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AFRICA: UN CONTINENTE A DIMENSIONE DI ISIS

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Se c’è oggi un continente dove ci sono le condizioni ottimali per un'espansione del terrorismo islamico questo è sicuramente l’Africa. Povertà diffusa, democrazia quasi inesistente, corruzione endemica, scarsa scolarizzazione, disoccupazione, basse aspettative di una vita dignitosa. C’è, insomma, un humus sociale dove le idee più estreme possono trovare accoglienza e dove la violenza può essere alimentata dal risentimento. E questo può potenzialmente avvenire in quasi ogni paese del continente.

In primo luogo, l’Africa è un continente dove circa la metà della popolazione è di fede musulmana. In alcuni Paesi la prevalenza è netta: Algeria, Comore, Egitto, Gambia, Gibuti, Guinea, Guinea Bissau, Libia, Mauritania, Mali, Mayotte, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal, Sudan, Somalia, Tunisia. Se si va vedere, in alcune di queste nazioni il terrorismo islamico è già ampiamente presente. A differenza del Medio Oriente, non è un terrorismo settario perché in Africa la presenza dello sciismo è alquanto limitata. Oltre ad un'esigua presenza in Senegal e Nigeria, la stragrande maggioranza dei musulmani è sunnita. C’è però ampio spazio per dare battaglia agli apostati: le confraternite sufi la cui presenza nel continente è particolarmente estesa.

Ci sono poi le nazioni dove cristiani e musulmani pressapoco si equivalgono: Burkina Faso, Ciad, Sierra Leone, Eritrea, Etiopia, Tanzania, Costa d’Avorio. E lì c’è spazio per combattere gli infedeli. Certo, il terrorismo islamico in Africa non ha le stesse caratteristiche di quello mediorientale, è meno dogmatico ed ha meno riferimenti dottrinali, è molto spesso legato a problemi tribali, religiosamente meno sofisticato, ma non per questo è meno pericoloso o sanguinario.

L’afflusso di terroristi in transumanza dalla Siria e dall’Iraq verso la Libia è la dimostrazione che, qualora le vicende siro-irachene volgessero al peggio, l’ISIS andrà alla ricerca di nuove aree di crisi dove insediarsi e, soprattutto, dove trovare la possibilità di estendersi. La Libia, un po' come la Tunisia e le nazioni arabe della costa mediterranea, rispondono ancora ai requisiti tipici dei paesi mediorientali. Ma il timore maggiore è che questo fenomeno dilaghi nella fascia sub-sahariana. I recenti attacchi terroristici a Bamako, Ouagadougou e Grand Bassam dimostrano quanto sia reale la minaccia.


muhamar gaddafi

Muammar Gheddafi


L'intuizione di Gheddafi

Muammar Gheddafi, che di terrorismo era un esperto sia nell’esercitarlo (durante la prima fase della sua dittatura), sia nel combatterlo (fase finale del suo regime), temeva, a buon titolo, proprio l'espansione del terrorismo nel Sahel. Per questo motivo aveva proposto a vari paesi occidentali di creare un centro antiterrorismo a Bamako, in Mali, e di addestrare un contingente di pronto intervento in grado di convergere e combattere laddove ce ne fosse bisogno. I francesi ritenevano l’iniziativa lesiva del loro ruolo politico/militare egemonico nei paesi francofoni nell'area, gli americani e gli inglesi non si fidavano del colonnello, gli stessi libici avevano lanciato la proposta ma non l’avevano ben circostanziata e così l’intuizione del dittatore libico non ebbe seguito.

Il pericolo che tutti temevano era che dal terrorismo di matrice islamica algerino si arrivasse ad una saldatura territoriale con gli Shabaab somali, tramutando così ogni singolo fenomeno nazionale in qualcosa di transnazionale lungo la fascia sub-sahariana. I fatti hanno ampiamente dimostrato come Gheddafi avesse ragione da vendere. La saldatura con la Somalia non è ancora avvenuta, ma si comunque creata una continuità a sud con i Boko Haram nigeriani. Questo dato è stato recentemente confermato nel corso di una visita in Ciad dal generale americano Donald Bolduc, responsabile per le operazioni in Africa. Esistono infatti tecniche operative che accomunano l'ISIS a Boko Haram. O meglio, modalità operativa che Boko Haram ha copiato dall'ISIS, anche nella confezione degli esplosivi.

Chi combatte il terrorismo in Africa

Il retaggio del colonialismo, divenuto oggi sfere di influenza, fa sì che siano proprio gli ex Paesi coloniali a farsi adesso carico del contrasto al terrorismo. Il Regno Unito lo fa attraverso il collaudato sistema del Commonwealth con le 18 nazioni africane che ne fanno parte, la Francia lo fa soprattutto lungo la linea dei Paesi del CFA (Communauté Financiére Africaine), l’Italia con la Somalia, Spagna Belgio e Portogallo con le loro ex colonie e gli Stati Uniti, che non hanno specifici retaggi coloniali, sono presenti con un proprio dispositivo militare in virtù del loro ruolo di superpotenza planetaria.

Quelli più presenti militarmente sono i francesi, con soldati dislocati in varie basi nei paesi francofoni. Hanno la Legione Straniera a Gibuti con circa 2.000 uomini, 1.500 nella Repubblica Centrafricana, un migliaio in Gabon e Ciad, 400 soldati in Costa D'Avorio della forza "Licorne", oltre a tante altre piccole presenze in Senegal, Guinea, Niger e Camerun. Ma l'impegno militare più consistente è quello in Mali, dove il terrorismo islamico è fortemente presente e dove sono stati concentrati oltre 3.000 uomini nell'operazione "Barkhane". La Francia è sempre pronta ad intervenire in ogni emergenza regionale. Lo è stata con l'operazione "Serval" nel 2013/2014 sempre in Mali, ma ancor prima con l'operazione "Eparvier" a protezione del Ciad. Questo perché Parigi ha avuto voce in capitolo nel far cadere o salvaguardare un regime africano in ogni istanza di sovvertimento sociale, non solo quello alimentato dal terrorismo islamico.

Più discreta, ma per questo non meno efficiente, è invece la presenza militare americana che ha la sua base principale a Gibuti. Nel campo "Lemonnier" stazionano uomini, circa 4.000, aerei e navi. Il tutto viene diretto dal Comando operativo verso l'Africa, l'AFRICOM, che ha sede in Germania. E' dalla base a Gibuti che partono i raid aerei e le incursioni contro gli Shabaab somali. Prossimamente è prevista l'apertura di un'altra base americana in Camerun ed una ad Agadez, in Niger. Gli Stati Uniti hanno in atto forme di addestramento, assistenze tecniche varie, esercitazioni congiunte e contano piccole presenze militari in almeno 57 dislocazioni – chiamate "Cooperative security locations" – del continente, la maggior parte delle quali sono concentrate nella fascia sub-sahariana. Addestrano le forze speciali di almeno 30 paesi del continente e, ovviamente, le finanziano attraverso il programma ATA (Anti-Terrorism Assistance).

Oltre alla presenza americana, ci sono altre nazioni che forniscono assistenza ed addestramenti, come i carabinieri in Somalia. Tuttavia, il grosso problema è che le nazioni africane non sono, nella stragrande maggioranza dei casi, in grado di difendersi da sole dal terrorismo. La stessa Nigeria ha dovuto ricorrere a compagnie di sicurezza privata per fronteggiare Boko Haram. Mercenari pagati 400 dollari al giorno. Ci sono stati dei tentativi da parte dell'Unione Africana di dare vita a dei contingenti internazionali per combattere il terrorismo, ma sinora i risultati non sono stati apprezzabili.


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Joseph Kony e il Lord Resistance Army


I tanti terrorismi africani

I movimenti terroristici o ribelli in Africa sono tanti, per lo più caratterizzati da una matrice islamica, ma anche di altra estrazione religiosa, come il cristiano "Lord Resistance Army" ugandese. Si sono affermati laddove vi erano rivalse sociali particolari, a cui è poi stata data, almeno in alcuni casi, una caratterizzazione religiosa. Talvolta sono nati e cresciuti su spinte autonomistiche, come nel caso del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad in Mali e del Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger in Nigeria. Molto spesso la coesione fra i membri di questi gruppi è data dall'appartenenza tribale. E' il caso dei Boko Haram, dove l'etnia prevalente è quella dei Kanuri; dell'Ansar Eddin e del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad, formati da Tuareg; del Lord Resistance Army, di etnia Acholi; dell'algerino Al Qaeda nel Maghreb Islamico, formato da popolazione araba poco incline a mischiarsi con quella africana; del Fronte di Liberazione del Macina in Mali di prevalente etnia Fulani o Peul che di si voglia e via discorrendo.

L'unico comune denominatore a tutti questi gruppi sono lo sfruttamento dei vari disagi sociali, l'ingiustizia e la miseria. Dove, come nel Sahel, più grande è la miseria, più è accentuata la presenza terroristica. Molte volte il movente è un mix di diverse circostanze concomitanti. Molto spesso prevale l'elemento criminale, caso emblematico sono i "Mourabitoun" di Mokhtar Benmokhtar, noto trafficante e contrabbandiere che persegue un jihad cosiddetto "economico". Altre volte nascono con caratterizzazioni nazionali, ma poi tracimano in Paesi limitrofi diventando un fenomeno transnazionale. I citati Kanuri sono etnicamente presenti sia in Ciad, Niger e Camerun e forse non è casuale che Boko Haram abbia trovato spesso asilo nei paesi limitrofi.

I gruppi terroristici di matrice islamica in Africa si dividono invece secondo un'adesione alternata tra Al Qaeda e ISIS. Non è una scelta di carattere ideologico o teologico, ma soltanto un'affiliazione di principio basata esclusivamente su parametri di presunta notorietà di una matrice rispetto all'altra. Inoltre, a differenza di quanto avviene in Siria, l'appartenenza ad una delle due branche non implica necessariamente una lotta armata tra fazioni opposte anche se talvolta un'adesione, come quella di Benmokhtar ad al Qaeda, può essere il frutto di una lotta egemonica all'interno dei vari movimenti terroristici regionali. Nel contesto africano, gli Shabaab hanno, almeno in parte e con grosse divisioni interne, aderito all'ISIS. Il capo dei Boko Haram, Abubakar Shekau, ha invece espresso tutta la sua devozione allo Stato Islamico. Tuttavia, questo non cambia il peso o il pericolo derivante da ogni milizia islamica africana. Rimane però importante il fatto che al momento non ci sia particolare feeling tra AQIM (Al Qaeda nel Maghreb Islamico) ed ISIS, e che non esista quindi in Africa ancora una vera e propria cooperazione strategica tra le due entità. Almeno per ora.

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