IL CASO DEL GAMBIA. NORMALITA' IN AFRICA

In
un continente come l'Africa il fatto che un Presidente del Gambia
si rifiuti di lasciare il potere dopo 22 anni, nonostante abbia
perso le elezioni, si faccia circondare e proteggere dai militari
per mantenere il potere, poi decida di andarsene quando le truppe
senegalesi incominciano ad entrare nel Paese e, come ultimo atto,
se ne scappi in aereo in un altro paese, non fa notizia più di
tanto.
L'Africa , purtroppo, è piena di dittature, come è piena di
povertà, di diritti umani lesi e di corruzione. Yahya Jammeh, ex
presidente del Gambia è quindi la regola e non l'eccezione. In
Africa è più facile elencare le poche democrazie che esistono che
non la stragrande maggioranza di dittature.
Tutti o quasi tutti arrivano al potere con la forza o con elezioni
più o meno manipolate, più o meno "democratiche", e poi quando il
cosiddetto mandato scade, si rifiutano di andarsene. Talvolta, se
è necessario a dare una forma di legittimità per giustificare il
potere, viene cambiata la Costituzione.
La gente protesta? Interviene pesantemente l'esercito e/o i
Servizi di sicurezza, gli oppositori vengono incarcerati o uccisi,
la rivolta viene schiacciata nel sangue.
Ma il caso del Gambia è ancor più emblematico. Va oltre ogni più
fervida fantasia.
La cacciata di Jammeh
Jammeh perde le elezioni il primo dicembre scorso e rifiuta di
andarsene. D'altronde è stato al potere solo 22 anni. Incomincia,
come da manuale consolidato, la repressione.
C'è rischio di una guerra civile? Non è un problema etico per
Jammeh. Anzi, il suo potere sta proprio nella forza delle armi e
quindi, se dal consenso che non ha avuto si passa alla guerra, lui
non ha problemi. Saranno l'esercito ed i suoi pretoriani a
legittimare il suo potere.
Poi lui ha idee chiare sul futuro: vuole creare una repubblica
islamica (forse pensando che buttandola sul religioso si crei
consenso o legittimazione), vuole uscire dal Commonwealth (sa che
gli inglesi potrebbero ostacolare le sue pretese).
Ma il Gambia è un piccolo e povero paese, circondato da tutti i
lati dal Senegal. Quindi le autorità di Dakar, che sponsorizzano
il candidato presidenziale vincitore delle elezioni (il quale è
scappato proprio in Senegal per non essere ucciso), Adama Barrow,
impongono a Jammeh di andarsene. A quel punto Barrow ha già
giurato come presidente a Dakar. Non lo ha potuto fare a Banjul
perché gli uomini di Jammeh lo avrebbero eliminato.
Non è facile convincere Jammeh, fa resistenza, ha l'esercito che
lo protegge ma niente può fare contro l'esercito del Senegal. I
suoi 1000 soldati, a cui aggiungere dei mercenari africani, niente
possono fare contro i 19000 militari dell'ingombrante vicino.

Yahya Jammeh
Le mediazioni
Ma in Africa, anche di fronte ad un indiscutibile abuso di potere,
ad un personaggio autocratico e corrotto, come i tanti che si
arricchiscono nel continente - Jammeh è solo un piccolo caso e
senz'altro non dei peggiori - iniziano subito le mediazioni.
Non si passa alla cacciata dell'usurpatore ma si negozia, si cerca
una soluzione indolore, specie a favore del defenestrando.
Media Alpha Condè della Guinea Conakry, che comunque è uno dei
pochi capi di Stato legittimi in Africa. Ha vinto le elezioni nel
2010 dopo una lunga dittatura, ha subito un tentativo di
assassinio in un colpo di stato militare fallito, ha rivinto le
elezioni nel 2015. E' stato accusato - è vero - di avere
manipolato i risultati elettorali, ma questo nel continente è un
peccato veniale. Anzi non è un peccato ma una abitudine. Condè
media perché è uno dei Paesi più importanti (dopo il Senegal)
dell'Africa Occidentale. Lo fa per ragioni umanitarie? Lo fa per
impedire un'ennesima catastrofe sociale? Forse per entrambe le
cose. Comunque media.
Media anche il Presidente/generale Ould Abdel Aziz della
Mauritania. E' uno che se ne intende di colpi di Stato. Forse
mette nella mediazione le sue esperienze di settore. Aveva già
partecipato ad un colpo di stato nel 2005 sostenendo il potere di
Sidi Mohammed Ould Cheych Abdallahi contro un precedente
dittatore. Poi i rapporti tra Abdallahi e Abdel Aziz si erano
deteriorati. Quindi un colpo stato tutto suo nell'agosto del 2008.
D'altronde in Mauritania il potere passa storicamente solo da un
colpo di stato all'altro. Certo all'inizio del suo potere, Abdel
Aziz aveva avuto l'opposizione dell'African Union che sembrava non
gradire avvicendamenti di potere turbolenti, ma aveva trovato un
grosso sponsor in Gheddafi che allora era Presidente, in regime di
rotazione annuale come prevede l'organismo, dell'African Union.
Con la benevolenza e compiacenza del dittatore libico, il
dittatore mauritano veniva riabilitato e forse per questo pensa,
adesso, di spendere qualche iniziativa a protezione del collega
gambiano Jammeh.
Ma le mediazioni non finiscono. Tutti nell'Africa Occidentale
sentono la necessità di trovare una soluzione pacifica alla
questione gambiana. Ci si mette nel mezzo anche l'ECOWAS (La
Comunità Economica dell'Africa Occidentale che raccoglie 15 paesi
della regione). Non viene imposto a Jammeh di alzarsi ed
andarsene, si fanno offerte per convincerlo, dargli garanzia per
una uscita onorevole e senza rischi dal Paese.
Se ne deve andare , certo, ma potrà tornare nel Paese liberamente
e senza restrizioni se lo desidera. Potrebbe, se lo volesse, anche
ripresentarsi come candidato alle prossime elezioni presidenziali.
Garantisce l'ECOWAS, garantisce l'African Union, garantisce in un
certo senso anche l'Onu che in una Risoluzione del Consiglio di
Sicurezza appoggia l'ECOWAS e le sue iniziative politiche.
Le garanzie di Jammeh
Jammeh è tranquillizzato da tutte queste garanzie ma non si fida.
Le sue garanzie sono i soldi che si porta dietro. Ripulisce le
casse dello Stato, prelevando, in valuta locale, oro, valuta
straniera oltre 11 milioni di dollari. Sembra poco ma purtroppo il
suo Paese è molto povero e nelle casse statali non c'è altro da
rubare. Crea però i prodromi della bancarotta statale, un
dettaglio che a lui interessa poco. Però è roba che pesa e che
abbisogna di un trasporto speciale.
Ecco che si fa avanti il Presidente del CIAD, Idriss Deby , che
gli manda appositamente un aereo cargo affinché il buon Jammeh
possa caricare le sue personali vettovaglie da trasportare in
esilio.
Deby è al potere dal 1990, defenestrando un precedente dittatore,
Hissene Habré. Ne ha combinate tante Habré che è stato pure
condannato per crimini contro l'umanità. Deby è un dittatore? No,
perché ogni 5 anni lui vince le elezioni presidenziali. Certo, nel
Paese il tasso di corruzione è molto alto, esiste un sistema di
patronato politico per dare lavoro nello Stato che alimenta questa
corruzione. Ogni tanto Deby mette in atto campagne contro la
corruzione (che colpiscono i suoi oppositori e mai i suoi amici).
I suoi metodi nel campo dei diritti umani non sono dei migliori,
ma Deby gode dell'appoggio francese e americano; si infila, per
interessi occidentali, in molte aree di crisi africane (in Mali
affianca le truppe francesi contro i terroristi islamici, nella
Repubblica Centro Africana aiuta il governo contro i ribelli,
lotta contro i Boko Haram, fornendo truppe ad una missione
militare dell'African Union). E' uno utile e quindi gli si perdona
tutto.
Deby manda un cargo e Jammeh ne approfitta. Non solo soldi,
gioielli, lingotti di oro o quanto altro gli occorra per un esilio
dorato, ci carica sopra anche auto di lusso (purtroppo il poco
tempo e il limitato spazio dell'aereo gli impedisce di caricarle
tutte) ma anche gli arredi di lusso del palazzo presidenziale, le
sculture. Tutte cose che gli potranno ricordare in esilio i fasti
dei tempi migliori.
Condè dalla Guinea gli manda l'aereo per trasferirsi altrove, il
Ciad il cargo per portarsi altrove le cose che ha rubato.

Dove trovare rifugio?
A questo punto sarebbe lecito domandarsi dove possa trovare
ospitalità un personaggio come Jammeh che come minimo corre il
rischio di essere processato e condannato da una qualsiasi corte
internazionale.
Ma in Africa le opportunità per personaggi come l'ex presidente
gambiano sono infinite. L'ospitalità, anzi, meglio dire l'asilo
politico, glielo concede subito il Presidente della Guinea
Equatoriale, che è notoriamente uno dei dittatori più efferati del
continente.
Obiang, come presidente, è al potere dall'Agosto del 1979. Potere
conquistato da un colpo di stato militare, alquanto cruento,
contro il Presidente Macias, suo zio, poi condannato a morte e
giustiziato. Anche Macias non era uno stinco di santo. Aveva sulla
coscienza esecuzioni di massa ed eccidi indiscriminati. A quei
tempi la Guinea veniva chiamata la Dachau d'Africa.
Alla fine, l'arrivo di Obiang e l'uccisione di Macias era stata
una svolta positiva per il Paese. Ma Obiang sotto lo zio aveva
fatto esperienza nel settore della violazione dei diritti umani
dirigendo la prigione di Black Beach, dove torture ed esecuzioni
erano all'ordine del giorno. Era stato comunque consenziente o
acquiescente con le efferatezze del parente.
Dopo la morte di Omar Bongo del Gabon (paese confinante) e di
Gheddafi in Libia, Obiang è oggi il più longevo dittatore del
continente. Lo segue a ruota il Presidente dello Zimbabwe, Robert
Mugabe, che è al potere dal 1987. Ma il primato è ancora migliore:
è il Presidente (non di estrazione reale) più a lungo in carica
del mondo.
Se qualcuno si chiedesse come fa un Presidente a rimanere in
carica così a lungo , Obiang risponderebbe che all'occorrenza
basta seguire ed ottenere il consenso popolare. Con le buone o con
le cattive. Obiang ogni 7 anni ottiene la riconferma del suo
mandato presidenziale. Viene eletto con un suffragio che non
scende mai sotto il 93%. Benché dal 1992 esista in Guinea
Equatoriale il multipartitismo, quando lui si presenta candidato
alle elezioni, nessun esponente dell'opposizione fa altrettanto.
Certo le forze di sicurezza del Paese sono alquanto note per
esecuzioni extra-giudiziarie, sparizioni di persone, torture e
detenzioni arbitrarie. Sono solo dettagli irrilevanti. Talvolta -
si dice - il presidente presiederebbe personalmente alle torture.
Obiang nella sua megalomania si sente un Dio sulla terra con
poteri soprannaturali, si fa chiamare "boss", utilizza
all'occorrenza anche il potere della stregoneria. Comunque, a
prescindere da eventuali poteri paranormali o divini, Obiang ha
nelle vicende del paese e sulla vita dei suoi abitanti un potere
assoluto.
Il Presidente della Guinea Equatoriale non ha certo problemi di
coscienza ad ospitare il gambiano Jammeh. Condividono molte idee e
comportamenti in comune.
Obiang è più fortunato perché il suo Paese è ricco di petrolio, ha
accumulato tanta ricchezza che gli 11 milioni di dollari di Jammeh
sono cosa ridicola. Anche perché con un decreto da lui approvato i
soldi dello Stato sono depositati in un conto di cui lui e la sua
famiglia sono intestatari diretti. Non esiste quindi una diversità
tra soldi suoi e dello Stato. Lui è lo Stato. Non meraviglia
quindi che suo figlio sia stato messo recentemente sotto processo
in Francia per corruzione e appropriazione di soldi dello Stato o
che negli USA e Spagna lui ed il figlio siano sotto inchiesta per
gli stessi reati.
La ricchezza petrolifera ha garantito al suo regime di passare
indenne da varie accuse che ciclicamente vengono sollevate nel
campo dei diritti umani. Ha la protezione della Spagna, ex paese
coloniale, l'acquiescenza degli Stati Uniti, la disattenzione
colpevole di molti Paesi del mondo. Anche il Papa lo ha ricevuto
in pompa magna nel 2013.
Un futuro tranquillo per Jammeh
Trasferendosi in Guinea Equatoriale, Yahya Jammeh si è comunque
assicurato un futuro tranquillo e senza pericoli. Avendo 52 anni,
quindi una aspettativa di vita alquanto lunga, potrà ben contare
sulla stabilità del regime guineano. Obiang ha 75 anni ma, come da
tradizione dittatoriale il suo potere - è già stato stabilito -
passerà ai figli.
Se poi qualche organismo internazionale deciderà di mettere l'ex
Presidente del Gambia sul banco degli imputati, la Guinea fornisce
ulteriori garanzie: non ha accettato la giurisdizione della Corte
Penale Internazionale.
Jammeh può essere ampiamente criticato per le sue ruberie, il suo
scarso senso della democrazia, la scarsa sensibilità sui diritti
umani ma una qualità bisogna riconoscerla: la scelta di
trasferirsi in Guinea Equatoriale è sicuramente una scelta
oculata. Anche la Nigeria era pronta a concedergli l'asilo ma lui,
giustamente, si sente più tranquillo a Malabo.
Lascia qualche rimpianto a Banjul ? Sì , quello dei militari che
lo sostenevano e che adesso sono scappati all'arrivo del nuovo
presidente ed in presenza delle truppe senegalesi. Sono scappati
anche i mercenari della Liberia e della Costa D'Avorio che lo
proteggevano.
Purtroppo per il continente e le sue prospettive future, la storia
di Yahya Jammeh non è l'eccezione ma la regola. Eredità di un
colonialismo che non ha insegnato agli africani valori etici o
democrazia? Forse in passato. Ma adesso è anche il momento che
l'Africa si assuma le sue responsabilità, sappia combattere al suo
interno l'ingiustizia sociale e gli abusi autoritari. Sappia nel
contempo perseguire la legalità e condannare ruberie,
arricchimenti illeciti e corruzione.
Gli esempi come quello di Yahya Jammeh non aiutano in tal senso.