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LA GUERRA DELL'ACQUA TRA PALESTINESI ED ISRAELIANI

water war gaza

Molti pensano che il contenzioso israelo-palestinese si limiti alla questione dei territori occupati e del diritto all'autodeterminazione. Sull'esito dei negoziati pesa pero' anche un altro grosso problema che incidera' in maniera determinante: le acque e la loro futura spartizione.

Tutto nasce dal fatto che l'area in cui vivono israeliani e palestinesi non ha sufficienti risorse idriche ed attualmente Israele ne fa un utilizzo abusivo a scapito della controparte palestinese. La problematica quindi entra nei negoziati come elemento di contrasto e, nella vita di tutti i giorni, come strumento di coercizione o di ricatto.

Pur essendo un argomento di incidenza sociale, la questione delle acque e' gestita su parametri politici o di ordine pubblico. Quando i contrasti tra israeliani e palestinesi assumono connotazioni particolarmente violente, una delle prime rappresaglie da parte delle autorita' di Tel Aviv, oltre a sigillare le enclave ed a bloccare gli accessi ai palestinesi, e' quella di impedire le forniture di acqua.

Ma questo e' un fatto contingente. Il fatto sistematico e' che il limitato accesso alle risorse idriche penalizza le culture agricole palestinesi e, nel contempo, penalizza il livello sanitario ed igienico delle famiglie palestinesi.

Nelle sue linee generali le risorse idriche dell'area sono essenzialmente due:

  • una falda acquifera sotterranea che percorre l'interno di Israele e della Cisgiordania da nord verso sud parallelamente al mare, praticamente dalle montagne dell'alta Galilea fino al deserto di Bersheva;

  • il fiume Giordano con i suoi immissari

Nel caso della falda acquifera l'accesso alle acque viene garantito da pozzi. Nel caso delle risorse fluviali, invece, il tutto avviene con canalizzazioni o pompaggi diretti.

Entrambi i sistemi di accesso sono sotto controllo diretto/indiretto israeliano.

Poi esistono gli elementi peggiorativi dello sfruttamento delle acque che, nel caso palestinese, sono determinati dall'inefficienza del sistema di distribuzione idrica - antiquato e malridotto - abbinato ad un sistema fognario disastrato (anche grazie agli interventi militari israeliani) e quindi ad uno scarsissimo ricorso al riutilizzo delle acque bonificate.

Questa e' oggi la fotografia della situazione attuale che pero' assume connotazioni piu' drammatiche a Gaza rispetto alla Cisgiordania palestinese.

LA SITUAZIONE A GAZA

Rispetto alla Cisgiordania la Striscia di Gaza ha minori risorse a cui accedere sia in rapporto alla densita' demografica dell'enclave, sia per il fatto che la falda acquifera a cui attinge per le sue esigenze idriche e' in buona parte contaminata - si parla di circa il 95% del totale a causa del segnalato disastrato sistema fognario - ed ha un alto tasso di salinita' anche per la vicinanza del mare.

Ci sono anche fattori esogeni che rendono precario questo rifornimento come le scarse piogge che negli ultimi anno hanno interessato la regione e che impediscono un'alimentazione adeguata delle falde acquifere, oggi intensamente sfruttate (statisticamente ogni 4 anni si verifica un'annata arida). Visto poi che la stessa falda e' anche sfruttata in maniera abnorme dagli israeliani, questo determina un impoverimento continuo delle riserve sotterranee.

Uno studio dell'Ufficio per la Coordinazione degli Affari Umanitari (O.C.H.A.) delle Nazioni Unite ha recentemente stabilito che il combinato disposto di "aumento della popolazione-scarse piogge invernali-sfruttamento intensivo" potrebbe determinare nel 2016 un completo depauperamento delle specifiche risorse idriche e diventare irreversibile entro il 2020. Ogni anno infatti la falda acquifera su cui fanno affidamento i palestinesi di Gaza si abbassa di 15-20 cm. Un altro dato su cui riflettere e' che la Striscia di Gaza abbisogna, per i suoi attuali 1,7-2 milioni di abitanti, di circa 200 milioni di metri cubi di acqua all'anno, mentre l'Organizzazione Mondiale della Sanita' (W.H.O.) ha stabilito che la falda acquifera, per mantenersi tale senza danni, non puo' essere sfruttata oltre 55 mil/mc l'anno.

Inoltre, nel 2006 un raid aereo israeliano ha distrutto la maggiore centrale elettrica della Striscia. Questo ha messo in crisi il sistema di pompaggio dell'acqua e le strutture per il trattamento delle acque reflue. A tutto questo si e' poi aggiunto il problema dei rifornimenti di gasolio. Dal giugno 2007, con l'imposizione di un embargo sulla Striscia, e' stato impedito dalle autorita' di Tel Aviv l'importazione di equipaggiamenti e materiali per la riparazione e manutenzione sia del sistema idrico che di quello fognario. Allo stato attuale molti degli scarichi fognari vanno direttamente in mare.

Le operazioni militari del 2008-2009 ha poi peggiorato ulteriormente la situazione.

Acqua insufficiente e con afflusso irregolare, alto tasso di inquinamento della stessa, situazione sanitaria difficile , popolazione con alto tasso di crescita, sono tutti fattori che determinano un forte disagio sociale e che per questo sono elementi che forniscono ad Israele un'arma di ricatto nei confronti della controparte palestinese.

Gli abitanti di Gaza sono oggi costretti ad importare - quando concesso - acqua dalla compagnia delle acque israeliana. In futuro vorrebbero farlo con navi container dalla Turchia.

Ovviamente tutta una serie di iniziative internazionali vorrebbero/potrebbero intervenire la tendenza per risolvere il problema, ma l'arrivo al potere di Hamas nel 2007 ha bloccato un progetto per costruire un impianto di desalinizzazione finanziato (400 milioni di dollari) da USAID. C'e' sulla carta anche un altro progetto della Banca Mondiale per la riparazione del sistema idrico e fognario (6.4 milioni di dollari), ma anche qui le condizioni ambientali e di sicurezza impediscono qualsivoglia lavoro e miglioria

LA SITUAZIONE IN CISGIORDANIA

Nei territori sotto il controllo dell'Autorita' Nazionale Palestinese (ANP) la situazione e' meno critica dal punto di vista sanitario, ma altrettanto difficile sul piano sociale ed economico.

Di tutte le falde acquifere che attraversano la Cisgiordania, Israele ne sfrutta il 73%, l'ANP il 17% ed il rimanente e' assorbito, anche illegalmente (cioe' in deroga alle leggi israeliane, ma comunque con il compiacente silenzio delle stesse), dagli insediamenti dei coloni.

La maggior parte delle acque del fiume Giordano, nonostante oggi il controllo del tratto del fiume sia solo parzialmente in mano israeliana, sono anch'esse sfruttate da Israele che le pompa attraverso canalizzazioni proprie alle quali i palestinesi non hanno diritto di accesso. Israele controlla soprattutto le sorgenti del fiume sull'Hermon ed i maggiori tributari come lo Yarmuk. L'acqua del giordano e' immessa nel sistema idrico nazionale israeliano dal lago di Tiberiade, quindi a monte del successivo scorrere del fiume in Cisgiordania. La stessa cosa viene fatto con il l fiume Yarmuk che e' un immissario del Giordano.

Si assiste anche al paradosso che se da un lato i palestinesi non hanno diritto ad uno sfruttamento adeguato delle risorse idriche locali e quindi non sono in grado di sviluppare la loro potenzialita' agricola, dall'altra in caso di richiesta Israele vende acqua ai palestinesi a prezzi ovviamente piu' alti rendendo i prodotti agricoli palestinesi meno competitivi.

Oggi nella Cisgiordania sotto controllo israeliano il 90% della produzione agricola palestinese si basa essenzialmente sull'irrigazione con acqua piovana (mentre per gli israeliani il 50% delle culture e' irrigato con sistemi tecnici). Ma in questa casistica bisogna anche tenere conto di un altro dettaglio: nei territori occupati gli israeliani usufruiscono dell'86% delle terre arabili contro il 6% dei palestinesi (il rimanente e' sotto giurisdizione militare e quindi off-limits).

Dopo l'occupazione del 1967, il controllo delle risorse idriche era stato tolto ai palestinesi e passato sotto l'egida del Governo militare poi successivamente chiamato (per ovvi motivi di immagine) "Amministrazione civile". Tale organismo aveva competenze sulla produzione, distribuzione ed uso delle risorse idriche. Ogni concessione era soggetta ad una autorizzazione, ogni direttiva veniva emanata tramite decreti militari che vedeva i palestinesi estromessi da qualsivoglia aspetto decisionale. Tale autorita' civile/militare decideva chi poteva scavare pozzi e quanta acqua poteva esserne estratta. Nel 1982 tale incombenza e' stata trasferita dalla amministrazione civile alla compagnia parastatale israeliana delle acque "Mekorot" a cui e' stata data una concessione per 49 anni (cioe' fino al 2031). Come dire che i territori occupati rimarranno occupati sine die.

In pratica grazia alla concessione che ha permesso alla Mekorot di gestire in regime di monopolio le risorse idriche sono state costruite reti e pozzi - ovviamente a favore degli interessi e clienti israeliani - che domani, qualora questi territori fossero restituiti ai palestinesi, creerebbero grossi problemi e contenziosi. Il palestinese dei territori occupati e' considerato solo un utente con limitato e controllato accesso all'utilizzo del servizio idrico inglobato in un territorio che teoricamente e' considerato "occupato", ma che nei fatti, ovvero nelle intenzione degli occupanti, e' gia' parte del "grande Israele" del sogno sionista. E quando le forniture di acqua diventano carenti nei periodi estivi, la "Mekorot" interrompe le forniture ai villaggi palestinesi a favore delle utenze israeliane.

mekorot water company
Mekerot water company basin

Durante la guerra dell'ottobre del 1967 (meglio nota come la "guerra dei 6 giorni" o dello "Yom Kippur") gli israeliani hanno distrutto 140 pozzi. Nei successivi 20 anni e' stato autorizzato lo scavo di soli 13 pozzi per la comunita' palestinese. Per altrettanti pozzi invece non e' stata mai concessa l'autorizzazione al ripristino (perche' non piu' funzionanti) o allo scavo a maggiori profondita' (per intercettare le falde acquifere sotterranee).

Nella lotta per la sopravvivenza idrica i palestinesi, per non sottostare all'acquisto - a caro prezzo - di acqua dalle autobotti israeliane, ricorrono spesso alla costruzione di pozzi "illegali" (cioe' senza autorizzazione) che, se scoperti, vengono distrutti. Secondo Human Rights Watch, solo nel 2011 le autorita' israeliane hanno distrutto 89 strutture idriche palestinesi (pozzi, cisterne, bagni) "abusive", di cui il 25 % finanziato da enti internazionali (tra cui l'Unione Europea). Secondo invece uno studio della Oxfam se i palestinese non subissero le limitazioni nell'uso delle acque, il loro Prodotto Interno Lordo potrebbe aumentare di circa 1,5 miliardi $.

LE PROSPETTIVE

Il problema dell'acqua, con tutte le difficolta' sociali che crea, e' strumentale alla politica israeliana di costringere la controparte palestinese, sia essa rappresentata a Gaza da Hamas o dall'ANP in Cisgiordania, a condurre e sottoscrivere un eventuale negoziato globale (territori, autodeterminazione ed acque) favorevole agli interessi di Tel Aviv. Che questa possa essere una buona tattica e' ancora tutto da dimostrare perche' il negoziato israelo-palestinese di tutto ha bisogno fuorche' di un altro elemento di contrasto che generi ulteriore risentimento. Un accordo basato sulla costrizione o sulla prevaricazione - la storia insegna - non dura mai tanto.

Israele ha una forza lavoro dedita all'agricoltura alquanto limitata e che contribuisce al 3% del Prodotto Interno Lordo (PIL). Un minor utilizzo di risorse idriche, almeno sul piano economico, non avrebbe un impatto eccessivo. Alcune culture, come quelle del cotone, sono state ultimamente ridotte a causa del forte ricorso all'irrigazione. Dalla parte palestinese, invece, l'agricoltura rappresenta ben il 14% del PIL e il 33% dell'impiego di forza lavoro.

Ma quel 3% e' rappresentato soprattutto dai coloni insediati nei Territori Occupati e che vivono in aree limitrofe ai villaggi palestinesi e sono schierati in insediamenti di frontiera. Sono sensibili alla loro sicurezza e fautori, nella stragrande maggioranza dei casi, di una politica oltranzista e ultrasionista.

Nella Knesset, il parlamento israeliano, sono indicati come estrema destra nazionalista e costituiscono, nei fatti, un gruppo di pressione a cui difficilmente ogni governo israeliano non puo' fare a meno di dare ascolto. Benjamin Netanyahu e le coalizioni della destra ne diventano ogni volta araldi e vittime.

L'ultima compagine governativa messa in piedi dopo le elezioni anticipate di poche settimane fa e' piena di personaggi legati agli insediamenti ed alla destra estrema: Lieberman, Alkin, Slomjansky, Ariel. Gente che non solo non vuole spartire l'acqua, ma non intende negoziare o concedere niente ai palestinesi.

E' quindi improponibile che un eventuale accordo sulla spartizione delle risorse idriche possa trovare oggi soluzione anche al di fuori del negoziato principale.

La stessa giurisprudenza internazionale e/o Convenzioni e/o Accordi, nel cui ambito si potrebbe almeno discutere o risolvere questa problematica, non sono dirimenti ne' vincolanti. C'e' la Convenzione sui diritti umani dell'Onu del 1966 in cui si sancisce (art. 1) che ogni popolo puo' disporre liberamente delle proprie risorse naturali. Ci sono le Regole sull'uso delle acque di fiumi internazionali (1966 Helsinki), le Regole sulle acque internazionali sotterranee (1986 Seoul), le Regole per le risorse internazionali (1986). Tutti questi trattati forniscono criteri per la definizione dei contenziosi, ma non hanno valore giuridicamente vincolante. Questo perche' ogni caso e' a se' stante, affronta il problema dal punto di visto geologico, idrogeologico o morfologico, ma non puo' fare niente quando il problema e' politico.

Sulla carta ci sarebbero anche commissioni multilaterali per dirimere le vertenze nella regione, ma il boicottaggio da parte del Libano e della Siria, nonche' la riluttanza israeliana a discuterne, hanno reso inutili questi organismi. Tra l'altro l'unico Paese del Medio Oriente che non ha problemi di acqua e' il Libano.

C'e' poi un Comitato Congiunto per le Acque (JWC) israelo-palestinese creato nel 1996 nell'ambito dei negoziati di Oslo e che sarebbe deputato a discutere della problematica. Ma anche in questo consesso Israele generalmente subordina le concessioni alla controparte palestinese ad altrettante concessioni agli insediamenti dei coloni. Come se le pregresse diseguaglianze nello sfruttamento delle risorse idriche non sussistessero. Ed ogni concessione viene ogni volta burocraticamente resa difficile nel tempo. Peraltro gli insediamenti dei coloni vengono asserviti alla rete idrica nazionale israeliana, mentre il sistema idrico dei Territori Occupati della Cisgiordania, le acque del Giordano e quelle di Gaza sono escluse dai negoziati con l'ANP.

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Il fiume Giordano

Durante negoziati di Oslo il principio animatore era quello di un'equa distribuzione delle risorse idriche sulla base di una serie di fattori: le quantita' di risorse, le necessita' sociali ed economiche, i pregressi utilizzi di queste risorse, il possibile ricorso a risorse alternative ed il loro costo, l'evitare danni apprezzabili (alla controparte).

Soprattutto i cosiddetti "pregressi utilizzi delle risorse" sono percepiti dagli israeliani come un riferimento a quanto preesistente, ovvero come il diritto a mantenere la posizione di privilegio attuale acquisita per usucapione. Che poi questo privilegio sia il frutto di imposizioni o limitazioni imposte alle popolazioni palestinesi e conseguenza dello sfruttamento non condiviso con altri interlocutori regionali poco importa. Lo stesso riferimento alle "necessita' sociali ed economiche" mette l'accento sulle esigenze dell'economia israeliana, molto piu' progredita di quella della controparte, come un diritto ad avere di piu'.

Si e', in ultima analisi, creata nell'immaginario israeliano l'idea che il diritto alle acque sia qualcosa di proprieta' non soggetto a condivisione. E per coloro che si sono recati nei Territori Occupati colpisce la visiva differenza tra gli insediamenti dei coloni, con parchi verdi dovuti agli abbondanti annaffiamenti e piscine, a fronte della desolazione e dell'aridita' delle aree circostanti.

Israele fa poi del problema delle acque una questione di sicurezza nazionale e su questo parametro intende impostare il proprio negoziato politico. Sul fronte opposto, invece, le differenze tra Hamas e ANP limitano una comune strategia palestinese a fronte delle restrizioni e imposizioni israeliane. E, piu' a monte, le divisioni e le guerre civili che attraversano il mondo arabo non forniscono sufficiente supporto internazionale alle istanze palestinesi.

La situazione dei consumi come e' oggi vede gli israeliani consumare annualmente 333 metri/cubi di acqua pro-capite contro gli 83 mc dei palestinesi. Un rapporto di 1 a 4. Ma se la comparazione viene fatta con i coloni, questi ultimi ricevono annualmente 1450 mc pro-capite. E quest'ultimo dato da' la misura dell'uso improprio e sbilanciato che viene fatto di questo bene per mere finalita' politiche.

La popolazione israeliana e' infatti oggi intorno agli 8 milioni di abitanti e per il 90% risiede in aree urbane. Secondo gli ultimi dati del 2011 negli insediamenti vivono complessivamente oltre 534.000 coloni di cui 320.000 nei territori occupati della Cisgiordania, 7800 nella striscia di Gaza, 198.000 a Gerusalemme est ed i rimanenti 20.000 nelle alture del Golan. Questa massa di gente ha una forte capacita' di pressione sull'opinione pubblica israeliana perche' rappresenta la prima linea, la gente al fronte contro gli arabi. Godono di forti agevolazioni fiscali e sociali, esprimono una lobby politica molto forte e sono in definitiva coloro che dell'acqua fanno uso ed abuso. Anche perche' l'acqua che viene loro fornita dalla rete idrica nazionale israeliana e' fornita a prezzo di sussidio (cioe' viene fatta pagare meno di quello che costa estrarla o trasportarla).

Allo stato attuale sembra non esistano le condizioni per una risoluzione pacifica di questa diatriba legata ad una piu' equa ripartizione delle risorse idriche. E' un problema correlato sia alla questione della terra da restituire ai palestinesi, sia alla loro autodeterminazione. Ma se puo' sembrare un problema comunque subordinato agli altri contenziosi, in realta' se non verra' definita una ripartizione giusta dell'acqua ogni pace o convivenza tra i due popoli non sara' possibile.