I
MURI CHE DIVIDONO IL MONDO

Il muro di Berlino
Il muro di Berlino era stato costruito dalla Germania dell’Est come misura di “protezione antifascista” il 13 agosto del 1961. Ventotto anni dopo, nel novembre 1989, era stato poi demolito. I muri – la storia lo ha insegnato più volte – non risolvono mai i problemi, ma al contrario li enfatizzano, rimarcano le differenze, diventano simbolo di incomunicabilità e fatalmente, prima o poi, sono abbattuti. Tuttavia, siccome a stento impariamo le lezioni della storia, ancora oggi, laddove esistono problemi di convivenza o di sopravvivenza, nuovi muri sono innalzati. Gli esempi, come detto, non mancano.
Fort Israele
L’utilizzo di muri è anche una costante dei rapporti fra Israele e palestinesi, contenzioso irrisolto oramai dal lontano 1948. Le barriere erette sono a tutti gli effetti dei simboli di questo conflitto, ne qualificano e quantificano i contrasti, le divergenze , danno il senso dell’oppressione (ai palestinesi) e della paura (per gli israeliani). Sono diventate l'emblema plastico di una storia costellata di morti ed incomprensioni che l’ultima guerra di Gaza ha riconfermato in tutta la sua drammaticità.
Esiste un muro che divide Israele dalla Cisgiordania e che è stato eretto lungo un confine mai concordato, ma unilateralmente deciso da Tel Aviv. Gli israeliani lo giustificano come misura di protezione dai terroristi palestinesi ed hanno avuto bisogno di una sentenza della Corte Suprema israeliana nel 2004 per confermarne la legalità in aderenza alle norme internazionali. Un'iniziativa questa di auto-assoluzione che tuttavia conferma i dubbi sulla liceità di queste costruzioni.
Anche perché al riguardo c’è stata, nell’ottobre del 2003, una risoluzione votata dall’Assemblea generale dell’Onu che ha dichiarato illegittima la costruzione del muro con la West Bank laddove questo si discosta dalla cosiddetta “Linea Verde” o linea armistiziale. Nel 2004 anche la Corte Internazionale di Giustizia ha dichiarato il muro contrario alle norme internazionali. Ma, come spesso accade quando si ha a che fare con Israele, sulle questioni che riguardano la propria sicurezza, non esistono leggi internazionali che tengano.
Al riguardo non sono bastate neanche le proteste di varie organizzazioni per i diritti umani, come Amnesty International o Human Rights Watch, né la condanna della Croce Rossa Internazionale. Così il muro che i palestinesi identificano come una manifesta volontà di apartheid resiste per tutti i suoi 700 km di estensione, con un'altezza di 8 metri e tempestato di sistemi di allarme anti-intrusione, camminamenti per il pattugliamento e filo spinato su ambo i suoi lati. Questa barriera è costata oltre 2 miliardi di dollari, senza contare il costo per modificare strade e canalizzazioni. Ovviamente questo muro è stato costruito su terreni di proprietà privata palestinese, alcune comunità sono state divise in due, diverse risorse idriche sono state dirottate a favore di Israele e la barriere è diventata oggi il simbolo lampante di una incomunicabilità tra due mondi e nazioni.
Alla domanda se questo muro abbia migliorato le condizioni di sicurezza di Israele, la risposta può essere positiva. Tuttavia, l'interesse particolare degli israeliani non tiene conto del fatto che i rapporti con l’Autorità Nazionale Palestinese siano sostanzialmente cambiati. Il decrescente numero di attentati provenienti dalla Cisgiordania non ha risolto la questione della mancata condivisione intorno ad un accordo che possa permettere la convivenza tra le due comunità e, di conseguenza, elimini, ovvero renda meno probabile, il ricorso al terrorismo.
Israele ha poi estero lo stesso approccio al confine con la Striscia di Gaza: circa 55 km di muro che costeggia una zona cuscinetto sui entrambi i suoi lati delimitata da filo spinato e alla quale non ci si può avvicinare se non a rischio della vita. Tuttavia, l’ultima guerra tra Hamas e Israele conferma che anche ai fini della sicurezza i muri non servono più di tanto: si scavano dei tunnel che li ci passano sotto, non impediscono ai razzi di volare e colpire. E se il sistema antimissile Iron Dome è riuscito a proteggere Israele dai razzi di Hamas e della Jihad Islamica, rimane irrisolta la questione dei tunnel. L'ultima trovata israeliana adesso è quella di costruire lungo il perimetro di Gaza una barriera sotterranea a prova di bomba e rinforzata di acciaio, un fossato profondo almeno 20 metri che impedisca ai palestinesi di superarlo.
Un'idea simile a quella concepita (ma mai realizzata) lungo il cosiddetto “Corridoio Philadelphia” fra Gaza ed Egitto. Un tratto di confine lungo 15 km che Israele ha pattugliato fino al 2005 in base agli accordi di pace con l’Egitto proprio per evitare che Hamas scavasse dei tunnel per bypassarlo. In alternativa si era anche vagliata l'ipotesi di scavare lungo il confine un canale per poi riempirlo d'acqua. Lo stesso progetto viene adesso ripreso in considerazione per dividere il confine fra Gaza e Israele.
Con l'Egitto gli israeliani hanno eretto ormai da tempo un altro muro lungo 265 km lungo il confine con il Sinai. Inizialmente concepito per bloccare l’immigrazione clandestina (soprattutto rifugiati eritrei ed etiopi provenienti dal Corno d'Africa), è diventato oggi uno strumento per difendersi dal terrorismo islamico che ha trovato rifugio nella penisola egiziana. La barriera è alta circa 5 metri ed è attrezzata con telecamere, filo spinato e camminamenti. Il suo costo è stato di 416 milioni di dollari e si sta attualmente valutando la possibilità di innalzarla fino a 8 metri.
Da questo punto di vista Israele è un Paese quasi completamente circondato da muri o barriere. Lungo il Golan al confine con la Siria ci sono tutta una serie di fortificazioni, camminamenti, tunnel e bunker anche sotterranei eretti alla fine della guerra del 1973. Nella zona cuscinetto fra Siria e Israele operano le forze Onu di UNDOF (United Nations Disengagement Observer Forces). Altrettanto avviene lungo il confine con il Libano: reti di protezione, torrette di avvistamento, pattugliamento continuo lungo il reticolato, la garanzia (almeno teorica, ma difficilmente pratica come poi i fatti hanno ripetutamente dimostrato) che la presenza del contingente UNIFIL possa garantire la sicurezza.
La domanda lecita è se tutto questo sistema di protezione possa garantire la sicurezza ad Israele . Può essere vero nel breve termine, ma non nella prospettiva futura. Israele avrà la sicurezza che merita quando non ci sarà più bisogno di muri, barriere o reticolati.
Il muro in Israele
Muri mediorientali
Ma a parte Israele ci sono altri Paesi in Medio Oriente che risolvono o meglio ovvero intendono risolvere i loro problemi con la costruzione di muri.
Esistono rischi per la sicurezza delle navi che transitano nel canale di Suez che potrebbero essere attaccate dagli estremisti islamici che operano nel Sinai? Ecco un progetto approvato del Generale Abdul Fattah Al Sisi: una barriera sui due lati del canale, altezza 4-6 metri, per tutta la lunghezza del canale (164 km). Costo stimato: 200 milioni di dollari. Basterà per risolvere il problema della sicurezza? Non è un esito scontato quando la vera questione è piuttosto la presenza dei terroristi islamici nel Paese e, di riflesso, i suoi effetti nocivi sulla sicurezza dell'Egitto. E non sarà certo un muro che potrà porre fine all’attività eversiva del Beit al Maqdiss. Se poi, come pubblicizzato, Al Sisi intende costruire un altro canale parallelo a quello esistente, occorreranno altri soldi e altri muri.
L’Arabia Saudita ha invece progettato un megamuro con lo Yemen per bloccare sia l’immigrazione clandestina ed il contrabbando, che il terrorismo che dilaga nel Paese vicino per mano di Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP). Una struttura che nei piani dovrebbe essere lunga 1800 km ed estendersi dalla costa del Mar Rosso sino al confine con l’Oman.
E se non bastasse, Ryad ha dato anche inizio alla costruzione di una barriera lungo i 900 km di confine con l’Iraq: 5 linee di reticolati e barriere, 78 torri di controllo, visori notturni, 50 radar, 8 centri di comando e controllo, 32 postazioni di pronto intervento, con costi che per le ridenti finanze saudite non rappresentano certo un problema. Questa è la prima risposta saudita al pericolo posto dall’ISIS in Iraq. Nella Penisola Arabica vi sono anche muri al confine tra Emirati Arabi Uniti e Oman e anche lungo i 193 km che separano Kuwait e Iraq.
Il muro tra Melilla ed il Marocco
Un mondo di barriere
Ma il mondo è pieno di muri che, come sovente avviene, rappresentano risposte inadeguate a problematiche più complesse.
C’è il muro costruito tra le enclave spagnole di Ceuta e Melilla ed il Marocco nel 2005 per bloccare l’immigrazione clandestina ed il contrabbando. Circa 20 km di barriere illuminate giorno e notte ed alte 6 metri. Basterebbe vedere quello che capita con i barconi nel Mediterraneo per capire quanto sia difficile porre fine alla transumanza di clandestini che scappano da guerre e povertà e che cercano di arrivare in Europa. Per le stesse finalità di lotta all’immigrazione clandestina e per bloccare il contrabbando di droga gli Stati Uniti hanno speso diversi miliardi di dollari per costruire un muro alto oltre 4 metri lungo i 3200 km di confine con il Messico.
La lista potrebbe continuare: la Grecia ha eretto un muro di 10 km e alto 4 metri al confine con la Turchia, la Turchia ne ha innalzato uno invece nell’area di Nusaybin lungo il confine della Siria, la Bulgaria ha “murato” i 33 km di confine con la Turchia ed l’Ucraina vorrebbe sigillare il confine con la Russia con un muro lungo 1920 km. C’è poi l’India che ha in costruzione un muro sul confine con la Birmania (1624 km), un altro, sempre in corso d'opera, lungo 3000 km a ridosso del Bangladesh ed un altro ancora, già eretto nel 2004, in Kashmir al confine con il Pakistan per una lunghezza di 550 km. In questa lista potremmo poi annoverare il muro in costruzione tra Pakistan e Iran (circa 700 km), quello di 45 km tra Kazakistan e Uzbekistan; la barriera di 1700 km tra Uzbekistan e Turkmenistan e quella di 209 km tra Uzbekistan e Afghanistan e di 870 km tra Uzbekistan e Kirghizistan. C'è poi il muro di sabbia, chiamato eufemisticamente “corsia di emergenza”, che il Marocco, dopo l’annessione di buona parte del Sahara Occidentale, ha eretto (e minato) a protezione di 2720 km di confine. Così come fanno parte della lista i muri e le barriere che il Sudafrica ha eretto con lo Zimbabwe e il Mozambico, il Botswana con lo Zimbabwe, la Cipro greca per demarcare la divisione con la parte turca, la Corea del Nord dalla Corea del Sud e così via.
Ogni muro deve la propria esistenza ad una minaccia, vera o presunta, e ad una incomprensione. Contandoli possiamo verificare quante ancora siano le crisi che dividono il mondo.
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