IL MANCATO RUOLO DELLA DONNA NEL MEDIO ORIENTE
Nel
mondo arabo e musulmano, dove spesso è la religione che legittima
dittature e regimi, succede che sia la legge islamica la fonte del
diritto delle nazioni.
Di conseguenza, l'applicazione della Sharia, molte volte interpretata in forma letterale ed in modo restrittivo, senza spazi per la rivisitazione dei dettami del Corano nel trascorrere del tempo e nell'evoluzione dei costumi, fa sì che anche i diritti delle donne rimangano confinati a una posizione subalterna nella società nonostante siano passati circa 1500 anni dai dettami di Mohammed.
Si salvano - ma solo in quota parte - quei regimi laici che invece devono difendersi dalla religione per mantenere il potere. E lì, almeno parzialmente, la donna allarga il suo ruolo.
Quest'ultimi sono casi limitati, come le combattenti curde siriane dell'YPJ (Yekineyen Parastina Jin - Unità di Protezione delle Donne) o quelle unità femminili dei Peshmerga del Kurdistan irakeno o del P.K.K. La donna curda ha sempre combattuto a fianco degli uomini per difendere la propria etnia e cultura e questo ha fatto sì che abbia guadagnato sul campo la sua libertà ed i suoi diritti
Algeria
Ci sono poi casi intermedi, come quello dello status della donna in Algeria. La guerra di liberazione contro la Francia, con oltre un milione di morti (soprattutto uomini), aveva dato alle donne un ruolo sociale centrale nella ricostruzione del Paese. Tale situazione non aveva impedito che il Codice della Famiglia del 1984 ponesse forti limiti ad una parità di genere e di diritti (soprattutto nell'ambito matrimoniale) come peraltro previsto dalla Costituzione. Ultimamente, il problema delle donne algerine è stato sensibilizzato dalla specifica Commissione Anti-discriminazione dell'ONU. Ma tuttora esistono forti limitazioni: le donne ereditano meno dei figli maschi e sono penalizzate nelle cause di divorzio, non possono sposare non musulmani, gli uomini possono sposare fino a 4 mogli, anche se viene richiesto il consenso della prima moglie, sono discriminate nella ricerca di un lavoro e vengono penalizzate giuridicamente qualora subiscano abusi familiari.
Comunque, la donna algerina - se si compara il suo ruolo a quello in altri Paesi musulmani limitrofi - vive una situazione sociale più libera: ha accesso a tutti i livelli di istruzione e può scegliere il proprio marito.
Complice di tutto questo è anche il fatto che il terrorismo islamico abbia avuto ampio spazio in Algeria e quindi che le autorità non siano inclini ad assecondare forme sociali che rispecchino una visione troppo aderente alla legge islamica. Nel contempo però si vuole evitare che la frattura tra società islamica e società moderna possa innescare ulteriori conflitti sociali.
Tunisia
E' il caso più eclatante perché, dopo la defenestrazione di un regime laico come quello di Ben Ali, la conduzione temporanea del governo islamista di Rachid Gannouchi ed il successivo sopraggiungere di un governo di riconciliazione nazionale di stampo moderato, la donna tunisina ha avuto la possibilità di acquisire maggiori diritti sociali.
Il primo di questi si riferisce ad una legge del 1973 che impediva alle donne di sposare un non musulmano con il rischio che il loro matrimonio non fosse registrato. Adesso tale limitazione è stata abolita, anche perché non aderente con i dettami della nuova Costituzione del 2014.
Qualche mese fa, è arrivata un'altra conquista sociale: l'abolizione del cosiddetto matrimonio riparatore che eliminava ogni conseguenza penale per lo stupratore.
Sicuramente la donna tunisina vive una realtà sociale più libera
rispetto a tanti altri Paesi arabi e musulmani. La poligamia è
bandita dal codice sociale emanato da Burghiba nel 1956.
Ma anche qui la strada da percorrere per raggiungere una parità di genere è lunga: le donne ereditano tuttora la metà dei figli maschi.
La possibilità che anche questi ultimi retaggi di discriminazione sociale possano essere eliminati appare al momento alquanto difficile. Le regole ereditarie sono prescrizione coraniche e trovano quindi strenui difensori negli imam e nelle zone rurali del Paese. La lotta tra tradizione e modernismo non si è ancora conclusa con un vincitore.
Egitto
Anche questo Paese vive le sue contraddizioni sociali tra un regime laico, una società tradizionale, un’opposizione di stampo radicale islamico e le conseguenze di un terrorismo.
La donna egiziana è vittima di questo combinato disposto.
Il regime vieta prima l'utilizzo del burkini ma è successivamente costretto ad annullare il provvedimento. Discriminazione religiosa, come accusano molti? Violazione delle libertà personali? Questione igienica? Il pericolo dell'islamismo strisciante paventato dal regime militare rende più difficile una soluzione che compendi tradizione e modernismo.
Comunque, recentemente il parlamento egiziano ha approvato una
legge che vieta la mutilazione genitale femminile.
Già nel 2015 era stata creata una Commissione per monitorare la "strategia nazionale per combattere le violenze contro le donne" che è ancora oggi un piaga sociale endemica.
A questo poi bisogna aggiungere, come in tutti gli altri Paesi arabi, la discriminazione nel sistema ereditario, il divorzio, la custodia dei figli. C'è poi un approccio penale molto permissivo verso i cosiddetti "delitti di onore" ed un altrettanta compiacenza verso gli abusi domestici.
Poi c'è la piaga dei matrimoni "urfi" ("tradizionale/consuetudinario") cioè di quei matrimoni contratti fuori dal sistema ufficiale ma solo registrati presso un notaio. E' una situazione che lascia la donna senza difese legali.
In Egitto, fin dal 2013, è in corso una campagna di intimidazione e persecuzione contro ogni forma di varianza sessuale che ha portato ad arresti, torture e abusi di ogni genere.
Combattente curda dell'YPJ
Arabia Saudita e paesi del golfo
Ultimamente, ha avuto risalto mediatico la notizia che re Salman, in Arabia Saudita, abbia promulgato un decreto che autorizza in futuro le donne a guidare le auto. Ritenendo che la decisione potesse causare perturbative sociali e convulsioni religiose, il decreto avrà effetto pratico nel giugno del 2018. Più che a Salman, l'iniziativa è ascrivibile al figlio Mohammed, che alla luce della sua giovane età è probabilmente più incline alle istanza del mondo femminile.
Può essere considerata un’evoluzione positiva della società saudita se si prende a riferimento il contesto sociale e religioso in cui il provvedimento è stato deciso, ma sicuramente si tratta di una mossa alquanto limitata, se paragonata al mondo che si evolve.
In Arabia Saudita il tempo del progresso corre lento e già nel 2013 re Abdallah aveva dato il benestare affinché le donne potessero partecipare alle elezioni ed entrare nel Consiglio della Shura. Evoluzione della società o forzato riconoscimento di un diritto fondamentale sinora leso?
Per il monarca saudita appare configurabile la prima ipotesi.
Un pò tutti i Paesi del Golfo sono accomunati da un approccio discriminatorio sul ruolo sociale delle donne ma in Arabia Saudita, proprio perché culla della cultura integralista del wahabismo, il fenomeno è ancora più marcato, estremizzato.
In questo Paese, la Legge Basica del sistema sociale è la sharia nella sua interpretazione più radicale. L'articolo 8 di questa legge ne certifica i contorni applicativi nell'ambito della citata legge islamica: giustizia, consultazione, eguaglianza (che sarebbe meglio definire "equivalenza", in quanto diritti e doveri sono diversamente ripartiti).
La parità dei diritti, secondo il sistema sociale locale, è il compendio di questo approccio.
In virtù di questa "equivalenza", le donne ereditano la metà degli uomini ma non hanno l'obbligo di destinare la propria ricchezza a favore del marito o dei figli. Il marito è obbligato invece a mantenere la famiglia. Sempre per lo stesso principio, l'uomo deve garantire la protezione della donna nei suoi rapporti con le istituzioni (anche se questo si trasforma in una tutela che toglie diritti ed emancipazione).
Vi sono poi una serie di obblighi collaterali: la donna deve garantire l'onore della famiglia; ha l'obbligo di vestire in modo appropriato (alias solo Niqab o Abaya); non può accompagnarsi ad un estraneo nei luoghi pubblici; se sposa uno straniero non trasmette la cittadinanza ai figli (stessa regola non si applica all'uomo); deve essere accompagnata dal "mahran"; può ricevere un documento di identità solo se autorizzata dal mahran; non può fare l'avvocato ed è obbligata a farsi assistere in corte da un legale maschio anche nelle cause di divorzio; la sua testimonianza vale la metà di quella di un uomo; non può viaggiare all'estero da sola; non può esercitare attività commerciali o intestarsi conti bancari, prenotare un hotel, affittare un appartamento, avere l'accesso a tutti gli spazi pubblici; deve certificare la propria verginità nel contratto matrimoniale (qualora non fosse vedova o divorziata); il marito ha diritto al divorzio senza motivazioni; reati come violenza domestica o stupro maritale non trovano accoglienza giudiziaria. Ma la lista delle restrizioni di cui è vittima la donna saudita potrebbe ancora continuare.
Vincoli legali, limitazioni sociali e religiose rendono il ruolo della donna saudita di sudditanza rispetto agli uomini.
Le piccole conquiste sociali che si contano nel tempo (oltre alla possibilità futura di guidare una macchina possono lavorare in ospedali, strutture governative o laboratori dove la promiscuità è limitata, possono comparire in televisione) sono la testimonianza non di una società che si evolve ma di un ritardo sociale che stenta ad essere colmato.
Mohamed bin Salman
Il futuro
Il Medio Oriente ed i Paese rivieraschi del Nord Africa sono società che si evolvono socialmente in modo molto più lento rispetto al mondo che li circonda, almeno per quanto riguarda la parità di genere oltre che, ovviamente, al mancato rispetto di altre libertà individuali.
Esiste sempre, nei fatti, una correlazione tra negazione dei diritti e libertà fondamentali e quelli inerenti lo status della donna.
In Medio Oriente non esistono democrazie, non esiste soprattutto una cultura ed una specifica sensibilità sulla parità di genere.
Queste società tradizionali, strutturate su un sistema patriarcale, sono chiuse nel paventato timore che le influenze esterne, il modernismo di altri, possano alterare equilibri, potere, rendite di posizione, non solo nella società, ma anche nelle famiglie.
Talvolta, come nel caso dell'Algeria, le donne acquisiscono uno status migliore a causa delle vicende nazionali. Lo stesso ISIS, nelle sue attuali difficoltà militari, ha teso a rivalutare il ruolo delle donne, autorizzandone l'impiego nei combattimenti.
Poi ci sono le influenze, talvolta positive, derivanti dalla convivenza religiosa. E' il caso dell'Egitto, con circa il 10% di copti cristiani ed il caso del Libano, dove sciiti, cristiani e sunniti vivono affiancati.
Ma il problema dei Paesi arabi e musulmani è che oggi, con internet, la televisione ed altri mezzi di comunicazione di massa, dove tutto si vede e si ascolta senza limite di tempo e di spazio, è difficile rimanere avulsi da un contagio di idee e comportamenti e quindi negare dei diritti che altri, in altre parti del mondo, hanno già.
La donna musulmana dovrà ancora combattere a lungo per uscire dal ruolo subalterno che gli viene imposto dalle società in cui vive. Non è solo un problema religioso, ma anche culturale.
Ed esempi, come quello quello che ha visto ultimamente la promozione di due donne ai vertici del Mossad, appare pura fantascienza nel mondo arabo. Ma esiste anche un problema di fondo: se il ruolo della donna fosse rivalutato, probabilmente avrebbe ripercussioni sociali, una circostanza che molti regimi temono. E questo rallenta la lotta verso l'emancipazione.
Basta questo dettaglio per capire quanto lunga resta la strada da
percorrere. La legislazione saudita, fondata sulla più stretta
interpretazione della dottrina islamica, priva le donne dei
diritti fondamentali, o ne subordina la vita sociale ed economica
alla presenza condizionante di un tutore maschio (padre, marito,
fratello). Le donne saudite non possono viaggiare da sole, aprire
un conto in banca, ereditare, donare, intraprendere un'attività
economica o commerciale. Semplicemente, come soggetto di diritto,
non esistono