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UN BARLUME DI SPERANZA IN ETIOPIA?


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Oromo scortati via dalle loro terre dall'esercito


Nelle vicende africane compaiono sempre lo stesso tipo di notizie: dittatori che abusano del loro potere o manipolano le Costituzioni per legittimarlo nel tempo, lotte tribali, terrorismo islamico, diritti umani sistematicamente violati, povertà, abusi sociali. Questo può spiegare in quota parte perché quando arrivano notizie di segno opposto, magari almeno potenzialmente non brutte come generalmente ricorre, non abbiano il risalto che meritano.

L’Etiopia è un grande Paese africano, peraltro con una sua prevalente, propria, specificità etnica ed anche a maggioranza cristiana. Qualcosa, quindi, di atipico nel panorama continentale.

Dopo essere stato eletto Presidente del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiopico (EPRDF) il 27 marzo, Abiy Ahmed Ali, un membro dell’etnia Oromo, è diventato ad aprile Primo Ministro cioè l’incarico di maggior peso nel sistema istituzionale del Paese. Abiy Ahmed Ali era già a capo di una formazione partitica etnica all’interno dello stesso EPRDF, l’Oromo Peope’s Democratic Organization (OPDO). Il fatto che egli sia riuscito a diventare Primo Ministro è un fatto di per sé eclatante perché mai nessuno Oromo era mai arrivato così in alto al potere in un Partito che dal 1991 governa incontrastato le vicende etiopi e che sinora era stato egemonizzato dai Tigrini, un altro gruppo etnico.

La storia degli Oromo


Gli Oromo rappresentano in Etiopia il gruppo etnico più numeroso. Su una popolazione di oltre 100 milioni di abitanti, ne rappresentano circa il 35%. Hanno una loro lingua, una loro tradizione e un loro sistema sociale articolato in clan.

Divisi geograficamente tra Etiopia, Somalia e Kenya, al loro interno sono sempre state presenti aspirazioni indipendentistiche che li hanno resi oggetto di strumentalizzazioni nelle faide territoriali tra Etiopia e Somalia. Di conseguenza, anche in Etiopia sono sempre stati in opposizione all’autorità centrale di Addis Abeba.

C’è stata la guerra, condotta a lungo dall’Oromo Liberation Army, braccio armato dell’Oromo Liberation Front, in quota parte supportato dall’Eritrea. Ma la sconfitta militare subita, la dichiarata volontà di abbandonare la lotta armata (anche se nel 2015 è avvenuto un ulteriore attacco a una stazione di polizia etiope) non hanno mai spostato più di tanto l’ostilità degli Oromo contro il regime etiope. Comunque – ed è il dato più significativo – sinora gli Oromo son stati discriminati politicamente, economicamente e culturalmente.

Il tentativo di superare i contrasti

La mossa dell’EPRDF che ha favorito l’assunzione al potere di un Oromo è da considerarsi un gesto distensivo verso una maggiore “democratizzazione” nella spartizione del potere nel Paese. Si cerca cioè di allargare la base del sostegno sociale all’etnia più importante, almeno numericamente, dell’Etiopia. E nell’elezione all’interno del Partito, con 108 voti su 169, il consenso verso Abiy Ahmed lo dimostra.

Non è stata una decisione del tutto spontanea ma anche determinata dalla situazione sociale. Infatti questa stava diventando esplosiva: gli Oromo avevano accusato il regime di ripetute violazioni dei diritti umani, soprusi di polizia favoriti dallo stato di emergenza (arresti indiscriminati, torture, sparizione di persone), accuse alle quali erano seguite manifestazioni e scontri. A tutto questo si dovevano aggiungere altre altre rivendicazioni come una richiesta di riforma agraria, oltre che la discriminazione sociale e politica dell’etnia.

Tutto questo stava determinando l’esodo di migliaia di Oromo verso il Kenya per sfuggire alle persecuzioni. Inizialmente il regime ha usato la mano forte, cercando di schiacciare i disordini con l’intervento armato dell’esercito e della polizia e cercando nel contempo di bloccare internet e mass media affinché le brutalità non venissero diffuse . Inevitabilmente il prezzo di sangue di queste proteste è poi venuto fuori, causando proteste continue sin dal novembre 2015 e un migliaio di morti.


abiy ahmed ali

Abiy Ahmed Ali


La soluzione moderata

Il premier Abiy rappresenta una soluzione moderata a tutto questo: è un Oromo, è elemento di contatto tra manifestanti e organismi di sicurezza, parla correttamente tutte le lingue più importanti del Paese (oromo, aramaico, tigrino) e ha anche il vantaggio, in un Paese dove oltre il 60% della popolazione è cristiana e il 34% musulmana, di avere una madre cristiana (nonché appartenente all’etnia Amara) e un padre musulmano. Abiy ha quindi potenzialmente tutte le credenziali per portare avanti una specie di pace sociale.

Ed è anche un politico astuto, gradito ad entrambe le parti in causa; uomo del dialogo, che gode di un’ottima reputazione a soli 42 anni. Nel suo curriculum figura una carriera militare fino al grado di Tenente Colonnello, la creazione e conduzione di una struttura per la cyber security e l’incarico di Ministro per la Scienza e la Tecnologia.

Tutto questo fa sì che sulla sua nomina vengano adesso riposte molte speranze per una Etiopia più democratica, o almeno con un sistema sociale più inclusivo dove non vengano penalizzate o emarginate alcune etnie.

La sfida economica

Attualmente l’Etiopia è uno dei Paesi africani con il più alto tasso di crescita economica. Negli ultimi dieci anni è cresciuta mediamente del 10% annuo. La sfida è che di questo crescente benessere non vengano esclusi gli Oromo come sinora è normalmente accaduto. Si tratta quindi di portare gli Oromo dalla parte del regime passando soprattutto dal miglioramento delle loro condizioni di vita, mettendo fine alla loro emarginazione sociale ed economica.

E chi più di un Oroma Premier potrà attuare questa circostanza? A livello nazionale, la disoccupazione giovanile è oltre il 17% e rappresenta un’altra piaga sociale da sanare.

Un quadro etnico conflittuale

Sinora il potere in Etiopia lo hanno gestito i tigrini che rappresentano circa il 6% della popolazione etiope. Un potere guadagnato con la lotta contro il regime di Menghistu nel 1991.

L’EPRDF, proprio per annacquare questa prevalenza etnica, è basato su una coalizione di 4 formazioni su base etnica dove, accanto all’OPDO degli Oroma, c’è l’ANDM (Amhara NaTional Democratic Movement) degli Amara (è il secondo gruppo più numeroso del Paese, con circa il 30% della popolazione), i tigrini del Tigrayan People’s Liberation Front (TPLF) e il Southern Ethiopian People Democratic Movement per le etnie del sud.
Abiy eredita una situazione sociale instabile fatta di faide e di contrapposizioni sociali. Il Parlamento attuale, con i suoi 547 seggi, è occupato soprattutto dai tigrini e dall’EPRDF, una circostanza che in un modo o nell’altro dovrà essere cambiata, possibilmente allargando il dialogo politico.

Il predecessore di Abiy, Hailemarian Desalegn, aveva già intrapreso misure di pacificazione sociale rilasciando oppositori e giornalisti incarcerati senza processo o accuse specifiche. Ma poco dopo le sue dimissioni, molti di questi erano stati nuovamente arrestati.


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Hailemarian Desalegn e Barak Obama


Le aspettative prodotte dalla nomina di Abiy

La prima aspettativa, richiesta da ampi strati della popolazione, è che il Paese si avvii verso una democratizzazione del suo sistema sociale e politico. E’ una spinta che viene soprattutto dalle generazioni più giovani che, sotto questo aspetto ripongono molta fiducia nel neo-Premier.

C'è una forte voglia di cambiamento e questo può avvenire solo attraverso una serie di riforme del sistema istituzionale. Sotto questo aspetto, il problema più rilevante è la disponibilità o meno dell’apparato militare e di intelligence (quasi tutto in mano ai tigrini del TPLF) che sinora ha guidato le sorti del Paese.

Ma c'è anche chi ritiene che un personaggio comunque colluso con il potere come Abiy non abbia le caratteristiche di chi si possa erigere a riformatore di un sistema che lo ha sinora favorito. Dopotutto, Abiy è membro del OPDO dalla fine degli anni ‘80.

I suoi trascorsi a capo della Information Network Security Agency, un organismo dedicato ufficialmente alla Cyber security ma anche impegnato nel controllo degli oppositori in patria e all’estero è un altro indizio che l’uomo sia fortemente compromesso nel sistema di potere.

La capacità di un Premier Oromo di realizzare una pace sociale passa, in prima istanza, dalla cancellazione dello stato di emergenza che rappresenta il principale strumento che permette al regime di perpetrare abusi e limitare le libertà individuali. Lo stato di emergenza era stato proclamato subito dopo le dimissioni di Desalegn, forse nel paventato timore che un vuoto di potere potesse alimentare ulteriori tensioni sociali.

Lo stesso Desalegn aveva lasciato il suo incarico, o meglio, era stato costretto a lasciarlo il 15 febbraio perché ritenuto troppo debole nella gestione dell’ordine pubblico. Quindi c’è da aspettarsi che lo stato di emergenza rimanga in atto fintanto che Abiy non sia in grado di dimostrare che non ce ne sia più bisogno. Non una merce di scambio ma una forma di tutela per il regime e che si presterebbe a una concessione solo di fronte a circostanze e garanzie ben chiare.

Un futuro incerto

La crisi politica etiope può avere forti ripercussioni anche nel contesto africano e del corno d’Africa. E’ il secondo paese più popoloso del continente e sede dei maggiori organismi continentali, oltre a essere una potenza economica e militare nell’area: lo è anche grazie alla convivenza tra cristiani e musulmani e alla sua grande estensione territoriale.
Una Etiopia destabilizzata può avere ripercussioni sulla questione somala, sui rapporti con l’Eritrea, sui rapporti con l’Egitto nel contenzioso sulla diga sul Nilo tra il nord e il sud del Sudan.

La strada che dovrà percorrere Abiy per riportare il Paese nella democrazia e nella pace sociale è molto lunga ed anche alquanto difficile. Lui stesso dovrà compendiare il suo ruolo di uomo del regime e di uomo del cambiamento. Due ruoli che rischiano di entrare in collisione. Il dato positivo, quello che suscita aspettative e speranze, è che il regime si è accorto che nei rapporti di forza e nella spartizione del potere qualcosa doveva cambiare.

La inclusione degli Oromo è parte di questo progetto ma rappresenta solo il primo passo nella direzione giusta. Altrettanto dovrà essere fatto nei riguardi degli Amara, dei clan di origine somala dei Welayta e di tutte quelle etnie sinora marginalizzate. Qualche segnale di disgelo è già emerso: recentemente un team del’Oromo Democratic Front, un gruppo politico in esilio a suo tempo staccatosi dall’Oromo Liberation Front, si è recato ad Addis Abeba per negoziare il rientro in patria e la registrazione come partito politico. Ma forse ancora non basta per alimentare troppe speranze.

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