testata_leftINVISIBLE DOGvideo

L'AFRICA NON ESISTE

Il 22 Marzo 2012 un manipolo di sotto-ufficiali dell'esercito maliano capeggiati dal capitano Amadou Sanogo hanno lasciato la loro caserma per marciare contro il palazzo presidenziale. In poche ore hanno destituito senza incontrare alcuna resistenza il presidente della repubblica eletto, Amadou Toumani Toure' ATT, dissolto il Parlamento e cancellato quasi 20 anni di democrazia. Sanogo e compagni protestavano contro il mancato sostegno del governo contro le ribellioni Tuareg che a tempi alterni minacciano le regioni del nord-est del Mali ed i Paesi confinanti.

Poche ore dopo il rovesciamento di ATT proprio quegli stessi movimenti ribelli che i militari volevano annientare hanno preso d'assalto le principali città del nord: Gao, Kidal e la mitologica Timbouctu'. Grazie agli arsenali prelevati in Libia ed alla mancata resistenza dell'esercito maliano le operazioni sono procedute senza intoppi. Nel giro di meno di due settimane il Mali e' stato cancellato dalla mappa geografica: i movimenti Tuareg e gli islamisti di Ansar Dine hanno dichiarato l'indipendenza e la creazione di una nuova nazione, Azawad.

azawad

La Cedeao, l'organizzazione degli Stati dell'Africa occidentale, ha messo sotto embargo la giunta al potere costringendo i golpisti a rinunciare al potere e ad indire nuove elezioni entro la fine di Maggio. Di fatto pero' la situazione e' gia' compromessa e la Cedeao - con la Francia alla finestra - si e' gia' detta pronta ad inviare un contingente militare per sancire - proprio come la Costa d'Avorio nel 2002 - la divisione in due del Mali.

Si dira': e' la solita storia africana. Un altro golpe militare, un altro movimento ribelle ed un altro Stato disegnato soltanto sulla carta dagli ex-colonizzatori europei, ma mai realmente nato in quanto ad istituzioni e governo del territorio nazionale. La recente vicenda del Mali - un tempo esempio di democrazia, in Africa misurato dal numero di ex-presidenti ancora vivi ed a piede libero - deve farci aprire gli occhi sulla fragilita' degli Stati africani che, ad oltre 60 anni dalle indipendenze, sono dei castelli di sabbia, pronti a dissolversi alla prima pioggia.

Gli interrogativi riguardano anche la societa' civile africana - mai capace di contrastare i colpi di forza dei militari o delle milizie armate - dei presunti partiti democratici - troppo spesso imperniati su divisioni etniche o claniche per essere realmente nazionali - e sull'esistenza stessa di istituzioni - intese come architettura di uno Stato che include l'amministrazione pubblica, l'esercito e le forze dell'ordine - che invece soccombono ogni qualvolta sono le armi ad imprimere la loro volonta'.

Una delle culle della cultura africana

Se c'era un Paese in Africa che era detentore di una cultura millenaria, quella dell'impero Mandingo di Soundiata Keita, questo era il Mali. Non e' un caso che fra queste terre bagnate dal fiume Niger nel 1235 dodici capo tribu' mandinghi diedero vita al Kouroukan Fouga, probabilmente la prima Costituzione della storia africana. Nei 44 editti del testo le tribu' mandinghe annunciavano che si federavano sotto un unico regno, il Mande', rinunciando alla guerra e scegliendo, al suo posto, la parola. Alla testa dell'impero, che si estendeva dal Mali al Senegal, passando per Gambia, Sierra Leone, Guinea, Costa d'Avorio, Guinea Bissau e Mauritania, era stata scelta la famiglia Keita ed in particolare il valoroso Soundiata Keita, nominato Mansa ovvero il re dei re.

L'imperatore era soprattutto un organizzatore. Il suo dominio si reggeva grazie al sostegno di 30 clan, di cui cinque di marabouts (al contempo stregoni divinatori ed insegnanti di corano), cinque di artigiani, quattro di guerrieri, quattro di griot e dodici di uomini liberi. Soundiata mise fine alla schiavitu' e favori' il commercio facendo prosperare il regno. La vita sociale mirava alla ricerca della pace, della sicurezza e dell'armonia. Lo spazio del potere era quello del Mansaya, la regalita', spazio simbolico per eccellenza, che riposava sulla giustizia e sulla condivisione unendo il potere temporale a quello spirituale.

Questo impero illuminato, che durera' sino al 17mo secolo, si basava su un testo, la Carta del Mande' considerata la prima dichiarazione dei diritti dell'uomo africana. Il testo, concepito dalla confraternita dei cacciatori nel 1222, specificava che "Il Mande' e' fondato sull'apertura e la concordia, sulla liberta' e la fraternita'. Questo significa che non si dovranno piu' essere discriminazioni etniche o razziale nel Mande'".

L'eredita' di Soundiata Keita e dell'impero mandingo e' sopravvissuta in Mali fino ai giorni nostri grazie ai Griot, i cantastorie, che tramandano da secoli la cultura orale del Paese. Toumani Diabate', suonatore di Kora e vincitore del Grammy, ne e' l'esempio contemporaneo piu' importante.

Azawad e terrorismo

Si dira': sono passati secoli dalla fine dell'impero mandingo. Nel mezzo ci sono state guerre tribali, la colonizzazione francese, due guerre mondiali, l'indipendenza nel 1960, una serie di colpi di stato militari ed un ritorno alla democrazia nel 1991. Le elezioni previste per il mese di Aprile 2012 dovevano segnare un'altra svolta, visto che ATT aveva rinunciato a giocare con la Costituzione per consentirsi un terzo mandato. E allora perche' tutto e' crollato?

Le ribellioni Tuareg - uno di quei pochi popoli del mondo senza uno Stato proprio al pari dei Rom, dei Saharawi, dei Kurdi o dei Palestinesi - sono sempre state un fattore ricorrente nella storia recente del Mali. La prima rivolta fu addirittura nel 1914 contro gli occupanti francesi per chiedere uno stato indipendente delle regioni saheliane. Una nazione senza confini, quella dei Kel Tamasheq (coloro che parlano il Tamasheq come si chiamano fra di loro), che oggi conta oltre cinque milioni di abitanti dispersi fra Niger, Mali, Algeria, Burkina Faso e Libia. Ed e' fra queste popolazioni che negli ultimi sessant'anni sono nate le rivolte contro governi centralisti della regione che non riconoscevano la loro peculiarita' di nomadi ed il loro bisogno di vivere liberi senza frontiere.


mali rebels
Ribelli in TV dopo il colpo di stato di Marzo


Cosi' come oggi, nonostante gli accordi di pace sottoscritti a piu' riprese, sono i giovani tuareg dal Mali al Burkina Faso ad ingrossare le fila di Al Qaeda nel Maghreb. Dopo essere passati per i movimenti indipendentisti che da anni chiedono che l'Azawad, la terra degli uomini blu, abbia dalla comunita' internazionale "uno statuto speciale" al fine di garantire alle popolazioni locali "la preservazione della loro identita'", hanno scelto la via del terrorismo foraggiata dall'industria dei rapimenti. Ed e' ancora una volta fra i Tuareg che gli Stati Uniti stanno pescando le unita' speciali da inviare contro Al Qaeda nel Maghreb nel nuovo fronte della guerra al terrorismo apertosi dopo l'11 Settembre. Vedasi il precedente articolo sui qaedisti nel Sahel.

Del resto la recente avanzata tuareg nel nord del Mali ha formalmente visto scontrarsi due visioni differenti sul futuro del paese africano: da un lato i filo-qaedisti di Ansar Dine che vogliono imporre - in uno Stato già al 100% mussulmano - la sharia ed il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad che punta all'indipendenza, peraltro gia' annunciata sulle porzioni di territorio "conquistate".

Gia', ma possono uno scontento - magari anche legittimo - di una minoranza giustificare la dissoluzione di uno Stato? Se e' successo in Sud Sudan - ultimo nato in Africa contraddicendo la dottrina dell'inviolabilita' dei confini nazionali nati a seguito della Conferenza di Berlino nel 1884 - si e' aperta una nuova fase di balcanizzazione del continente? E quali potrebbero essere i criteri di questa nuova spartizione?

Geopolitica delle risorse

Fino a qualche anno fa il Mali era un Paese pacifico. Poi, a partire dal 2008, e' partita la caccia al petrolio, all'uranio, ai diamanti... Del resto e' tutta l'Africa occidentale ad essere al centro di un conflitto economico per il controllo delle ricche risorse estrattive. Dal Golfo di Guinea, infatti, gli Stati Uniti intendono importare il 25% del proprio fabbisogno di greggio da qui al 2015. I pozzi offshore che si estendono dalla Mauritania all'Angola, l'oleodotto della Exxon che dal Ciad veicola l'oro nero sino in Camerun e che un domani potrebbe partire dal neo-indipendente Sud Sudan (ancora oggi dipendente dal nord per le sue esportazioni di petrolio) e i giacimenti di uranio del Niger, quelli di bauxite in Guinea, i diamanti in Sierra Leone e Liberia e l'oro del Ghana sono miliardi di dollari di buoni motivi per fare dell'Africa occidentale una questione di "sicurezza nazionale".

Solo che a giocare con il Sahel non sono soltanto gli Stati Uniti. La Cina e' entrata prepotentemente in questi anni ed e' pronta ad investire 30 miliardi di dollari nelle industrie estrattive africane. I cinesi sono arrivati in Guinea, in Mali, Niger, Nigeria, Angola, Sudan, ma a differenza degli occidentali non giocano mai in politica ne' con l'etno-centrismo. A Pechino non interessa chi e' al potere purche' sia disposto a scendere a patti e fare business nel nome delle risorse minerarie in cambio di qualche grande opera.

Vi e' dell'Unione Europea, per una volta compatta nel curare i propri interessi. Il progetto che mette tutti d'accordo e' la Trans-Saharan Gas Pipeline, gasdotto che dalla Nigeria dovrebbe attraversa per 4mila chilometri tutto il Sahara sino in Algeria. Li' si collegherebbe con i gasdotti che alimentano l'Europa e l'Italia, Sardegna e Sicilia su tutti, fornendo un'alternativa alle forniture a singhiozzo che dalla Russia passano per l'Ucraina (vedi articolo sulla guerra del gas). Un affare da 13 miliardi di dollari che fa gola alle grandi corporations multinazionali, dalla Total francese, alla anglo-olandese Shell, ai russi di Gazprom sino alla nostrana Eni. Il gas dovrebbe cominciare ad arrivare in Europa dal 2016 con 500 miliardi di metri cubi l'anno, ribelli del Delta del Niger, tuareg e fondamentalisti permettendo.


Una nuova spartizione dell'Africa?


Se durante la guerra fredda la solidita' dei confini assicurava le rispettive sfere di influenza e lo status quo, oggi quel criterio non ha piu' valore. Sembra piuttosto ritornato in auge il passato coloniale ove e' la spartizione delle risorse il criterio per la ridefinizione dei confini africani. Attendiamoci quindi l'emergere di nuovi Stati ovunque nel continente in corrispondenza di ricchi giacimenti.

Se il Sud Sudan ed i suoi ricchi pozzi petroliferi sono stati l'antipasto, attendiamoci due Nigerie, quella di Boko Haram e della Sharia nel nord e quella cristiana dei pozzi petroliferi del sud. Vediamo in quanti pezzi sara' suddivisa la Repubblica Democratica del Congo presa d'assalto per le sue risorse da decine di milizie ribelli o la Libia magari ripartita secondo criteri pre-coloniali in Cirenaica, Tripolitania e Fezzan. Potremmo continuare con la Somalia, gia' da un ventennio senza uno stato centrale e dove nasce un nuovo microstato a settimana, l'Etiopia bastione dell'occidente e della cristianita' ormai a maggioranza mussulmana o la Costa d'Avorio dei due presidenti, Alassane Ouattara prima sconfitto e poi installato e Laurent Gbagbo spedito alla Corte dell'Aja...

Potrebbero essere elucubrazioni di fanta politica. O forse una versione moderna del vecchio dividi et impera dove minoranze marginalizzate sono utilizzate da soggetti esterni. Speriamo soltanto che quello che stia accadendo in Mali non sia soltanto l'inizio di una nuova e dolorosa fase di conflittualita' in Africa. Anzi, auspichiamo possa essere - per la società civile continentale, per le elite di governo e per le istituzioni regionali e continentali - un serio motivo di riflessione.