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BOKO HARAM ED IL TERRORISMO ALL'AFRICANA

boko haram


Abu Bakr Shekau è un terrorista dalle sette vite. Dato diverse volte per morto, ricompare regolarmente sul palcoscenico del terrorismo islamico africano. L'ultima sua apparizione o recita risale al marzo 2016. Shekau è apparso malato e, contrariamente al passato, ha invitato il movimento ad arrendersi ed a perseguire un accordo di pace. Tuttavia vi sono dei dubbi su questa apparizione. È veramente lui la persona che parla? Perché, contrariamente al passato, ha utilizzato YouTube e non i soliti Twitter riconducibili all'ISIS? E perché questa improvvisa voglia di negoziare una pace? Qualcun altro ha preso il suo posto? Il movimento è diviso tra chi vuole la pace e chi vuole continuare la guerra?

Tante domande, ma ancora poche risposte. Sicuramente, con l'avvento al potere in Nigeria del generale Muhammadu Buhari, ex golpista e musulmano come Shekau, la guerra contro Boko Haram ha ripreso impeto. Nel contempo, è stata abbinata ad una forma di amnistia, riabilitazione e rieducazione che ha offerto una possibilità di redenzione ai terroristi nell'ambito dell'operazione “Safe Corridor”. Come ha affermato con enfasi lo stesso presidente nigeriano, il movimento di Shekau è “tecnicamente sconfitto”. Basta poi mettersi d'accordo sull'avverbio “tecnicamente” vista anche la profezia di Buhari di una completa sconfitta di Boko Haram entro la fine del 2015. Se anche così fosse, ci sono comunque voluti oltre 6/7.000 morti – qualcuno stima oltre 20.000 –, due milioni e mezzo di sfollati e rifugiati, migliaia di chiese e scuole distrutte, centinaia di bambini soldato arruolati con la forza, per arrivare al capolinea.

Ma il terrorismo di Shekau da un po' di tempo a questa parte non è più circoscritto alla sola Nigeria, ma ha sconfinato in Ciad, Camerun e Niger. Quindi è da verificare se sia "tecnicamente" sconfitto anche in questi altri Paesi. Anche perché un altro gruppo terrorista nigeriano, Ansaru, che compete con Boko Haram in quanto ad efferatezze ed è affiliato ad Al Qaeda, ha visto catturato il suo leader Khalid Al Barnawi, alias Abu Usmatul al Ansari.

Ma la parabola di Abu Bakr Shekau va oltre le vicende dei Boko Haram e rappresenta la cartina di tornasole di un malessere sociale che avvolge un po' tutti i paesi africani ma che in Nigeria, paese emblematico delle contraddizioni di un continente, trova il suo sfogo più violento. Anche se Boko Haram fosse arrivato alla fine delle proprie avventure militari, non cessano le motivazioni che danno origine a queste forme di ribellione. Prima o poi, qualche altro movimento armato prenderà il suo posto. Come spesso avviene, per dare maggiore legittimità ad una lotta armata, il terrorismo dei Boko Haram si è ammantato di una matrice religiosa, sia perché nasce in uno degli Stati musulmani della Nigeria, quello di Borno nel nord est del paese, sia perché ha origine in un paese dove cristiani e musulmani si equivalgono numericamente ma si dividono geograficamente. Un paese enorme con una popolazione di oltre 180 milioni di abitanti.

Abu Bakr Shekau ha solo cavalcato un risentimento popolare che covava sotto le ceneri. Nato nello stato di Yobe, ai confini col Niger, si è trasferito a Maiduguri, capitale dello stato di Borno, per gli studi teologici. E' da questi suoi trascorsi che nasce l'intenzione di aderire ad un gruppo radicale islamico guidato da Mohammed Yosuf che, nel 2002, fonda proprio il movimento dei Boko Haram. Ucciso Yosuf nel 2009, Shekau ne rileva il ruolo. Il resto è il percorso di un movimento che ha disseminato stragi e violenze. Ed è forse in questa caratteristica “tecnica” che può essere trovato il motivo che ha lasciato Boko Haram senza supporto popolare nonostante il vessillo dell'Islam e le rivendicazioni di un popolo in povertà.

Muhammadu Buhari
Muhammadu Buhari

Franchising del terrore

Forse per questo Shekau ha cercato di internazionalizzare le sue velleità militari aderendo inizialmente ad Al Qaeda e poi dichiarando, nel marzo del 2015, la sua affiliazione all'ISIS. A parte il valore simbolico di un'affiliazione sulla carta, che fornisce la visibilità ed il prestigio tipico di ogni franchising con un marchio al momento molto popolare, il vero punto di contatto tra ISIS e Boko Haram è la tendenza allo stragismo, il ricorso ad esecuzioni di massa, teste mozzate, fosse comuni. Non esisteva o esiste alcuna teologia comune nella di lotta dei due movimenti. Anche le dinamiche nei rispettivi campi di battaglia divergono perché l'Africa non è il Medio Oriente e viceversa. Come tutto l'Islam africano, anche quello di Abu Bakr Shekau è meno dogmatico e meno attratto dal ricorso storico di un califfato. E poi i Boko Haram non hanno per obiettivo il controllo di un proprio territorio dove formare un'entità statuale. La fondazione di un califfato nel nord della Nigeria nel 1800 sotto la guida di Usman dan Fodio a seguito di un jihad non riscalda i cuori dei nigeriani.

Tuttavia, se Abu Bakr al Baghadi può essere comunque assimilato ad un leader partecipe del mondo in cui vive, capace di sfruttare la propaganda e la tecnologia per diffondere il suo verbo, di strutturare un erigendo Stato, dare impulso ad un terrorismo internazionale, fornire una connotazione religiosa a tutto quello che fa nel bene e soprattutto nel male, Abu Bakr Shekau non esce dai parametri di una rivalsa sociale locale. Parla solo dialetti africani e l'arabo, sa solo uccidere e tante volte non si domanda se le sue vittime siano cristiane o musulmane. La sua non è una guerra santa, non si pone questioni teologiche per giustificare il commercio delle schiave o per stuprarle. Questo lo ha posto al numero uno sulla lista dei ricercati del Dipartimento di Stato americano, che gli ha messo sulla testa una taglia di 7 milioni di dollari.

Il pericolo dei Boko Haram o meglio del “Jamaat al Ahl al Sunna l'idea Da'wa wal Jihad”, cioè del “Gruppo del popolo della Sunna, della chiamata e del jihad” come effettivamente si chiama il movimento, deriva anche da questi limiti religiosi. In assenza di una qualsivoglia connotazione ideologica nel perseguire una forma di terrorismo, tutto ed il suo contrario diventano leciti. Non esiste il ricorso a una qualche forma di giustificazione. Questa mancata reale colorazione religiosa è un po' la caratteristica di tutto il terrorismo africano. Quindi, un domani forse non troppo lontano e qualora ne ricorresse la convenienza, non esisterebbero controindicazioni a delle alleanze o convergenze con altri terrorismi regionali.

Mr. Marlboro

Se il comune denominatore è ammazzare, rubare o stuprare, Shekau o chi per lui non avrebbe problemi a trovare intese con Mokhtar Benmokhtar, che spadroneggia nella fascia sub-sahariana e che invece ha aderito con il suo gruppo Morabitoun ad Al Qaeda nel Maghreb. Algerino, anche lui dato più volte per morto e poi resuscitato, non è certo un alfiere della fede. Nella gestione del suo business AQIM o ISIS non fanno differenza. Per questo ha militato ed è transitato in varie altre formazioni terroristiche:Al Qaeda nel Maghreb (AQIM), il Movimento per l'Unicità (Taweed), il Jihad nell'Africa Occidentale (MUJAO), il Mulathameen (i mascherati), il Mouwakoune bi dima (coloro che firmano con il sangue) fino ad arrivare ai Morabitoun (le sentinelle).

Chiamato "l'imprendibile", il "cecato" (ha perso un occhio in Afghanistan), ma soprattutto "Mr Malboro" per il contrabbando di tabacchi, Benmokhtar non disdegna altre forme di arricchimento. L'etichetta religiosa dà solo una presunta nobiltà alle sue scorribande. E Benmokhtar, a differenza di Shekau, nel tempo ha allargato il suo campo di azione. Dall'Algeria è passato al Mali, poi è comparso in Libia e Niger. Tutto in nome del business .E' insomma un terrorismo più commerciale. Sul mercato delle taglie vale solo 3,3 milioni di dollari.

Ma il terrorismo africano, pur se etichettato religiosamente, o talvolta caratterizzato da connotati tribali, seppur giustificato ed alimentato da risentimenti sociali, non ha mai il respiro di un disegno strategico. È e rimane una commistione tra criminalità e traffici illeciti. Non persegue obiettivi di lungo respiro ma vive nella sopravvivenza di ogni giorno.

abu bakr shekau
Abu Bakr Shekau


Nel nome di dio

Una saldatura tra il terrorismo islamico africano e quello mediorientale rappresentato dall'ISIS non sembra essersi ancora realizzato anche se questo tipo di pericolo è stato più volte paventato anche nell'ambito del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Si è anche parlato di combattenti di Boko Haram in procinto di affluire in Libia a sostegno dell'ISIS, magari infiltrati nel flusso di clandestini che cercano di salpare dalle coste libiche verso l'Europa. Tale eventualità appare poco probabile anche perché ultimamente il gruppo di Shekau si è militarmente indebolito a fronte della repressione dell'esercito nigeriano e quindi più che a espandersi deve pensare a sopravvivere.

Come è emerso in un recente vertice ad Abuja dove hanno partecipato i paesi della regione nonché Francia e Regno Unito, è sicuramente vero che questo movimento costituisce ancora una minaccia per la stabilità e la pace nella regione. Tuttavia, appare più pericoloso quello che potrà fare Benmokhtar, operativo in aree più contigue ai Paesi mediorientali (nel nord del Mali, nel sud dell'Algeria ed in altri paesi dell'Africa sub-sahariana) e che ha pubblicamente invitato i propri adepti a sostenere i "fratelli" in Egitto. Qui la saldatura tra l'estremismo islamico africano e quello mediorientale è tecnicamente più probabile anche se questa volta sotto la bandiera di Al Qaida e non dell'ISIS.


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