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IL FANTASMA DI GHEDDAFI


gheddafi


Nelle vicende libiche si parla di un accordo tra tutte le fazioni armate o politiche che sono state legittimate dalla guerra civile e dalla defenestrazione del regime di Gheddafi. Il problema è che chi invece sosteneva il defunto dittatore libico, le kabile o tribù che lo appoggiavano e che sono state poi perseguitate ed emarginate, è stato anche tenuto fuori da ogni discorso di riconciliazione nazionale. E' come se la pacificazione del Paese riguardasse un accordo tra i vincitori ed escludesse i perdenti.

Sicuramente nella Libia di oggi c'è una scarsa sensibilità sociale verso chi appoggiava Gheddafi. I suoi maggiori esponenti, quelli più compromessi, sono scappati all'estero. La maggioranza si è trasferita in Egitto, altri a Malta, molti nei Paesi del Golfo. Qualcuno si è venduto alla rivoluzione tradendo la sua precedente militanza. Quelli più sfortunati, che sono stati catturati, siedono come imputati in un tribunale di Tripoli che ancora non li ha condannati, come molti vorrebbero, a morte.

A prima vista si potrebbe arrivare alla conclusione che oramai gli ex gheddafiani non contino molto nelle vicende del paese, ma in realtà le cose non stanno così perché il caos sociale che ha prodotto la rivoluzione del 2011 ha alimentato in parte della popolazione libica l'idea che sotto il dittatore forse non si stava poi così male. Almeno non c'era il terrorismo, lo stato funzionava, i servizi sociali erano assicurati e la sicurezza era garantita.

Gheddafi si assicurava il controllo di un Paese territorialmente grande come la Libia attraverso una serie di alleanze, prebende o persecuzioni, con e contro le tribù locali. Era il suo sistema di governo che comunque si dimostrava efficiente. Tra tribù e clan in Libia ci sono più di 140 gruppi. Gheddafi era agevolato dal fatto che lui e la sua tribù (i Qadadfa) erano originari di Sirte e quindi a metà strada tra la Tripolitania e la Cirenaica, le due entità regionali più importanti del Paese. Era comunque anche il tempo in cui i capi e/o anziani avevano il potere di condizionare le scelte del proprio gruppo, avevano voce nelle vicende sociali e politiche del Paese ed erano comunque l'interfaccia tra la propria gente ed il regime. Questa circostanza è adesso molto attenuata dal momento in cui la guerra civile ha rotto equilibri sociali e dato il potere alle milizie armate.

Comunque questo stato di cose alimenta, nell'ambito di chi sosteneva il defunto dittatore, una situazione di frustrazione e rivalsa. E già circolano notizie che ci sia in atto una certa riorganizzazione di tutte quelle personalità e personaggi coinvolti nella precedente dittatura.


Seif al Islam
Seif al Islam


La famiglia di Gheddafi

L'esponente di maggior prestigio a cui fanno riferimento i vecchi sostenitori di Gheddafi è il figlio Seif al Islam, adesso "detenuto" dalle milizie di Zintan, peraltro alleate del Generale Haftar, il capo del cosiddetto "Libyan National Army" della Cirenaica.

A suo tempo Zintan, che aveva catturato il personaggio nel novembre del 2011 mentre scappava dalla Libia verso il Niger, si era rifiutata di consegnarlo alle autorità di Tripoli per essere processato (dove poi è stato successivamente condannato, in contumacia, il 28 luglio 2015 alla fucilazione). I miliziani di Zintan si erano anche rifiutati di consegnarlo alla Corte Penale Internazionale, che ne aveva richiesto l’estradizione per giudicarlo per crimini contro l'umanità. Avevano invece deciso di processarlo loro.
Dallo scorso luglio, anche se il fatto non è stato ufficializzato o pubblicizzato, Seif non è più in stato di detenzione. Continua a vivere a Zintan dove è sufficientemente libero di muoversi e di usare il telefono e sta riallacciando contatti e curando i suoi affari.

Il provvedimento di clemenza si collega giuridicamente ad una amnistia promulgata a Tobruk alla fine del Ramadan, anche se tale clemenza non si riferiva a chi si era macchiato di crimini di guerra. Ma, ovviamente, dietro la decisione di Zintan c'è una motivazione politica ed un risvolto pratico.

La motivazione politica è che comunque, nei ranghi di Haftar e di chi lo appoggia, è fortemente presente la componente di ex gheddafiani che peraltro, risiedendo in gran numero in Egitto, operano con una lobby sulle autorità del Cairo per appoggiare il generale. Lo stesso Haftar era un uomo di Gheddafi e ne condivideva l’approccio autoritario e la discrezionale brutalità nella gestione del potere, anche se poi era entrato in collisione con il defunto dittatore militando e combattendolo nell'opposizione. La loro era una convergenza politica ma anche culturale.

Sul piano pratico, nei rapporti di forza tra le milizie che si stanno confrontando e combattendo sul suolo libico, avere dalla propria parte un Gheddafi vuol dire avere anche le kabile che a suo tempo sostenevano Gheddafi, e che ora sono emarginate, come i Warfalla - una delle maggiori tribù del Paese, a suo tempo la meglio armata, ben presente sia in Benghazi, dove comanda Haftar, che a Bani Walid e Sirte. Ma è anche il caso dei Qadadfa e dei Maghara, altra importantissima tribù (prevalente nelle zone petrolifere) a cui appartiene il cognato di Gheddafi, Abdalla Senussi (oggi sotto processo a Tripoli) o i Barasa della zona di Al Baida da cui proviene la seconda moglie Safiah Sarkash, madre di Seif. In sintesi, avere dalla propria parte i lealisti del vecchio dittatore è sicuramente pagante.

Attualmente quel che rimane della famiglia di Gheddafi vive in Oman. Là risiede la vedova Safiah, il primo figlio maschio Mohammed (del precedente matrimonio del dittatore) che comunque non si è mai interessato di politica né ha mai avuto un ruolo nella dittatura, l'unica figlia femmina Aysha, che tuttora in ambito familiare coltiva sentimenti di vendetta contro coloro che hanno ammazzato il padre.

Dei figli superstiti è rimasto il citato Seif a Zintan, il fratello Saadi estradato dal Niger e sotto processo a Tripoli e l'altro fratello Hannibal attualmente detenuto in Libano. Dei tre Seif è sicuramente il personaggio di maggior prestigio sia perché, come primo figlio maschio (ovviamente della seconda moglie) del dittatore era già, ai tempi del padre, colui che avrebbe dovuto ereditare il potere e (cosa che molti dimenticano) avviare la dittatura verso una maggiore liberalizzazione sociale. Gli altri due fratelli, Saadi e Hannibal, sono soprattutto famosi per eventi extra-politici: il primo per le sue ambizioni calcistiche (parzialmente soddisfatte in Italia) l'altro per le sue intemperanze (fermato in Francia dalla polizia su una Ferrari; le accuse di violenza contro il personale di servitù e la moglie in Svizzera con correlata crisi diplomatica). In pratica, due personaggi di scarso prestigio ed intelligenza.

Il ruolo di Seif

La possibilità di portare ad una liberalizzazione del Paese, come intendeva Seif, non si è realizzata a seguito dell'intervento militare straniero e la conseguente guerra civile. In quella circostanza era d'obbligo, per il figlio di Gheddafi, assumere un ruolo militare che non aveva mai ricoperto in precedenza. Ed in virtù di questo è stato poi inopinatamente indiziato di crimini contro l'umanità con un dossier presentato dalle autorità libiche all'Aia presso la Corte Internazionale di Giustizia. Se da un lato Seif Al Islam non può essere considerato coinvolto nelle efferatezze del regime del padre, dall'altro lato il suo cognome è ancora molto ingombrante e questo penalizza, almeno oggi, la possibilità che lui possa avere un ruolo primario nel portare avanti le istanze dei vecchi lealisti nel nuovo sistema politico libico.


Kalifa Belqasim Haftar
Khalifa Belqasim Haftar


La rivalsa dei lealisti

Molti ex questa idea di rivalsa comunque la coltivano. E coltivano anche la possibilità che con un colpo di mano possano domani riprendere il potere. Nella Libia di oggi tutta l'attenzione politica e militare è concentrata sulle divisioni e contrasti che dividono il Governo di Accordo Nazionale di Serraj dal governo e parlamento di Tripoli e da quelli di Tobruk. Si parla delle milizie di Misurata che difendono Serraj, del Libyan National Army che fa capo a Tobruk o del Libyan National Guard che fa capo al governo islamista di Tripoli. Non si parla però mai di quelle milizie che comunque rispondono alle istanze della tribù di appartenenza. Quelle che un domani potrebbero assecondare le istanze degli ex gheddafiani. Ed in questo contesto - dato non trascurabile - chi appoggiava Gheddafi si era arricchito e quindi , ieri come oggi, può contare su una rilevante disponibilità finanziaria. Soldi vuol dire acquisto d'armi, stipendi per i miliziani, arruolamento di mercenari.

Nella Libia di oggi non esiste la politica né esiste il culto della democrazia. In realtà, da quando la Libia è diventata indipendente, entrambe queste opzioni sono sempre state assenti. Il premier Serraj, che intende portare avanti una riconciliazione nazionale, potrà avere successo o fallire nella misura in cui la forza militare a lui riferibile (nella fattispecie le milizie di Misurata e la Guardia Presidenziale) esercita nelle controparti negoziali effetti di deterrenza.

Nel contesto regionale un eventuale restaurazione di un regime associato alla precedente dittatura potrebbe non incontrare ostilità. La prima cosa che auspicano i Paesi limitrofi è che la Libia torni ad essere uno Stato con una autorità centrale. L'attuale caos libico crea instabilità e l'instabilità alimenta la presenza del terrorismo islamico. Il tutto rappresenta un pericolo per tutti. Ma la seconda cosa che auspicano i Paesi limitrofi è che la dirigenza che governerà la Libia sia comunque favorevole ai propri interessi. La Libia di Gheddafi, con alterne vicende, aveva buone relazioni con l'Algeria, l'Egitto e la Tunisia. Ogni tanto l'istrionismo di Gheddafi creava problemi relazionali ma alla fine faceva premio l'origine comune nell'accesso al potere; il golpe militare.

La diaspora dei lealisti è oggi molto attiva. Si è organizzata fin dal 2012 e raggrupperebbe circa 20.000 esuli all'estero ed altrettanti in Libia. La parola d'ordine è ricostruire la Jamahiriyah. Seif può contare sulla sua immagine di uomo moderato che aveva cercato di democratizzare la dittatura del padre. Può contare sulla rivalità tra Cirenaica e Tripolitania che solo un uomo del Fezzan potrebbe riconciliare. Può contare sul caos sociale che alimenta la nostalgia di tempi migliori.

Ci sono varie organizzazioni che stanno portando avanti il progetto di ricostituire in Libia una Jamahariyah. La prima è una formazione politica già sorta, in esilio, nel febbraio del 2012, in coincidenza con il primo anniversario della guerra civile, con il nome di "Movimento Nazionale Popolare". A tale partito, fondato da ex esponenti del regime del Colonnello e guidati da Kweldi al Humeidi, cioè uno dei principali golpisti del 1969 e membro del Consiglio Rivoluzionario (peraltro imparentato con Gheddafi in quanto la figlia ha sposato Saadi) è stato ovviamente impedito di partecipare alle elezioni libiche. Ma l'organizzazione comunque c'è, è attiva su internet ed è collegata alla cosiddetta rete web denominata "Resistenza verde" (dal colore della bandiera della Jamahariyah). Inoltre, sempre nel 2012, era circolata voce che una milizia di ex gheddafiani denominata "Brigata dei fedeli" ("Katibah al Awfiyah") fosse operativa nei sobborghi di Tripoli.

A cavallo della condanna a morte, in contumacia, di Seif da parte del tribunale di Tripoli, nell'agosto del 2015 c'erano state una serie di manifestazioni di ex gheddafiani a Benghazi, Tobruk, Sebha, e Bani Walid con tanto di bandiere della Jamahariyah. E sempre nello stesso anno un autoproclamato "Consiglio Supremo delle Tribù Libiche" (composto dalle tribù che avevano a suo tempo appoggiato il dittatore) aveva designato Seif come legittimo rappresentante del Paese. Un ex comandante dell'esercito di Gheddafi nel sud del Paese, Ali Kana, aveva poi proclamato la costituzione di un esercito nel Fezzan.

Millanterie di nostalgici di un regime che vorrebbero, con una rivolta, riportare indietro le lancette della storia?

Non più di tanto se anche l'ONU ha sentito la necessità di invitare e consultare, nel 2015, anche rappresentanti del vecchio regime per trovare una soluzione alla crisi libica. Né possono essere trascurati segnali più recenti che Gheddafi conta ancora molti sostenitori: i lealisti del defunto dittatore hanno combattuto, lo scorso anno, con le milizie di Haftar contro l'ISIS e nel dicembre scorso due lealisti hanno dirottato un aereo, poi atterrato a Malta, proprio per pubblicizzare lo stato di emarginazione dei fedeli del colonnello. Lo avevano fatto arrendendosi, ma scendendo dall'aero con la bandiera verde della Jamahariyah.



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