LA PACE RUSSA DI ASTANA PER IL FUTURO DELLA SIRIA

Il
negoziato iniziato il 23 gennaio ad Astana, in Kazakhstan, è
l'esatta fotografia dei rapporti di forza militari o politici che
attualmente prevalgono in Medio Oriente. Attore principale: la
Russia, il vero broker della crisi siriana. Mosca ha infatti
deciso chi doveva partecipare e chi no. Attori non-protagonisti:
Turchia e Iran. Poi arrivano tutti gli altri con diversa
gradazione di importanza e c'è anche l'ONU che finora era stato
l'unico organismo abilitato a trovare una soluzione alla guerra
civile siriana. Il suo rappresentante, Staffan de Mistura,
coadiuva quello che decide la Russia.
Ci sono poi le nazioni invitate ai lavori: Stati Uniti, Francia,
Regno Unito e Unione Europea. Un gesto di cortesia piuttosto che
una vera volontà di coinvolgerli nel processo di mediazione. E ci
sono anche i contendenti della guerra civile siriana: una
delegazione del governo e la rappresentanza di una cinquantina di
formazioni armate sul terreno. La delegazione governativa è
guidata da Bashar Jafari, Rappresentante Permanente del governo
siriano presso le Nazioni Unite.
Le opposizioni
Le opposizioni sono guidate da Mohammed Alloush, leader di un
gruppo salafita in contrasto con l’ISIS, il Jaysh al-Islam,
finanziato dall'Arabia Saudita e militarmente molto forte nella
periferia della capitale siriana. Al suo fianco, un ex generale
siriano che ha defezionato, Assad al Zoubi, e George Sabra, un
cristiano greco-ortodosso capo del Consiglio Nazionale Siriano,
una coalizione di gruppi di opposizione creata in Turchia
all'inizio della guerra civile siriana e che per un certo periodo
ha svolto le funzioni di governo siriano in esilio. Il Consiglio
Nazionale Siriano si era rifiutato di partecipare ai negoziati di
Ginevra, mentre Alloush aveva abbandonato le trattative nel 2016.
Fatto emblematico, questa coalizione guidata da un cristiano –
laddove i cristiani sono tradizionalmente filo Bashar Assad – vede
la partecipazione anche dei Fratelli Mussulmani, sostenuti dai
turchi, ma da sempre in conflitto con gli alawiti al potere a
Damasco. Se la simbologia ha un senso politico, non è casuale che
i personaggi di spicco che oggi negoziano con il regime siano
quelli che hanno rifiutato la mediazione dell’ONU.
Escluse dal tavolo dei negoziati sono le milizie islamiche
etichettate come terroristiche, ovvero l'ISIS e Fatah al Sham, ex
Fronte al Nusra ritenuto legato ad Al Qaeda. Non partecipano
neanche le fazioni curde siriane perché, benché sostenute dagli
Stati Uniti, sono osteggiate dalla Turchia e nemmeno gli Hezbollah
libanesi per questioni di opportunità politica. A differenza del
passato, l'opposizione siriana non è rappresentata solo dai gruppi
in esilio, ma anche da quelli che combattono. Un passo nella
direzione di un approccio più pragmatico.

Bashar al Assad
Colloqui a porte chiuse ed indiretti
Le opposizioni infatti si rifiutano di parlare direttamente col
governo siriano perché accusato di aver violato più volte la
tregua in corso dal 30 dicembre 2016. Una cessazione delle
ostilità, inutile dirlo, decisa ed imposta, con alterne fortune e
con molta fatica, dalla Russia. Non è ancora chiaro se i negoziati
di Astana produrranno risultati. Allo stato attuale è rilevante il
fatto stesso che si tengano dei colloqui. E che questi avvengano
nel momento più favorevole per Damasco: dopo la caduta di Aleppo e
la disfatta delle opposizioni.
Sei anni di guerra civile, quasi un milione di morti, altri 11
milioni di sfollati/rifugiati, rendono difficile ogni soluzione
pacifica che non sia in qualche modo imposta da chi ha il potere
di condizionare o convincere le parti in causa. Oggi questo potere
c'è l'ha solo la Russia. I successi o fallimenti negoziali saranno
da attribuire alle capacità di Mosca. Non esistono alternative.
Tanto più che ad ogni tornata di colloqui ad Astana, ne segue
un’analoga e subalterna ondata a Ginevra. L’ONU è quindi costretta
a giocare un ruolo comprimario.
Problemi irrisolti
Sullo sfondo vi sono dei grossi problemi da risolvere. Il
principale riguarda la sopravvivenza territoriale dello Stato
siriano così com’è oggi. Il fossato che divide la comunità alawita
al potere, rispetto all'opposizione sunnita è così profondo che,
almeno in tempi brevi, appare quasi irrealizzabile una
riconciliazione pacifica tra le parti. Troppo sangue e troppe
efferatezze, da ambo le parti, dividono le due comunità. E'
possibile pensare ad una Siria federale con varie autonomie
regionali garantite internazionalmente? Potrebbe forse essere
percorribile, ma il primo ostacolo verrebbe dalla Turchia che non
vuole che i curdi ottengano spazi territoriali da governare.
Il problema non è quindi solo quello di trovare una soluzione che
accontenti le fazioni in lotta ed il regime, ma anche quei Paesi
della regione che hanno interessi da soddisfare e preoccupazioni
da esorcizzare. Lo stesso dicasi dell’Iran. Teheran coltiva
aspirazioni egemoniche nella regione attraverso il sostegno di
tutti quei paesi governati da regimi sciiti. L'ostilità iraniana
ha sinora impedito che l'Arabia Saudita fosse invitata al tavolo
dei negoziati come avrebbero voluto Russia e Turchia. Ed è
probabile che la partecipazione di Riad, magari in un momento
successivo, avvenga.
La sopravvivenza del regime di Assad potrebbe essere il prezzo da
pagare per la stabilità della Siria. La Russia non ha mai
appoggiato ufficialmente questa eventualità, ma non l'ha nemmeno
mai accantonata. A Mosca interessa solo che a Damasco sieda un
regime a lei favorevole, con o senza la dinastia degli Assad.

Combattente curda del YPG
Un processo in corso
Attualmente siamo al terzo round di negoziati ad Astana. Le
delegazioni continuano ancora a rifiutarsi di parlare direttamente
con il regime siriano e sinora nessun comunicato congiunto è stato
firmato. Niente di pratico è stato ancora sottoscritto nonostante
le assicurazioni e promesse che la Russia ha propinato ai vari
negoziatori: sospensione dei bombardamenti, rilascio e scambio di
prigionieri, invio di aiuti umanitari come gesto di buona volontà,
interruzione dell'assedio governativo in varie aree.
Russia, Iran e Turchia hanno creato un gruppo di monitoraggio
congiunto per cercare di far rispettare e prolungare una tregua
molto fragile e che non riguarda le formazioni terroristiche.
Cessate il fuoco violato il più delle volte dall'esercito siriano
che continua ad attaccare i ribelli – anche quelli che negoziano –
ed a avanzare. In pratica siamo ancora alle premesse e non alla
sostanza del negoziato. Ma se questo approccio potrebbe risultare
riduttivo nell'economia dell'intero negoziato, facendo scorrere il
tempo la Russia finisce per favorire la posizione di Bashar Assad
che si sta rafforzando militarmente e che continua a recuperare
terreno.
Oggi il regime controlla circa il 45/50% del territorio siriano,
mentre le opposizioni armate ne controllano il 10%, i curdi dello
YPG il 15/20% ed il rimanente 30% l'ISIS. Ad Astana si è ribadito
il concetto della integrità territoriale e della sovranità della
Siria. E su questo punto Assad non deroga. Lo ha detto
esplicitamente più volte. Con le "elezioni" del 2014, il mandato
del dittatore è stato procrastinato fino al 2021. E allora sarà
sicuramente più forte di adesso.
La Risoluzione 2254 del dicembre 2015 del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite che auspicava la creazione di una società
multietnica in Siria, l'elaborazione di una nuova Costituzione e
libere elezioni è rimasta sinora lettera morta. Altrettanto si
potrebbe dire di altre iniziative di pace che si sono susseguite
nel tempo: Lega Araba, il presidente francese Nicolas Sarkozy con
il gruppo di amici della Siria, il cosiddetto processo di Vienna,
un tentativo iraniano nell'ambito del Movimento dei non allineati,
incontri a Losanna e così via. Allo stato attuale rimane quindi
come unico negoziato passibile di risultati solo quello di Astana.