LA CONFLITTUALITA' TRA AGENZIE DI INTELLIGENCE ITALIANE
A seguito di quanto emerso dallo scandalo Datagate, e' stato dato risalto ad un giudizio impietoso dei Servizi di intelligence inglesi sui Servizi italiani. Nella pratica, l'Italia non avrebbe partecipato ad un sistema europeo di sorveglianza di massa delle telecomunicazioni, condotto comunque sotto l‘egida della GCHQ inglese (l'agenzia governativa dedicata alle attivita' di intercettazioni) e che vedeva coinvolti altri Paesi del continente, nominalmente la Germania, la Svezia, la Francia e la Spagna, perche', giudizio inglese, "italiani incapaci e non disposti a collaborare tra loro".
Sull'accusa di incapacita', che implica una valutazione di carattere tecnico, gli inglesi non hanno competenze o conoscenze per esprimere giudizi per due ordini di motivi. Il primo e' che l'attivita' di Sigint e' l'aspetto operativo piu' coperto di ogni agenzia di intelligence (e quindi e' oltremodo difficile che altri comprimari nel settore abbiano elementi probanti nel merito). E, ed e' il secondo assunto, tale attivita' viene condivisa solo tra Servizi che hanno tradizionali rapporti di collaborazione stretta. E non e' il caso dei Servizi inglesi (a cui bisogna aggiungere, oltre alla attivita' tecnica del GCHQ, l'MI-5 e l'MI-6) con quelli italiani.
Il perche' di questa "scarsa" collaborazione tra queste agenzie intelligence nazionali nasce da diffidenze pregresse, da atteggiamenti alquanto altezzosi da parte inglese, dall'idea che questo renda asimmetrica ogni collaborazione ed, in ultima analisi, da una considerazione di fondo: gli inglesi sono parte di un sistema intelligence globale (soprattutto nel campo intercettazioni) che li vede in posizione di subordine rispetto agli americani (insieme a canadesi, australiani e neozelandesi). Tanto vale quindi - e' un po' la filosofia dei Servizi italiani - collaborare direttamente con gli americani. Gli Usa, peraltro - ed e' un elemento da non trascurare - hanno molto piu' potere contrattuale nelle vicende politiche italiane e quindi assicurano un ritorno "positivo" a chi, all'interno dei Servizi, vuole assicurarsi benemerenze e opportunita' di carriera (ed e' il caso attuale anche di alcuni personaggi di vertice di queste istituzioni).
Poi ci sono le limitazioni che la legge italiana impone alle attivita' dei Servizi, dove intercettazioni o ascolti sono subordinati ad autorizzazione della magistratura. E' quindi difficile che un Servizio di intelligence italiano possa serenamente operare in un contesto di intercettazione transnazionale con il pericolo di trovarsi domani sotto indagine da parte del procuratore di turno.
Ma tra le dichiarazioni emerse nell'ambito della vicenda Datagate emerge un'altra accusa e cioe' la litigiosita' che esiste tra AISE e AISI. Qui, invece, si tocca un aspetto purtroppo ricorrente. La conflittualita' tra le due Agenzie di intelligence italiane nasce un po' dalla storia che avvolge le vicende di questo settore.
La legge n.801 del 1977
Nel 1977 ed esattamente il 24 ottobre veniva promulgata una nuova legge, la n. 801/1977, che intendeva disciplinare l'intero comparto di intelligence del Paese. Veniva sciolto il SID (Servizio Informazioni della Difesa), allora sotto la responsabilita' del Capo di Stato Maggiore della Difesa, e venivano creati due organismi paralleli: il SISMI (Servizio Informazioni per la Sicurezza Militare) ed il SISDE (Servizio Informazioni per la Sicurezza Democratica).
Il motivo di questo sdoppiamento risiedeva un po' nella logica di chi aveva voluto questa riforma: creare due organismi al posto di uno significava indebolire, nei fatti, il potere di una struttura di intelligence piu' volte accusata in passato di trame, deviazioni, colpi di Stato e quanto di piu' negativo potesse essere addebitato nella salvaguardia della democrazia. Questo spinse, proprio nello spirito di questa logica, i due Servizi a non essere filosoficamente dedicati alla collaborazione, ma sopratutto alla competizione (che postulava il "controllo" incrociato delle attivita' dell'uno da parte dell'altro). Altro elemento qualificante era adesso che l'attivita' di intelligence veniva estromessa dal controllo esclusivo dei militari e posta sotto l'egida di due Ministeri: quello della Difesa (il SISMI) e quello dell'Interno (il SISDE). La legge 801 faceva poi riferire la responsabilita' politica dell'attivita' di intelligence in capo al primo Ministro, che poi a sua volta delegava un Sottosegretario ai Servizi. Ma nei fatti le due strutture di intelligence create rimanevano sotto l'egida dei due dicasteri preposti, a loro volta retti da politici. Un guazzabuglio istituzionale che certo non favoriva cooperazioni o sinergie.
Che poi tutto questo marchingegno assicurasse la tenuta democratica dell'attivita' di intelligence era tutto da dimostrare. L'unico dato certo nel 1977 e' che ne veniva, almeno contestualmente, indebolita l'unitarieta' operativa. E' pur vero che la legge 801 imponeva anche la costituzione di un organismo di coordinamento, il CESIS (il Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza), ma questa struttura, nel corso degli anni, ha svolto una funzione prettamente burocratica. In pratica una Segreteria alle dipendenze del Sottosegretario per il controllo dei Servizi. Nella realta' quindi il CESIS non ha mai controllato nessuno dei due Servizi ed ambedue hanno mantenuto costante la competitivita' conflittuale.
Ma la politica - e questa era l'intenzione degli estensori della legge - doveva prendere il sopravvento ed il controllo sui Servizi. Sul fatto che questo avvenisse in modo disordinato o organicamente discutibile aveva scarsa importanza.
Una storia controversa
Ma questa era la nemesi della storia che riguarda l'attivita' degli apparati di intelligence italiani. Un passato pieno zeppo di sospetti, insinuazioni e strumentalizzazioni politiche che puntualmente evocava ogni volta pulizia, controlli, test di democrazia.
Fu cosi' prima per il SIM (Servizio Informazioni militare), sciolto subito dopo la guerra (nell'intento di "ripulire" ogni infiltrazione di epoca fascista), poi per il SIFAR (Servizio Informazioni delle Forze Armate), sciolto nel 1965 (dopo le accuse di colpo di Stato nei confronti del generale Giovanni De Lorenzo), ed infine per il SID, sdoppiato sull'onda di sospetti ed illazioni in SISMI e SISDE nel 1977.
In realta', l'ordalia non si fermava nemmeno dopo quella prima riforma perche' il 17 marzo 1981 veniva trovata una lista di personaggi di una loggia massonica del Grande Oriente di Italia ("Propaganda 2"). Al suo interno 962 nomi, tra cui 208 ufficiali e tra questi i vertici degli apparati di intelligence (Walter Pelosi del CESIS, Giuseppe Santovito del SISMI, Giulio Grassini del SISDE). Questo a dimostrazione del fatto che alla fine non era stato sufficiente uno sdoppiamento dell'attivita' di intelligence per garantirne l'affidabilita' democratica. Era solo garantito un indebolimento dell'attivita' operativa a cui la "P2" aveva cercato di dare una risposta funzionale agli interessi massonici.
Comunque, ed e' il succo delle accuse inglesi, la competitivita' tra le due strutture di intelligence nata nel 1977 e' proseguita, nella sostanza, fino ai nostri giorni.
Infatti, la divisione tra un Servizio dedicato all'attivita' operativa verso l'estero, come il SISMI (che manteneva sul territorio nazionale l'attivita' di controspionaggio e quella di anti-proliferazione), e un omologo interno, come il SISDE, e' apparsa subito, nella legge del 1977, un ibrido di difficile soluzione. Ognuno dei due Servizi ha prima creato e poi mantenuto le proprie strutture informative sia sul territorio nazionale, che all'estero. Ai tempi di Riccardo Malpica, a capo del SISDE fra il 1987 ed il 1991, i tentativi di piazzare i propri uomini all'estero erano oggetto di continue rivalse da parte del SISMI, l'unico deputato per legge ad avere un dispositivo all'estero. Altrettante prevaricazioni venivano tentate, in regime di continua rivalsa, sulle attivita' del SISMI in patria.
In questa tenzone tra strutture parallele, i contatti con Servizi esteri sono sempre stati tenuti in ordine sparso. Ognuna delle due strutture di intelligence italiane ha negoziato le proprie collaborazioni, scambiato informazioni, stabilito contatti e modalita' di comunicazione senza renderne edotto il concorrente sui contenuti e gli accordi sottoscritti. Questo stato di cose ha prodotto non solo un dispendio di energie e risorse, ma anche uno scollamento nei contenuti che di volta in volta sono stati scambiati con gli omologhi stranieri. Tutto questo ha creato il paradosso che alcune operazioni congiunte siano state condotte parallelamente l'uno all'insaputa dell'altro, alcune delegazioni straniere siano venute in Italia senza la rispettiva conoscenza, che alcuni Servizi stranieri siano stati oggetto di corsi, addestramenti o forniture in regime di concorrenza nazionale. Su questo "vulnus" alcuni Servizi esteri hanno cercato di capitalizzare, spesso e volentieri, informazioni o collaborazioni.
Giuseppe Santovito
La riforma del 2007
Visto questo stato di cose e dopo 30 anni di esperienza negativa, la classe politica italiana ha deciso di mettere nuovamente mano al riordino dei due Servizi. Nella nuova configurazione semantica sono diventate "agenzie": l'AISE (Agenzia per le Informazioni e la Sicurezza Esterna) e l'AISI (Agenzia per le Informazioni e la Sicurezza Interna).
La legge 124 del 3 agosto 2007 parte sempre dalla divisione di competenze tra chi deve operare all'estero (AISE) e chi deve operare dentro il territorio nazionale (AISI). Lo fa cercando ancora di piu' di distinguere le rispettive competenze basandosi proprio sul fattore "territorio", piu' che sul fattore delle "attribuzioni operative". Il risultato e' che alcune strutture e competenze del vecchio SISMI (ora AISE) sono state passate alla controparte AISI, soprattutto in materia di controspionaggio. Ovviamente tutte le strutture dedicate a tale scopo sono state smantellate (ufficialmente confluite nella nuova Agenzia), come se si trattasse di una normale procedura di attribuzioni e di uomini.
Cosi' facendo si e' disatteso quello che e' in fondo un lavoro delicato, fatto di operazioni segrete, talvolta al limite della legalita', con l'ausilio di fonti qualificate che operano nell'ambito di un rapporto fiduciario non sempre trasmissibile da un ente a un altro o da un gestore a un altro. Ma questo aspetto, per il politico e per il legislatore, non ha avuto alcun peso. Il risultato e' stato che le attribuzioni sono state passate, ma prive di tutto quel "know how" che le rendeva operativamente efficienti.
Il legislatore e' voluto intervenire anche sul binomio "terreno"-"attribuzioni operative" facendo una deroga: l'attivita' di contro-proliferazione, rimasta in mano all'AISE anche sul territorio nazionale. Una deroga non motivata, ma che risiede nelle pressioni di americani e israeliani per mantenere inalterata una struttura con cui, nel corso del tempo, hanno instaurato un rapporto preferenziale (soprattutto con i vertici di questa branca che sono stati, tra l'altro, sostenuti verso una carriera brillante).
Un merito della legge n. 124/2007 e' stato quello di togliere le due agenzie dall'egida dei due ministeri di competenza (Interno e Difesa), riportando la responsabilita' del loro operato in modo piu' inequivocabile al Presidente del Consiglio. Cosi' facendo ha tolto almeno un filtro politico sull'operato delle due Agenzie ed ha cercato di incidere in modo piu' determinato sul coordinamento tra i due organismi. Infatti, il vecchio CESIS e' stato sostituito dal DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza), a cui sono state formalmente aumentate le capacita' di controllo sulle due Agenzie.
Ovviamente anche qui sono emerse delle contraddizioni: e' stata creata una scuola unica a livello del DIS, ma poi alcuni addestramenti operativi sono rimasti di competenza delle Agenzie. Altrettanto e' stato fatto per riunire le due Agenzie sotto un'amministrazione unica (anche se poi la gestione del "riservato" - ovvero la parte del budget che non segue la prassi amministrativa dello Stato ed e' quindi quella piu' importante - e' rimasta alle Agenzie). Sono stati accentrati anche il reclutamento (anche se le proposte di impiego sono avanzate dalle Agenzie) e la logistica. Nella pratica, invece di accentrare e meglio ottimizzare le risorse e le attivita', si e' dato spazio ad una duplicazione delle strutture.
Un'ultima osservazione si puo' fare sul fatto che a capo del neo-costituito DIS non sia andato un esperto intelligence, qualcuno che conosca bene come si muovono le Agenzie e che sia sensibile a tutta una serie di problematiche che attengono all'accavallamento di competenze. Non e' chiaramente una scelta tecnica quella di affidare l'incarico all'Ambasciatore Giampiero Massolo, che nella sua carriera diplomatica vanta solo una militanza di due anni, da molto giovane, nella sede di Mosca (dove avrebbe potuto farsi adeguatamente le ossa in sedi dove l'intelligence da' forte supporto alla diplomazia), ma che soprattutto e' giunto a capo del DIS per un problema di opportunita' all'interno del Ministero degli Esteri. Massolo era il Segretario Generale della Farnesina, quindi con un incarico, rango e anzianita' superiori a quelli di Giulio Terzi di Sant'Agata, che nel frattempo, da ambasciatore a Washington, era stato nominato Ministro degli Esteri nel governo tecnico di Mario Monti. Si era quindi creata una "incompatibilita' ambientale che e' stata poi risolta con la nomina di Giampiero Massolo al DIS. La solita tecnica del "promoveatur ut amoveatur".
Giampiero Massolo
Dissertazioni sulla congruita' nella nomina dei vertici dei Servizi a parte, la circostanza che non sia stata ancora risolta la latente conflittualita' tra le due Agenzie resta una nota dolente. La legge n. 124 del 2007 stabilisce al riguardo dei meccanismi, fornisce direttive e modalita', ma non riesce ancora a sciogliere quel velo di diffidenza e competizione che rende difficile ogni ipotesi di collaborazione bilaterale.
Il legame delle Agenzie con gli ex Ministeri di riferimento e' comunque rimasta, anche perche' ai vertici dei due organismi ci sono due militari che quindi tengono ancora a gravitare verso quelle entita' di pregressa appartenenza o di preminente impiego. Anche qui, soprattutto ai tempi dell'Ammiraglio Bruno Branciforte (AISE) e di Giorgio Piccirillo (AISI), la competizione si era trasferita nei rispettivi Ministeri (Difesa e Interni) ed fra i ministri ad essi associati, soprattutto per quanto riguarda l'immigrazione clandestina che ognuno dei due politici voleva gestire in proprio per motivi di opportunita' politica. Una circostanza che nei fatti impediva il travaso di notizie su un argomento di criminalita' transnazionale. Questo avveniva, ad esempio, da parte della polizia distaccata a Tripoli nei confronti dei rappresentanti dell'Agenzia di intelligence in Libia. Sempre nello stesso periodo una direttiva dei vertici dell'AISI riguardante la scorta del Primo Ministro (che e' di competenza dell'AISI) dava disposizione di non contattare il rappresentante dell'AISE, laddove esistente, durante i viaggi all'estero del nostro Premier.
E per quanto risulta, questo stato di cose non sembra essere stato ancora superato, come indirettamente confermano i Servizi inglesi.