprio nelle singole etnie. Qui
dominano i signori della guerra ed i loro traffici - oppio
compreso. Le interferenze esterne non sono mai gradite. Sono loro
gli interlocutori di ogni eventuale accordo. E' questa una
caratteristica della società afghana che non hanno mai capito né
gli americani né i russi, ma solo i pakistani che, tramite il
proprio Servizio Intelligence, l'I.S., sono gli unici in grado di
manipolare le rivalità locali, di giocare sui rapporti di forza
etnici ( sopratutto a favore dei Patshun) ed ovviamente avere
buoni rapporti coi talebani. Tutto questo non verrà certo
modificato dall'arrivo di 8500 soldati USA né dai bombardamenti
aerei che giornalmente colpiscono le basi dei talebani.
Gioca molto anche il fatto che contro i talebani un esercito
tecnologico serve a poco. Tanto meno i rapporti di forza. I
talebani sono portatori di una guerra che ha le caratteristiche
non tanto nazionalistiche (stante le citate diversità etniche) ma
soprattutto religiose. E sotto questo aspetto sono terreno di
cultura per tutte quelle formazioni radicali islamiche armate che
operano nel mondo. Ovviamente nel campo sunnita, come dimostrano
anche le lotte contro gli Hazara sciiti che vivono al confine con
l'Iran; a suo tempo molto vicini ad Al Qaida , adesso alimentano
ideologicamente l'ISIS.
Ed è proprio il movimento di Al Baghdadi che è fortemente presente
in alcune zone del Paese (Nangarhar , Zabul), fa propaganda
attraverso trasmissioni radio portatili, inneggia alla Sharia,
cerca reclutamento tra i giovani afghani. Una propaganda che fa
effetto perché mirata su una società di gente povera, con alto
tasso di analfabetismo; sottoculturata.

Le risorse dell’Afghanistan
Nei corsi e ricorsi storici i sovietici - oggi russi - che erano
stati cacciati con il fattivo concorso americano tornano in
Afghanistan non più sull'onda di una conquista militare ma solo
per fare affari. Ed in un Paese dove la differenza tra lecito ed
illecito è alquanto impercettibile e dove il tasso di corruzione è
molto alto, lo spazio per fare affari c'è.
L'Afghanistan ha immense risorse minerarie: cobalto, litio, rame,
ferro. Sono tutte risorse sinora non sfruttate a fronte
dell'instabilità del Paese. Anche perché lo sfruttamento dei
giacimenti richiederebbero investimenti infrastrutturali che la
situazione locale non permette, essendo il rischio economico
troppo alto.
La nuova politica russa
Ai russi, dopo la batosta militare subita negli anni '80, non
interessa tanto oggi con chi fare affari ma piuttosto far sì che
l'Afghanistan sia, per quanto possibile, una nazione stabile. Dal
2012 ad oggi è cambiata anche la politica russa verso Kabul. Fino
ad allora la Russia parteggiava per la comunità internazionale che
combatteva i talebani e lo faceva garantendo il transito di aerei,
soldati e rifornimenti logistici a questa forza militare
internazionale. I successivi dissidi con la NATO in altri teatri
operativi (vedasi la questione siriana ed ucraina) e la
consapevolezza che le sorti della guerra in Afghanistan volgevano
inequivocabilmente a favore dei talebani hanno fatto cambiare
l’approccio di Putin sulle vicende afghane. Pertanto anche i
talebani sono così diventati interlocutori privilegiati.
La Russia , a differenza degli Stati Uniti, è direttamente
interessata a quel che avviene ai suoi confini meridionali per
questioni di sicurezza interna. Gli Stati Uniti invece sono
intervenuti in Afghanistan per colpire Al Qaida ma ora vi
rimangono per questioni geo-strategiche.
Quel che preoccupa Mosca è soprattutto la presenza dell'ISIS e la
correlata diffusione del radicalismo islamico. Circa 10 milioni di
russi sono di religione islamica. L'Afghanistan peraltro confina
con il Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, tutte repubbliche
dell'ex Unione Sovietica che dopo l'indipendenza sono comunque
rimaste alleate con la Russia. Sono repubbliche a predominanza
islamica (Uzbekistan circa 80%, Turkmenistan 94%, Tagikistan 98% )
e quindi l'effetto contagio sulla popolazione musulmana è ad alto
rischio.
Soprattutto il Tagikistan comincia a subire gli effetti del radicalismo islamico. Ben 1200 giovani tagiki sono andati volontari nelle file dell'ISIS. Il Partito della Rinascita Islamica, formazione politica locale, è ritenuto colluso col radicalismo islamico e, nonostante le iniziative del governo per contrastare tale fenomeno, i risultati non sono apprezzabili. La Russia ha quindi rafforzato la propria presenza militare in quel Paese.
Ma anche l'Uzbekistan si confronta con gli stessi pericoli. Il Movimento Islamico dell'Uzbekistan, antesignano del terrorismo islamico nel Paese, ha poi aderito all'ISIS installando le proprie basi sia in Afghanistan che nel vicino Tagikistan. Una "Brigata Uzbeka" ha operato nelle file del Califfo.
Il Turkmenistan è invece ancora meno colpito dal terrorismo islamico, essendo un Paese che per circa il 90% è desertico e quindi rende difficile l'occultamento di cellule terroristiche. Comunque ai suoi confini meridionali sul lato afghano è forte la presenza di milizie dell'ISIS.
Ma la Russia nel suo approccio sulle vicende afghane coltiva anche altri interessi che non la sola sicurezza e la minaccia del terrorismo islamico. Vi è soprattutto un interesse geo-strategico perché comunque l'Afghanistan è un'area geografica centrale del continente, e poi vi sono gli interessi economici legati al transito dei commerci.
Gli interessi della russia
Proprio in virtù di tutti questi interessi la Russia ha poi convocato a Mosca una Conferenza sull'Afghanistan a cui hanno partecipato tutti i maggiori Paesi confinanti (Pakistan, Cina, Iran ed ovviamente l'Afghanistan stesso).
Nel
momento in cui gli Stati Uniti reiterano l'opzione militare sulle
vicende afghane, la Russia, con maggiore oculatezza, gioca la
carta diplomatica facendosi portatore di una soluzione politica
per bloccare la guerra civile. L'obiettivo è la stabilità, anche
se raggiunta con il consenso dei talebani - nella convinzione del
loro peso contrattuale - perché solo attraverso questa è poi
possibile dedicarsi alla lotta all'ISIS, trovare accordi economici
o politici.
Ed è una iniziativa che finora gode dell'appoggio iraniano e cinese. In altre parole esercitare la propria influenza. La Russia anche qui, come nelle vicende mediorientali gioca un ruolo centrale di broker internazionale. Ed ovviamente, se soluzione verrà trovata, gli sarà senz'altro favorevole.

MOAB - Mother Of All Bombs
Gli americani
Sul fronte opposto, appare invece inadeguata l'opzione militare americana. Probabilmente Trump, come il suo predecessore, non era molto propenso ad aumentare la propria forza militare in Afghanistan. Il presidente americano paga oggi il prezzo del sostegno della lobby militare alla sua traballante amministrazione.
Gli
Stati Uniti non sono lì per vincere, perché le condizioni sociali
e belliche in cui sono coinvolti da 16 anni non glielo permettono.
Fanno dimostrazioni di forza per nascondere la loro debolezza.
Anche il lancio della mega-bomba, la "Massive Ordnance air blast"
(lo stesso acronimo è stato poi trasformato in "Mother Of All
Bombs"), lanciata contro le postazioni dell'ISIS in Nangarhar in
aprile, più che gesto di forza è stato un gesto di frustrazione.
10 tonnellate di esplosivo per eliminare 34 terroristi.