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ALGERIA, CAMBIAMENTI IN VISTA ALLA PRESIDENZA


Ben Bella
Ben Bella

L'Algeria è un Paese silenzioso. Nessuno ne parla. Ma più che silenzioso è immobile. Ha un presidente della Repubblica, Abdelaziz Bouteflika, fisicamente inabile ad esercitare il suo ruolo, ma che rimane al suo posto. Il motivo è molto semplice: non è lui il potere. In scarse condizioni di salute, sottoposto a ripetuti ricoveri ospedalieri ed affetto da una malattia neuro-degenerativa, Bouteflika non sarebbe comunque in grado di determinare i destini del Paese. Ed è così da quando è stato eletto presidente per la prima nel 1999.

Il vero potere in Algeria, quello che viene definito "le pouvoir", lo detiene la classe politico/militare, ma soprattutto militare, che si è legittimata durante la guerra di liberazione contro la Francia e la conquistata indipendenza il 5 luglio 1962. Da allora niente è cambiato.

Dall’indipendenza al terrorismo cieco

Il Fronte di Liberazione Nazionale, il partito che aveva fondato Ben Bella nel 1954, è l’articolazione pubblica e politica di questo potere. Era il partito unico al potere e successivamente, a seguito dell'introduzione del multipartitismo nel febbraio del 1989, è rimasto comunque al centro del sistema politico algerino. Un’evoluzione democratica della politica algerina? No, una necessità.

Era il periodo dei sommovimenti sociali, la popolazione chiedeva più democrazia, il FIS (Fronte Islamico di Salvezza) guidava la protesta. Era una formazione a caratterizzazione islamica – in contrapposizione al laicismo e socialismo del regime – che aveva ampio seguito nella classe media del Paese rappresentata da impiegati, imprenditori, commercianti. C'era inoltre un forte risentimento sociale in un Paese dove i livelli di disoccupazione, soprattutto tra i giovani, avevano raggiunto livelli inaccettabili. Cavalcando il malcontento e sfruttando una rete di diffusione del consenso attraverso le moschee, il FIS aveva vinto le elezioni comunali del giugno del 1990 e si apprestava a conquistare il potere centrale nelle successive elezioni parlamentari.

Fu allora che ricomparve il potere dei militari con un colpo di Stato con l’arresto dei vertici del Fronte, la messa al bando dei vari movimenti islamici e dichiarato fuorilegge il FIS, repressione. Il FIS, che aveva già manifestato forme di intolleranza nell'imposizione della sharia, aveva spaventato la componente sociale più aperta dell'Algeria che quindi, nonostante non fosse solidale con l'élite militare, vedeva in essi il male minore.

Il primo terrorismo islamico come forza di contrapposizione ad un regime costituito nasce quindi in Algeria negli anni '90. Il FIS entra in clandestinità e il MIA, Movimento Islamico Armato, è il suo braccio armato. Si affiancano altre formazioni del terrorismo islamico: il GIA, Gruppo Islamico Armato, poi ribattezzato Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento. Un terrorismo "aveugle", cioè cieco, che prediligeva stragi ed efferatezze contro le popolazioni. Un antesignano storico di quello che è stato poi attuato dall'ISIS in Siria ed Iraq.

Il regime militare algerino combatté questo terrorismo con altrettanta ferocia. Un generale, Liamine Zeroual, divenne presidente della Repubblica facendo poca attenzione ai diritti umani in una lotta senza quartiere contro i terroristi. Nessuno spazio per un reinserimento sociale delle frange estreme dell'opposizione o per il successo di una mediazione internazionale. Ci prova maldestramente la Comunità di Sant'Egidio senza successo. Il regime rifiuta ogni intromissione. Nella comune definizione del regime Sant'Egidio diventa Sant'Eccidio. Il tentativo, peraltro non richiesto o autorizzato, di una mediazione cattolica nelle vicende algerine viene vista, per chi ha combattuto la guerra di liberazione contro la Francia, come un tentativo di ispirazione neo-colonialista. Molti sostenitori della Francia nella guerra di indipendenza erano cristiani o berberi. E nell'immaginario algerino, questi erano i traditori, gli "harkis".



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Abdelaziz Bouteflika


Una primavera mai iniziata


Quando nel 2011 inizia la "primavera araba", con la sua proliferazione di rivolte sociali, il più delle volte di ispirazione islamica, l'Algeria vive un déja vu. Questo fa sì che il regime algerino si trovi ampiamente attrezzato contro questa forma di rivoluzione sociale e rimanga esente dai sommovimenti visti altrove.

Il terrorismo islamico algerino, combattuto in maniera brutale ma anche efficace con l'intervento dell'esercito, è ora confinato nel sud del Paese e trova molto più spazio di manovra nelle aree desertiche e difficilmente controllabili della fascia sub-sahariana. Ne pagano il conto Paesi socialmente instabili come Mali e Niger. Per l'Algeria il fenomeno è ormai residuale. E questo avviene nonostante ai suoi confini Tunisia e Libia abbiano visto forti sommovimenti sociali.

Affrancato da un pericolo islamico, l'Algeria ha nel frattempo migliorato il suo tasso di democrazia o sviluppato un’economia che possa soddisfare le aspettative di una popolazione giovanile in cerca di opportunità di lavoro? La risposta è nei fatti. L'Algeria mantiene uno standard di democrazia a tutela militare. C'è in essere una dialettica politica, una proliferazione di partiti o movimenti che comunque rappresentano le varie istanza sociali. Ma sono sempre e comunque circoscritti allo status quo. La politica non deve inficiare "le pouvoir".

Sul piano prettamente economico, oggi il tasso di disoccupazione dei giovani è intorno al 30% e quindi ancora a livelli critici tenuto conto che oltre il 40% della popolazione ha meno di 24 anni. E' un dato che deve essere messo in relazione alla ricchezza del Paese. L’Algeria è infatti uno dei più grandi esportatori mondiali di gas e petrolio. Introiterà quest'anno circa 40 miliardi di dollari – una congiuntura negativa a fronte dei bassi prezzi di mercato – che rappresentano circa il 94% del totale delle esportazioni del Paese.

Il problema non è quindi quanto incassa il Paese, ma come questi soldi vengono spesi. L'immobilismo del regime ha infatti creato un’ampia diffusione della corruzione. Non cambiando le persone che comandano, non "democratizzando" la circolazione del denaro, il sistema economico diventa sclerotico, si formano privilegi e cordate. Pochi si arricchiscono, alcuni si assoggettano a queste forme di economia sponsorizzata, molti non traggono benefici.

A cavallo dell’introduzione del multipartitismo, il Paese aveva dovuto anche affrontare il passaggio da un’economia di Stato ad un’economia di mercato. Si liberalizzava il sistema politico, si doveva liberalizzare anche il sistema economico. Era un passaggio cruciale per l'evoluzione della società algerina perché, almeno teoricamente, avrebbe dovuto sradicare privilegi e consorterie. In realtà ciò non è avvenuto perché, ancora una volta, il sistema si è auto-rigenerato al suo interno.

Coloro che nello Stato gestivano le importazioni di un prodotto o presiedevano ad un settore produttivo nazionale, hanno trasferito la loro attività dal contesto statale a quello privato. Prima, almeno formalmente, agivano per nome e per conto dello Stato, adesso lo fanno solo ed unicamente a titolo personale. Non sono spariti i privilegi o le catene di corruzione, ma sono probabilmente migliorati soltanto gli arricchimenti illeciti.


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Athmane Tartag, responsabile dei Servizi di sicurezza algerini


Cambiare tutto per non cambiare niente

Una delle maggiori caratteristiche dell'Algeria è quella di cambiare senza cambiare. Vale per l'economia, la politica, per l'inamovibilità dei suoi uomini di vertice. Quello che adesso avviene con un Bouteflika, che continua a fare il presidente della Repubblica nonostante le sue inabilità fisiche, si riscontra un po’ in tutti gli apparati dello Stato.

Nel campo della sicurezza, talvolta solo la morte dell'interessato ha prodotto un ricambio. E' stato il caso del generale Smain Lamari che ha guidato il controspionaggio e l’anti-terrorismo per tanti anni, poi morto di malattia nel 2007. Lo stesso è capitato al capo della gendarmeria, Direction Général de la Sureté Nationale, Ali Tounsi, ucciso in ufficio nel 2010 da un altro poliziotto dopo che da tantissimi anni occupava quel posto. Ma il sistema di sicurezza dell'Algeria, insieme a quello delle forze armate, è da sempre uno dei gangli più importanti dove viene gestito o garantito il potere.

Quando cambia qualcosa lì, ed avviene sempre in modo molto defilato, significa che qualcuno sale o scende nella scala e nel relativo peso politico. E’ così che compaiono nuovi personaggi come il maggiore generale Athmane Tartag che, dal precedente anonimato, è diventato responsabile delle strutture di sicurezza algerine. Prende il posto di Mohamed Mediéne detto "Toufiq", un personaggio dalla fama leggendaria nella lotta contro il terrorismo. Lo accompagnava l'alone di un uomo senza paura, che ai tempi del terrorismo si muoveva senza scorta, un fantasma presente nei punti o nei momenti più caldi del Paese. Anche nella Casbah di Algeri dove era nato e dove si annidavano i terroristi.

Non è una esautorazione, ma un avvicendamento perché nel sistema di potere algerino tutto avviene in modo articolato, concordato, mediato, senza scossoni o vendette. E Mediéne è un uomo che ha guidato i Servizi per 25 anni, dal 1990 al 2015. "Toufiq" continua comunque ad essere un uomo di potere. E' stato visto frequentare, anche dopo l'avvicendamento, i vertici della DRS (Direction du Reinsegnement et Securité) fino a quando la struttura, che guidava e coordinava tutti i Servizi algerini, non è stata sciolta. Nata con lui, incarnata da lui e poi sciolta quando lui l'ha lasciata.

Sparita la DRS, che "teoricamente" rispondeva del suo operato al presidente della Repubblica (in realtà era vero il contrario), il segnalato Tartag, detto "il bombardiere" perché notoriamente utilizzava l'aviazione per colpire i rifugi dei terroristi, riveste adesso la carica di consigliere del presidente della Repubblica in materia di sicurezza. Quindi adesso è lui che coordina i tre Servizi di cui è composto il sistema di sicurezza algerino: la Direction Générale dela Securité Intérieure, la Direction Générale de la Sureté Exterieure, la Direction des Reinsegnement Techniques. Però, a differenza del passato dove tutto il patrimonio informativo confluiva nella DRS, ora ognuno dei tre Servizi agisce per proprio conto ed autonomamente. Si evita così il pericolo che una struttura o un uomo abbiano in una sola mano il controllo della sicurezza del Paese.

Tartag non è "Toufiq", non solo nella gestione dell'intelligence ma anche caratterialmente: volutamente appariscente e decisionista il primo, schivo e mediatore il suo predecessore. Ma anche i tempi sono cambiati. Non c’è più un terrorismo che rischia di travolgere le "pouvoir", quindi la responsabilità politica della sicurezza va adesso direttamente nelle mani del presidente senza strutture intermedie. Passa dai militari ai civili, nessuna struttura di sicurezza dello Stato ha adesso una posizione dominante.

L'unico problema è che il decreto che ha firmato Abdelaziz Bouteflika, o che forse gli hanno fatto firmare, concede al presidente un potere che, alla luce delle sue condizioni fisiche, non è oggi nelle condizioni di esercitare. E per chi è abituato ad osservare gli impercettibili movimenti all'interno del regime, il tutto significa che si sta già lavorando per il successore di Bouteflika. "Toufiq" era un uomo di fiducia del presidente ed anche questo dettaglio indica un prossimo cambiamento alla presidenza.

Quando avrà luogo questo passaggio? La risposta è: quando sarà tutto pronto per chi è stato designato a sostituirlo. Un passaggio ed un negoziato che avverrà nel silenzio ufficiale. Il nome comparirà soltanto quando tutto sarà già stato deciso. Non occorreranno ulteriori forzature istituzionali – la Costituzione algerina è già stata modificata due volte per consentire a Bouteflika il terzo e quarto mandato presidenziale – perché l'articolo 88 della Costituzione algerina prevede già che un presidente malato di una malattia invalidante o non in grado di esercitare le sue prerogative possa essere avvicendato. Ci sono quindi tutte le condizioni perché questo possa presto avvenire.



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