LA GUERRA DEL MALI : TRA TERRORISMO, CRIMINALITA', RIVENDICAZIONI AUTONOMISTICHE,
NEOCOLONIALISMO E VENDETTE

Le
operazioni militari francesi nel nord del Mali hanno sicuramente
bloccato un'offensiva jihadista verso Bamako ed hanno anche
inflitto perdite (seppur limitate) alle milizie islamiche della
regione, ma hanno anche dato opportunita' politiche e pratiche a
molte parti in causa, terroristi compresi.
Chi ci guadagna
Il primo beneficiario e' sicuramente la Francia che ribadisce il proprio ruolo egemonico, dal vago sapore neo-colonialista, in una parte di mondo che gravita sotto l'influenza di Parigi. E' quel connubio semantico di "francafrique" coniato dall'ex Presidente della Costa d'Avorio Felix Houphouet Boigny che postulava una stretta relazione tra ex Paesi colonialisti e le ex colonie.
L'intervento armato avviene infatti in ex colonie francesi, da' un senso al variegato dispositivo militare transalpino che staziona nella regione e fornisce al Presidente François Hollande la possibilita' di riguadagnare consensi nel suo Paese nel nome di quel "grandeur" di un impero oramai disciolto, ma mai dimenticato nell'immaginario popolare francese. "Grandeur" un po' offuscato dal fallimento del blitz delle forze speciali francesi per la liberazione di un proprio connazionale, membro dei Servizi, in Somalia.
Altro beneficiario e' il Mali, sia sul piano politico che su quello economico. Il colpo di Stato del tenente Amadou Yaya Sanogo nel marzo 2011 aveva sollevato quei dubbi che spesso ricorrono in Africa quando pseudo-democrazie si tramutano fatalmente in dittature oppure vengono fortemente condizionate da e'lite militari. La defenestrazione del Primo Ministro Sheykh Modibo Dialla il 10 dicembre 2012 ad opera di Sanogo aveva posto un'ulteriore ipoteca sulla credibilita' dell'attuale dirigenza maliana. L'intervento francese - avvenuto a seguito di una esplicita richiesta di aiuto internazionale da parte del Presidente del Mali Dioncunda Traore' (nominato dallo stesso Sanogo) - ha pero' nei fatti legittimato le autorita' di Bamako.
Per ironia della sorte, il tenente Sanogo ha fatto il colpo di Stato perche' accusava il precedente Presidente Amadou Toumani Toure' di scarsa determinazione nell'affrontare la ribellione tuareg. Adesso l'intervento francese fa propria la tesi di Sanogo ed indirettamente pone il personaggio in una prospettiva di credibilita' internazionale ben diversa che nel passato.

Amadou Haya Sanogo
Poi c'e' l'aspetto economico che per un Paese povero come il Mali ha una forte valenza. L'interesse internazionale che adesso si accentra sulle vicende maliane e' sicuramente portatore di benefici finanziari. Arrivano contingenti militari internazionali, verranno costruite basi, la sovranita' di Bamako verra' sicuramente sostenuta anche da iniziative sociali collaterali, l'Onu ha adesso in priorita' le richieste di Bamako e, se il Paese diventera' il centro di una lotta contro il terrorismo islamico nella regione, questo sicuramente si tramutera' in soldi.
Poi c'e' l'Algeria. Con l'intervento militare contro i ribelli islamici che hanno assaltato il campo petrolifero di In Amenas il 17 gennaio Algeri non solo ribadisce, qualora ce ne fosse bisogno, la propria indissolubile ostilita' ad ogni trattativa con il terrorismo islamico, ma pone anche, come oramai avviene dall'indipendenza e dalla lotta contro il F.I.S. di Madani, al centro di ogni vicenda politica interna l'imprescindibile ruolo del "pouvoir" militare. L'intervento delle forze di sicurezza algerine a In Amenas ha comportato la morte di vari ostaggi, ma anche qui il messaggio che viene da Algeri e' molto chiaro: non esiste una differenza se muore un algerino o un occidentale e, soprattutto, non esistono politiche alternative nei rapporti con il terrorismo.
Quei Paesi che nel tempo hanno pagato riscatti o si sono sottomessi ai ricatti per salvare i propri concittadini (in prima fila l'Italia) sappiano - e' il monito dell'Algeria - che non ci sono margini di discrezionalita'. E siccome anche la forma diventa sostanza di strumentalizzazione politica, Algeri ben si e' guardata dal dare comunicazione preventiva del suo blitz a In Amenas ai Paesi che avevano propri cittadini ostaggi nel campo petrolifero. Cosi' facendo gli algerini hanno ribadito la propria sovranita' decisionale, la propria determinazione nella lotta al terrorismo e mandato un messaggio al neo-colonialismo francese. L'Algeria, a differenza di altre ex colonie del Sahel, non ha bisogno di aiuto o di negoziare alcuna concessione o di chiedere autorizzazioni.
Piu' in generale vi sono anche altri vincitori collaterali. Uno e' l'idea che il terrorismo, soprattutto quello islamico, sia diventato oramai una problematica universale che non ha piu' limiti geografici o limiti di intervento. Cio' postula che nel combattere il fenomeno non vi siano piu' limitazioni giuridiche o procedurali. La Francia e' intervenuta direttamente sul terreno per combattere le milizie islamiche senza la preventiva autorizzazione dell'Onu. Il sostegno di altri Paesi e' giunto successivamente quando la comunita' internazionale ha deciso di appoggiare, a posteriori, le operazioni militari francesi. Si e' nei fatti generato il principio giuridico secondo il quale in caso di terrorismo saltano tutti quei rituali che generalmente accompagnano ogni intervento internazionale. Non e' la prima volta che questo avviene da parte francese, come insegna l'intervento militare in Libia, deciso da Nicolas Sarkozy prima che dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
Bisogna poi anche sottolineare come l'intervento francese abbia nei fatti legittimato, sul piano dell'importanza che l'intervento militare ha determinato, anche quelle milizie islamiche che da tempo controllano il nord del Mali. Se questi gruppi armati precedentemente sopravvivevano grazie alle loro attivita' criminali (brigantaggio, traffico di droga, estorsioni, cattura di ostaggi, traffico di esseri umani) ora sono a tutti gli effetti entrati nel pantheon del terrorismo islamico. I vari Mokhtar Belmokhtar, Iyad ag Ghali (alias Abu al Fadl), Abdulhamid abu Zied, Yahya abu Hammam, Hamada Ould Mohamed Kheirou da noti tagliagole diventano gli alfieri della guerra santa contro gli infedeli.
Si avvera cosi', anche se casualmente, il sogno dell'emiro Abdulmalek Droukdal che trasformando il Gruppo Salafita per la Predicazione e Combattimento (in chiave anti-algerina) in Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) vede realizzato il suo ingresso sul palcoscenico internazionale sulla scia di Bin Laden. Questo avviene nonostante tra Droukdal e Mokhtar Benmokhtar non corra buon sangue. E come avviene oramai in tutte le aree di crisi (Iraq, Libia, Siria, Somalia), anche nel nord del Mali arriveranno a frotte quei professionisti del terrorismo che si spostano da un conflitto all'altro senza sapere nulla delle problematiche locali, ma portatori di quel "nihilisme aveugle" (come lo chiamano gli algerini) come loro unica dottrina. Nei fatti, l'intervento militare francese ha creato i presupposti per la creazione di un ulteriore fronte fra l'occidente e il mondo islamico integralista. La guerra ora in atto non e' solo per la riconquista del nord del Mali e a difesa della sovranita' di Bamako, ma scontro di culture, religioni, tra neo-colonialismo e indipendenza, tra Paesi poveri e ricchi.
Il grande vincitore, soprattutto dal punto di vista mediatico, e' senz'altro Mokhtar ben Mokhtar che con l'operazione di In Amenas assurge da semplice criminale e terrorista al rango dei maggiori personaggi di Al Qaeda. Algerino di Ghardaia con esperienza pregressa in Afghanistan al fianco di Hezb al Islami di Gulbeddin Hekmatyar e' rientrato in Algeria dove ha militato prima nel G.I.A., poi nel Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento ed infine in Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Mokhtar si e' rafforzato con i soldi dei vari traffici illeciti e con i riscatti per la liberazione di occidentali. Ora punta ad un ruolo di primo piano nella galassia del terrorismo islamico. Ha sopravanzato Droukdal nella gerarchia di merito di Al Qaeda nella regione ed ha anche vinto la concorrenza delle altre fazioni armate che stazionano nel deserto fra Mali e Niger: AbdulHamid Abu Zied e la sua katiba Tarek bin Zayad, l'Ansar Dine di Iyad Ag Ghali, il Movimento per l'Unita' e la Jihad nell'africa Occidentale (MUJAO) guidato da Hamada Ould Mohamed Kheirou ed infine Yahya abu Hammam (nominato capo della zona sahariana dall'emiro Droukdal dopo la morte dell'emiro Makhlouf) capo della katiba al Furqan. Il suo nome e' oramai nella hit parade del terrorismo islamico tant'e' che si e' guadagnato un posto nella "kill list" americana. Tradotto nella pratica, adesso puo' essere destinatario di un missile sparato da un drone .
Chi ci perde
I primi perdenti sono i tuareg che rivendicano da tempo una propria autonomia e cultura (non solo in Mali, ma anche in Niger, Ciad, Libia e nella stessa Algeria) e che adesso vedono le loro aspirazioni messe in ombra dal terrorismo islamico e, ed e' l'aspetto piu' negativo, associate (ingiustamente) ad esso. Se e' vero che il Movimento per la Liberazione dell'Azawad (MNLA) e' stato estromesso manu militari dal nord del Mali da parte di Ansar Dine e da AQIM, il solo fatto che operasse in aree sotto il controllo delle milizie islamiche, in contrasto con le autorita' di Bamako, ha portato inesorabilmente ad associare i tuareg al terrorismo internazionale. In prospettiva, le legittime rivendicazioni di questo popolo nomade ne risultano danneggiate.
Il fatto che l'MNLA sia stato solidale con l'intervento francese e che potrebbe nuovamente tornare ad essere l'interlocutore delle istanze tuareg con Bamako non cambia la sostanza di quel rancore che oramai divide i tuareg (ed a loro vengono associati anche le popolazioni di origine araba e i Peuls del nord anteposti ai Bambara del sud) dal resto della popolazione del Mali. La secolare lotta tra neri e tuareg, tra stanziali e nomadi sta adesso portando ad una persecuzione degli sconfitti. I tuareg, che nel loro insieme costituiscono una popolazione di oltre 5 milioni di abitanti divisa tra vari Paesi del Sahel, sono improvvisamente diventati l'obiettivo di tutti quei regimi dittatoriali o pseudo-democratici che affollano la regione e che hanno bisogno di legittimarsi con rigurgiti nazionalistici demonizzando strumentalmente un "nemico". Per i 900.000 tuareg che vivono nel nord del Mali si prospettano momenti difficili. Le organizzazioni non governative non sono autorizzate a raggiungere quella regione per motivi militari.
Altro perdente e' l'Islam moderato, quello prevalente nella fascia sub-sahariana, il sufismo non delle 333 tombe dei santi di Timbuktu, portatore di una cultura religiosa fatta di tolleranza e apertura che ora viene sopravanzato dall'Islam salafita e integralista. E' un fenomeno non autoctono, ma di importazione che adesso si ripresenta con una certa pericolosita' in varie altre aree del continente africano. Questa espansione del radicalismo religioso acquista aspetti virulenti come in Somalia e Nigeria, ma anche aspetti piu' subdoli come in Egitto, Libia e Tunisia.
Perdenti sono anche gli oltre 400.000 profughi che sono scappati dalla guerra civile e rifugiatisi fra Mauritania, Niger, Burkina Faso, Guinea e Togo. Vivono di carita' internazionale, in condizioni igieniche catastrofiche e soprattutto non sanno quando e se potranno un giorno fare rientro nelle proprie case. Nella casistica non compaiono neanche quei maliani che si sono spostati, ma non fanno riferimento a campi profughi. In tutto sono oltre 700.000 persone fra rifugiati e sfollati (IDPs).
La paternita' di questa nuova crisi
L'escalation militare nel nord del Mali e' figlia di tanti padri.
In primis la dissoluzione del regime di Gheddafi che ha costretto molti mercenari (armati) che combattevano al fianco dei lealisti a scappare verso il Sahel. A questi mercenari si sono uniti molti libici (armati) in fuga. Alquanto invisi ai Paesi sub-sahariani di appartenenza dove prevalgono regimi che si basano sul consenso delle armi (e che quindi non gradiscono personaggi che sanno combattere ed usarle), questi fuggiaschi sono stati costretti a riposizionarsi nella no-man's land che si estende dal sud algerino al nord del Mali, Niger e Mauritania alla merce' del brigantaggio. Se poi le loro malefatte criminali abbiano potuto beneficiare di un vessillo legittimante come le rivendicazioni tuareg o la jihad tanto meglio. Al pari della Libia, l'insieme delle cosiddette primavere arabe ha creato l'instabilita' che ha concorso a questa risorgenza del terrorismo islamico.
Un altro elemento che ha favorito la crisi nella regione e' il commercio di armi che e' passato da livelli artigianali ad un livello industriale. Le varie crisi nazionali nel Nord Africa si sono tramutate in destabilizzazione endemica, mancati controlli delle autorita' centrali, aree confinarie non presidiate, circolazione esponenziale di armamenti. Nella pratica la Primavera Araba e' diventata una primavera del traffico di armi. Chi ne voleva o pensava di utilizzarle non ha incontrato difficolta' a reperirne.
E come spesso accade, accanto alle armi con le quali generalmente si prevaricano le idee ed i comportamenti, arrivano anche interessi e culture di analogo contenuto ideologico. Questo e' il caso del wahabismo di marca saudita e qatariota che, approfittando di ogni contingenza locale, ha cercato di affermare la diffusione del radicalismo religioso salafita. E' un fatto oramai matematicamente accertato che laddove si diffonde il wahabismo, questo diventa elemento di espansione ed adesione per l'estremismo ed il terrorismo islamico. E' una circostanza tragica che si e' manifestata la prima volta con Osama bin Laden e che continua a manifestarsi in altri teatri operativi come oggi la Siria e ieri Libia, Somalia e Egitto. Il potere suadente del wahabismo e' anche nei soldi che si accompagnano all'espansione ideologica.
E' ben chiaro, quindi, che la paternita' di questa insorgenza di terrorismo nel nord del Mali e' anche nei soldi che oramai circolano nella regione. Soldi degli ulema wahabiti, soldi dei traffici vari, soldi dei riscatti, soldi derivanti dal commercio della droga che vede oggi la Guinea Bissau come punto di arrivo della cocaina dal cartello di Medellin che transita nel Sahel in direzione dell'Europa. Ed in questo business emergente le varie fazioni islamiche del nord del Mali (AQIM, MUJAO, Ansar Dine) lucrano assicurando il transito della droga nelle aree sotto il loro controllo.
E quando si parla di soldi, bisogna ricordarsi che le tribu' tuareg hanno sempre vissuto una vita di stenti determinata dall'ostracismo dei governi centrali e dall'ambiente senza risorse in cui vivono. Ed ora che i soldi sono arrivati nella loro zona, seppur legati ad attivita' criminale, portano benessere diretto o indiretto anche ai tuareg. E questa circostanza ha fatto si' che i tuareg siano, seppur per interesse, solidali o almeno consenzienti con i vari movimenti terroristici e le loro efferatezze.
L'evoluzione della situazione
L'intervento militare francese per riconsegnare la sovranita' del nord del Mali alle autorita' di Bamako nonche' l'operazione algerina contro i terroristi in In Amenas portano fatalmente quella che fino a ieri era una problematica regionale al rango di questione internazionale. A questo proposito, bisogna ricordare che il terrorismo e' una forma surrogata di guerra che non si conclude o debella con un'operazione militare, ma che tende a riproporsi e a rigenerarsi ogni qualvolta situazioni o condizioni ambientali lo giustifichino o favoriscano.
Quando inizia una guerra e' poi difficile stabilire quando finira'. Nel caso specifico, appare alquanto problematico che al ricontrollo militare del nord del Mali da parte del governo centrale corrisponda la scomparsa del terrorismo nella regione. Questo perche' i confini desertici che dividono il Mali da Algeria (1400 km), Niger (800 km) e Mauritania (2240 km) non sono sufficientemente presidiati e questo permette ai terroristi di spostarsi a piacimento nelle zone e Paesi limitrofi piu' sicuri.
Nella regione la Mauritania non ha sufficiente capacita' di contrasto al terrorismo, la Libia ha adesso altri problemi a cui pensare (ha 200.000 ex ribelli che non vogliono disarmarsi) e il Niger ha piu' interesse a dedicarsi ai propri tuareg che non ai tuareg degli altri. Il peso di un'eventuale lotta ad AQIM, Ansar Dine e MUJAO cade inesorabilmente sulle spalle francesi e - qualora consenzienti - anche algerine. Ma come abbiamo visto, Parigi non ha avvisato Algeri del suo intervento militare nel nord del Mali, altrettanto non ha fatto l'Algeria per l'operazione di In Amenas e quindi non esiste oggi un coordinamento tra i due Paesi. Ed e' anche difficile che questo possa realizzarsi nel prossimo futuro perche' i rapporti tra Algeria e Francia sono un mix di odio-amore sin dai tempi della guerra di liberazione. Essendo l'Algeria il paese maggiormente a rischio terrorismo islamico nella regione, nessuna operazione efficace per combattere questa piaga sociale potra' avere ragionevole risultato senza il concorso di Algeri. Questo e' il principale motivo per cui nessuno Stato, dalla Francia agli USA, ha sollevato critiche all'operato algerino.
Inoltre, fino all'operazione di In Amenas, le autorita' algerine avevano tenuto nei confronti del terrorismo nel sud del Paese e nella fascia sub-Sahariana un atteggiamento alquanto subdolo tipico di chi sembra accettare una specie di modus vivendi con la controparte fintanto che non vengono toccati i rispettivi interessi. Voci ricorrenti nel passato facevano stato di contatti tra la D.R.S. (De'partment du Reinsegnement et de la Se'curite' ) di Toufiq Me'diene con il capo dell'Ansar Dine , Iyad Ag Ghali e persino con lo stesso Mokhtar Benmokhtar.

Mokhtar Belmokhtar
Adesso le autorita' algerine hanno schierato circa 10.000 uomini a presidio dei confini con il Mali (i citati 1400 km) e con la Libia (circa 1000 km) a cui vanno aggiunte le guardie della dogana (ora armate), gli elicotteri della gendarmeria e la sorveglianza aerea continua. Tuttavia, l'estensione dell'area da controllare rende insufficiente questo dispiegamento nonostante l'Algeria abbia un esercito di 150.000 uomini (il piu' numeroso in Africa) ed un budget annuale della Difesa di circa 10 miliardi di dollari l'anno.
La concentrazione dei terroristi nel Nord del Mali ha automaticamente diminuito la loro presenza nel sud dell'Algeria e questo ha fatto particolarmente comodo alle autorita' di Algeri. Da parte algerina, l'interesse principale e' rappresentato dagli impianti petroliferi dislocati principalmente nel sud del paese e forniscono la prevalente risorsa finanziaria dell'Algeria. L'attacco di In Amenas ha rotto nei fatti questo armistizio ed ha costretto Algeri ad intervenire.
L'attacco contro l'installazione di In Amenas e' avvenuto nonostante le autorita' del Paese attuino strette misure di sicurezza a protezione degli impianti: ogni cittadino algerino puo' lavorare in queste strutture solo dopo aver ottenuto un nulla osta di sicurezza da parte dei Servizi algerini; ad ogni installazione viene distaccato un reparto di gendarmeria per assicurarne la protezione esterna; i cittadini algerini non possono recarsi nelle zone sud del Paese - che sono quasi sempre off-limits - senza uno speciale permesso. In ultimo, ogni grossa societa' petrolifera ha un proprio sistema di sicurezza all'interno delle installazioni con personale dedicato alla sorveglianza (che pero', come nel caso in questione, non e' autorizzato a portare armi). Questo da' l'idea di quanto fossero impreparate le autorita' di sicurezza algerine ad affrontare un'emergenza del genere e, dall'altro, quanto invece siano stati efficienti i terroristi ad occupare l'impianto con una presumibile assistenza di qualche basista interno.
Le autorita' di Algeri hanno sempre lo stesso approccio nel combattere il terrorismo: poca intelligence, ma molto intervento armato. Modello riconfermato nell'episodio di In Amenas. Anche qui, a parte la volonta' di non voler negoziare niente con i terroristi, la prima risposta di Algeri e' stata di tipo esclusivamente militare con bombardamenti ed attacchi. I reparti di e'lite che generalmente effettuano questo tipo di interventi vengono da un centro di addestramento nei pressi dell'aeroporto della capitale, reparti in passato addestrati dall'Italia.
L'operazione "Serval" non poteva essere misurata nei rapporti di forza fra i due schieramenti in campo. La Francia con i suoi circa 3000 uomini sul terreno (senza contare il supporto che puo' immediatamente acquisire dalle sue tante basi nel continente), l'assoluta supremazia aerea, un esercito (benche' fatiscente) maliano di 10.000 uomini (ma meno di 1/5 in grado di combattere), la presenza di un contingente africano che dovrebbe avere una forza di circa 5-6000 uomini forniti dai Paesi aderenti all'ECOWAS (Nigeria, Togo, Niger, Burkina Faso, Benin, Ghana) a cui aggiungere il Ciad (2000 uomini), il supporto tecnico e di intelligence americano dell'Africom da Gibuti e dal Maryland, il supporto logistico di altri Paesi europei (in primis Germania ed Inghilterra ), l'arrivo dei droni.
Dall'altra parte le katibah dei terroristi a cui alcune stime da verificare attribuiscono una forza di 4-5000 uomini: AQIM sui 2000 uomini, MUJAO un migliaio, Ansar Dine il resto. A questi vanno aggiunti i terroristi da esportazione che convergono dove le crisi si accentuano. Probabilmente non coordinati operativamente tra loro, ma comunque pieni di armi libiche, di soldi qatarioti e soprattutto ottimi conoscitori del deserto.
In una guerra asimmetrica, non convenzionale, non vince necessariamente il piu' forte. Il fatto che l'intervento militare francese non sia stato risolutivo lo dimostrano le perdite subite dai terroristi: 200/300 uomini. Gli altri sono scappati in attesa di occasioni migliori. E l'occasione migliore sara' quando i francesi se ne andranno e subentreranno le forze del contingente africano o ONU e quelle fatiscenti dell'esercito maliano.
La forza del terrorismo africano in genere e di quello nel Nord del Mali in particolare risiede oggi in un mutato quadro regionale dove abbondano nuove autorita' legate al radicalismo islamico (basti pensare all'ostilita' espressa pubblicamente dal presidente egiziano Mohamed Morsi nei confronti dell'intervento francese) e proliferano ampie sacche di instabilita' procurate dalle guerre civili. La debolezza degli Stati si trasforma in una forza del terrorismo endogeno. E se si segue questa valutazione dei fatti, l'unica nazione nella regione fortemente laica e quindi ancora non permeabile al dilagante radicalismo islamico (forse perche' gia' vaccinata dalle esperienze del FIS negli anni '90) e' l'Algeria. Che necessariamente, come gia' detto, diventa l'obiettivo di coloro che sognano califfati o la rigida applicazione della sharia. Per onor di storia bisogna anche dire che l'Algeria era fortemente contraria ad un attacco internazionale contro Gheddafi perche' paventava - a ragione - che il tutto avrebbe concesso spazio al terrorismo. Algeri da' oggi ospitalita' ai familiari del deposto dittatore marcando ancora di piu' la propria scelta di campo.
Il terrorismo attecchisce laddove esistono poverta', ingiustizie sociali, limitate aspettative per una vita migliore, liberta' e democrazia. In questo senso il terrorismo svolge sulle masse piu' indigenti un ruolo sociale. L'aggettivo "islamico" e' veicolo di queste istanza sociali non essendoci altre ideologie di riferimento dopo la caduta del comunismo (che nell'area era surrogato piu' dal panarabismo e dal baathismo). Il terrorista delle katibah del Mali non e' portatore di un islamismo ideologico, ma ne utilizza in modo rozzo alcuni - peraltro discutibili - aspetti sociali. E' un islamismo che avanza con la spada e non con la raffinatezza della teologia.
L'unica possibilita' per estirpare il terrorismo dal nord del Mali risiede in un accordo tra i tuareg e le rispettive autorita' centrali possibilmente facilitato da una mediazione e da sussidi internazionali. Questa sembra la strada che vuole seguire Washington. Gli Stati Uniti intendono anche costituire nell'area (probabilmente in Niger) un comando militare integrativo dell'Africom, ora a Gibuti. Questa e' un'iniziativa che gli USA coltivavano da tempo e che non erano mai riusciti a realizzare per l'ostilita' di Gheddafi (secondo l'allora Rais libico la presenza americana nel Sahel invece di cacciare i terroristi islamici li avrebbe richiamati).
Chi ci guadagna
Il primo beneficiario e' sicuramente la Francia che ribadisce il proprio ruolo egemonico, dal vago sapore neo-colonialista, in una parte di mondo che gravita sotto l'influenza di Parigi. E' quel connubio semantico di "francafrique" coniato dall'ex Presidente della Costa d'Avorio Felix Houphouet Boigny che postulava una stretta relazione tra ex Paesi colonialisti e le ex colonie.
L'intervento armato avviene infatti in ex colonie francesi, da' un senso al variegato dispositivo militare transalpino che staziona nella regione e fornisce al Presidente François Hollande la possibilita' di riguadagnare consensi nel suo Paese nel nome di quel "grandeur" di un impero oramai disciolto, ma mai dimenticato nell'immaginario popolare francese. "Grandeur" un po' offuscato dal fallimento del blitz delle forze speciali francesi per la liberazione di un proprio connazionale, membro dei Servizi, in Somalia.
Altro beneficiario e' il Mali, sia sul piano politico che su quello economico. Il colpo di Stato del tenente Amadou Yaya Sanogo nel marzo 2011 aveva sollevato quei dubbi che spesso ricorrono in Africa quando pseudo-democrazie si tramutano fatalmente in dittature oppure vengono fortemente condizionate da e'lite militari. La defenestrazione del Primo Ministro Sheykh Modibo Dialla il 10 dicembre 2012 ad opera di Sanogo aveva posto un'ulteriore ipoteca sulla credibilita' dell'attuale dirigenza maliana. L'intervento francese - avvenuto a seguito di una esplicita richiesta di aiuto internazionale da parte del Presidente del Mali Dioncunda Traore' (nominato dallo stesso Sanogo) - ha pero' nei fatti legittimato le autorita' di Bamako.
Per ironia della sorte, il tenente Sanogo ha fatto il colpo di Stato perche' accusava il precedente Presidente Amadou Toumani Toure' di scarsa determinazione nell'affrontare la ribellione tuareg. Adesso l'intervento francese fa propria la tesi di Sanogo ed indirettamente pone il personaggio in una prospettiva di credibilita' internazionale ben diversa che nel passato.

Amadou Haya Sanogo
Poi c'e' l'aspetto economico che per un Paese povero come il Mali ha una forte valenza. L'interesse internazionale che adesso si accentra sulle vicende maliane e' sicuramente portatore di benefici finanziari. Arrivano contingenti militari internazionali, verranno costruite basi, la sovranita' di Bamako verra' sicuramente sostenuta anche da iniziative sociali collaterali, l'Onu ha adesso in priorita' le richieste di Bamako e, se il Paese diventera' il centro di una lotta contro il terrorismo islamico nella regione, questo sicuramente si tramutera' in soldi.
Poi c'e' l'Algeria. Con l'intervento militare contro i ribelli islamici che hanno assaltato il campo petrolifero di In Amenas il 17 gennaio Algeri non solo ribadisce, qualora ce ne fosse bisogno, la propria indissolubile ostilita' ad ogni trattativa con il terrorismo islamico, ma pone anche, come oramai avviene dall'indipendenza e dalla lotta contro il F.I.S. di Madani, al centro di ogni vicenda politica interna l'imprescindibile ruolo del "pouvoir" militare. L'intervento delle forze di sicurezza algerine a In Amenas ha comportato la morte di vari ostaggi, ma anche qui il messaggio che viene da Algeri e' molto chiaro: non esiste una differenza se muore un algerino o un occidentale e, soprattutto, non esistono politiche alternative nei rapporti con il terrorismo.
Quei Paesi che nel tempo hanno pagato riscatti o si sono sottomessi ai ricatti per salvare i propri concittadini (in prima fila l'Italia) sappiano - e' il monito dell'Algeria - che non ci sono margini di discrezionalita'. E siccome anche la forma diventa sostanza di strumentalizzazione politica, Algeri ben si e' guardata dal dare comunicazione preventiva del suo blitz a In Amenas ai Paesi che avevano propri cittadini ostaggi nel campo petrolifero. Cosi' facendo gli algerini hanno ribadito la propria sovranita' decisionale, la propria determinazione nella lotta al terrorismo e mandato un messaggio al neo-colonialismo francese. L'Algeria, a differenza di altre ex colonie del Sahel, non ha bisogno di aiuto o di negoziare alcuna concessione o di chiedere autorizzazioni.
Piu' in generale vi sono anche altri vincitori collaterali. Uno e' l'idea che il terrorismo, soprattutto quello islamico, sia diventato oramai una problematica universale che non ha piu' limiti geografici o limiti di intervento. Cio' postula che nel combattere il fenomeno non vi siano piu' limitazioni giuridiche o procedurali. La Francia e' intervenuta direttamente sul terreno per combattere le milizie islamiche senza la preventiva autorizzazione dell'Onu. Il sostegno di altri Paesi e' giunto successivamente quando la comunita' internazionale ha deciso di appoggiare, a posteriori, le operazioni militari francesi. Si e' nei fatti generato il principio giuridico secondo il quale in caso di terrorismo saltano tutti quei rituali che generalmente accompagnano ogni intervento internazionale. Non e' la prima volta che questo avviene da parte francese, come insegna l'intervento militare in Libia, deciso da Nicolas Sarkozy prima che dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
Bisogna poi anche sottolineare come l'intervento francese abbia nei fatti legittimato, sul piano dell'importanza che l'intervento militare ha determinato, anche quelle milizie islamiche che da tempo controllano il nord del Mali. Se questi gruppi armati precedentemente sopravvivevano grazie alle loro attivita' criminali (brigantaggio, traffico di droga, estorsioni, cattura di ostaggi, traffico di esseri umani) ora sono a tutti gli effetti entrati nel pantheon del terrorismo islamico. I vari Mokhtar Belmokhtar, Iyad ag Ghali (alias Abu al Fadl), Abdulhamid abu Zied, Yahya abu Hammam, Hamada Ould Mohamed Kheirou da noti tagliagole diventano gli alfieri della guerra santa contro gli infedeli.
Si avvera cosi', anche se casualmente, il sogno dell'emiro Abdulmalek Droukdal che trasformando il Gruppo Salafita per la Predicazione e Combattimento (in chiave anti-algerina) in Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) vede realizzato il suo ingresso sul palcoscenico internazionale sulla scia di Bin Laden. Questo avviene nonostante tra Droukdal e Mokhtar Benmokhtar non corra buon sangue. E come avviene oramai in tutte le aree di crisi (Iraq, Libia, Siria, Somalia), anche nel nord del Mali arriveranno a frotte quei professionisti del terrorismo che si spostano da un conflitto all'altro senza sapere nulla delle problematiche locali, ma portatori di quel "nihilisme aveugle" (come lo chiamano gli algerini) come loro unica dottrina. Nei fatti, l'intervento militare francese ha creato i presupposti per la creazione di un ulteriore fronte fra l'occidente e il mondo islamico integralista. La guerra ora in atto non e' solo per la riconquista del nord del Mali e a difesa della sovranita' di Bamako, ma scontro di culture, religioni, tra neo-colonialismo e indipendenza, tra Paesi poveri e ricchi.
Il grande vincitore, soprattutto dal punto di vista mediatico, e' senz'altro Mokhtar ben Mokhtar che con l'operazione di In Amenas assurge da semplice criminale e terrorista al rango dei maggiori personaggi di Al Qaeda. Algerino di Ghardaia con esperienza pregressa in Afghanistan al fianco di Hezb al Islami di Gulbeddin Hekmatyar e' rientrato in Algeria dove ha militato prima nel G.I.A., poi nel Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento ed infine in Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Mokhtar si e' rafforzato con i soldi dei vari traffici illeciti e con i riscatti per la liberazione di occidentali. Ora punta ad un ruolo di primo piano nella galassia del terrorismo islamico. Ha sopravanzato Droukdal nella gerarchia di merito di Al Qaeda nella regione ed ha anche vinto la concorrenza delle altre fazioni armate che stazionano nel deserto fra Mali e Niger: AbdulHamid Abu Zied e la sua katiba Tarek bin Zayad, l'Ansar Dine di Iyad Ag Ghali, il Movimento per l'Unita' e la Jihad nell'africa Occidentale (MUJAO) guidato da Hamada Ould Mohamed Kheirou ed infine Yahya abu Hammam (nominato capo della zona sahariana dall'emiro Droukdal dopo la morte dell'emiro Makhlouf) capo della katiba al Furqan. Il suo nome e' oramai nella hit parade del terrorismo islamico tant'e' che si e' guadagnato un posto nella "kill list" americana. Tradotto nella pratica, adesso puo' essere destinatario di un missile sparato da un drone .
Chi ci perde
I primi perdenti sono i tuareg che rivendicano da tempo una propria autonomia e cultura (non solo in Mali, ma anche in Niger, Ciad, Libia e nella stessa Algeria) e che adesso vedono le loro aspirazioni messe in ombra dal terrorismo islamico e, ed e' l'aspetto piu' negativo, associate (ingiustamente) ad esso. Se e' vero che il Movimento per la Liberazione dell'Azawad (MNLA) e' stato estromesso manu militari dal nord del Mali da parte di Ansar Dine e da AQIM, il solo fatto che operasse in aree sotto il controllo delle milizie islamiche, in contrasto con le autorita' di Bamako, ha portato inesorabilmente ad associare i tuareg al terrorismo internazionale. In prospettiva, le legittime rivendicazioni di questo popolo nomade ne risultano danneggiate.
Il fatto che l'MNLA sia stato solidale con l'intervento francese e che potrebbe nuovamente tornare ad essere l'interlocutore delle istanze tuareg con Bamako non cambia la sostanza di quel rancore che oramai divide i tuareg (ed a loro vengono associati anche le popolazioni di origine araba e i Peuls del nord anteposti ai Bambara del sud) dal resto della popolazione del Mali. La secolare lotta tra neri e tuareg, tra stanziali e nomadi sta adesso portando ad una persecuzione degli sconfitti. I tuareg, che nel loro insieme costituiscono una popolazione di oltre 5 milioni di abitanti divisa tra vari Paesi del Sahel, sono improvvisamente diventati l'obiettivo di tutti quei regimi dittatoriali o pseudo-democratici che affollano la regione e che hanno bisogno di legittimarsi con rigurgiti nazionalistici demonizzando strumentalmente un "nemico". Per i 900.000 tuareg che vivono nel nord del Mali si prospettano momenti difficili. Le organizzazioni non governative non sono autorizzate a raggiungere quella regione per motivi militari.
Altro perdente e' l'Islam moderato, quello prevalente nella fascia sub-sahariana, il sufismo non delle 333 tombe dei santi di Timbuktu, portatore di una cultura religiosa fatta di tolleranza e apertura che ora viene sopravanzato dall'Islam salafita e integralista. E' un fenomeno non autoctono, ma di importazione che adesso si ripresenta con una certa pericolosita' in varie altre aree del continente africano. Questa espansione del radicalismo religioso acquista aspetti virulenti come in Somalia e Nigeria, ma anche aspetti piu' subdoli come in Egitto, Libia e Tunisia.
Perdenti sono anche gli oltre 400.000 profughi che sono scappati dalla guerra civile e rifugiatisi fra Mauritania, Niger, Burkina Faso, Guinea e Togo. Vivono di carita' internazionale, in condizioni igieniche catastrofiche e soprattutto non sanno quando e se potranno un giorno fare rientro nelle proprie case. Nella casistica non compaiono neanche quei maliani che si sono spostati, ma non fanno riferimento a campi profughi. In tutto sono oltre 700.000 persone fra rifugiati e sfollati (IDPs).
La paternita' di questa nuova crisi
L'escalation militare nel nord del Mali e' figlia di tanti padri.
In primis la dissoluzione del regime di Gheddafi che ha costretto molti mercenari (armati) che combattevano al fianco dei lealisti a scappare verso il Sahel. A questi mercenari si sono uniti molti libici (armati) in fuga. Alquanto invisi ai Paesi sub-sahariani di appartenenza dove prevalgono regimi che si basano sul consenso delle armi (e che quindi non gradiscono personaggi che sanno combattere ed usarle), questi fuggiaschi sono stati costretti a riposizionarsi nella no-man's land che si estende dal sud algerino al nord del Mali, Niger e Mauritania alla merce' del brigantaggio. Se poi le loro malefatte criminali abbiano potuto beneficiare di un vessillo legittimante come le rivendicazioni tuareg o la jihad tanto meglio. Al pari della Libia, l'insieme delle cosiddette primavere arabe ha creato l'instabilita' che ha concorso a questa risorgenza del terrorismo islamico.
Un altro elemento che ha favorito la crisi nella regione e' il commercio di armi che e' passato da livelli artigianali ad un livello industriale. Le varie crisi nazionali nel Nord Africa si sono tramutate in destabilizzazione endemica, mancati controlli delle autorita' centrali, aree confinarie non presidiate, circolazione esponenziale di armamenti. Nella pratica la Primavera Araba e' diventata una primavera del traffico di armi. Chi ne voleva o pensava di utilizzarle non ha incontrato difficolta' a reperirne.
E come spesso accade, accanto alle armi con le quali generalmente si prevaricano le idee ed i comportamenti, arrivano anche interessi e culture di analogo contenuto ideologico. Questo e' il caso del wahabismo di marca saudita e qatariota che, approfittando di ogni contingenza locale, ha cercato di affermare la diffusione del radicalismo religioso salafita. E' un fatto oramai matematicamente accertato che laddove si diffonde il wahabismo, questo diventa elemento di espansione ed adesione per l'estremismo ed il terrorismo islamico. E' una circostanza tragica che si e' manifestata la prima volta con Osama bin Laden e che continua a manifestarsi in altri teatri operativi come oggi la Siria e ieri Libia, Somalia e Egitto. Il potere suadente del wahabismo e' anche nei soldi che si accompagnano all'espansione ideologica.
E' ben chiaro, quindi, che la paternita' di questa insorgenza di terrorismo nel nord del Mali e' anche nei soldi che oramai circolano nella regione. Soldi degli ulema wahabiti, soldi dei traffici vari, soldi dei riscatti, soldi derivanti dal commercio della droga che vede oggi la Guinea Bissau come punto di arrivo della cocaina dal cartello di Medellin che transita nel Sahel in direzione dell'Europa. Ed in questo business emergente le varie fazioni islamiche del nord del Mali (AQIM, MUJAO, Ansar Dine) lucrano assicurando il transito della droga nelle aree sotto il loro controllo.
E quando si parla di soldi, bisogna ricordarsi che le tribu' tuareg hanno sempre vissuto una vita di stenti determinata dall'ostracismo dei governi centrali e dall'ambiente senza risorse in cui vivono. Ed ora che i soldi sono arrivati nella loro zona, seppur legati ad attivita' criminale, portano benessere diretto o indiretto anche ai tuareg. E questa circostanza ha fatto si' che i tuareg siano, seppur per interesse, solidali o almeno consenzienti con i vari movimenti terroristici e le loro efferatezze.
L'evoluzione della situazione
L'intervento militare francese per riconsegnare la sovranita' del nord del Mali alle autorita' di Bamako nonche' l'operazione algerina contro i terroristi in In Amenas portano fatalmente quella che fino a ieri era una problematica regionale al rango di questione internazionale. A questo proposito, bisogna ricordare che il terrorismo e' una forma surrogata di guerra che non si conclude o debella con un'operazione militare, ma che tende a riproporsi e a rigenerarsi ogni qualvolta situazioni o condizioni ambientali lo giustifichino o favoriscano.
Quando inizia una guerra e' poi difficile stabilire quando finira'. Nel caso specifico, appare alquanto problematico che al ricontrollo militare del nord del Mali da parte del governo centrale corrisponda la scomparsa del terrorismo nella regione. Questo perche' i confini desertici che dividono il Mali da Algeria (1400 km), Niger (800 km) e Mauritania (2240 km) non sono sufficientemente presidiati e questo permette ai terroristi di spostarsi a piacimento nelle zone e Paesi limitrofi piu' sicuri.
Nella regione la Mauritania non ha sufficiente capacita' di contrasto al terrorismo, la Libia ha adesso altri problemi a cui pensare (ha 200.000 ex ribelli che non vogliono disarmarsi) e il Niger ha piu' interesse a dedicarsi ai propri tuareg che non ai tuareg degli altri. Il peso di un'eventuale lotta ad AQIM, Ansar Dine e MUJAO cade inesorabilmente sulle spalle francesi e - qualora consenzienti - anche algerine. Ma come abbiamo visto, Parigi non ha avvisato Algeri del suo intervento militare nel nord del Mali, altrettanto non ha fatto l'Algeria per l'operazione di In Amenas e quindi non esiste oggi un coordinamento tra i due Paesi. Ed e' anche difficile che questo possa realizzarsi nel prossimo futuro perche' i rapporti tra Algeria e Francia sono un mix di odio-amore sin dai tempi della guerra di liberazione. Essendo l'Algeria il paese maggiormente a rischio terrorismo islamico nella regione, nessuna operazione efficace per combattere questa piaga sociale potra' avere ragionevole risultato senza il concorso di Algeri. Questo e' il principale motivo per cui nessuno Stato, dalla Francia agli USA, ha sollevato critiche all'operato algerino.
Inoltre, fino all'operazione di In Amenas, le autorita' algerine avevano tenuto nei confronti del terrorismo nel sud del Paese e nella fascia sub-Sahariana un atteggiamento alquanto subdolo tipico di chi sembra accettare una specie di modus vivendi con la controparte fintanto che non vengono toccati i rispettivi interessi. Voci ricorrenti nel passato facevano stato di contatti tra la D.R.S. (De'partment du Reinsegnement et de la Se'curite' ) di Toufiq Me'diene con il capo dell'Ansar Dine , Iyad Ag Ghali e persino con lo stesso Mokhtar Benmokhtar.

Mokhtar Belmokhtar
Adesso le autorita' algerine hanno schierato circa 10.000 uomini a presidio dei confini con il Mali (i citati 1400 km) e con la Libia (circa 1000 km) a cui vanno aggiunte le guardie della dogana (ora armate), gli elicotteri della gendarmeria e la sorveglianza aerea continua. Tuttavia, l'estensione dell'area da controllare rende insufficiente questo dispiegamento nonostante l'Algeria abbia un esercito di 150.000 uomini (il piu' numeroso in Africa) ed un budget annuale della Difesa di circa 10 miliardi di dollari l'anno.
La concentrazione dei terroristi nel Nord del Mali ha automaticamente diminuito la loro presenza nel sud dell'Algeria e questo ha fatto particolarmente comodo alle autorita' di Algeri. Da parte algerina, l'interesse principale e' rappresentato dagli impianti petroliferi dislocati principalmente nel sud del paese e forniscono la prevalente risorsa finanziaria dell'Algeria. L'attacco di In Amenas ha rotto nei fatti questo armistizio ed ha costretto Algeri ad intervenire.
L'attacco contro l'installazione di In Amenas e' avvenuto nonostante le autorita' del Paese attuino strette misure di sicurezza a protezione degli impianti: ogni cittadino algerino puo' lavorare in queste strutture solo dopo aver ottenuto un nulla osta di sicurezza da parte dei Servizi algerini; ad ogni installazione viene distaccato un reparto di gendarmeria per assicurarne la protezione esterna; i cittadini algerini non possono recarsi nelle zone sud del Paese - che sono quasi sempre off-limits - senza uno speciale permesso. In ultimo, ogni grossa societa' petrolifera ha un proprio sistema di sicurezza all'interno delle installazioni con personale dedicato alla sorveglianza (che pero', come nel caso in questione, non e' autorizzato a portare armi). Questo da' l'idea di quanto fossero impreparate le autorita' di sicurezza algerine ad affrontare un'emergenza del genere e, dall'altro, quanto invece siano stati efficienti i terroristi ad occupare l'impianto con una presumibile assistenza di qualche basista interno.
Le autorita' di Algeri hanno sempre lo stesso approccio nel combattere il terrorismo: poca intelligence, ma molto intervento armato. Modello riconfermato nell'episodio di In Amenas. Anche qui, a parte la volonta' di non voler negoziare niente con i terroristi, la prima risposta di Algeri e' stata di tipo esclusivamente militare con bombardamenti ed attacchi. I reparti di e'lite che generalmente effettuano questo tipo di interventi vengono da un centro di addestramento nei pressi dell'aeroporto della capitale, reparti in passato addestrati dall'Italia.
L'operazione "Serval" non poteva essere misurata nei rapporti di forza fra i due schieramenti in campo. La Francia con i suoi circa 3000 uomini sul terreno (senza contare il supporto che puo' immediatamente acquisire dalle sue tante basi nel continente), l'assoluta supremazia aerea, un esercito (benche' fatiscente) maliano di 10.000 uomini (ma meno di 1/5 in grado di combattere), la presenza di un contingente africano che dovrebbe avere una forza di circa 5-6000 uomini forniti dai Paesi aderenti all'ECOWAS (Nigeria, Togo, Niger, Burkina Faso, Benin, Ghana) a cui aggiungere il Ciad (2000 uomini), il supporto tecnico e di intelligence americano dell'Africom da Gibuti e dal Maryland, il supporto logistico di altri Paesi europei (in primis Germania ed Inghilterra ), l'arrivo dei droni.
Dall'altra parte le katibah dei terroristi a cui alcune stime da verificare attribuiscono una forza di 4-5000 uomini: AQIM sui 2000 uomini, MUJAO un migliaio, Ansar Dine il resto. A questi vanno aggiunti i terroristi da esportazione che convergono dove le crisi si accentuano. Probabilmente non coordinati operativamente tra loro, ma comunque pieni di armi libiche, di soldi qatarioti e soprattutto ottimi conoscitori del deserto.
In una guerra asimmetrica, non convenzionale, non vince necessariamente il piu' forte. Il fatto che l'intervento militare francese non sia stato risolutivo lo dimostrano le perdite subite dai terroristi: 200/300 uomini. Gli altri sono scappati in attesa di occasioni migliori. E l'occasione migliore sara' quando i francesi se ne andranno e subentreranno le forze del contingente africano o ONU e quelle fatiscenti dell'esercito maliano.
La forza del terrorismo africano in genere e di quello nel Nord del Mali in particolare risiede oggi in un mutato quadro regionale dove abbondano nuove autorita' legate al radicalismo islamico (basti pensare all'ostilita' espressa pubblicamente dal presidente egiziano Mohamed Morsi nei confronti dell'intervento francese) e proliferano ampie sacche di instabilita' procurate dalle guerre civili. La debolezza degli Stati si trasforma in una forza del terrorismo endogeno. E se si segue questa valutazione dei fatti, l'unica nazione nella regione fortemente laica e quindi ancora non permeabile al dilagante radicalismo islamico (forse perche' gia' vaccinata dalle esperienze del FIS negli anni '90) e' l'Algeria. Che necessariamente, come gia' detto, diventa l'obiettivo di coloro che sognano califfati o la rigida applicazione della sharia. Per onor di storia bisogna anche dire che l'Algeria era fortemente contraria ad un attacco internazionale contro Gheddafi perche' paventava - a ragione - che il tutto avrebbe concesso spazio al terrorismo. Algeri da' oggi ospitalita' ai familiari del deposto dittatore marcando ancora di piu' la propria scelta di campo.
Il terrorismo attecchisce laddove esistono poverta', ingiustizie sociali, limitate aspettative per una vita migliore, liberta' e democrazia. In questo senso il terrorismo svolge sulle masse piu' indigenti un ruolo sociale. L'aggettivo "islamico" e' veicolo di queste istanza sociali non essendoci altre ideologie di riferimento dopo la caduta del comunismo (che nell'area era surrogato piu' dal panarabismo e dal baathismo). Il terrorista delle katibah del Mali non e' portatore di un islamismo ideologico, ma ne utilizza in modo rozzo alcuni - peraltro discutibili - aspetti sociali. E' un islamismo che avanza con la spada e non con la raffinatezza della teologia.
L'unica possibilita' per estirpare il terrorismo dal nord del Mali risiede in un accordo tra i tuareg e le rispettive autorita' centrali possibilmente facilitato da una mediazione e da sussidi internazionali. Questa sembra la strada che vuole seguire Washington. Gli Stati Uniti intendono anche costituire nell'area (probabilmente in Niger) un comando militare integrativo dell'Africom, ora a Gibuti. Questa e' un'iniziativa che gli USA coltivavano da tempo e che non erano mai riusciti a realizzare per l'ostilita' di Gheddafi (secondo l'allora Rais libico la presenza americana nel Sahel invece di cacciare i terroristi islamici li avrebbe richiamati).