LE GUERRE: BUSINESS E TECNOLOGIA
Ogni
guerra porta con due aspetti rilevanti: il test di nuove armi e la
vendita di armamenti.
Il
primo riguarda gli aspetti tecnologici, il secondo solo gli
affari. Talvolta le due problematiche si accavallano: si vende un
armamento, magari abbastanza sofisticato, per poi vedere come
funziona sul campo di battaglia. Altre volte, invece, si mettono a
disposizione di un altro Paese dei fondi per la difesa che,
ovviamente, si tramutano nell’acquisto di armamenti del Paese
finanziatore. Ma succede anche che gli armamenti si regalino per
fare combattere al proprio posto o al proprio fianco altre
persone, eserciti, milizie o Stati.
In ogni caso, non si tratta mai di altruismo. Non sono soldi
regalati. Prevale sempre l’interesse di chi elargisce e la
necessità di chi riceve. Le armi date ad altre nazioni
generalmente alimentano quelle che vengono chiamate le “guerre per
procura”. Sono legate a valutazioni geo-strategiche, ad intenti
egemonici, talvolta anche a questioni di sopravvivenza.
E’ per questo che il Medio Oriente è oggi il mercato più florido
per chi vende armi ed il laboratorio più appropriato per testare
nuovi armamenti. Tutto quello che è attinente al commercio o al
traffico di armi è avvenuto e avviene in quella regione.
L’Arabia Saudita ha sottoscritto recentemente una commessa di
oltre 100 miliardi di dollari con gli Stati Uniti, il Qatar ha
commissionato elicotteri per le proprie forze armate per un valore
di oltre 3 miliardi di dollari. Un business che si alimenta su
guerre dichiarate o minacciate e che arricchisce i Paesi fornitori
di armi.
Ma quando vengono venduti armamenti di nuova generazione è importante, soprattutto per il venditore, accertarne la sua efficacia sul campo di battaglia.
S-300
La Russia, per esempio, ha fornito alla Siria un nuovo sistema di difesa aerea mobile, gli S-300. E’ un sistema missilistico che preoccupa molto l’aviazione israeliana quando effettua i suoi raid contro Damasco. Tale fornitura era stata inizialmente bloccata in virtù di un tacito accordo bilaterale tra Russia e Israele. L’abbattimento di un aereo russo che trasportava militari verso un aeroporto vicino a Latakia, nel settembre 2018, ha fatto saltare l’accordo.
Il sistema di difesa S-300 ha ricevuto diverse modifiche nel corso degli anni e ad ogni miglioria si è provveduto, al fine di evitare che la tecnologia più importante potesse diventare nota, a farne una versione per l’export ed una per l’utilizzo nazionale. Nel caso siriano è probabile che sia stata fornita l’ultima versione (ovviamente quella per l’export) entrata in servizio nel 2014 e che ha un raggio di azione di 300 km. In pratica, potrebbe colpire un aereo israeliano sia in Libano che all’approssimarsi del confine siriano.
S-300
S-400
Questi sistemi missilistici verranno forniti dalla Russia alla Turchia nel corso del 2019 e rappresentano una fornitura con caratteristiche prettamente politiche, in quanto mette in predicato l’appartenenza di Ankara alla NATO.
E’ anch’esso un sistema missilistico di difesa aerea mobile, più sofisticato dell’S-300. Tuttavia, la sua fornitura entra in collisione con quella degli aerei da combattimento F-35, questa volta di fabbricazione americana e per i quali ha partecipato e finanziato il progetto anche la Turchia, in versione Stealth (peraltro già testato dagli israeliani sul teatro siriano).
I problemi sono infatti due: un sistema d’arma russo non si integra come logistica con gli altri armamenti NATO. Non solo – ed è questa la cosa più importante – dovrebbe essere resettato ed inserito nel sistema radar alleato. Quest’ultimo aspetto crea una vulnerabilità a favore dei russi, i quali stanno già testando una nuova serie di missili, gli S-500, che arrivano a colpire un obiettivo ad oltre 500 km.
La concorrenza sulle bombe
Gli americani avevano prima millantato e poi utilizzato, in Afghanistan nell’aprile del 2017, una grossa bomba da circa 10.000 tonnellate dagli effetti devastanti. Tecnicamente denominata “MOAB” (“Massive Ordinance Air Blast”), il suo acronimo era stato poi modificato in “Mother Of All Bombs” (“Madre Di Tutte le Bombe”). In pratica è l’ordigno non-nucleare più potente adesso in circolazione.
Gli iraniani hanno voluto fare altrettanto rendendo noto che le forze aerospaziali dei Pasdaran hanno anch’esse costruito ed approntato un’analoga bomba, trasportabile dagli Ilyushin sugli obiettivi. Qui, più che l’aspetto militare, ha prevalso l’aspetto propagandistico. Infatti è stata poi chiamata “Padre di Tutte le Bombe”.
Ma
c’è anche un motivo strategico: la MOAB, dove colpisce, entra in
profondità e questo fa sì che le strutture nucleari sotterranee
dell’Iran potrebbero essere distrutte. Quindi il messaggio
iraniano è molto semplice: se qualcuno impiega la bomba sul nostro
territorio, sappia che siamo in grado di fare altrettanto altrove.
La concorrenza sui missili
Ultimamente il governo israeliano ha commissionato alla propria
industria militare uno stock di nuovi missili in grado di colpire
nel raggio di 30/300 km. Se questa fornitura può costituire un
deterrente per Hamas, Hezbollah e Siria, il problema più grosso è
rappresentato dallo sviluppo, anche questo commissionato dagli
israeliani, di sistemi balistici in grado di colpire a distanze
superiori e, nella fattispecie, capaci di colpire le strutture
nucleari iraniane.
Sul fronte opposto anche l’Iran si sta attrezzando per contrastare Israele. Ha fornito missili a medio raggio all’Iraq, che può potenzialmente colpire Israele e Arabia Saudita, missili con una gittata di circa 300 km, e continua a fornire missili tattici agli Hezbollah.
Per
quanto riguarda i missili balistici, Teheran ha sviluppato un
missile, lo Shahab 3, una versione modificata del missile
nordcoreano Nodong e che ha una gittata di oltre 1000 km.
Il messaggio è chiaro: vi possiamo colpire, ogni attacco vedrà una rappresaglia.
Su-57
La guerra dei droni
Gli americani usano i droni per controllare il teatro siriano, i russi hanno bloccato il sistema GPS dei velivoli senza pilota impedendo loro di operare.
La circostanza ha evidenziato una vulnerabilità che ha messo in moto, da parte americana, un miglioramento dei sistemi di controllo remoto. Questo perché ogni interferenza nel sistema di controllo e comunicazione coi droni può farli cadere o abbattere.
Ma il cielo in Medio Oriente è pieno di droni: ci sono quelli americani, quelli russi, quelli cinesi (forniti a Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Iraq) ed anche quelli prodotti direttamente da Turchia, Israele e Iran.
Quest’ultimo Paese ha sviluppato un nuovo drone, il “Saeqeh”, che può colpire fino a 4 obiettivi con bombe intelligenti. E’ stato costruito sulla base dell’esperienza acquisita catturando un drone americano nel dicembre 2011, un “RQ 170 Sentinel”.
I droni rappresentano un nuovo sistema d’arma che sta rivoluzionando il campo di battaglia. Il drone ascolta, capta, vede, colpisce, uccide. E’ lo strumento della guerra del futuro.
Nella seconda Guerra del Golfo in Iraq i velivoli senza pilota erano diventati la maggiore fonte di informazioni sul nemico per gli americani. Ogni Forza Armata utilizzava i propri e capitava che i velivoli si scontrassero in cielo.
Intorno all’utilizzo dei droni è in corso una guerra tecnologica
che si sviluppa su più fronti: renderli invisibili, rendere più
efficienti le loro prestazioni, aumentarne l’autonomia di volo
(tutte caratteristiche offensive) e bloccare il loro controllo a
distanza o la trasmissione dei dati (attività difensive).
Una guerra tecnologica.
Il commercio delle armi
Nel quinquennio 2013-2017 la vendita di armi in Medio Oriente ha avuto un incremento del 103%. Un terzo di tutte le armi vendute ogni anno nel mondo va ad esclusivo beneficio/utilizzo dei paesi mediorientali. E’ un business che vede in prima fila l’industria militare americana, quella inglese ed i consorzi europei e, sul fronte opposto, Cina e Russia.
Gli Stati Uniti forniscono al mondo il 34% degli armamenti in vendita. La Russia “solo” il 22%. Il fatturato si aggira annualmente intorno ai 400 miliardi di dollari.
Ma ogni vendita di armi implica comunque un sistema di sudditanza nei confronti dei fornitori. E’ nei fatti una perdita di sovranità perché il Paese che le riceve deve essere addestrato ad utilizzarle, dipende dalla specifica logistica della controparte e, così facendo, rende noto il proprio sistema di sicurezza.
Nel Medio Oriente ogni Paese è in qualche forma condizionato da questo tipo di rapporti con potenze esterne.
La tecnologia
Quando un F16 israeliano è stato abbattuto in Siria nel febbraio 2018 si è subito innescata una accelerazione dei progetti per la difesa dei caccia durante le missioni di volo. La soluzione studiata dagli israeliani è stata quella di collegare, o meglio legare con un filo, al velivolo militare un apparato – denominato Ell-8270 – provvisto di transponder e che attragga i missili eventualmente lanciati contro l’aereo.
Ma gli israeliani stanno già testando nelle incursioni in Siria la versione Stealth del caccia americano F-22 e, non casualmente, sul fronte opposto la Russia ha schierato dallo scorso anno un proprio velivolo con caratteristiche Stealth, l’SU-57.
Anche il sistema di difesa missilistico israeliano Iron Dome ha
effettuato aggiornamenti e miglioramenti in virtù dei vari
tentativi da parte degli Hezbollah dal Libano e di Hamas da Gaza
di colpire il territorio israeliano. Il sistema è stato anche
esteso alla difesa di obiettivi navali, integrando tra loro il
sistema radar delle varie forze armate. Una necessità diventata
impellente per la protezione delle strutture in mare per lo
sfruttamento di gas e petrolio. Ma se l’Iron Dome opera contro i
missili a corto raggio, c’è poi la “Fionda di David” per la
minaccia dei missili a medio raggio e gli Arrow 3 contro quelli
balistici che viaggiano nella stratosfera. Anche qui esperienza ed
innovazioni viaggiano di pari passo.
In pratica, ad ogni evoluzione o esperienza sul campo di battaglia
segue subito un miglioramento dei sistemi d’arma o dei sistemi di
sicurezza. L’unico limite ad impiegare un sistema d’arma sempre
più sofisticato è costituito dal pericolo che il nemico possa
appropriarsi della specifica tecnologia.
Il
paradosso di una guerra è che se da un lato produce vittime e
sofferenze, dall’altro incrementa lo sviluppo di una tecnologia
che, molte volte, a parte gli specifici impieghi militari, ha
anche ricadute positive nel mondo civile e nel progresso
dell’umanità.