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LA VITTORIA DI PIRRO DELLA DEMOCRAZIA IN EGITTO



egypt pyramids


La rivoluzione egiziana inizia il 25 gennaio 2011 ad oltre un mese dalle prime manifestazioni in Tunisia e dopo che Ben Ali e' gia' scappato in Arabia Saudita.

Da questi eventi precedenti, per contagio, anche l'Egitto si ribella al proprio Rais. In comune tra i due Paesi una forte crisi economica, corruzione dilagante, arricchimenti illeciti, un regime autoritario, un dittatore con familiari dediti a vari traffici, la voglia di cambiare e di liberta'.

Come a Tunisi, la prima reazione del regime e' la repressione che porta vittime (la polizia spara sulla folla). E proprio come a Tunisi, a fronte al perdurare delle manifestazioni e delle proteste popolari, Hosni Mubarak, come Ben Ali, promette di non ricandidarsi alla Presidenza. Ma non basta.

Il 10 febbraio 2011 il Rais annuncia il passaggio del potere al suo vicepresidente, Omar Suleiman, dal 1993 a capo del General Intelligence Service (Jihaz al Mukhabarat al Amma), l'uomo che per tanti anni ha schiacciato ogni tipo di opposizione, considerato il vero pilastro del potere nel Paese. Di fronte alle crescenti proteste popolari contro questa nomina, considerata un tentativo maldestro per riaffermare la continuita' del potere militare, il giorno dopo Hosni Mubarak e la sua famiglia lasciano il Cairo e si trasferiscono a Sharm el Sheik.

Da quel momento il Consiglio Supremo delle Forze Armate sotto la guida del Generale Mohamed Hussein Tantawi, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, prende le redini del Paese. E qui finiscono le analogie tra gli eventi tunisini, dove il trapasso del potere di un militare viene gestito in discontinuita' da civili, e quelli egiziani, dove il potere passa da un militare ad un altro senza cambiare i rapporti di forza tra il passato ed il presente.

Ben Ali era venuto al potere defenestrando e sostituendosi al vecchio Habib Bourghiba. Aveva acquisito il potere per se' e per i suoi accoliti forte del controllo e dell'appoggio degli apparati di sicurezza. Non era espressione di un sistema o di un'istituzione.

In Egitto, invece, il potere e' nelle mani dei militari che di volta in volta esprimono un personaggio che li rappresenti: oggi Tantawi, ieri Mubarak, prima Anwar Sadat, prima ancora Gamal Abdel Nasser e Mohamed Neguib. Nel caso egiziano, quindi, il problema non e' cacciare un uomo, ma sradicare un sistema di potere. Ed e' molto piu' difficile.

Nel proseguo della cosiddetta Primavera Araba egiziana tutto quello che si e' sviluppato dall'11 febbraio 2011 in poi e' un processo di pseudo-democratizzazione della societa', ma pur sempre sotto tutela militare.

Il Consiglio Supremo delle Forze Armate era un organismo che si riuniva periodicamente e soprattutto nei momenti di maggior crisi del Paese come le guerre. Adesso e' diventato il gestore della politica del Paese. E non e' un caso che sia composto da una ventina di alti ufficiali delle FF.AA..

Il 28 febbraio 2011 le autorita' impediscono alla famiglia Mubarak di viaggiare e bloccano i loro conti finanziari. Pochi giorni dopo (3 marzo) il Premier Ahmad Shafiq nominato da Hosni Mubarak rassegna le dimissioni, mentre nel Paese continuano manifestazioni e proteste (si parla sinora di oltre 800 morti).

Il 19 marzo avviene il primo test di una democrazia nascente: gli egiziani approvano a larghissima maggioranza una riforma della Costituzione.

Il 16 aprile la Corte amministrativa scioglie il partito di regime: il Partito Nazionale Democratico.

Il 24 maggio viene annunciato ufficialmente che il deposto presidente Mubarak e due dei suoi figli (Gamal e Alaa), il Ministro dell'Interno ed altri personaggi minori verranno processati per la morte dei manifestanti durante le proteste (il processo avra' inizio il 3 agosto). Ovviamente il giudizio verra' comminato da un tribunale militare.

Le manifestazioni, le proteste e gli incidenti continuano in tutto il Paese e culminano a luglio con gli scontri tra la polizia e una folla oramai accampata in Piazza Tahrir, il luogo simbolo della rivoluzione. A cavallo di questi eventi i Fratelli Musulmani, che fino ad allora avevano mantenuto un ruolo defilato nelle vicende sociali, decidono di partecipare alle proteste.

Il 15 luglio 2011, per assecondare la rabbia popolare, 587 generali vengono mandati in pensione, ma la gente vuole un cambiamento politico e vuole la democrazia, richieste che i militari non intendono assecondare del tutto. Anche le riforme costituzionali procedono lentamente e senza apprezzabili risultati.

La popolazione continua a protestare in massa, chiede a gran voce che i personaggi del vecchio regime siano rimossi e urgono, con una grossa manifestazione il 28 ottobre 2011, che i militari cedano il potere ad un governo civile. La richiesta e' respinta.

In questo clima incandescente hanno inizio il 28 novembre 2011 le elezioni legislative che si svilupperanno in tre fasi (28/29 novembre - 5/6 dicembre; 14/15 dicembre - 21/22 dicembre; 3/4 gennaio - 10/11 gennaio 2012).

Una procedura lenta, farraginosa (forse per meglio monitorare i risultati da parte dei militari) che porta comunque ad un'incontrovertibile vittoria degli islamisti con una forte partecipazione popolare al voto.

Su un totale di 508 deputati:

  • 213 vanno alla formazione dei Fratelli Musulmani, "Partito Giustizia e Liberta'", associato in un'alleanza politica con altre formazioni come l'"Alleanza Democratica per l'Egitto" per un totale di 235 seggi (circa il 37,5% dell'intera assemblea);

  • Il "Blocco Islamico" che riuniva tutte le istanze salafite ottiene 122 seggi, di cui 107 al Partito "al Nour" (circa il 27% dell'assemblea);

  • Un altro partito islamico moderato "Al Wasat" conquista 10 seggi

Le formazioni laiche socialiste e di sinistra si devono accontentare di una presenza parlamentare molto ridotta.

E' chiaro, a questo punto, che il maggior pericolo per i militari nel mantenere il proprio potere viene dagli islamisti e soprattutto dalle formazioni collegate ai Fratelli Musulmani. Ed e' su questo confronto/contrasto che devono essere analizzate le successive vicende politiche del Paese.

Da questo punto in poi l'evolversi della situazione in Egitto abbandona definitivamente il solcato tunisino e si sviluppa sulla falsariga degli eventi algerini. Dalla guerra di indipendenza in poi anche in Algeria il potere, anzi "le pouvoir", e' gestito dai militari. Il sistema finanziario, quello economico, la giustizia, il controllo degli apparati di sicurezza e' nei due Paesi sotto il controllo di questa casta. Cosi' come e' sotto tutela ogni concessione di pseudo-democrazia.

Come nel gennaio del 1991 a fronte della vittoria del F.I.S. fu sciolto il Parlamento algerino, altrettanto hanno fatto i militari egiziani a cavallo del ballottaggio per le presidenziali il 14 giugno 2012. E' stata invalidata l'elezione dei deputati dell'Assemblea popolare che, guarda caso, erano in forte maggioranza islamica. E' stato poi autorizzato Ahmad Shafiq, ex generale ed ex premier, a partecipare al ballottaggio contro il candidato dei Fratelli Musulmani. Il tutto e' avvenuto in modo giuridicamente "regolare": chi ha deciso in entrambi i casi e' stata la Corte Costituzionale che - dettaglio ovviamente non trascurabile - era stata nominata da Hosni Mubarak. E qualora il messaggio di restaurazione non fosse arrivato chiaro agli interessati, il giorno precedente il ministero della Giustizia aveva emanato un decreto legge che autorizzava l'arresto dei criminali da parte della polizia militare e dei Servizi. Nei fatti un ritorno alla legge di emergenza eliminata soltanto qualche settimana prima.

Tuttavia, le elezioni presidenziali si sono svolte e nonostante le titubanze iniziali (i militari potevano giocare la carta dei ricorsi per brogli - oltre un centinaio - che il candidato perdente aveva gia' presentato e che, se accolti, avrebbero potuto ribaltare l'esito del voto), i militari sono stati obbligati a dichiarare la vittoria del candidato dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi, per evitare ulteriori sommosse e proteste.

mohammed morsi
Il neo Presidente Egiziano Mohammed Morsi

Le contromisure dei militari

La partita a scacchi tra l'elite militare ed i Fratelli Musulmani non si era comunque ancora conclusa. L'idea di Tantawi non era tanto quella di cedere il potere ad un governo politico, ma quella di far si' che questo potere fosse solo formale e subordinato ad una tutela della classe militare.

Oltre ad aver sciolto il Parlamento, essersi riappropriati per legge di prerogative di ordine pubblico, i militari hanno messo in atto tutta una serie di altre contromisure per contenere o, all'occorrenza bloccare, il potere del neo Presidente egiziano.

Un'altra arma segreta in mano ai militari era l'assenza di una Costituzione. Un'arma che permetteva di ridimensionare il potere di ogni organismo o istituzione ritenuta contraria ai propri interessi. Ed infatti, in attesa che il nuovo voto per il Parlamento designasse la struttura delegata all'elaborazione di una nuova Costituzione, i militari hanno dato vita ad una serie di emendamenti alla Dichiarazione Costituzionale del 30 marzo 2011 che li cautelassero da possibili iniziative del Presidente.

Nel dettaglio :

  • mancando il Parlamento, il Presidente giura davanti alla Corte Costituzionale (come poi realmente avvenuto). Quindi - ed e' questo il messaggio - di fronte ad un organismo che rappresenta il potere in atto e non di fronte ad eventuali rappresentanti eletti, come avrebbe voluto Morsi (art.30);

  • le elezioni parlamentari devono essere condotte in accordo alla legge (art. 38 ma da correlare al successivo art. 56 che conferisce la facolta' legislativa ai militari);

  • i militari restano responsabili per ogni problematica militare e per la designazione dei propri vertici. Tantawi, fino alla elaborazione di una nuova Costituzione, resta capo delle FF.AA. e Ministro della Difesa ( art. 53);

  • il Presidente puo' dichiarare guerra solo previa approvazione del Consiglio Supremo delle FF.AA. (art. 53/1):

  • se si verificavano disordini interni che richiedono l'intervento delle FF.AA., il Presidente puo' delegare le FF.AA. - ovviamente con il consenso del Consiglio Supremo delle Forze Armate - a mantenere la sicurezza e a difendere le proprieta' pubbliche. L'attuale legislazione egiziana stabilisce il potere delle FF.AA. e la sua autorita' in casi di detenzioni, arresti, uso della forza (art. 53/2);

  • il Consiglio Supremo delle Forze Armate assume l'autorita' (leggasi potere legislativo) fintanto che non e' eletto un nuovo Parlamento (art. 56);

  • se l'Assemblea Costituente incontra ostacoli nella sua attivita', il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha il potere di nominare i suoi rappresentanti e di far si' che una nuova bozza costituzionale sia elaborata entro tre mesi e poi soggetta ad un referendum popolare (art. 60 B);

  • se il Presidente del Consiglio Supremo delle Forze Armate e/o il Consiglio Supremo della Magistratura (controllato dai militari) e/o un 1/5 dell'assemblea costituente obietta che qualche articolo della Costituzione non sia in linea con i principi e gli obiettivi della Rivoluzione egiziana puo' chiederne una revisione. Se l'Assemblea Costituente invece lo conferma, e' l'Alta Corte Costituzionale a decidere (art. 60 B1).

Nei giorni successivi l'Alta Corte Amministrativa ha poi deciso di rimandare al 1 Settembre 2012 la decisione sullo scioglimento della Confraternita dei Fratelli Musulmani ed in data 4 Settembre la deliberazione sullo scioglimento del Partito Giustizia e Liberta'. L'avvocato Shehada Mohammed Shehada aveva presentato una denuncia con riferimento a due leggi: una del 1954 che impedisce alle organizzazioni non governative di svolgere attivita' politica e l'altra del 2002 che vieta partiti costituiti su base religiosa. Visto che l'Alta Corte Amministrativa era sotto controllo del regime militare anche questa iniziativa lasciava ampio spazio discrezionale alla possibilita' di bandire dall'attivita' politica uno scomodo avversario. Opportunita' e minaccia da utilizzare nel prossimo futuro. Shehada, nella sua denunzia, chiedeva la chiusura del Quartier generale della Confraternita e il congelamento dei suoi fondi.

Da Tantawi, il 14 giugno 2012, e' arrivato l'annuncio della creazione di un neo Consiglio Nazionale della Difesa - ovviamente con forte presenza di militari - senza pero' specificarne le funzioni. Forse, ma era forse solo una coincidenza, l'organismo risultava presieduto dal Presidente della Repubblica e composto da 16 persone tutte in una maniera o nell'altra correlate ai militari (il Capo di Stato Maggiore, i 4 comandanti delle FF.AA. Esercito, Marina, Aviazione, Difesa aerea, il Capo dell‘Intelligence Generale e quello dell'Intelligence Militare, il Capo della Giustizia Militare, il Capo delle Operazioni militari, il Ministro dell'Approvvigionamento militare, il Ministro della Difesa ed il suo Assistente, lo speaker del Parlamento, il Ministro degli Esteri, il Ministro dell'Interno e il Ministro delle Finanze). A cosa servisse questo organismo quando esisteva gia' il Consiglio Supremo delle Forze Armate non era dato ancora di sapere. Rimaneva pero' lecito il dubbio che questo nuovo organismo avesse il precipuo scopo di dare, anche in futuro, continuita' al potere dei militari - magari in coabitazione con Morsi - al di fuori del Consiglio Supremo delle Forze Armate. I fatti successivi hanno dimostrato che l'iniziativa non ha prodotto il risultato sperato.

La tattica dei due poteri contendenti

A commento di questa serie di iniziative di Hussein Tantawi e dei suoi generali bisogna sottolineare come la tattica dei militari fosse stata sino allora vincente. Non c'era stato bisogno, come in Algeria, di un colpo di stato restauratore. Avevano sacrificato Mubarak sull'onda delle proteste (e presto avrebbero potuto essere disponibili a fare altrettanto con il premier Ahmad Shafiq che prudentemente se ne era andato all'estero), avevano alternato concessioni fittizie a minacce convincenti, avevano manipolato il quadro politico operando su distinguo giuridici potendo contare sulla mancata terzieta' di tutti gli apparati dello Stato. Piu' della forza, avevano utilizzato un camaleontico approccio levantino. Astuzia anziche' armi. Altri marchingegni giuridici avrebbero potuto aiutare i militari - era questa allora la convinzione - a contenere o ribaltare la presenza scomoda di Mohamed Morsi anche in futuro.

I militari hanno avuto anche gioco facile nel giocare con le ambizioni dei Fratelli Musulmani che gia' conoscevano le regole del gioco. Sapevano - o almeno speravano che sapessero - che non potevano tirare la corda oltre un certo limite e sapevano che il ricorso a forme violente di proteste - peraltro mai perseguite nel passato - non avrebbero prodotto risultati apprezzabili. Anzi, avrebbero legittimato i militari ad esercitare il loro potere.

In questo gioco delle parti circolavano ricorrenti voci di trattative segrete tra la Confraternita ed i militari per una convivenza futura nella gestione del potere. Negoziato non condotto con Morsi, ma con Khairat al Shater, il primo candidato presidenziale scelto dalla guida suprema Badie estromesso dalle elezioni dai militari in quanto uscito di galera nel Marzo 2011 (uno dei requisiti imposti era che il candidato fosse a piede libero da almeno 6 anni).

I Fratelli Musulmani in Egitto hanno una lunga esperienza nel coabitare con le intemperanze di un regime autoritario. Da Nasser fino a Mubarak sono stati molto spesso oggetto di repressione e persecuzioni. Qualche volta tollerati, politicamente qualche volta accettati, molte volte emarginati. Comunque forti del sostegno popolare in virtu' delle opere caritatevoli, di assistenza sanitaria e scolastica, con una disponibilita' finanziaria di tutto rispetto (ora fortemente incrementata da donazioni del Qatar e dell'Arabia Saudita), il movimento e' sempre sopravvissuto ad ogni epurazione. Questo vivere in modo pericoloso ha affinato nella Confraternita egiziana la tendenza al

Scacco matto

Questo sembrava fosse lo stato dei rapporti tra il potere consolidato dei militari e quello emergente dei Fratelli Musulmani. Nessuno pensava che in queste condizioni Mohamed Morsi avrebbe potuto affrancarsi dalla tutela dei militari. Ma il 12 agosto 2012 ecco la mossa a sorpresa: Morsi avvicenda il generale Hussein Tantawi, da poco nominato Ministro della Difesa (e con lui il Capo di Stato Maggiore Sami Anan e i Comandanti delle varie Forze Armate), guadagnando l'appoggio dell'ex capo sei Servizi militari, il Gen. Abdul Fattah Al Sissi subito nominato al posto dell'uomo di Mubarak. Il tutto avviene senza particolari stravolgimenti.

Hussein Tantawi e' nominato "Consigliere del Presidente della Repubblica" e decorato. Nessuna vendetta per essere stato per circa 20 anni al vertice delle Forze Armate, nessuna vendetta per essere stato nominato da Mubarak ai vertici dello Stato dopo le dimissioni del Rais o per essere stato elemento di contatto con gli israeliani, nessuna vendetta per essere stato in passato uno degli strumenti della repressione contro le attivita' dei Fratelli Musulmani.

Si apre cosi' una crepa nelle gerarchie militari - giocata soprattutto sull'avvicendamento di una nuova generazione di generali - che sembrano adesso piu' disponibili ad una coabitazione nel potere. Il prezzo pagato mai ufficializzato e' il mantenimento di tutti quei privilegi economici e finanziari che hanno reso la casta militare potente, soprattutto nella gestione di quel miliardo e mezzo che gli USA versano annualmente per il potenziamento delle Forze Armate egiziane.

A questo punto, la strada del presidente egiziano Morsi appare in discesa. Gli Stati Uniti avevano gia' nei mesi scorsi sdoganato politicamente i Fratelli Musulmani come possibili interlocutori. E gli U.S.A. erano e sono i maggiori sostenitori finanziari del Paese. Questa e' stata sicuramente una circostanza che ha impedito ai militari di truccare le elezioni presidenziali.

Nella mossa dei militari di cedere il potere a Morsi senza resistenze esisteva anche un secondo fine: aspettare che i Fratelli Musulmani si rivelassero inaffidabili agli occhi degli americani (il loro sostegno ad Hamas, i rapporti con Teheran, i contrasti con Israele) e, nel contempo, deludessero le aspettative della popolazione egiziana (l'introduzione di leggi islamiche avrebbero potuto emarginare laici e cristiani e scoraggiare il turismo, principale risorsa del Paese, in assenza di misure adeguate a una crescente crisi economica con alti tassi di disoccupazione).

Sotto quest'ultimo aspetto, durante la campagna elettorale Mohamed Morsi aveva fatto grandi promesse: introdurre sussidi per gli agricoltori, creare nuovi sistemi di irrigazione, migliorare l'apparato sanitario, fare investimenti in settori chiave. Il caso vuole pero' che il bilancio dello Stato per il 2012-2013, approntato dai militari prima della loro estromissione, prevedeva scarsissime risorse e l'assorbimento dell'80% delle disponibilita' di fondi a spese per il personale del pubblico impiego.

La partita a scacchi tra Fratelli Musulmani e militari non si era ancora conclusa: l'ultima mossa l'ha fatta Morsi riaprendo, solo simbolicamente, il Parlamento che i militari - tramite la decisione della Corte Costituzionale - avevano sciolto, ha scelto un Primo Ministro e esautorato alcuni vertici militari e dei Servizi per gli scontri con i fondamentalisti nel Sinai. Serviva per affermare il suo ruolo di presidente. C'e' stata poi la chiusura dei tunnel con Gaza. Un Morsi moderato e filo-israeliano in una partita giocata non solo in Egitto, ma nei rapporti internazionali del Paese.

Dopo la crisi di Gaza che ha visto Mohamed Morsi guadagnarsi un ruolo di mediatore internazionale ecco un'altra mossa politicamente involutiva: Morsi il 22 novembre 2012 si appropria con un decreto presidenziale tutti i poteri, stabilisce che tutte le sue decisioni sono immediatamente esecutive e inappellabili, sostituisce il Procuratore generale della giustizia Meguid Mahamoud (ultimo baluardo in mano ai militari) con un suo fedelissimo, Ibrahim Talaat. Questo porta la magistratura allo sciopero e alle proteste.

Contrariamente alle istanze dell'opposizione, il 29 novembre 2012 il presidente egiziano fa varare dall'Assemblea Costituente (controllata dai Fratelli Musulmani e, a seguito delle dimissioni dei rappresentati laici, marcatamente islamica) una nuova Costituzione. Un totale di 234 articoli sono discussi e approvati in una notte. Ovviamente una Costituzione di pura ispirazione islamica: la Sharia rimane, come in passato, fonte del diritto. In un successivo articolo (art. 219) si specifica che i principi islamici di riferimento sono quelli dei primi Ulema (qui emerge un indirizzo salafita radicale). L'Universita' islamica di Al Azhar e' elevata al rango dirimente sulla Sharia che sembra cosi' assumere una posizione prevalente nelle decisioni della magistratura. Si introduce anche l'affermazione sulla difesa dei valori della famiglia che sembra dare spazio ad una possibile censura di stampa e sistemi audiovisivi.

Mohamed Morsi oramai sembra non volersi piu' fermare e nonostante le proteste delle opposizioni e le manifestazioni di piazza, il 15 dicembre 2012 ha fatto approvare la Costituzione da un referendum popolare che ha ottenuto il 63.8% dei suffragi del 32,9% degli elettori.

Tahrir square
Manifestazioni in Piazza Tahrir

I veri perdenti

Lo spirito di Piazza Tahrir non era impersonato ne' da Morsi, ne' dalla politica levantina dei Fratelli Musulmani, ne' dal potere incontrastato prima dei militari ed ora della Fratellanza.

La rivoluzione egiziana e' identificata in tutta quella serie di partiti laici e riformisti che presentandosi divisi alle elezioni hanno finito per non essere rappresentati in modo adeguato nel contesto politico egiziano. Un errore che e' stato capito tardi e adesso emendato con la creazione di un Fronte di Salvezza Nazionale. La rivoluzione araba del Cairo non e' nata ne' e' stata pilotata dai Fratelli Musulmani, ma da una serie di istanze libertarie e rivendicazioni sociali di cui, con opportunismo e con maggiore organizzazione, i Fratelli Musulmani si sono poi appropriati. Ma forse gli egiziani, quelli di Piazza Tahir volevano un cambiamento e non un potere sostituito da un altro potere.

L'astensione al primo turno delle elezioni presidenziali e' stata del 54% (23 milioni di votanti su 52 milioni di aventi diritto). Al ballottaggio non si e' arrivati al 40% dei voti espressi. Un dato che quantifica e qualifica quanto sia stata ampia la delusione popolare di fronte a due candidati (Morsi e Shafiq) che non rappresentavano le istanze di piazza Tahrir. I cristiani copti avevano scelto tra i mali minori quello dei militari.

Per fortuna esiste in Egitto anche una societa' civile laica e illuminata e molti delusi hanno preferito non votare. Alcuni addirittura hanno avuto piu' paura di un futuro incerto che di un passato scadente e hanno sostenuto il candidato dei militari paventando il pericolo di un salto nel buio.

Il ruolo americano

Forse a causa di un approccio emotivo nei confronti della Primavera Araba, gli Stati Uniti hanno subito acriticamente appoggiato le formazioni islamiche senza attendere che questo ciclo - peraltro ancora in uno sviluppo instabile - si completasse.

Se la politica estera americana fosse basata su questioni di principio questa scelta avrebbe senso, ma quello che generalmente guida le scelte di un Paese sono generalmente le questioni di interesse. E sotto questo aspetto, la scelta degli U.S.A. e le ricorrenti dichiarazioni di sostegno del Segretario di Stato, Hillary Clinton, verso i Fratelli Musulmani appaiono di piu' difficile comprensione.

Un Egitto a guida islamica fondamentalista non facilita sicuramente lo storico legame con Israele. Rischia di accrescere le posizioni estremistiche di Hamas e rischia di portare verso una connotazione fondamentalista il prossimo assetto politico della Siria e/o accrescere la sua influenza nel panorama politico libico.

C'e' poi il riavvicinamento tra Egitto e Iran (Mohamed Morsi a Teheran per il vertice del movimento dei non allineati lo scorso agosto, Mahmoud Ahmadinejad adesso al Cairo per partecipare al vertice dell'Organizzazione della Conferenza islamica) i cui effetti non sono ancora chiari.

Una Confraternita che spazia e si afferma nella galassia politica mediorientale e' negli interessi americani? Gli USA hanno forse stimato che un uomo come Mohamed Morsi, con studi accademici e cattedratici in America (University of Southern California) sia garanzia di affidabilita'? Non e' dato ancora di sapere.

La vittoria di Pirro

Per le vicende egiziane la domanda di fondo e' sempre la stessa: gli oltre 1000 morti della primavera egiziana, gli aneliti di liberta', le aspettative sociali, la voglia di combattere corruzione e consorterie a cosa sono serviti? Tutte le utopie vanno contestualizzate nel tessuto sociale in cui nascono e si sviluppano. In Egitto, meglio dire alla maggioranza della sua popolazione, manca il riferimento di cosa sia una democrazia propriamente detta. E se la democrazia diventa anarchia, lo status quo vince sul riformismo o se - come nel caso in questione - ad una pseudo-dittatura se ne sostituisce un'altra nella scelta tra restaurazione e fondamentalismo perde, come dimostrano i fatti, il Paese.

Lo scontro fra poteri nella sua prima configurazione vedeva i militari mantenere parte della loro influenza e restare arbitri dei destini dell'Egitto. Dall'altra, i Fratelli Musulmani si sono associati ai militari nella gestione del potere negoziando una convivenza politica. Era un nuovo politico bipolare dove le debolezze dell'uno diventavano i punti di forza dell'altro e viceversa. E questo ha evitato i radicalismi di ambo le parti.

Questo equilibrio ora si e' rotto con l'emarginazione di un potere (quello militare) e con il presidente egiziano Mohamed Morsi che tira dritto su scelte non condivise, tenta avventure antidemocratiche e inasprisce i contrasti con le altre istanze sociali.

L'Egitto di oggi vive le pulsioni di una primavera araba incompiuta e forse nemmeno mai iniziata. La cacciata di Mubarak ha portato alla luce tutte le contraddizioni che la mano pensante dell'e'lite militare che governava il Paese riusciva a minimizzare.

Sono venuti in superficie i contrasti tra laici e religiosi, tra tolleranza e radicalismo islamico, tra i poveri sempre piu' poveri ed i ricchi che rimangono tali, tra la casta dei privilegiati (sempre gli stessi) e quella degli emarginati (ora aumentata , si parla di circa il 70% della popolazione sotto la soglia della poverta') sotto la cappa di un sistema di corruzione mai combattuto, tra i giovani che non trovano prospettive di una vita migliore che la rivoluzione auspicava. Emergono anche le spinte autonomistiche, come dimostrano i recenti scontri di Port Said, Ismailya e Suez, con la risorgenza del sistema tribale e clanico che costituisce il punto di riferimento in assenza di uno Stato. C'e' la guerra tra copti e islamici, una burocrazia che penalizza ogni modernizzazione del Paese e l'analfabetismo nelle aree rurali, Vi e' infine un capo poco carismatico, come Mohamed Morsi ha dimostrato di essere. I suoi maldestri tentativi di attribuirsi pieni poteri (e questo da' il senso di quale democrazia prevale sulle dittature nelle Primavere Arabe) lo dimostrano ampiamente. I 6 morti e gli oltre 250 feriti che hanno insanguinato le strade del paese nel secondo anniversario della rivoluzione danno un senso alla divisione che tuttora attraversa l'Egitto.

I Fratelli Musulmani non hanno saputo coagulare i sentimenti della societa' egiziana in un percorso condiviso verso liberta' e uguaglianza sociale. Sono stati, al contrario, un elemento di divisione. Non hanno accettato alcuna condivisione del potere con le altre anime laiche del Paese. La loro tentata islamizzazione della societa' poteva essere un mezzo per guidare la rinascita economica del Paese, ma e' diventato un fine. Non ha prodotto benessere, ma false aspettative che ora sono venute alla luce. Crollo del turismo, una recessione galoppante, la necessita' di negoziare un prestito con il Fondo Monetario Internazionale in cambio di ulteriori misure di austerita'. Ad essere colpiti saranno i sussidi governativi per i generi di prima necessita' (e non casualmente il Premier Hisham Qandil era recentemente presente al Forum Economico di Davos). Il massiccio ricorso agli aiuti finanziari sauditi e qatarioti costituira' un'altra forma di sudditanza in un quadro economico che offusca il futuro dell'Egitto. E il peggio deve ancora venire.

E qui si inserisce la profezia del maresciallo Hussein Tantawi che - prima della sua esautorazione - vedeva nella crisi economica lo spiraglio per la rinascita del ruolo dei militari. Ed infatti, dopo gli scontri per il secondo anniversario della rivoluzione egiziana (25 gennaio 2013) e gli scontri sul canale di Suez, Mohamed Morsi e' stato costretto a convocare il Consiglio Nazionale di Difesa ed a imporre - con il consenso dei militari - lo stato di emergenza (quello che per tanti anni concedeva ai militari poteri enormi nel controllo dell'ordine pubblico e della dissidenza) a Port Said, Suez e Ismailyah (schierando i militari sul terreno). Per un leader islamico che si afferma al potere defenestrando i militari, il ricorso a questi ultimi per il mantenimento dell'ordine pubblico e il ripristino delle misure di emergenza tanto care ai tempi di Mubarak suona come una cocente sconfitta. Il monito del Generale Al Sissi, Ministro della Difesa e capo delle Forze Armate, circa il pericolo di un tracollo dello Stato suona invece come un avvertimento. E dopo aver rimesso in pista i militari, il presidente egiziano e' adesso costretto a tentare di dialogare con l'opposizione.

Pirro, il re dell'Epiro, nel 280 avanti Cristo era sbarcato in Italia con mercenari ed elefanti. Aveva combattuto e vinto i romani a Eraclea. Una vittoria che era costata un prezzo altissimo in termini di vite umane e che si e' tramandata nella storia: un prezzo troppo alto per una vittoria inutile. Il parallelismo con quel che succede per il momento in Egitto con la sua Primavera Araba puo' diventare calzante.