I MERCENARI CHE TENGONO IN VITA LE MONARCHIE DEL GOLFO

Mohammed bin Salman
L'Arabia
Saudita di Re Salman è una nazione che, dopo decenni di politica
moderata e diplomazia, è diventata improvvisamente bellicosa e
belligerante. E' una caratteristica che più si attaglia al figlio
trentenne di Salman, Mohammed bin Salman, salito ai vertici della
casa reale diventando principe ereditario e defenestrando, in tale
posizione, il cugino Mohammed bin Nayef. E' chiaro che in questa
ascesa giochi un ruolo centrale il nepotismo del padre, tuttavia
nell'ambito della Corte Reale Mohammed bin Salman ha anche bisogno
di farsi accreditare come uomo forte, come colui che porta avanti
le istanze del mondo sunnita ed è un paladino della lotta al
terrorismo. Le guerre, dichiarate o minacciate, sono quindi
strumentali a questo ruolo. La creazione di una NATO islamica, il
coinvolgimento in una guerra senza fine in Yemen, le minacce ad un
Qatar che non intende sottomettersi ai diktat sauditi ed
emiratini, le minacce verso l'Iran ne sono la diretta conseguenza.
Sorge quindi lecito domandarsi se l'Arabia Saudita, affiancata in
questa avventura militaresca da Emirati Arabi Uniti e Bahrein,
abbia effettivamente la forza militare per fronteggiare tutte
queste minacce o per vincere tutte queste guerre.
La guerra in Yemen
In Yemen, dove l'impegno militare saudita è più pressante e dove i
risultati bellici sono più deludenti, non combattono solo sauditi.
Il loro contingente di circa 150.000 uomini e un centinaio di
aerei è coadiuvato da migliaia di mercenari.
In primo luogo, ci sono i volontari yemeniti che proteggono il
confine che divide l'Arabia Saudita dallo Yemen. Il contatto
diretto con i ribelli Houthi viene infatti delegato a questi
poveracci che, schierati in un'area desertica, subiscono le
perdite al posto di un esercito che preferisce non combattere. Lo
fanno per soldi e lo fanno per miseria in nome di un esercito che
soldi ne ha tanti e quindi minore stimolo a sacrificare la propria
vita. E già quasi 3000 di questi yemeniti hanno perso la vita.
A questi disperati si affiancano le varie compagnie di sicurezza,
come la famosa Blackwater che nel frattempo ha cambiato nome ed
identità societaria. Fornisce contractors, alias mercenari, ed
accanto a questi specialisti di guerra assolda somali, sudanesi,
gibutini, persino ceceni e qualsiasi poveraccio pronto a rischiare
la vita per quattro soldi. Anche qui si parla di circa 6000 morti
per conto dei sauditi. Morti difficili da documentare
statisticamente, ma che hanno un unico filo conduttore: si
combatte nell'interesse di un esercito che preferisce delegare ad
altri gli incarichi più pericolosi.
Un po’ tutta l’avventura militare saudita in Yemen è fatta di
"assistenza" esterna. Gli Stati Uniti forniscono supporto
logistico, rifornimenti agli aerei in volo e assicurano il blocco
navale nelle acque del Mar Rosso. Gli inglesi sono fortemente
presenti nel sistema di intelligence del reame. Poi le forniture
di armi, anche le più sofisticate, sono oggetto di una continua
trattazione e transazione. Dietro questo business ci sono quasi
tutti: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Canada, Cina,
Italia.
Accanto all’esercito al soldo del principe Mohammed bin Salman vi
sono poi i contributi militari di altri Paesi, quali Pakistan,
Senegal, Egitto, Giordania e Marocco. Ed anche in questo caso è
difficile distinguere se si tratta di mercenari per conto proprio
o per conto del Paese di appartenenza.
Tuttavia, se si correla da un lato l'impegno militare al fianco
dei sauditi in Yemen, la presenza massiva di volontari e
l'assistenza tecnica di varie potenze internazionali con gli
scarsi risultati militari sul terreno dove il nemico è costituito
da un esercito di ribelli, malvestiti e male armati corre lecito
domandarsi che capacità militare abbia realmente l’Arabia Saudita.
E’ quindi altrettanto lecito pensare che in un futuro eventuale
confronto con gli iraniani l'esercito di sua maestà Salman non
sarebbe mai in grado di combattere e vincere senza il ricorso
sistematico all'aiuto di qualche superpotenza. Le velleità
militari dell'Arabia Saudita sono quindi oggi del tutto
sovradimensionate.

Membri di Blackwater
Gli emirati ed i mercenari
Il ricorso ai mercenari è un fenomeno diffuso tra tutti i Paesi
del Golfo. Anche gli Emirati Arabi Uniti, non secondi ai sauditi
nelle velleità militari ed interventistiche, preferiscono far
combattere altri al loro posto. Anche qui ricompare la Blackwater
e un'altra società, la Global Enterprises. In Yemen è stata
inviata una brigata di mercenari latino-americani addestrati ed
equipaggiati dalle citate compagnie di sicurezza e poi schierati
in prima linea. Salvadoregni, panamensi, cileni, molti colombiani
(prescelti per i loro trascorsi nel combattere la guerriglia delle
FARC nella giungla), fanno il lavoro sporco per conto di Abu
Dhabi. Circa 2000 uomini che non rientrano nei conteggi delle
perdite o sotto accusa per la sistematica violazione dei diritti
umani nelle loro operazioni di guerra come spesso ricorre nei
resoconti stampa. Poi, sempre per conto degli Emirati Arabi Uniti,
ci sono anche alcune centinaia di combattenti eritrei. Non è
chiaro se siano mercenari o se siano stati inviati dal regime di
Isaias Afewerki. Cambia solo il destinatario del prezzo del loro
rischio fisico.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno bisogno di manovalanza straniera
anche per la sicurezza in casa propria. Su una popolazione di
circa 9,2 milioni di abitanti, i lavoratori stranieri sono circa
7,8 milioni. Una minaccia demografica combattuta con la
repressione di ogni forma di dissidenza, violazioni sistematiche
dei diritti umani, discriminazioni sociali. Un corollario di
violazioni che passa per gli arresti indiscriminati, la sparizione
di persone, torture, processi sommari, nessuna libertà di
associazione o stampa.
I Servizi di Informazione vedono la costante presenza di esperti
inglesi per l'addestramento e soprattutto per l'assistenza
nell'attività operativa. L'MI-6 è di casa a Abu Dhabi e Dubai,
come lo sono anche la DGSE francese e la CIA. La cooperazione nel
campo della difesa si intreccia con accordi a livello governativo
soprattutto con Regno Unito e Stati Uniti. Gli Emirati sono
destinatari di armamenti sofisticati anglo-americani, aerei
francesi, hanno esperti ed addestratori inglesi nel campo della
cyber sicurezza. Le diverse società di sicurezza inglesi ed
americane che lavorano a fianco degli apparati di sicurezza
emiratini si dedicano al lavoro sporco nel campo della
repressione.

Il re del Bahrein Bin Isa al Khalifa
Gli altri Paesi del Golfo
Altro esempio di sistematico ricorso all'utilizzo di mercenari è
quello del Bahrein, regime sunnita che governa un Paese a
maggioranza sciita. Già nel 2011, nel pieno delle cosiddette
primavere arabe, il regime dell'emiro al Khalifa si era salvato
grazie all'intervento militare di sostegno delle truppe saudite ed
emiratine. Nel lungo periodo si è quindi cercato di abbinare
l'arrivo di stranieri di fede sunnita per bilanciare l'opposizione
sciita. E molte volte a questi stranieri è stata data
pretestuosamente la nazionalità del Bahrein proprio per alterare
la demografica del Paese. Nelle forze speciali sono stati
reclutati molti pakistani, mentre il Servizio di intelligence è da
sempre sotto tutela del MI-6 inglese. Ed all'interno di questo
organismo di sicurezza c'è la presenza di giordani, siriani e
persino iracheni che militavano nel Mukhabarat di Saddam Hussein.
Lo stesso avviene in Kuwait. Su una popolazione di circa 4 milioni
di abitanti vi sono oltre 2,3 milioni di stranieri di cui la
maggioranza sono indiani, egiziani, pakistani, siriani,
palestinesi-giordani, oltre a filippini, bengalesi e srilankesi.
Un pericolo demografico che non può essere contrastato da un
esercito autoctono e da cui nasce il sistematico ricorso
all'assistenza esterna che nel caso specifico è soprattutto di
matrice americana. La branca antiterrorismo dei Servizi
Informativi kuwaitani è stata addestrata dalla CIA, le forniture
di armi e l'addestramento dei piloti è sempre di matrice
americana.
Idem in Oman, dove il controllo della sicurezza è in mano inglese,
o in Qatar, dove la presenza di una grande base militare americana
e di un contingente turco garantiscono all'emiro Tamin bin Hamad
al Thani di vivere nella sua agiatezza e di sopravvivere alla
guida del suo regno.
Un Golfo senza mercenari?
Alla luce di queste circostante appare evidente che se non ci
fosse dietro ogni Paese del Golfo la garanzia e assistenza di un
Paese straniero, se la manovalanza per combattere guerre o
garantire la sicurezza non fosse straniera, questi Paesi avrebbero
delle grosse difficoltà a sopravvivere. Tutte queste monarchie
anti-democratiche, frutto di un retaggio coloniale e di una
spartizione geografica tra le varie potenze, non resisterebbero un
minuto alle sollevazioni popolari senza aiuti esterni.
La loro forza – almeno finché c'è il petrolio – è nel potere
suadente dei loro soldi. Con il denaro si comprano armi, assoldano
mercenari, pagano addestramenti e sicurezza. Con i soldi riescono
a gestire il controllo sociale e la sicurezza interna ed adesso,
da quando hanno assunto atteggiamenti bellicosi, vorrebbero anche
combattere e vincere guerre. Un velleità alquanto azzardata.