TUNISIA:
ANALISI DI UN BUON ESEMPIO

Mohamed Bouazizi
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Mohamed Bouazizi
La rivolta tunisina nasce per caso
il 17 dicembre 2010. Un venditore abusivo di verdure, Mohamed
Bouazizi, si vede sequestrare dalla Polizia le sue mercanzie. Non
e' la prima volta che capita. Ma questa e' l'unica sua fonte di
reddito. Ha un diploma, vorrebbe o potrebbe fare lavori piu'
qualificanti, ma la disoccupazione, soprattutto giovanile, che
affligge il suo Paese non gli permette alternative. E' esasperato.
Si reca davanti al governatorato di Sidi Bouzid e si da' fuoco. E'
la scintilla che fa scattare la rivolta contro il regime. La
rabbia della popolazione si propaga in altre zone: Kasserine,
Jendouba e arriva fino a Tunisi.
Il Presidente Zine el Abidine Ben Ali, ex Capo dei Servizi segreti, era salito al potere come Presidente dal 7 novembre 1987. Un colpo di Stato aveva defenestrato due anni prima Habib Bourghiba, il fondatore della patria (con lui la Tunisia era riuscita ad ottenere l'indipendenza dalla Francia il 25 marzo 1956) oramai malato e colpito da primi sintomi di demenza senile. Ben Ali affronta inizialmente la rivolta con minacce di intervento armato, accusa i mass media stranieri, promette dure sanzioni ai rivoltosi. Lo fa comparendo piu' volte alla televisione di Stato dove lancia proclami e moniti.
Ben Ali ha sempre gestito il suo potere in modo assoluto, come ogni dittatore, e con mano pesante. Ha nel tempo represso ogni forma di dissidenza e di opposizione. Non conosce nel suo repertorio altri metodi per affrontare la piazza. Il suo maggiore oppositore, Rashid Ghannouchi, un islamico gia' condannato a morte da Bourghiba (per un presunto tentativo di colpo di stato) e poi graziato, fondatore di un partito poi messo all'indice, era stato costretto a scappare e a vivere in esilio a Londra.
Ben Ali si era cosi' assicurato le benemerenze del mondo occidentale per aver combattuto il fondamentalismo islamico, mentre nessuno poneva la dovuta attenzione agli abusi del suo regime e, nel contempo, si curava del fatto che il Presidente governasse il suo Paese con i metodi tipici di una dittatura. Ben Ali aveva peraltro frequentato corsi militari in Francia (scuola di artiglieria a Chalon sur Marne), scuole militari e di intelligence negli U.S.A. (Scuola di artiglieria contraerea in Texas, corso di senior intelligence in Maryland), era arrivato al potere con la benedizione ed il sostegno del governo italiano (Primo Ministro Craxi, capo del SISMI, l'Ammiraglio Fulvio Martini), aveva fatto l'addetto militare in Marocco e Spagna, era stato ambasciatore in Polonia. Era, nei fatti, una garanzia.
Ben Ali era quindi un tiranno odiato dalla sua gente. Peggio di lui faceva la moglie, Leila Trabelsi, che godeva di una pessima reputazione. Il suo clan familiare era accusato di corruzione e di appropriazione di fondi pubblici. Proveniente da una famiglia di basso lignaggio (Leila esercitava la professione di parrucchiera prima di incontrare Ben Ali e di sposarlo nel 1992), cultura alquanto limitata, con il matrimonio la sua famiglia si era da subito dedicata all'arricchimento piu' o meno lecito. Circondata da 10 tra fratelli e sorelle, non c'era affare di particolare appetibilita' finanziaria che non passasse per i Trabelsi. Lei stessa ostentava una vita lussuosa ed atteggiamenti sprezzanti. La forte differenza di eta' (lui nato nel settembre del 1936; lei nell'ottobre del 1956) rendeva particolarmente efficace la sua presa ed influenza sulle decisioni del marito.

Zine el Abidine Ben Ali
Dopo le minacce contro i manifestanti, rendendosi conto dell'ampiezza e determinazione della protesta, Ben Ali ricompare in televisione utilizzando toni piu' moderati. Promette riforme istituzionali, maggiori liberta' individuali, l'utilizzo di internet senza restrizioni, ma soprattutto promette di non ricandidarsi nel 2014 (con una riforma costituzionale del 2002 il suo mandato poteva essere rinnovato - senza limiti temporali - all'infinito).
Ma le sue profferte non servono a niente e le proteste continuano: il 14 gennaio 2011 con la moglie e tre figli se ne scappa in Arabia Saudita. Aveva inizialmente tentato di ottenere il diritto di asilo in Francia, ma gli era stato rifiutato. Lascia dietro di se' un'ondata di violenze che in meno di un mese aveva causato circa 200/250 morti tra i manifestanti disarmati nelle strade.
Ma la sua partenza non pone fine alla repressione: le milizie fedeli al regime continueranno a sparare causando morti, feriti e dedicandosi con sistematicita' ad abusi e torture.
Il 15 gennaio Fouad Mebazaa, un vecchio personaggio legato soprattutto alla lotta per l'indipendenza ed al periodo di Bourghiba con lungo pedigree di incarichi ministeriali e diplomatici, viene nominato Presidente della Repubblica ad interim (incarico che manterra' fino al 12 dicembre 2011).
Il 17 gennaio 2011 viene formato un governo di unita' nazionale che comprende personaggi del vecchio regime ed esponenti dell'opposizione. L'esperimento non ha successo: 5 ministri presentano subito le dimissioni.
Nel Paese continua l'opera di smantellamento del vecchio regime: spariscono i ritratti dell'ex presidente dalle strade, la televisione di stato cambia nome (la "Tunisie 7" - il numero ricordava la data della sua presa di potere - diventa adesso solo "Television Tunisie'nne" ), i nomi toponomastici delle strade associati al dittatore vengono cambiati.
Il 30 gennaio tornera' in patria Rachid Ghannouci dopo un esilio durato 22 anni passato tra Algeri e Londra. Una folla acclamante lo aspetta all'aeroporto.

Rachid Ghannouchi
Le autorita' tunisine spiccano un mandato internazionale di arresto per Ben Ali e sua moglie. Le accuse: alto tradimento, riciclaggio, appropriazione indebita dei beni dello Stato. Ben Ali viene accusato di avere trasferito all'estero fondi, nonche' aver effettuato investimenti immobiliari, per una cifra intorno ai 5 miliardi di euro durante i 23 anni del suo mandato presidenziale.
Il "Rassemblement Costitutionnel democratique" (R.C.D.), partito di regime (erede del vecchio Partito Desturiano Socialista di Bourghiba), viene sospeso il 6 febbraio 2011 e poi sciolto il mese successivo (9 marzo).
La situazione sociale rimane ancora molto critica, molti giovani tunisini tentano l'immigrazione clandestina, via mare, verso l'Italia. Il 27 febbraio incominciano ad arrivare ondate di clandestini a Lampedusa a bordo di natanti partiti dalla Tunisia, un esodo che fa proclamare all'Italia lo stato di emergenza umanitaria.
Le manifestazioni per le strade non si placano ed il Primo Ministro Mohamed Ghannouchi rassegna le dimissioni sempre il 27 febbraio (moriranno quel giorno 5 manifestanti). Personaggio del vecchio regime, membro dell'R.C.D. (partito da cui si dimettera' nel gennaio 2011), piu' volte ministro sotto Ben Ali (Ministro delle Finanze dal 1989 al 1992 per poi passare, fino al 1999, alla guida del dicastero della Cooperazione internazionale e degli Investimenti esteri e con una successiva parentesi come Premier) era stato incaricato, dopo la fuga di Ben Ali, di guidare (affiancato da un direttorio di 6 persone) la transizione democratica e la pacificazione nazionale. Ma il personaggio non e' gradito alla gente, troppo compromesso con il vecchio regime, etichettato, a livello popolare, come " M. Oui Oui" per la sua acquiescenza verso il dittatore.
Al suo posto subentra Beji Caid Essebsi, un anziano avvocato (nato nel 1926) ed uno dei primi consiglieri di Buorghiba, piu' volte ministro (Ministro dell'Interno dal 1965 al 1969, Ministro degli Esteri dal 1981 al 1986) e Presidente del Parlamento (1990/1991). Dopo il colpo di Stato di Ben Ali era stato ambasciatore in Germania e nel 1994 aveva abbandonato il Parlamento per ritirarsi a vita privata. Il tentativo e' sempre lo stesso: facilitare una transizione democratica nel Paese. Ed il personaggio, proprio perche' meno legato al passato regime, risulta piu' gradito alla popolazione.
Il 3 marzo 2011 il Presidente Mebazaa ufficializza la tenuta delle elezioni parlamentari per la nomina di un'Assemblea costituente (composta da 217 membri) da tenersi il 24 luglio. Ma questa data verra' poi spostata al 23 ottobre per delle difficolta' nella compilazione delle liste elettorali.
Il 20 giugno 2011 Ben Ali e la moglie Leila, dopo un processo alquanto sommario basato su un vecchio codice tunisino e senza possibilita' di difesa da parte degli imputati, ricevono una prima condanna in contumacia a 35 anni per furto e appropriazione indebita di soldi e gioielli. Altri processi paralleli si svolgeranno nei confronti di altri personaggi della famiglia Trabelsi, anche se, in contemporanea con la fuga di Ben Ali, molti familiari di Leila erano gia' scappati all'estero (Francia, Qatar, Arabia Saudita, Canada). Alla fine Ben Ali assommera' in totale 66 anni di carcere dopo ulteriori provvedimenti giudiziari. La moglie viene nel frattempo accreditata di un tentativo di suicidio.
Intanto proseguono sempre le manifestazioni e le proteste con ininterrotta intensita': il 17 luglio 2011 vengono attaccati edifici pubblici e stazioni di polizia: 4 agenti rimangono feriti. Il giorno dopo un bambino di 14 anni rimarra' ucciso da un colpo vagante nei pressi di Sidi Bouzid dopo ripetuti scontri tra la polizia ed i manifestanti.
Una grossa manifestazione avverra' l'8 agosto 2011 per impedire ai dirigenti del vecchio regime di rientrare in politica ed il 2 settembre viene imposto il coprifuoco in diverse aree del Paese a seguito di continui scontri e proteste. Una ragazzina di 17 anni morira' e ci saranno svariati feriti.
Ma nonostante tutto il processo di democratizzazione va avanti. Il 23 ottobre 2011 si tengono le elezioni per l'Assemblea costituente con una forte partecipazione popolare. Votera' oltre il 90% degli aventi diritto. E' il primo frutto di un risveglio sociale abbinato al desiderio di cambiamento. Era dal 1956 che non si votava nel Paese.
Le elezioni avverranno con la presenza di 500 osservatori stranieri, le accuse di brogli sono limitate e quindi la circostanza conferma sostanzialmente la regolarita' delle votazioni. I parlamentari vengono eletti con il sistema proporzionale.
Vince il partito islamico moderato di Ghannouchi Ennahda ("la rinascita") che con oltre 1.500.000 preferenze su oltre 4 milioni di votanti ottiene 89 seggi su 217. Seguiranno:
- Il "Congresso per la Repubblica", un partito laico di centro-sinistra, con 29 seggi
- La "Petizione Popolare per la liberta', la giustizia e lo sviluppo" (Aridha Chaabia in arabo), una formazione populista creata solo qualche mese prima da un uomo d'affari residente a Londra che otterra' 27 seggi (poi ridotti a 19 per irregolarita' finanziarie)
- Il "Foro Democratico per il lavoro e le liberta'" (Ettakatol) di ispirazione socialdemocratica che avra' 20 seggi
Infine si piazza con 16 seggi il "Partito Democratico Progressista" (formazione laica di centro) poi una serie di formazioni minori.
Il 22 novembre 2011 i 3 maggiori partiti si accordano sulla spartizione degli incarichi: Hamadi Jebali di Ennahda diventa Primo Ministro, Moncef Marzouki del Congresso per la Repubblica diventa Presidente della Repubblica e Mustafa ben Jaafar dell'Ettakatol viene nominato Presidente dell'Assemblea costituente. Aderiranno al governo anche alcuni indipendenti.
Rimangono pero' ancora da risolvere i grossi problemi che affliggono il Paese: corruzione, disoccupazione, ordine pubblico. Manifestazioni e contro-manifestazioni si susseguono per le strade di Tunisi. L'Assemblea costituente il 10 dicembre 2011 adotta una Costituzione provvisoria ("legge sull'organizzazione provvisoria dei poteri pubblici") e due giorni dopo Marzouki viene confermato come primo Presidente eletto del Paese. Quest'ultimo dara' mandato a Ennahda, nella persona di Hamadi Jebali, di formare entro 3 settimane un nuovo governo. Il primo febbraio 2012 Habib Khedher verra' nominato responsabile per la redazione della nuova Costituzione ed il 14 febbraio 2012 saranno poi nominate 6 Commissioni proprio per questa incombenza.

LA SITUAZIONE ATTUALE
Il processo di democratizzazione della Tunisia non si e' ancora completato. Non si e' completata la riforma costituzionale che procede in modo accidentato ogni qual volta si cerca di limitarne l'approccio libertario con l'inclusione di norme islamiche (un emendamento di Ennadha di introdurre la Sharia il 3 marzo poi ritirato il 26 marzo, una proposta che attribuisce alla donna un ruolo complementare a quello dell'uomo presentata il 6 agosto e poi ritirata sull'onda di proteste il 28 settembre).
Non sono neanche finite le manifestazioni e proteste che ciclicamente si verificano nel Paese perche' non e' stata superata la crisi economica che comporta alti tassi di disoccupazione, specie giovanile. Fenomeni sociali come la corruzione non sono stati ancora debellati.
Allora viene ovvio domandarsi dove possono trovarsi quegli elementi positivi che fanno sperare che il caso Tunisia sia comunque da considerarsi uno degli esempi piu' riusciti della Primavera Araba.
Intanto vale sottolineare che ogni trapasso tra una dittatura ed una nascente democrazia non e' mai indolore. C'e' chi vince e chi perde, c'e' un potere che si trasferisce in mani diverse, equilibri e rapporti di forza che cambiano, gli abusi che vengono perpetrati da chi non hai mai goduto di liberta' e non ne apprezza i limiti, istituzioni e strutture statali che collassano e che non trovano subito adeguato rimpiazzo, caos sociale. Da tutto questo non se ne esce se non dopo un adeguato periodo di transizione perche' le modifiche in essere non riguardano solo le strutture, le formule politiche, gli apparati dello Stato, ma anche gli uomini che sono preposti a realizzarle.
Ci sono uomini che passano da relazioni e comportamenti sociali in un contesto autoritario e dispotico ad un'altra modalita' di inter-relazioni basate sul consenso, sull'importanza dell'opinione pubblica, sul non-uso della forza e sul dialogo. Poi ci sono uomini che vengono da fuori, che nella vita precedente avevano recitato un ruolo di opposizione illegale, sono portatori di nuove esperienze, che adesso si confrontano con nuove responsabilita'. Ed e', senza andare lontano, il caso di Rashid Ghannouci.
La strada che porta alla democrazia e' sempre lunga, segue percorsi tortuosi perche' non solo deve cambiare le cose, ma deve anche cambiare le menti. Ed un'elezione popolare nel 2011, la seconda dopo oltre 55 anni, non puo' costituire elemento probante di un comune denominatore della politica di un Paese, ma deve essere significativa proprio come evento in se' stesso. Occorre il tempo perche' anche il senso civico degli aventi causa faccia il suo corso.
Fatta questa premessa e' bene sottolineare quel che di positivo si ritiene ci sia nell'esperienza tunisina:
- il caso Ghannouci
la sua prima esperienza politica la fa sotto Bourghiba. Fonda un partito di ispirazione islamica nel 1981 dopo precedenti infatuazioni politiche per il nasserismo il "Movimento di Tendenza Islamica" (Harakat al Ittijad al islami ). Viene arrestato e condannato a 7 anni di prigione. Viene liberato nel 1984 e arrestato nuovamente nel 1987. Questa volta la condanna e' a vita per un presunto tentativo di colpo di Stato. Torna in liberta' con l'avvento di Ben Ali e fonda Ennahda, ma dopo pochi anni e' costretto a rifugiarsi all'estero. Viene accusato dalle autorita' tunisine di essere a capo di una formazione terroristica e come tale viene considerato in buona parte del mondo occidentale.
Ha un curriculum che potrebbe portarlo, dopo il suo rientro in patria, ad un atteggiamento di rivalsa verso il regime e/o l'Occidente ed a posizioni estremistiche sia in politica che nella religione. Non lo fara' nemmeno di fronte ad un risultato elettorale che non solo lo legittima alla guida del Paese, ma gli concederebbe il potere politico per farlo. Da simbolo della resistenza alla dittatura, diventa invece uomo del dialogo. Si accorda subito con altri partiti laici dell'Assemblea per favorire una transizione democratica nel Paese. Non si oppone neanche, nel primo periodo delle rivolte, affinche' personaggi alquanto collusi col precedente regime occupino temporaneamente incarichi pubblici. Il suo Islam politico e' moderato. Predica la tolleranza e lo dimostrera' quando nella commissione incaricata di redigere la nuova Costituzione si votera' per il mantenimento dell'articolo 1 cosi' come era stato formulato da Bourghiba nel 1959: " La Tunisia e' uno Stato libero, sovrano, che ha l'Islam come religione di Stato, l'arabo come lingua ufficiale ed e' una repubblica" (in realta' un tentativo abortito di introdurre la Sharia da parte di Ennadha c'era stato, come precedentemente segnalato, soprattutto per coprirsi politicamente dalle idee estremistiche dei salafiti). L'impostazione laica dei precedenti regimi viene sostanzialmente confermata. Gannouchi sa che la societa' tunisina ha fortemente assimilato questi concetti di laicita', sa che il turismo e' una delle fonti di maggiore risorse finanziarie del Paese. Sa anche che la rivoluzione contro Ben Ali non l'ha iniziata Ennahda, ne' e' stata ispirata da istanze religiose. E' stato il popolo a cacciare Ben Ali, non un'idea religiosa. Accetta quindi indirettamente che altre istanze sociali siano rappresentate in questo cambiamento politico. Ghannouci sa che oggi e' anche legittimato dai suoi trascorsi politici (ma non e' il solo che puo' contare su questo pedigree) e dal fatto contingente che il suo partito gode di un'ampia simpatia per le sue iniziative filantropiche, ma sa anche che la Tunisia deve guardare avanti.
- Il ruolo delle Forze Armate
Le Forze Armate in Tunisia non hanno mai costituito, come nel vicino Egitto o in Algeria, fulcro centrale del potere politico. Nel momento della rivoluzione i vertici militari si sono tenuti fuori dalle contese politiche ed i soldati sono rimasti nelle caserme. Altrettanto hanno fatto le Forze di sicurezza, salvo un iniziale sostegno a Ben Ali fino al momento della sua fuga. Questa circostanza ha permesso il progredire della transizione democratica senza particolari spargimenti di sangue.
- Il programma di Ennahda
Ennahda si e' modulato sul pragmatismo del suo leader.
Il partito di Ghannouci ha vinto non solo perche' l'Islam e' e rimane, come dimostrato da identiche vicende in altri Paesi arabi, l'unico elemento identificativo delle popolazioni di questa parte di mondo. E' arrivato al potere democraticamente e democraticamente porta avanti il suo programma nella consapevolezza che nel Paese esistono altre importanti istanze politiche laiche. Il messaggio con cui Ennahda ha vinto le elezioni e' semplice : integrita' e onesta', valori musulmani. Un Islam come garanzia di moralita'.
In altre parole, combina da un lato tradizione e innovazione e pone l'attenzione su quelli che sono i mali endemici del Paese (corruzione, disparita' sociali, lotta alle lobby finanziarie, disoccupazione, clientelismo). Il partito non si e' arroccato sulla rendita di posizione che poteva derivargli da un appeal religioso, non ha fatto sfoggio di sola retorica, ma si e' voluto subito confrontare con i problemi di tutti i giorni. Lo ha fatto potendo contare su un'organizzazione capillare (comitati di quartiere, associazioni caritatevoli , contatti strette con le moschee) che altre formazioni non avevano e quindi con una catena di trasmissione diretta tra le istanze sociali del popolo e il conseguente programma politico. Inoltre, elemento non irrilevante, Ennahda ha potuto contare su rilevanti finanziamenti provenienti dai Paesi del Golfo.
Ennahda si e' posizionato nel contesto politico tunisino non come un partito in contrapposizione ad altre idee, ma ha saputo subito assimilare sia il nazionalismo laico di Bourghiba sia le istanze riformiste e di modernizzazione che sono prevalenti nella popolazione. Riguardo ai diritti delle donne, Ennahda e' stato chiaro nel ribadire la loro libera scelta nell'indossare o meno il velo, ma soprattutto non e' stato abrogato il diritto al divorzio, introdotto dal codice di famiglia di ispirazione laica del 1959.
Sul piano economico Ennahda e' si' favorevole ad una economia di mercato ma intende aggiungervi un sistema di solidarieta' sociale. Una qualsivoglia forma di socialismo musulmano. Ogni trattato internazionale pre-esistente e' stato confermato.
- Il percorso democratico della Tunisia
La Tunisia ha scelto, come iter per raggiungere e completare un processo democratico, la creazione di una Assemblea costituente. In questo e' stata imitata dalla Libia. Sotto questo aspetto quindi Tunisi potrebbe costituire esempio per altri Paesi. Non si e' limitata ad avvicendare una dirigenza con un'altra, ma intende modificare una impalcatura istituzionale proiettandosi nel futuro.
IL RUOLO DEI SALAFITI
I salafiti tunisini rappresentano, in Tunisia cosi' come altrove, un pericolo potenziale per la democratizzazione del Paese ed ultimamente violenze sociali ed episodi di intolleranza da parte di formazioni islamiche estremiste sono aumentate. Questo si verifica soprattutto perche' il posizionamento di Ennahda verso un Islam moderato fornisce al fondamentalismo islamico molto spazio politico.
E' pur vero che le frange piu' radicali di questo movimento si sono piu' volte distinte per manifestazioni violente, cortei di protesta, incursioni nelle universita' ed altro, ma e' altrettanto vero che la Tunisia viene da una lunga esperienza di laicita' con correlate liberta', emancipazioni di genere, leggi sociali egualitarie.
I salafiti nel contesto politico tunisino oggi non superano i 10.000/15.000 adepti (quindi numericamente non rilevanti) e sono divisi soprattutto tra "Hezb al Tahrir", una formazione fuorilegge ma comunque tollerata, che predica l'instaurazione di un califfato e la stretta applicazione della sharia, ed il Fronte della Riforma ("Al Islah"), guidato da Mohammed Khoja, autorizzato dal Ministero dell'Interno ad operare legalmente l'11 maggio 2011 (e per dare un senso al proliferare delle istanze democratiche del Paese, Al Islah era la 118ma formazione politica autorizzata).
Ma alcune intemperanze (aggressioni verso le donne, proibizione dell'uso dell'alcol, discorsi e sermoni estremisti dei loro leader, antisemitismo dichiarato) hanno forse dato a queste frange politiche un interesse mediatico sicuramente superiore al loro peso nel panorama politico tunisino. L'attacco all'ambasciata americana di Tunisi il 14 settembre 2012 da parte di un'altra formazione estremista islamica, la "Ansar al sharia" guidata da Seif Allah ibn Hussein, noto anche con il nome di Abu Iyad, e' un campanello di allarme di un equilibrio instabile in cui si manifesta l'Islam, non solo come religione, ma anche come politica. Quindi non solo un problema della Tunisia, che forse piu' di altre nazioni e' in grado di esorcizzare o metabolizzare questo fenomeno con un approccio democratico e nel contempo pragmatico, ma di tutto il mondo arabo.

LE SFIDE DEL FUTURO
A a fronte a qualche iniziale vittoria, alla Tunisia rimangono ancora molte sfide da vincere. Un percorso ancora lungo e difficile.
La prima vittoria e' stata quella di rendere operante una democrazia attraverso un voto popolare. E sicuramente non e' poco in questa parte di mondo.
La seconda vittoria e' stata quella di integrare in questo processo di democratizzazione tutte le diverse istanze della societa'.
La terza vittoria e' stata quella di avere raggiunto questi obiettivi, sicuramente con difficolta' e disordini sociali, ma senza eccessivi ed indiscriminati spargimenti di sangue.
Rimangono ancora delle grosse sfide davanti alla nuova dirigenza tunisina : l'approvazione della nuova Costituzione, la riforma del sistema giudiziario, la lotta alla corruzione e al clientelismo, dare impulso all'economia, ridurre la disoccupazione, combattere la poverta' soprattutto nelle regioni interne del Paese, creare una maggiore giustizia sociale, ricostruire gli apparati di sicurezza, rinnovare completamente la classe dirigente del Paese dando spazio ai giovani, ricostruire e/o costruire le istituzioni democratiche, far si' che il rispetto dei diritti umani non sia piu' un evento episodico ma sistematico, eliminare arresti indiscriminati e torture che hanno rappresentato il modus operandi delle autorita' del Paese sia con Bourghiba che con Ben Ali, dare piu' sicurezza al Paese anche di fronte alle turbolenze sociali nei Paesi vicini (e' il caso della Libia e dei suoi profughi che tuttora stazionano sul territorio tunisino), no alle malversazioni, repressioni e soprusi tanto ricorrenti nel precedente regime ( in altre parole no al dispotismo), no alla diffusione del terrorismo (in febbraio con una operazione di polizia era stata smantellata una cellula di Al Qaeda nel paese).
Da' speranza lo spirito di moderazione e di inclusione sociale che sta accompagnando questo percorso democratico. Ed e' un merito che va ascritto a tanti attori sociali. Ma la lotta tra i cosiddetti "modernisti" e gli islamisti" e' ancora in atto.
Che il percorso democratico assecondato da una ispirazione moderata dell'Islam sia la strada giusta lo dimostra indirettamente un proclama dell'attuale capo di Al Qaeda, Al Zahawiri, che ha esortato qualche mese fa i tunisini a rivoltarsi contro "il governo del falso Islam".
Molti analisti internazionali hanno trovato affinita' di approccio politico tra l'Ennahda tunisino ed il "Partito per la Giustizia e lo Sviluppo" (AKP) turco di Recep Tayyip Erdogan. Entrambe le formazioni sono portatrici di un Islam moderato, entrambe sono arrivate al potere sostituendo regimi laici e con presenze militari, entrambe sono favorevoli al multipartitismo, entrambi i Paesi sono proiettati verso l'Occidente, entrambi i leader sono pragmatici, inclini al compromesso e alla tolleranza.
Lo stesso Ghannouchi, nei suoi interventi pubblici, ha fatto spesso riferimento a Erdogan ed al modello turco.
Comunque le specificita' dei due Paesi rimangono. Partono da due vicende politiche diverse, hanno alle spalle storie diverse, le societa' nazionali sono diversamente strutturate, i tunisini non debbono confrontarsi con l'ingerenza dei militari come capita quotidianamente a Erdogan, hanno diverse priorita' in politica estera e sono inseriti contesti regionali con cui devono confrontarsi diversi.
In questo percorso virtuoso verso la democrazia (percorso che si dovrebbe completare il 23 giugno del 2013 con le elezioni del nuovo Parlamento e del Presidente) la Tunisia recita il ruolo di battistrada nei confronti di altri Paesi investiti dalla cosiddetta Primavera Araba. Costituisce quindi un esempio, peraltro positivo, che potrebbe aiutare altre nazioni a raggiungere lo stesso traguardo. A fattor comune con molte altre realta' nazionali arabe e' il ruolo dell'Islam politico che pero' ha trovato in Ghannouchi un oculato interprete politico di questo connubio tra religione e impegno pubblico. Purtroppo, nel contesto mediorientale, altri esponenti politico-religiosi come Ghannouchi non se ne intravedono.
Il Presidente Zine el Abidine Ben Ali, ex Capo dei Servizi segreti, era salito al potere come Presidente dal 7 novembre 1987. Un colpo di Stato aveva defenestrato due anni prima Habib Bourghiba, il fondatore della patria (con lui la Tunisia era riuscita ad ottenere l'indipendenza dalla Francia il 25 marzo 1956) oramai malato e colpito da primi sintomi di demenza senile. Ben Ali affronta inizialmente la rivolta con minacce di intervento armato, accusa i mass media stranieri, promette dure sanzioni ai rivoltosi. Lo fa comparendo piu' volte alla televisione di Stato dove lancia proclami e moniti.
Ben Ali ha sempre gestito il suo potere in modo assoluto, come ogni dittatore, e con mano pesante. Ha nel tempo represso ogni forma di dissidenza e di opposizione. Non conosce nel suo repertorio altri metodi per affrontare la piazza. Il suo maggiore oppositore, Rashid Ghannouchi, un islamico gia' condannato a morte da Bourghiba (per un presunto tentativo di colpo di stato) e poi graziato, fondatore di un partito poi messo all'indice, era stato costretto a scappare e a vivere in esilio a Londra.
Ben Ali si era cosi' assicurato le benemerenze del mondo occidentale per aver combattuto il fondamentalismo islamico, mentre nessuno poneva la dovuta attenzione agli abusi del suo regime e, nel contempo, si curava del fatto che il Presidente governasse il suo Paese con i metodi tipici di una dittatura. Ben Ali aveva peraltro frequentato corsi militari in Francia (scuola di artiglieria a Chalon sur Marne), scuole militari e di intelligence negli U.S.A. (Scuola di artiglieria contraerea in Texas, corso di senior intelligence in Maryland), era arrivato al potere con la benedizione ed il sostegno del governo italiano (Primo Ministro Craxi, capo del SISMI, l'Ammiraglio Fulvio Martini), aveva fatto l'addetto militare in Marocco e Spagna, era stato ambasciatore in Polonia. Era, nei fatti, una garanzia.
Ben Ali era quindi un tiranno odiato dalla sua gente. Peggio di lui faceva la moglie, Leila Trabelsi, che godeva di una pessima reputazione. Il suo clan familiare era accusato di corruzione e di appropriazione di fondi pubblici. Proveniente da una famiglia di basso lignaggio (Leila esercitava la professione di parrucchiera prima di incontrare Ben Ali e di sposarlo nel 1992), cultura alquanto limitata, con il matrimonio la sua famiglia si era da subito dedicata all'arricchimento piu' o meno lecito. Circondata da 10 tra fratelli e sorelle, non c'era affare di particolare appetibilita' finanziaria che non passasse per i Trabelsi. Lei stessa ostentava una vita lussuosa ed atteggiamenti sprezzanti. La forte differenza di eta' (lui nato nel settembre del 1936; lei nell'ottobre del 1956) rendeva particolarmente efficace la sua presa ed influenza sulle decisioni del marito.

Zine el Abidine Ben Ali
Dopo le minacce contro i manifestanti, rendendosi conto dell'ampiezza e determinazione della protesta, Ben Ali ricompare in televisione utilizzando toni piu' moderati. Promette riforme istituzionali, maggiori liberta' individuali, l'utilizzo di internet senza restrizioni, ma soprattutto promette di non ricandidarsi nel 2014 (con una riforma costituzionale del 2002 il suo mandato poteva essere rinnovato - senza limiti temporali - all'infinito).
Ma le sue profferte non servono a niente e le proteste continuano: il 14 gennaio 2011 con la moglie e tre figli se ne scappa in Arabia Saudita. Aveva inizialmente tentato di ottenere il diritto di asilo in Francia, ma gli era stato rifiutato. Lascia dietro di se' un'ondata di violenze che in meno di un mese aveva causato circa 200/250 morti tra i manifestanti disarmati nelle strade.
Ma la sua partenza non pone fine alla repressione: le milizie fedeli al regime continueranno a sparare causando morti, feriti e dedicandosi con sistematicita' ad abusi e torture.
Il 15 gennaio Fouad Mebazaa, un vecchio personaggio legato soprattutto alla lotta per l'indipendenza ed al periodo di Bourghiba con lungo pedigree di incarichi ministeriali e diplomatici, viene nominato Presidente della Repubblica ad interim (incarico che manterra' fino al 12 dicembre 2011).
Il 17 gennaio 2011 viene formato un governo di unita' nazionale che comprende personaggi del vecchio regime ed esponenti dell'opposizione. L'esperimento non ha successo: 5 ministri presentano subito le dimissioni.
Nel Paese continua l'opera di smantellamento del vecchio regime: spariscono i ritratti dell'ex presidente dalle strade, la televisione di stato cambia nome (la "Tunisie 7" - il numero ricordava la data della sua presa di potere - diventa adesso solo "Television Tunisie'nne" ), i nomi toponomastici delle strade associati al dittatore vengono cambiati.
Il 30 gennaio tornera' in patria Rachid Ghannouci dopo un esilio durato 22 anni passato tra Algeri e Londra. Una folla acclamante lo aspetta all'aeroporto.

Rachid Ghannouchi
Le autorita' tunisine spiccano un mandato internazionale di arresto per Ben Ali e sua moglie. Le accuse: alto tradimento, riciclaggio, appropriazione indebita dei beni dello Stato. Ben Ali viene accusato di avere trasferito all'estero fondi, nonche' aver effettuato investimenti immobiliari, per una cifra intorno ai 5 miliardi di euro durante i 23 anni del suo mandato presidenziale.
Il "Rassemblement Costitutionnel democratique" (R.C.D.), partito di regime (erede del vecchio Partito Desturiano Socialista di Bourghiba), viene sospeso il 6 febbraio 2011 e poi sciolto il mese successivo (9 marzo).
La situazione sociale rimane ancora molto critica, molti giovani tunisini tentano l'immigrazione clandestina, via mare, verso l'Italia. Il 27 febbraio incominciano ad arrivare ondate di clandestini a Lampedusa a bordo di natanti partiti dalla Tunisia, un esodo che fa proclamare all'Italia lo stato di emergenza umanitaria.
Le manifestazioni per le strade non si placano ed il Primo Ministro Mohamed Ghannouchi rassegna le dimissioni sempre il 27 febbraio (moriranno quel giorno 5 manifestanti). Personaggio del vecchio regime, membro dell'R.C.D. (partito da cui si dimettera' nel gennaio 2011), piu' volte ministro sotto Ben Ali (Ministro delle Finanze dal 1989 al 1992 per poi passare, fino al 1999, alla guida del dicastero della Cooperazione internazionale e degli Investimenti esteri e con una successiva parentesi come Premier) era stato incaricato, dopo la fuga di Ben Ali, di guidare (affiancato da un direttorio di 6 persone) la transizione democratica e la pacificazione nazionale. Ma il personaggio non e' gradito alla gente, troppo compromesso con il vecchio regime, etichettato, a livello popolare, come " M. Oui Oui" per la sua acquiescenza verso il dittatore.
Al suo posto subentra Beji Caid Essebsi, un anziano avvocato (nato nel 1926) ed uno dei primi consiglieri di Buorghiba, piu' volte ministro (Ministro dell'Interno dal 1965 al 1969, Ministro degli Esteri dal 1981 al 1986) e Presidente del Parlamento (1990/1991). Dopo il colpo di Stato di Ben Ali era stato ambasciatore in Germania e nel 1994 aveva abbandonato il Parlamento per ritirarsi a vita privata. Il tentativo e' sempre lo stesso: facilitare una transizione democratica nel Paese. Ed il personaggio, proprio perche' meno legato al passato regime, risulta piu' gradito alla popolazione.
Il 3 marzo 2011 il Presidente Mebazaa ufficializza la tenuta delle elezioni parlamentari per la nomina di un'Assemblea costituente (composta da 217 membri) da tenersi il 24 luglio. Ma questa data verra' poi spostata al 23 ottobre per delle difficolta' nella compilazione delle liste elettorali.
Il 20 giugno 2011 Ben Ali e la moglie Leila, dopo un processo alquanto sommario basato su un vecchio codice tunisino e senza possibilita' di difesa da parte degli imputati, ricevono una prima condanna in contumacia a 35 anni per furto e appropriazione indebita di soldi e gioielli. Altri processi paralleli si svolgeranno nei confronti di altri personaggi della famiglia Trabelsi, anche se, in contemporanea con la fuga di Ben Ali, molti familiari di Leila erano gia' scappati all'estero (Francia, Qatar, Arabia Saudita, Canada). Alla fine Ben Ali assommera' in totale 66 anni di carcere dopo ulteriori provvedimenti giudiziari. La moglie viene nel frattempo accreditata di un tentativo di suicidio.
Intanto proseguono sempre le manifestazioni e le proteste con ininterrotta intensita': il 17 luglio 2011 vengono attaccati edifici pubblici e stazioni di polizia: 4 agenti rimangono feriti. Il giorno dopo un bambino di 14 anni rimarra' ucciso da un colpo vagante nei pressi di Sidi Bouzid dopo ripetuti scontri tra la polizia ed i manifestanti.
Una grossa manifestazione avverra' l'8 agosto 2011 per impedire ai dirigenti del vecchio regime di rientrare in politica ed il 2 settembre viene imposto il coprifuoco in diverse aree del Paese a seguito di continui scontri e proteste. Una ragazzina di 17 anni morira' e ci saranno svariati feriti.
Ma nonostante tutto il processo di democratizzazione va avanti. Il 23 ottobre 2011 si tengono le elezioni per l'Assemblea costituente con una forte partecipazione popolare. Votera' oltre il 90% degli aventi diritto. E' il primo frutto di un risveglio sociale abbinato al desiderio di cambiamento. Era dal 1956 che non si votava nel Paese.
Le elezioni avverranno con la presenza di 500 osservatori stranieri, le accuse di brogli sono limitate e quindi la circostanza conferma sostanzialmente la regolarita' delle votazioni. I parlamentari vengono eletti con il sistema proporzionale.
Vince il partito islamico moderato di Ghannouchi Ennahda ("la rinascita") che con oltre 1.500.000 preferenze su oltre 4 milioni di votanti ottiene 89 seggi su 217. Seguiranno:
- Il "Congresso per la Repubblica", un partito laico di centro-sinistra, con 29 seggi
- La "Petizione Popolare per la liberta', la giustizia e lo sviluppo" (Aridha Chaabia in arabo), una formazione populista creata solo qualche mese prima da un uomo d'affari residente a Londra che otterra' 27 seggi (poi ridotti a 19 per irregolarita' finanziarie)
- Il "Foro Democratico per il lavoro e le liberta'" (Ettakatol) di ispirazione socialdemocratica che avra' 20 seggi
Infine si piazza con 16 seggi il "Partito Democratico Progressista" (formazione laica di centro) poi una serie di formazioni minori.
Il 22 novembre 2011 i 3 maggiori partiti si accordano sulla spartizione degli incarichi: Hamadi Jebali di Ennahda diventa Primo Ministro, Moncef Marzouki del Congresso per la Repubblica diventa Presidente della Repubblica e Mustafa ben Jaafar dell'Ettakatol viene nominato Presidente dell'Assemblea costituente. Aderiranno al governo anche alcuni indipendenti.
Rimangono pero' ancora da risolvere i grossi problemi che affliggono il Paese: corruzione, disoccupazione, ordine pubblico. Manifestazioni e contro-manifestazioni si susseguono per le strade di Tunisi. L'Assemblea costituente il 10 dicembre 2011 adotta una Costituzione provvisoria ("legge sull'organizzazione provvisoria dei poteri pubblici") e due giorni dopo Marzouki viene confermato come primo Presidente eletto del Paese. Quest'ultimo dara' mandato a Ennahda, nella persona di Hamadi Jebali, di formare entro 3 settimane un nuovo governo. Il primo febbraio 2012 Habib Khedher verra' nominato responsabile per la redazione della nuova Costituzione ed il 14 febbraio 2012 saranno poi nominate 6 Commissioni proprio per questa incombenza.

LA SITUAZIONE ATTUALE
Il processo di democratizzazione della Tunisia non si e' ancora completato. Non si e' completata la riforma costituzionale che procede in modo accidentato ogni qual volta si cerca di limitarne l'approccio libertario con l'inclusione di norme islamiche (un emendamento di Ennadha di introdurre la Sharia il 3 marzo poi ritirato il 26 marzo, una proposta che attribuisce alla donna un ruolo complementare a quello dell'uomo presentata il 6 agosto e poi ritirata sull'onda di proteste il 28 settembre).
Non sono neanche finite le manifestazioni e proteste che ciclicamente si verificano nel Paese perche' non e' stata superata la crisi economica che comporta alti tassi di disoccupazione, specie giovanile. Fenomeni sociali come la corruzione non sono stati ancora debellati.
Allora viene ovvio domandarsi dove possono trovarsi quegli elementi positivi che fanno sperare che il caso Tunisia sia comunque da considerarsi uno degli esempi piu' riusciti della Primavera Araba.
Intanto vale sottolineare che ogni trapasso tra una dittatura ed una nascente democrazia non e' mai indolore. C'e' chi vince e chi perde, c'e' un potere che si trasferisce in mani diverse, equilibri e rapporti di forza che cambiano, gli abusi che vengono perpetrati da chi non hai mai goduto di liberta' e non ne apprezza i limiti, istituzioni e strutture statali che collassano e che non trovano subito adeguato rimpiazzo, caos sociale. Da tutto questo non se ne esce se non dopo un adeguato periodo di transizione perche' le modifiche in essere non riguardano solo le strutture, le formule politiche, gli apparati dello Stato, ma anche gli uomini che sono preposti a realizzarle.
Ci sono uomini che passano da relazioni e comportamenti sociali in un contesto autoritario e dispotico ad un'altra modalita' di inter-relazioni basate sul consenso, sull'importanza dell'opinione pubblica, sul non-uso della forza e sul dialogo. Poi ci sono uomini che vengono da fuori, che nella vita precedente avevano recitato un ruolo di opposizione illegale, sono portatori di nuove esperienze, che adesso si confrontano con nuove responsabilita'. Ed e', senza andare lontano, il caso di Rashid Ghannouci.
La strada che porta alla democrazia e' sempre lunga, segue percorsi tortuosi perche' non solo deve cambiare le cose, ma deve anche cambiare le menti. Ed un'elezione popolare nel 2011, la seconda dopo oltre 55 anni, non puo' costituire elemento probante di un comune denominatore della politica di un Paese, ma deve essere significativa proprio come evento in se' stesso. Occorre il tempo perche' anche il senso civico degli aventi causa faccia il suo corso.
Fatta questa premessa e' bene sottolineare quel che di positivo si ritiene ci sia nell'esperienza tunisina:
- il caso Ghannouci
la sua prima esperienza politica la fa sotto Bourghiba. Fonda un partito di ispirazione islamica nel 1981 dopo precedenti infatuazioni politiche per il nasserismo il "Movimento di Tendenza Islamica" (Harakat al Ittijad al islami ). Viene arrestato e condannato a 7 anni di prigione. Viene liberato nel 1984 e arrestato nuovamente nel 1987. Questa volta la condanna e' a vita per un presunto tentativo di colpo di Stato. Torna in liberta' con l'avvento di Ben Ali e fonda Ennahda, ma dopo pochi anni e' costretto a rifugiarsi all'estero. Viene accusato dalle autorita' tunisine di essere a capo di una formazione terroristica e come tale viene considerato in buona parte del mondo occidentale.
Ha un curriculum che potrebbe portarlo, dopo il suo rientro in patria, ad un atteggiamento di rivalsa verso il regime e/o l'Occidente ed a posizioni estremistiche sia in politica che nella religione. Non lo fara' nemmeno di fronte ad un risultato elettorale che non solo lo legittima alla guida del Paese, ma gli concederebbe il potere politico per farlo. Da simbolo della resistenza alla dittatura, diventa invece uomo del dialogo. Si accorda subito con altri partiti laici dell'Assemblea per favorire una transizione democratica nel Paese. Non si oppone neanche, nel primo periodo delle rivolte, affinche' personaggi alquanto collusi col precedente regime occupino temporaneamente incarichi pubblici. Il suo Islam politico e' moderato. Predica la tolleranza e lo dimostrera' quando nella commissione incaricata di redigere la nuova Costituzione si votera' per il mantenimento dell'articolo 1 cosi' come era stato formulato da Bourghiba nel 1959: " La Tunisia e' uno Stato libero, sovrano, che ha l'Islam come religione di Stato, l'arabo come lingua ufficiale ed e' una repubblica" (in realta' un tentativo abortito di introdurre la Sharia da parte di Ennadha c'era stato, come precedentemente segnalato, soprattutto per coprirsi politicamente dalle idee estremistiche dei salafiti). L'impostazione laica dei precedenti regimi viene sostanzialmente confermata. Gannouchi sa che la societa' tunisina ha fortemente assimilato questi concetti di laicita', sa che il turismo e' una delle fonti di maggiore risorse finanziarie del Paese. Sa anche che la rivoluzione contro Ben Ali non l'ha iniziata Ennahda, ne' e' stata ispirata da istanze religiose. E' stato il popolo a cacciare Ben Ali, non un'idea religiosa. Accetta quindi indirettamente che altre istanze sociali siano rappresentate in questo cambiamento politico. Ghannouci sa che oggi e' anche legittimato dai suoi trascorsi politici (ma non e' il solo che puo' contare su questo pedigree) e dal fatto contingente che il suo partito gode di un'ampia simpatia per le sue iniziative filantropiche, ma sa anche che la Tunisia deve guardare avanti.
- Il ruolo delle Forze Armate
Le Forze Armate in Tunisia non hanno mai costituito, come nel vicino Egitto o in Algeria, fulcro centrale del potere politico. Nel momento della rivoluzione i vertici militari si sono tenuti fuori dalle contese politiche ed i soldati sono rimasti nelle caserme. Altrettanto hanno fatto le Forze di sicurezza, salvo un iniziale sostegno a Ben Ali fino al momento della sua fuga. Questa circostanza ha permesso il progredire della transizione democratica senza particolari spargimenti di sangue.
- Il programma di Ennahda
Ennahda si e' modulato sul pragmatismo del suo leader.
Il partito di Ghannouci ha vinto non solo perche' l'Islam e' e rimane, come dimostrato da identiche vicende in altri Paesi arabi, l'unico elemento identificativo delle popolazioni di questa parte di mondo. E' arrivato al potere democraticamente e democraticamente porta avanti il suo programma nella consapevolezza che nel Paese esistono altre importanti istanze politiche laiche. Il messaggio con cui Ennahda ha vinto le elezioni e' semplice : integrita' e onesta', valori musulmani. Un Islam come garanzia di moralita'.
In altre parole, combina da un lato tradizione e innovazione e pone l'attenzione su quelli che sono i mali endemici del Paese (corruzione, disparita' sociali, lotta alle lobby finanziarie, disoccupazione, clientelismo). Il partito non si e' arroccato sulla rendita di posizione che poteva derivargli da un appeal religioso, non ha fatto sfoggio di sola retorica, ma si e' voluto subito confrontare con i problemi di tutti i giorni. Lo ha fatto potendo contare su un'organizzazione capillare (comitati di quartiere, associazioni caritatevoli , contatti strette con le moschee) che altre formazioni non avevano e quindi con una catena di trasmissione diretta tra le istanze sociali del popolo e il conseguente programma politico. Inoltre, elemento non irrilevante, Ennahda ha potuto contare su rilevanti finanziamenti provenienti dai Paesi del Golfo.
Ennahda si e' posizionato nel contesto politico tunisino non come un partito in contrapposizione ad altre idee, ma ha saputo subito assimilare sia il nazionalismo laico di Bourghiba sia le istanze riformiste e di modernizzazione che sono prevalenti nella popolazione. Riguardo ai diritti delle donne, Ennahda e' stato chiaro nel ribadire la loro libera scelta nell'indossare o meno il velo, ma soprattutto non e' stato abrogato il diritto al divorzio, introdotto dal codice di famiglia di ispirazione laica del 1959.
Sul piano economico Ennahda e' si' favorevole ad una economia di mercato ma intende aggiungervi un sistema di solidarieta' sociale. Una qualsivoglia forma di socialismo musulmano. Ogni trattato internazionale pre-esistente e' stato confermato.
- Il percorso democratico della Tunisia
La Tunisia ha scelto, come iter per raggiungere e completare un processo democratico, la creazione di una Assemblea costituente. In questo e' stata imitata dalla Libia. Sotto questo aspetto quindi Tunisi potrebbe costituire esempio per altri Paesi. Non si e' limitata ad avvicendare una dirigenza con un'altra, ma intende modificare una impalcatura istituzionale proiettandosi nel futuro.
IL RUOLO DEI SALAFITI
I salafiti tunisini rappresentano, in Tunisia cosi' come altrove, un pericolo potenziale per la democratizzazione del Paese ed ultimamente violenze sociali ed episodi di intolleranza da parte di formazioni islamiche estremiste sono aumentate. Questo si verifica soprattutto perche' il posizionamento di Ennahda verso un Islam moderato fornisce al fondamentalismo islamico molto spazio politico.
E' pur vero che le frange piu' radicali di questo movimento si sono piu' volte distinte per manifestazioni violente, cortei di protesta, incursioni nelle universita' ed altro, ma e' altrettanto vero che la Tunisia viene da una lunga esperienza di laicita' con correlate liberta', emancipazioni di genere, leggi sociali egualitarie.
I salafiti nel contesto politico tunisino oggi non superano i 10.000/15.000 adepti (quindi numericamente non rilevanti) e sono divisi soprattutto tra "Hezb al Tahrir", una formazione fuorilegge ma comunque tollerata, che predica l'instaurazione di un califfato e la stretta applicazione della sharia, ed il Fronte della Riforma ("Al Islah"), guidato da Mohammed Khoja, autorizzato dal Ministero dell'Interno ad operare legalmente l'11 maggio 2011 (e per dare un senso al proliferare delle istanze democratiche del Paese, Al Islah era la 118ma formazione politica autorizzata).
Ma alcune intemperanze (aggressioni verso le donne, proibizione dell'uso dell'alcol, discorsi e sermoni estremisti dei loro leader, antisemitismo dichiarato) hanno forse dato a queste frange politiche un interesse mediatico sicuramente superiore al loro peso nel panorama politico tunisino. L'attacco all'ambasciata americana di Tunisi il 14 settembre 2012 da parte di un'altra formazione estremista islamica, la "Ansar al sharia" guidata da Seif Allah ibn Hussein, noto anche con il nome di Abu Iyad, e' un campanello di allarme di un equilibrio instabile in cui si manifesta l'Islam, non solo come religione, ma anche come politica. Quindi non solo un problema della Tunisia, che forse piu' di altre nazioni e' in grado di esorcizzare o metabolizzare questo fenomeno con un approccio democratico e nel contempo pragmatico, ma di tutto il mondo arabo.

LE SFIDE DEL FUTURO
A a fronte a qualche iniziale vittoria, alla Tunisia rimangono ancora molte sfide da vincere. Un percorso ancora lungo e difficile.
La prima vittoria e' stata quella di rendere operante una democrazia attraverso un voto popolare. E sicuramente non e' poco in questa parte di mondo.
La seconda vittoria e' stata quella di integrare in questo processo di democratizzazione tutte le diverse istanze della societa'.
La terza vittoria e' stata quella di avere raggiunto questi obiettivi, sicuramente con difficolta' e disordini sociali, ma senza eccessivi ed indiscriminati spargimenti di sangue.
Rimangono ancora delle grosse sfide davanti alla nuova dirigenza tunisina : l'approvazione della nuova Costituzione, la riforma del sistema giudiziario, la lotta alla corruzione e al clientelismo, dare impulso all'economia, ridurre la disoccupazione, combattere la poverta' soprattutto nelle regioni interne del Paese, creare una maggiore giustizia sociale, ricostruire gli apparati di sicurezza, rinnovare completamente la classe dirigente del Paese dando spazio ai giovani, ricostruire e/o costruire le istituzioni democratiche, far si' che il rispetto dei diritti umani non sia piu' un evento episodico ma sistematico, eliminare arresti indiscriminati e torture che hanno rappresentato il modus operandi delle autorita' del Paese sia con Bourghiba che con Ben Ali, dare piu' sicurezza al Paese anche di fronte alle turbolenze sociali nei Paesi vicini (e' il caso della Libia e dei suoi profughi che tuttora stazionano sul territorio tunisino), no alle malversazioni, repressioni e soprusi tanto ricorrenti nel precedente regime ( in altre parole no al dispotismo), no alla diffusione del terrorismo (in febbraio con una operazione di polizia era stata smantellata una cellula di Al Qaeda nel paese).
Da' speranza lo spirito di moderazione e di inclusione sociale che sta accompagnando questo percorso democratico. Ed e' un merito che va ascritto a tanti attori sociali. Ma la lotta tra i cosiddetti "modernisti" e gli islamisti" e' ancora in atto.
Che il percorso democratico assecondato da una ispirazione moderata dell'Islam sia la strada giusta lo dimostra indirettamente un proclama dell'attuale capo di Al Qaeda, Al Zahawiri, che ha esortato qualche mese fa i tunisini a rivoltarsi contro "il governo del falso Islam".
Molti analisti internazionali hanno trovato affinita' di approccio politico tra l'Ennahda tunisino ed il "Partito per la Giustizia e lo Sviluppo" (AKP) turco di Recep Tayyip Erdogan. Entrambe le formazioni sono portatrici di un Islam moderato, entrambe sono arrivate al potere sostituendo regimi laici e con presenze militari, entrambe sono favorevoli al multipartitismo, entrambi i Paesi sono proiettati verso l'Occidente, entrambi i leader sono pragmatici, inclini al compromesso e alla tolleranza.
Lo stesso Ghannouchi, nei suoi interventi pubblici, ha fatto spesso riferimento a Erdogan ed al modello turco.
Comunque le specificita' dei due Paesi rimangono. Partono da due vicende politiche diverse, hanno alle spalle storie diverse, le societa' nazionali sono diversamente strutturate, i tunisini non debbono confrontarsi con l'ingerenza dei militari come capita quotidianamente a Erdogan, hanno diverse priorita' in politica estera e sono inseriti contesti regionali con cui devono confrontarsi diversi.
In questo percorso virtuoso verso la democrazia (percorso che si dovrebbe completare il 23 giugno del 2013 con le elezioni del nuovo Parlamento e del Presidente) la Tunisia recita il ruolo di battistrada nei confronti di altri Paesi investiti dalla cosiddetta Primavera Araba. Costituisce quindi un esempio, peraltro positivo, che potrebbe aiutare altre nazioni a raggiungere lo stesso traguardo. A fattor comune con molte altre realta' nazionali arabe e' il ruolo dell'Islam politico che pero' ha trovato in Ghannouchi un oculato interprete politico di questo connubio tra religione e impegno pubblico. Purtroppo, nel contesto mediorientale, altri esponenti politico-religiosi come Ghannouchi non se ne intravedono.
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