testata_leftINVISIBLE DOGvideo

LA PROSSIMA FERMATA NELLA GUERRA FRA SUNNITI E SCIITI: IL BAHRAIN


manama


La lotta egemonica fra Iran e Arabia Saudita si alimenta nel contrasto tra sciiti e sunniti. Una guerra di religione fra le due principali branche dell’Islam combattuta per interposta persona. Tra i diversi conflitti attivi in Medio Oriente, questo è sicuramente il più pericoloso perché sunniti e sciiti convivono all’interno di molte nazioni e ovviamente risentono, nella loro vita di tutti i giorni, di questo clima di scontro religioso.

Il caso più eclatante, anche se non ancora assurto all'attenzione che merita, è quello del Bahrain. Sebbene sia un piccolo Paese, il suo contesto sociale, politico e religioso riassume tutte le contraddizioni e le instabilità che oggi affliggono la penisola arabica: una minoranza sunnita che governa una maggioranza sciita (circa il 70% della popolazione), un regime dispotico che si regge sul sostegno militare dei Paesi limitrofi, assenza di democrazia partecipata, violazione sistematica dei diritti umani. Un mix che fa del Bahrain l’ennesimo terreno di scontro tra Iran e Arabia Saudita.

Non è forse casuale che dall’Iran un esponente dell'opposizione sciita, Murtaza Sindi, nel gennaio scorso abbiamo annunciato l’avvio delle lotta armata contro il regime. L’annuncio è avvenuto a cavallo della condanna a morte e relativa esecuzione di tre sciiti accusati di aver condotto un attentato che ha portato alla morte di tre poliziotti nel 2014. Ora che il principale partito sciita in Bahrain, il al-Wefaq, è stato messo al bando, i venti di guerra risuonano come una minaccia dell'aggravarsi della situazione interna e dell’inizio di una nuova fase nel confronto tra Teheran e Ryad.

La primavera schiacciata

Il regime dell'emiro Hamad bin Isa al Khalifa era già stato oggetto di contestazioni sociali a cavallo della cosiddetta primavera araba. Il 12 febbraio del 2011 era iniziata una rivolta, inizialmente pacifica, per richiedere maggiore democrazia e poteri per la maggioranza sciita. Un mese dopo fu schiacciata con l'arrivo di reparti militari sauditi e poliziotti provenienti dai Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo a cui aderisce anche il Bahrain. Evidentemente i 13.000 uomini delle forze di difesa del Bahrain, benché provviste di armamenti americani, non erano sufficienti a reprimere le rivolte. Un centinaio di morti, migliaia di arresti per difendere il regno degli al Khalifa.

L'emirato oggi sopravvive grazie all'oppressione dei suoi apparati di sicurezza con il fattivo sostegno di Paesi esterni a cui aggiungere – dettaglio non irrilevante – l'omertoso silenzio degli Stati Uniti, che hanno una grossa base militare sull'isola, e del Regno Unito, che fornisce assistenza tecnica e addestramento alle forze di sicurezza di quel Paese e che a sua volta intende ha riaperto una base militare nel porto di Mina Salman.

Il leader spirituale degli sciiti del regno, l’ayatollah Isa Qassim, un ottantenne che ha studiato a Najaf in Iraq, nel giugno 2016 è stato destituito della nazionalità del Bahrain con un intervento governativo a cavallo della messa al bando dell’al-Wefaq. Motivo del provvedimento: fomentava settarismo e violenza, asserviva gli interessi di paesi stranieri (leggasi Iran), raccolta ed utilizzo di fondi illegali, alias riciclaggio di denaro. Di questo "crimine" è tuttora sotto processo insieme a due suoi vice. Il suo processo non si è ancora concluso.

Anche il Segretario generale dell’al-Wefaq, Ali Salman, in seguito alle proteste del 2011, nel 2015 è stato condannato a 4 anni di carcere per "incitamento all'odio, disturbo della quiete pubblica, ed insulti contro le pubbliche istituzioni". La sua condanna è stata raddoppiata a 9 anni in appello. Salman era già stato esiliato dal regime nel 1994 per il ruolo ruolo nelle rivolte dei primi anni ‘90, poi amnistiato favorendone il ritorno in patria nel 2001, dove comunque lo aspettavano torture e continue vessazioni da parte della polizia.


hamad bin isa al khalifa
L'emiro Hamad bin Isa al Khalifa


Un regime repressivo

Il ruolo dell’opposizione interna ed esterna al Bahrain sono solo la punta dell’iceberg di una dissidenza sciita e della correlata e sistematica attività di repressione messa in atto dalle forze di sicurezza dell'emiro. L'arresto indiscriminato di religiosi sciiti ed oppositori politici è la normalità. Così come lo è il ricorso sistematico alla tortura, la chiusura di giornali e canali televisivi non allineati con la casa reale o indipendenti, le accuse ricorrenti di adunate sediziose ogni qualvolta viene indetta una manifestazione. La National Security Agency, cioè il Servizio informativo del Paese (addestrato e sostenuto dal MI-6 inglese), dal gennaio 2017 ha l'autorità per arrestare i cittadini "solo" in caso di terrorismo. Inutile sottolineare che a Manama ogni protesta è considerata un atto di terrorismo.

D'altronde non è certo la democrazia a dettare l’evolversi degli eventi in Bahrain. Dall'indipendenza nel 1971 ad oggi, il ministro degli Interni è sempre lo stesso: lo sceicco Khalifa bin Salman al Khalifa, zio dell'attuale sovrano. Il potere in Bahrain, come peraltro avviene anche nei Paesi limitrofi, è un affare di famiglia da almeno due secoli. Certo, almeno ufficialmente, la monarchia è di tipo costituzionale, ma è in realtà assoluta. Esiste un parlamento articolato in un’Assemblea dei Deputati, di nomina popolare, ed una camera alta di nomina reale. L'unico dettaglio è che l'assemblea ha sole funzioni consultive e non legislative. Praticamente nessuna decisione, dai Servizi di sicurezza alla magistratura, è presa senza il consenso del sovrano. E l'espansionismo iraniano non ha fatto altro che produrre una ulteriore involuzione del sistema politico in Bahrain. Il sovrano infatti, nella temuta minaccia al suo trono, si è piegato ai wahabiti sauditi ed ai Fratelli Musulmani, radicalizzando la propria posizione ed emarginando sistematicamente gli sciiti da ogni forma di potere.

Terrorismo sciita

Le minacce di Murtaza Sindi devono essere prese sul serio perché correlate all'espansione della longa manus iraniana in Iraq e Siria. E’ in corso nella regione un proliferare di milizie e volontari sciiti, le cui velleità e la cui intraprendenza sono adesso alimentate dalle vittorie militari contro l'ISIS. In ultima analisi, una volta sconfitto il terrorismo di matrice sunnita del califfo Abu Bakr al Baghdadi, è prevedibile che la minaccia successiva venga dal terrorismo di matrice sciita.

Hezbollah libanesi, Unità di Mobilitazione Popolare irachene, le Guardie Rivoluzionarie iraniane, la massa di volontari sciiti Hazara provenienti dall'Afghanistan saranno in cerca di una nuova missione divina dopo la prossima sconfitta del cosiddetto Stato Islamico. Già circola la voce che gli oppositori del Bahrain siano addestrati militarmente proprio da queste milizie sciite. E si indica la presenza di un gruppo denominato gli "Hezbollah del Bahrain".

Ne fa fede anche la recente dichiarazione del generale iraniano Hossein Salami, vice comandante delle Guardie Rivoluzionarie, che dopo la conquista di Aleppo nel dicembre 2016 ha indicato come prossimi obiettivi militari proprio il Bahrain e lo Yemen. Negli stessi termini si era espresso nel giugno 2016 il generale Qassem Suleiman, capo delle forze Al Quds, l'élite delle Guardie rivoluzionarie, e l’uomo più potente nella gerarchia militare iraniana. Suleiman presiede alle operazioni in Siria e Iraq per conto degli ayatollah. Non è uno che parla molto, ma se ha affermato che l’opposizione al sovrano del Bahrain potrebbe presto prendere le armi e che l'Iran è pronto a sostenerla, bisogna dargli il credito che merita. E lui ha fatto cenno ad una intifada "sanguinaria" nel regno.


general Hossein Salami
Il generale Hossein Salami


Fuoco sotto le ceneri

Nonostante il malcontento sociale, le prigioni piene di oppositori politici (oltre 3.000, minorenni compresi), i villaggi sciiti sigillati e controllati militarmente, l'afflusso di cittadini stranieri – soprattutto se arabi sunniti – per diluire demograficamente la maggioranza sciita, il devolvere degli aiuti provenienti dai Paesi del Golfo solo ai sunniti lasciando gli sciiti nell'indigenza, il regime di al Khalifa sopravvive. I tribunali lavorano a pieno regime, il dissenso è punito con un minimo di 5 anni di carcere con annessa tortura, le revoche della nazionalità sono merce comune. E il tutto avviene nell'indifferenza dell'opinione pubblica internazionale.

Il sovrano conta ancora sull'appoggio anglo-americano e su quello dei Paesi del Golfo che lo sostengono non solo militarmente ma anche finanziariamente. Il Bahrain non ha il petrolio dei suoi vicini regionali, il sovrano trae i suoi proventi da un pozzo saudita di cui commercializza la produzione. Un prevalere degli sciiti in Bahrain avrebbe un effetto destabilizzante su tutti i Paesi limitrofi. Soprattutto in Arabia Saudita, dove gli sciiti sono intorno al 10/15% della popolazione, ma sono concentrati nell'Eastern Province dove operano la maggior parte dei pozzi petroliferi del regno.

Ogni giorno che passa la convivenza tra sciiti e sunniti diventa sempre più difficile; ne fa fede anche la circostanza che i matrimoni misti sono quasi totalmente scomparsi. Le due comunità vivono separate. E questo è un combinato disposto molto pericoloso. E nonostante la primavera araba sia stata repressa sul nascere, la rivolta cova sotto le ceneri ed è destinata, prima o poi, a rattizzarsi.

back to top