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L'AFGHANISTAN E L'"OFFENSIVA DI PRIMAVERA"

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Gli attacchi simultanei da parte dei Talebani del 15 aprile scorso alle infrastrutture civili e militari di Kabul e di alcune province limitrofe hanno posto alcuni interrogativi sulla complessa situazione afghana e sui possibili sviluppi:

i Talebani, movimento di opposizione al governo del Presidente Karzai, si esprimono in termini di sconfitta delle forze di sicurezza afghane e di inizio del ritiro delle forze NATO di supporto;

il regime di Karzai rileva l'inefficienza dell'apparato informativo ISAF;

a seguito dell'avvenimento in esame, l'Australia starebbe valutando la possibilita' di anticipare il ritiro del proprio contingente, rispetto al previsto 2014: una decisione, qualora concretizzata, di considerevole impatto psicologico nei confronti degli altri contingenti della missione ISAF ("International Security Assistence Force");

non vanno trascurate le incidenze delle scadenze internazionali: il vertice NATO di Chicago (maggio 2012); le elezioni presidenziali USA del prossimo novembre. Peraltro, alcuni osservatori del teatro afghano parlano di "offensive d'estate" (e non di primavera), nel senso che i Talebani continueranno a far parlare di se' nei mesi prossimi.

L'"offensiva di primavera"

I "Talebani", movimento a base tribale (vari clan dell'etnia Pashtun) formatosi negli anni '90' dopo la cacciata dal Paese degli occupanti sovietici per la conquista del potere a Kabul nel periodo successivo al regime fondamentalista del Mullah Omar (1996-2001), hanno organizzato le proprie basi operative nella "aree tribali di confine", nel Pakistan, da dove muovono per azioni terroristiche  in territorio afghano. Sono costituiti in "reti"; le piu' note: quelle del Mullah Omar, di Gulbudin Hekmatiar, di Ismail Khan e di Abdul Aki.

La "guida spirituale" del movimento dei Talebani (Talebano sta per "studente del Corano) e' il Mullah Omar Ahmed, nato a Nodeh (nei pressi di Kandahar) nel 1959, fondatore ed emiro dell' "Emirato Islamico dell'Afghanistan" dal 27 Settembre 1996 al 13 Novembre 2001, basato sulla "legge coranica" (Sharia) e su quanto ne consegue: burqa e nessuna frequenza di scuole per le donne, barba per gli uomini; in sintesi, eliminazione dal Paese di tutto quanto possa essere o apparire "occidentale" e pene severe per i trasgressori, fino alla lapidazione e alla pubblica esecuzione.

Dal 2001, a seguito dell'intervento USA in Afghanistan (fine dell'Emirato), il Mullah Omar mantiene la propria clandestinita' (con conseguenti "taglie" da parte degli Stati Uniti: da 10 milioni di dollari per sole informazioni a 25 milioni di dollari per la cattura). Ricorrono spesso notizie sulla morte e/o sulla cattura del Mullah Omar, poi smentite!

Di particolare interesse l'apertura di Washington a colloqui diretti con esponenti "moderati" Talebani a Doha (Qatar) il 28 gennaio scorso: si tratta di colloqui di riconciliazione incentrati sul rilascio di prigionieri Talebani detenuti a Guantanamo e sulla possibile apertura di un Ufficio Politico dei Talebani a Doha.  

Nella giornata del 15 aprile i Talebani avrebbero sorpreso le forze governative con attacchi simultanei, ben organizzati nei giorni precedenti: tre di questi nella Capitale (il Parlamento, il quartiere della ambasciate di Germania, del Regni Unito e del Giappone, le basi NATO - Q.G. della missione ISAF e l'Aeroporto) e altri tre nelle province limitrofe di Nangahar (l'Aeroporto di Jalalabad), di Lowgar (base USA di Pul-e-Alam) e di Paktia (Centro di Addestramento della Polizia di Gardez).

Le tre province indicate confinano con il Pakistan occidentale, attraverso le aree tribali pakistane, denominate FATA (Federally Administreted Tribal Areas ), in particolare del Waziristan del Nord e della "Provincia del North-West Frontier" (NWFP) pakistana. Si tratta di aree che sfuggono al controllo del governo di Islamabad per la loro impenetrabilita' e per la difficile percorribilita'; peraltro, non fruiscono di sussidi amministrativi del Governo in quanto considerate "legate al terrorismo".

I Talebani afghani, come gia' detto, utilizzano le FATA per lanciare offensive contro le forze governative afgane e quella della coalizione ISAF; come pure dalle FATA partono offensive contro il Governo pakistano da parte di movimenti di opposizione, come il TTP (Terik-el Taliban in Pakistan); in sintesi, si tratta del "doppio versante" delle FATA.  Nella circostanza in esame, le FATA sarebbero state "basi" per le ricognizioni preliminari e per l'accantonamento di materiali e di armamenti per gli attacchi.

Nella fase condotta e' risultato significativo il coordinamento tra i gruppi operativi Talebani, attraverso l'occupazione di postazioni dominanti nei confronti dei vari obiettivi (il piano piu' alto dell'hotel "Kabul Star", nel quartiere delle Ambasciate, e quello di un altro albergo in costruzione, nei pressi dell'area "Parlamento-Ambasciata di Russia"); significativo altresi' l'impiego di personale "shahid" (kamikaze, piu' comunemente detto) che si e' fatto esplodere in corrispondenza della difesa vicina e dei muri di cinta dei vari obiettivi.

Dopo alcune ore di scontri per l'occupazione di postazioni e per la neutralizzazione delle difese vicine, l'attacco agli obiettivi (circa 17 ore, secondo i mass media) ha fatto registrare 36 morti da parte dei Talebani, 11 morti tra le forze afghane (Esercito e forze di sicurezza), 5 morti tra i civili.
Come gia' nei precedenti attacchi del settembre 2011 e del 24 marzo scorso, e' stato ben coordinato il ripiegamento (solamente due i Talebani catturati) e il ritorno alla normalita' delle aree investite.

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Alcune considerazioni

L'offensiva da parte dei Talebani all'inizio di primavera costituisce un rituale previsto, dopo le condizioni proibitive per le operazioni dell' "inverno afgano"; viene effettuata anche per riaffermare la propria presenza sul teatro afghano ed eventualmente "alzare la posta" dei colloqui in atto, come quelli di Doha.

Questa volta l'offensiva e' stata preceduta da avvenimenti che hanno inciso sul comune sentire della popolazione locale, anche se strumentalizzati da qualche capo tribu'; ci si riferisce :
al rogo delle copie del Corano nell'Aeroporto di Kabul (base USA di Bagram);
alla profanazione di un militante afgano deceduto ("urine" sul cadavere da parte di soldati USA);
alla strage a Kandahar dell'11 marzo scorso ad opera di un Sergente USA (16 morti, compresi donne e bambini).

Ne e' scaturita la presa di posizione del Presidente Karzai contro i militari ISAF, invitati a non uscire dagli avamposti, definiti FOB (Forward Advanced Base), e soprattutto l'interruzione dei colloqui di riconciliazione di Doha, con l'invito, da parte dei Talebani, di considerare tali colloqui un "avvenimento tra afgani".

L'insorgenza ha impegnato le sole forze ISAF dell'Afghanistan orientale; sono state risparmiate le province occidentali (Herat, in particolare), in quanto il controllo di queste ultime e' piu' fattivo e capillare; soprattutto sono lontane dalle possibili rotte di scampo.

Un contributo considerevole all'offensiva di primavera e' stato dato ai Talebani dalla "rete Haqqani" di etnia Pashtun, originari della provincia afghana di Paktia, con basi nel Waziristan del Nord, area tribale delle FATA. Il leader della "rete Haqqani" e' Sirajuddin Haqqani, figlio del piu' noto Jalaludin Haqqani, leggendario combattente contro i sovietici "occupanti"; Sirajuddin mantiene buone relazioni con i "Servizi" pakistani e con la "rete al-Qaeda" del defunto Osama bin Laden.

L'etnia Pashtun costituisce il 42% della popolazione afghana; e' dislocata nella parte centro-meridionale del Paese, costituita da sottogruppi,  clan ormai storici, molto radicati nelle proprie aree di origine, talvolta in lotta tra loro (Ghilzai, Durrani, Popalzai - clan del Presidente Karzai - , Haqqani ecc.) anche per il sostegno o per l'opposizione, a seconda dei casi, al Governo di Kabul. I Pashtun sono tradizionalmente legati all'antica Capitale dell'Afghanistan, Kandahar, piu' che a Kabul.
Il resto della popolazione e' costituito da "minoranze etniche" dei Paesi confinanti: tagichi (27%), hazari (9%), uzbechi (9%), turkmeni (3%), altri (10%, vi sono compresi i baluci, originari del confinante Pakistan).

Importante considerare che sul piano interno la fiducia della popolazione nei confronti del governo Karzai va riducendosi in quanto espressione di corruzione e di accaparramento di aiuti economici che lasciano alla popolazione "poche briciole". I Talebani, quali oppositori del Governo di Kabul, appaiono sempre piu' come "salvatori della popolazione": dispongono di risorse economiche (se pure derivanti dal traffico di droga), danno lavoro e pagano per i servizi loro resi.

Peraltro, le fazioni minoritarie piu' "moderniste" cominciano ad "aprire" ai diritti delle donne (partecipazione all'insegnamento; frequenza di alcune scuole riservate fino ad ora all'altro sesso).

Sul piano internazionale, con il fallimento della strategia occidentale (importazione nel Paese della democrazia, avulsa dall'aggiornamento delle istituzioni e dall'individuazione, a tal fine, di fazioni piu' moderate con le quali colloquiare), la "chiave di volta" potrebbe passare per l'Islam attraverso il coinvolgimento dei Paesi vicini (come gia' avviato da Washington) ovvero dell'Iran sciita e del Pakistan sunnita; ma sussistono  difficolta', in quanto:
l'Iran, diversamente da quanto ha potuto attuare nei confronti dell'Iraq e della Siria, ha carte piu' complicate da giocare in Afghanistan; e poi c'e' il programma nucleare;
il Pakistan trova vantaggio nella strategia fin qui usata, quella del "doppio gioco e  doppio comando", con l'intervento, a seconda dei casi, dei "Servizi di intelligence" o dell'Esercito.

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Quali alternative al ritiro della missione ISAF?

Dopo 11 anni di impegno in Afghanistan da parte dell'Occidente, con un considerevole numero di perdite ed un costo elevato (miliardi di dollari), merita attenta valutazione l'annuncio del contingente australiano, specie in vista delle prossime scadenze internazionali: il vertice NATO di maggio a Chicago; la probabile ripresa dei colloqui per l'Afghanistan, in Qatar; le elezioni presidenziali negli Stati Uniti di novembre (per il secondo mandato di Obama).

Sta di fatto che si avanzano dubbi sui futuri risultati della missione ISAF: vale la pena di ricordare che dopo l'attacco alle "torri gemelle" dell'11 settembre 2001, il mandato prevedeva la reazione contro l'organizzatore dell'attacco e contro il "regime oppressore" del Paese che lo ospitava, istituendovi la democrazia, allo scopo di evitare analoghe situazioni per il futuro.
A questo punto, Osama bin Laden e' stato eliminato, ma l'avvento della democrazia in Afghanistan e' ancora lontano: e' il caso di chiedersi se il Paese sia in condizioni di "fare da solo", ai fini del ritiro della missione ISAF.

Nonostante l'accettabile reazione della forze governative afgane contro l'offensiva di primavera dei Talebani del 15 aprile, si individua le necessita' di completare, prima dell'abbandono del Paese, l'addestramento e la formazione dell'ANA (Esercito Nazionale Afghano) e l'ordinamento dell'ANP (Polizia Nazionale Afghana): portare cioe' il totale degli effettivi dagli attuali 300 mila a 350 mila, incrementando soprattutto le forze di polizia dalle 130 mila unita' attuali a 180 mila (e' previsto inoltre, a partire dal 2015, un finanziamento di 4,1 miliardi di dollari l'anno, per il mantenimento dell'operativita' delle forze di sicurezza afghane).

Si tratta altresi' di organizzare l' "exit strategy" con visione comune, coordinata in ambito ISAF, evitando pericolose iniziative individuali dei Paesi partecipanti, con ripercussioni negative di "effetto domino", date le comuni difficolta' economiche dei governi interessati. e' il caso di considerare anche gli orientamenti del contingente USA: ritiro di 22 mila militari nella prossima estate e disimpegno  nel 2014.

L'abbandono dell'Afghanistan al momento potrebbe portare al "gia' visto" del 1989 (ritiro dei sovietici), con sviluppi di situazione drammatici sul piano interno, molto prossimi a "guerra civile per il potere" tra opposte fazioni; mantenere il contributo operativo ed economico di ISAF fino al conseguimento dell'idoneita' e dell'autonomia operativa da parte delle forze afgane e comunque, nel rispetto di una decisione coordinata, eviterebbe ripensamenti e interventi successivi.