testata_leftINVISIBLE DOGvideo

UCRAINA - LA GUERRA NEI SUOI ASPETTI. ANALISI E COMMENTI


ukraine soldiers


Gli antefatti della crisi

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, era stato sottoscritto un accordo, gestito dai direttori politici dei rispettivi ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Germania e Canada per cui furono date garanzie alla Russia che, in cambio del ritiro del proprio contingente militare dai paesi dell’Europa Orientale, nessun Paese dell’ex patto di Varsavia sarebbe entrato nella NATO. Limite geografico: il fiume Oder. Tutte promesse disattese.
Nel 1999 entrano nella NATO Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Nel 2004 seguiranno Bulgaria, Estonia, Lituania, Lettonia, Romania e Slovacchia.
Nel 2008, durante la riunione NATO a Bucarest, gli Stati Uniti dichiarano la prossima adesione all’organizzazione di Ucraina e Georgia (iniziativa poi bloccata per l’opposizione di Francia, Italia e Germania).

La sensazione da parte russa di essere accerchiata o aggredita trova sostanza in tutto questo.

Ed è proprio tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 che iniziano i prodromi dell’attuale crisi: manifestazioni in Ucraina per associarsi all’Unione Europea rifiutate dal presidente ucraino filorusso Yanukovich che viene esautorato. Lo farà invece il suo sostituto, Poroshenko qualche mese dopo. Intanto la Russia occupa la Crimea e ne legittima l’incorporazione con un referendum pilotato e nel contempo alimenta il secessionismo in aree dell’Ucraina con prevalente popolazione russa. Un gesto di monito a Kiev. Ci saranno invece ulteriori incidenti in Odessa tra filorussi e filo-ucraini con morti e feriti alimentati sopratutto da gruppi estremisti di destra e neonazisti ucraini (da lì l’accusa ricorrente nei discorsi di Putin di voler cacciare da Kiev un regime nazista e di voler proteggere la popolazione russa dell’Ucraina).

Per queste circostanze sono stati firmati a Minsk due successivi protocolli nel 2014 e 2015 per mettere fine allo scontro armato nel Donbass tra i secessionisti filorussi delle autoproclamate repubbliche del Donetsk e del Luhansk e l’Ucraina. Gli accordi erano stati favoriti dalla mediazione russa, che vi partecipava come attore non coinvolto nella diatriba insieme a Francia e Germania, firmati dalla Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OCSE) ed alla fine ratificati dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Anche su questi protocolli si sono intrecciate accuse di mancato rispetto da entrambe le parti.

Altro elemento non trascurabile: nel 2021 le truppe ucraine hanno partecipato ad una esercitazione NATO sul Mar Nero che ha ulteriormente alimentato i timori di Mosca. A questo bisogna poi aggiungere il fatto che dal 2005 gli Stati Uniti avevano inviato in Ucraina membri delle forze speciali e della C.I.A. per addestrare l’esercito alle tecniche della guerriglia, protezione delle comunicazioni, uso di mezzi controcarro etc. Un programma iniziato sotto Obama, poi proseguito da Trump e poi interrotto da Biden qualche giorno prima della guerra.

Nella rivisitazione storica di Putin, la sovranità della Crimea era stato trasferita da Krushev nel 1954 dalla Russia all’Ucraina (e quindi era adesso ”giusto” che ritornasse nella madre patria) e comunque una Ucraina indipendente è nata solo nell’agosto del 1991 (e nella sua costituzione è previsto il non allineamento ed il rifiuto di forze straniere sul proprio territorio) mentre prima era una repubblica integrata nell’Unione Sovietica dove lingua e cultura si sono nel tempo sovrapposti. Una lettura un po' forzata, se non una manipolazione della storia e della geografia.

Il 22 febbraio scorso, infatti, due giorni prima delle operazioni militari, Putin aveva affermato testualmente in un discorso alla nazione che “L’Ucraina per noi non è solo un paese confinante. È parte inalienabile della nostra storia, cultura e spazio spirituale”. Una ricostruzione storica che si lega alla Russia imperiale e non alle vicende bolsceviche su cui spende anche giudizi negativi. Ed è un concetto che nei fatti limita l’idea che l’Ucraina possa avere una propria sovranità. E nel discorso di unica nazione viene inserita in altre allocuzioni anche la Bielorussia.

La condotta delle operazioni.

Ci sono state negli ultimi 30 anni tre grosse operazioni militari: due in Iraq ed una in Afghanistan. La guerra degli altri porta sempre un’esperienza indotta che può risultare utile.

Nei tre episodi bellici citati gli Stati Uniti hanno sempre utilizzato la stessa tecnica di intervento: inizio delle operazioni di notte con jamming delle comunicazioni, intervento aereo mirato sui sistemi di comando e controllo e sulla difesa aerea del nemico con relativo controllo immediato dello spazio aereo, sistematica distruzione delle infrastrutture del paese soprattutto quelle che potevano incidere sulla capacità operativa avversaria e poi, nel tempo successivo, distruzione di quelle infrastrutture che potevano incidere sul morale dell’esercito nemico.

Solo dopo alcuni giorni di questi bombardamenti e distruzioni arrivavano le truppe di terra che entravano nel Paese.

L’esercito russo non ha seguito questa procedura: è entrato subito nel Paese senza aver distrutto il sistema di comando e controllo ucraino, né si è assicurato il controllo dello spazio aereo. Tanto meno sono state colpite le infrastrutture principali del paese.

Il risultato è stato quello di trovarsi fin dal primo giorno dell’invasione un nemico capace di contrastare l’avanzata.

Si è molto dissertato su questa decisione russa che non ha fatto tesoro delle pregresse esperienze americane. Molto probabilmente c’è stato un errore nella valutazione della reazione da parte dell’esercito ucraino, frutto di un altrettanto errore di analisi da parte dei Servizi russi.

Si sperava che l’arrivo delle truppe russe fosse accolto con tripudio da parte della popolazione ucraina ? Probabilmente sì.

Si sperava che l’esercito ucraino si sarebbe subito dissolto davanti all’avanzata russa? Probabilmente sì. D’altronde l’occupazione della Crimea era avvenuta senza sparare un colpo.

Se, come nella realtà, è avvenuto il contrario, c’è da chiedersi, oltre ai Servizi russi, chi altro ha sbagliato. La percezione errata di quello che poteva essere la reazione dell’Ucraina coinvolge anche l’entourage di Putin, i suoi consiglieri politici ed ovviamente le predisposizioni sul terreno dei vertici militari. Quando si affronta una invasione o una guerra c’è sempre da programmare, con margini ampi, la possibilità che si debbano fronteggiare anche eventi negativi non pianificati.

Sul piano militare quali gli errori più vistosi: l’ampio utilizzo di personale di leva non sufficientemente addestrato o motivato, le grosse carenze nella catena logistica (forse nella presunzione di una guerra lampo), un sistema di comunicazioni cifrate non adeguato che ha costretto molti militari a ricorrere all’utilizzo del cellulare (con relativa intercettazione), il mancato bloccaggio degli aiuti militari esteri che affluiscono all’esercito ucraino, un inadeguato numero di truppe per un paese di oltre 600.000 kmq e con una popolazione che supera i 40 milioni di abitanti. Non bastavano sicuramente i 190.000 schierati inizialmente sul terreno.

Ma tutto risale all’errore iniziale: la convinzione che non ci sarebbe stata una resistenza ucraina e che i soldati russi sarebbero state accolti come liberatori.

Forse in questo approccio ottimista vi è anche la scelta di una invasione fatta in condizioni climatiche difficili. Per i mezzi corazzati o blindati, per agibilità delle strade, sarebbe stato meglio fare questa operazione militare in un periodo dell’anno senza neve.

vladimir putin


Putin ed i sui consiglieri

Qualcuno ha sollevato dubbi sulle capacità psicofisiche di Putin e sul fatto che sia circondato da un nucleo ristretto di uomini fidati, molti dei quali provenienti dall’ex Kgb (come Nikolay Tokarev che presiede la società che gestisce gli oleodotti russi; i consiglieri Igor Panarin e Nikolay Patrushev; il capo della Rostec Corporation che opera nel campo della difesa), o altri che si sono arricchiti con la compiacenza del Presidente.

Quindi una serie di personaggi che per motivi personali non hanno interesse a contraddire o contestare le decisioni di Putin. Il resto lo fa la diffidenza – innata o professionalmente procurata – che limita i contatti del Presidente con altri interlocutori al di fuori del suo cerchio magico. Lo stesso titolare del dicastero della Difesa, Sergey Shoigu, che veste la divisa di Generale nelle sue apparizioni pubbliche, è un ingegnere civile che poco sa delle dinamiche militari.

Tutte queste circostanze probabilmente hanno impedito a Putin di confrontarsi o documentarsi con la realtà dei fatti, ma di farsi opinioni o considerazioni su una realtà virtuale propinata dai suoi uomini. Unica cosa certa è che Putin e molti dei suoi consiglieri sono cresciuti professionalmente in un contesto legato sopratutto alle esperienze della disciolta Unione Sovietica, vivono le vicende del mondo in forma antagonista, trasformano gli avversari in nemici, credono nella possibilità di ricostruire i fasti del passato.

Gli effetti collaterali

Ovviamente l’invasione dell’Ucraina ha nuociuto all’immagine di Putin nel mondo. Ed è un danno che avrà durata nel tempo non solo per il personaggio, ma anche per il paese che rappresenta.

Poi c’è la questione economica che potrà in parte essere bypassata da altri accordi commerciali con paesi terzi anche se la finanza internazionale è in mano americana. Quindi se l’impatto delle sanzioni potrà avere effetti limitati nel breve termine, nel medio e lungo termine colpiranno l’economia russa.

Ma le conseguenze dell’operazione militare russa ingloba anche altri aspetti che forse Putin ha sottovalutato:
- la NATO che era diventata un personaggio in cerca di autore dopo la caduta dell’Unione Sovietica, ha ripristinato un suo ruolo centrale nelle alleanze militari dell’Occidente ed ha spostato il suo baricentro militare verso est;
- l’Europa, alquanto acquiescente nelle vicende della Crimea e del Donbass, ha ritrovato una sua unità nel paventato pericolo comune ed è probabile che questo accelererà la costituzione di una difesa militare comune;
- l’Ucraina, che nella narrazione storica putiniana costituiva solo una diramazione territoriale della grande madre Russia, ha invece dimostrato al mondo, col sangue della sua resistenza armata, che è una nazione vera e propria e che vuole difendere la propria integrità territoriale ed autonomia. Quindi la guerra ha alimentato il nazionalismo ucraino;
- se la dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia poteva costituire nel tempo una velata forma di pressione sulle vicende politiche europee, adesso questo, nel breve/medio termine, non avverrà più. E’ un discorso che si riferisce a molti paesi che dipendono dal gas e petrolio russo, tra cui anche l’Italia, ma soprattutto la Germania che adesso passerà da una politica accomodante su quello che accade ai suoi confini orientali ad una posizione più critica ed intransigente, come peraltro dimostrato dal suo recente aumento del budget per le spese militari;
- la paura di una Russia aggressiva potrà anche avere l’effetto di indurre alcuni paesi dell’Europa orientale ad affrancarsi da una politica neutrale, come la Svezia e la Finlandia che sono state invitate ad un recente vertice NATO. Altri, come Polonia, Repubblica Ceca o Paesi baltici, avranno maggiore interesse ad ospitare sul proprio territorio, truppe dell’Alleanza;
- la guerra ha messo contro russi ed ucraini che prima convivevano pacificamente. Non è ancora quantificabile cosa produrrà questa circostanza. Sicuramente questo avrà le sue conseguenze, soprattutto, quando terminerà questa guerra o questa occupazione, il popolo ucraino si dovrà confrontare con le distruzioni che ha subito o sui morti che dovrà contare. Si è ampiamente discusso sul fatto che gli ucraini sono linguisticamente russofoni, ma questo non implica che siano russofili.

mariupol


Il fattore tempo

Una guerra non vinta bene è una guerra persa. Ed è quello che sta accadendo in Ucraina. Passare da una auspicata guerra lampo ad una guerra di logoramento è quello che qualifica una disfatta. Più il tempo passa più l’immagine internazionale della Russia ne rimane penalizzata. Cade il presupposto che il regime nazista di Kiev sia illegale e non supportato dalla popolazione, cade il presupposto che gli ucraini abbiano gioito all’arrivo delle truppe russe.

Adesso rimangono solo poche opzioni a Putin per salvare le apparenze: arrivare in fondo alla guerra conquistando tutte le città e controllando il paese, oppure negoziare. La prima opzione, forse più gradita da parte russa, è anche la più complicata da realizzare. Significa distruggere un paese, subire grandi perdite di uomini come avverrebbe nei combattimenti negli abitati, alimentare una guerra civile come da esperienza afghana, avere comunque l’onere militare di controllare un enorme paese. Molti costi in denaro e vite umane, pochissimi i benefici.

L’altra opzione, quella del negoziato, è forse la più praticabile anche se certifica la sconfitta russa. Perché fermarsi o tornare indietro vuol dire perdere. Lo stesso dicasi se riuscirà a completare il pieno controllo del mare d’Azov o negoziare una neutralità ucraina. Si è già passati da un ultimatum dei primi giorni, ad un negoziato ultimativo ed infine a un vero e proprio negoziato. La Russia vuole ottenere il più possibile e per questo prosegue nelle operazioni militari cercando di acquisire nella guerra un potere negoziale ed indurre la controparte a maggiori concessioni. Ma anche qui il fattore tempo ha il suo peso.

Altro sintomo di debolezza è il fatto che adesso vengono colpiti obiettivi civili come scuole e ospedali. Si cerca di dissociare la reazione della popolazione dalle intenzioni della leadership politica e militare del paese nel resistere all'invasione russa. Vuol dire giocare sulla frustrazione o esasperazione della gente.

ussr

nato 


I riflessi nel sistema di potere della Russia

Oggi in Russia, come avviene nelle autocrazie, il potere decisionale è nelle sole mani di Putin. Che ordina e decide senza contraddittorio. Non ha bisogno di confrontarsi con il giudizio dell’opinione pubblica.

Pensare che le vicende ucraine lo possano spodestare forse è troppo, ma sicuramente possono indebolirlo. Una sua eventuale esautorazione, se accadrà, non è un fatto che potrà avvenire in tempi brevi. Ci vorrà qualcuno che piano piano si circondi di personaggi dell’establishment, magari possa contare sui soldi di qualche oligarca, abbia dalla sua parte i poteri forti come l’Esercito, i Servizi di sicurezza e magari l’appoggio del patriarcato ortodosso. Sono tutte strutture che invece al momento sono controllate da Putin.

E’ più probabile che gli eventi ucraini possano portare ad una involuzione del sistema di potere in Russia verso le forme più rigide di una dittatura. E’ una circostanza ricorrente nella storia russa che si applica su una popolazione che non ha mai subito il fascino di una democrazia se non per il contagio derivante dall’accesso ad internet o siti social. Ne farà le spese chi proverà a dissentire perché sarà soggetto a forme più dure di repressione.

La differenza sostanziale tra democrazia e autocrazia – o peggio ancora dittatura – è proprio nel processo decisionale che elabora il capo e che avviene nel disprezzo dell’opinione pubblica.

Putin e l’appoggio della chiesa ortodossa russa

Hanno fatto effetto le recenti dichiarazioni pubbliche del patriarca russo Kirill che in una occasione ha giustificato l’invasione dell’Ucraina correlandola al libertinismo sessuale nell’Occidente ed in altra esternazione pubblica ha dato la responsabilità del conflitto alla NATO. Così facendo ha legittimato la guerra e si è schierato in modo plateale al fianco di Putin.

All’interno del patriarcato russo Kirill è stato spesso accusato da alcuni membri autorevoli e conservatori di essersi troppo esposto verso l’Occidente e la chiesa cattolica e sotto questo aspetto aveva bisogno di rimarcare la sua fedeltà alla Russia. Il legame con Putin è fatto anche dai soldi, esenzioni fiscali, accesso libero alla televisione, tutte facilities che il Presidente elargisce con generosità al patriarcato.

Ma poi c’è il problema dei rapporti del patriarcato russo con la chiesa ortodossa autocefala ucraina che dopo l’invasione della Crimea, il deteriorarsi dei rapporti tra Mosca e Kiev, ha deciso di staccarsi dai suoi legami con il citato patriarcato per unirsi con il patriarca di Costantinopoli. E’ una circostanza che è stata utilizzata contro Kirill dai detrattori presenti all’interno del patriarcato russo. Sia in Russia come in Ucraina i rispettivi patriarcati sono implicati in vicende politiche o militari nazionali.

Le centrali nucleari

All’atto dello scioglimento dell’Unione Sovietica, proclamata la propria indipendenza, l’Ucraina aveva sul proprio territorio armi nucleari appartenenti all’Unione Sovietica. Con un Memorandum sottoscritto a Budapest nel dicembre del 1994 l’Ucraina aderiva al Trattato di non Proliferazione nucleare e consegnava alla Russia 1900 testate nucleari ottenendo in contropartita la garanzia di Russia, Stati Uniti, Regno Unito (e successivamente Cina e Francia) della propria indipendenza e sovranità, nonché la integrità territoriale nei propri confini.

Nel corso dell’invasione la Russia ha cercato di prendere il controllo delle centrali nucleari (al momento ne controlla 3 su 4) che operano in Ucraina e che forniscono oltre il 50% dell’energia elettrica al Paese. Questo obiettivo mira, dal punto di vista militare, a poter controllare il sistema elettrico dell’Ucraina, ma è anche servito a rilanciare l’accusa russa che Kiev stesse sviluppando un proprio programma di sviluppo per armamento nucleare.

Accusa che poi serve a giustificare il mancato rispetto della Russia del Memorandum di Budapest per gli aspetti inerenti la sovranità ucraina.

Cosa fa la Cina


La Cina al momento, guarda e tace. Ha sempre optato per un approccio prudente in tante altre controversie internazionali. Il contatto tra Biden e Xi è da intendersi interlocutorio. La Cina non vuole essere coinvolta in un conflitto ed in una parte di mondo che non le interessa.

Ha dato la sua disponibilità ad una ricostruzione del Paese al termine della guerra. Traduce la questione ucraina ad un business futuribile. Non vuole sopratutto essere coinvolta nel problema delle sanzioni.

L’interscambio commerciale con i paesi europei è di circa 580 mld/EUR, quello con gli USA di oltre 676 mld/USD mentre quello con la Russia di 140mld/USD. Non gli conviene inimicarsi due contraenti più importanti di Mosca. L’approccio è anche tipico del pragmatismo nella politica estera cinese.

Sicuramente l’iniziativa militare russa che ha portato contraccolpi nel commercio e nella finanza internazionale, non è stata gradita anche se ufficialmente si è parlato di colpe più americane che russe. La Cina osserva le vicende ucraine per monitorare soprattutto le reazioni americane nella prospettiva di una crisi per Taiwan.

putin jinping


Le intercettazioni

E’ una attività che ha avuto grande importanza nella guerra in Ucraina. Non esiste oggi la possibilità che una qualsiasi comunicazione che viaggia nell’aria o in un collegamento telematico possa sfuggire ad una intercettazione. Magari si può porre il problema della decrittazione del messaggio, ma non della sua individuazione. E questa è una problematica che viene affrontata, in fase difensiva o offensiva, da tutti i Servizi di Informazione.

Esiste nel mondo una cooperazione nel campo delle intercettazioni che viene etichettata, dal numero dei paesi aderenti, come quella dei “Five Eyes”. E’ una cooperazione di intelligence, incentrata soprattutto sulle intercettazioni e relative decrittazioni, che comprende gli Stati Uniti, Regno Unito, l’Australia, la Nuova Zelanda ed il Canada. Era una cooperazione nata dopo la II Guerra Mondiale, nel 1946, sulla base di un accordo bilaterale tra USA e Regno Unito poi esteso agli tre paesi anglofoni. Hanno distribuito nel mondo una serie di strutture di intercettazione (la maggiore, in Europa, si trova in Regno Unito ) il cui prodotto e relative risultanze viene congiuntamente condiviso.

Sul caso dell’Ucraina, gli Stati Uniti con i suoi sodali, conoscevano da tempo i preparativi militari che stava approntando la Russia per l’invasione di quel Paese. Lo sapevano già da novembre scorso ed in qualche modo, sebbene vago per non fare scoprire da dove venivano le informazioni, avevano cercato di preavvisare i paesi alleati inviando in Europa Avril Haines, direttrice dell’Intelligence nazionale. Avevano anche contattato la Cina per avvertirla delle intenzioni russe e, come ultimo tentativo, era stato mandato a Mosca il capo della CIA, Williams Burns, per fare sapere a Putin che loro erano a conoscenza delle sue mire ucraine sperando così di fare abortire il suo piano.

I risultati di questi tentativi, peraltro falliti, di bloccare la guerra sono sotto gli occhi di tutti.

Rimane comunque il fatto che in una guerra conoscere in anticipo le intenzioni dell’avversario fornisce un grande vantaggio sia strategico che tattico e non solo, come nel caso specifico, sul terreno.

L’attività SIGINT (signal intelligence) ha poi permesso di anticipare, passo passo, tutti movimenti sul terreno dell’esercito russo, conoscere dati intercettando le comunicazioni tra reparti, poter fornire così all’esercito ucraino ed ai suoi vertici politici tutto quello che poteva tornare loro utile.

L’uso della informazione e disinformazione


Seguendo di volta in volta le varie comunicazioni pubbliche del presidente Zelensky, a parte quello che lui ha più volte dichiarato per coinvolgere altri paesi nella lotta contro la Russia, è soprattutto di interesse quello che lui ha spesso detto pubblicamente per anticipare o smontare le intenzioni di Mosca.

Anche in questo caso la conoscenza derivante dalle intercettazioni è stata utile per prevenire o ostacolare tutta quella marea di disinformazioni, da parte di Mosca, sia per impedire che la popolazione russa fosse a conoscenza delle reali vicende ucraine, sia per accusare Kiev di vari misfatti ed anche per minare il morale della controparte.

E’ quella propaganda che in Occidente viene etichettata come “fake news” ma che nel sistema sovietico prima e poi russo adesso ha sempre avuto un ruolo primario nelle vicende belliche di Mosca. Una peculiarità, nota agli addetti con il nome di “disinformatia”.

In questa attività Mosca ha dovuto operare su più fronti mediatici, sia in forma difensiva che offensiva dovendo avvalorare la teoria di una operazione speciale (mai usato il termine “guerra”), sia per dimostrare che a Kiev c’era un regime nazista, che la comunità locale russa era oggetto di genocidio e che l’intervento era stato richiesto dagli stessi ucraini per liberare il paese.

Poi ovviamente c’è stato bisogno, da entrambe le parti, ldi enfatizzare o sminuire vari episodi locali per stigmatizzare l’operato del nemico. Quindi propaganda.

L’errore che ha commesso la Russia in questo specifico contesto è non aver sufficientemente contrastato o inibito la presenza di tanti giornalisti stranieri che hanno riempito le cronache di fatti e misfatti che una guerra comporta.

Sul fronte opposto un presidente particolarmente esperto di mass media per i suoi trascorsi professionali, come Zelensky, ha utilizzato invece la pubblicità della guerra per sollecitare aiuti e sostegni internazionali, per alimentare il senso di orgoglio nazionale ed il morale dei combattenti.

Il linguaggio

E’ una variabile che muta con il divenire delle circostanze.

Putin è passato dagli iniziali toni trionfalistici a toni minacciosi, rivolti poi anche a non meglio identificati traditori, presumibilmente in patria, dove comunque vige una stretta vigilanza della censura ed una sistematica oppressione di ogni forma di opposizione. Probabilmente si riferiva a quella categoria di oligarchi, una cleptocrazia arricchitasi all’ombra del Presidente e che adesso sta subendo sulla propria pelle le conseguenze delle sanzioni. E comunque è un segno di debolezza.

Non aiuta in un futuro post-guerra ucraina, il fatto che Putin sia stato etichettato da Biden come un “criminale di guerra”. Né che nel mondo occidentale ci si una crescente russofobia.

L’esperienza bellica per gli armamenti

Come avviene sempre, le guerre servono per testare gli armamenti e per affinare tattiche, strategie, modalità di impiego di uomini e mezzi. Lo è stata anche l’esperienza ucraina.

E’ stato magnificato l’uso dei droni nelle sue varie configurazioni: perché il drone vede, ascolta, uccide o distrugge. E’ stato accertato che utilizzare un forte numero di mezzi corazzati, ma non protetti da adeguata fanteria, alimenta le imboscate e la loro distruzione. Ed in questo contesto vari armamenti contro-carri hanno avuto l’opportunità di dimostrare la loro capacità, come i Javelin americani.

E’ stato accertato che il dominio dello spazio aereo è essenziale e che le comunicazioni tra reparti devono essere sempre criptate. E’ stato anche accertato che la catena logistica deve essere sempre funzionante e che bisogna sempre essere in grado di passare da una guerra lampo ad una guerra di logoramento.

Tutte lezioni per entrambi i contendenti, ma soprattutto per l’esercito russo.

E’ stato dimostrato che il decoy installato sul sistema missilistico russo Iskander funziona, che i missili ipersonici russi sono difficili da intercettare, che gli Stinger hanno confermato, dopo l’Afghanistan, quanto siano micidiali contro gli elicotteri e gli aerei a bassa quota. E’ sempre il campo di battaglia che indica ciò che funziona meglio e ciò che deve essere migliorato.

E si potrebbe continuare sulla capacità della guerriglia ucraina di colpire le retrovie bloccando le avanzate o sull’uso dei cecchini che possono sparare a chilometri di distanza generando panico ed insicurezza. Ma soprattutto, quando si fanno le guerre, quelle che contano sono le motivazioni che i coscritti russi non avevano e gli ucraini sì.

E’ lì che risiede la differenza sul terreno. E non conta più che l’Ucraina abbia un esercito di 200.000 uomini contro il milione dei russi, che abbia un quarto dei mezzi corazzati, un terzo dell’artiglieria e non possa competere in aerei o elicotteri.

L’uno sa di combattere per una giusta causa e non ha paura di combattere, l’altro ha solo paura e non capisce i motivi per cui potrebbe o dovrebbe morire.

zelensky


Commenti

Al momento non è noto quelli che saranno gli sviluppi futuri della guerra in Ucraina. Sicuramente avrà ripercussioni nei rapporti tra Ucraina e Russia e sicuramente avrà ripercussioni per Putin nel contesto internazionale e forse anche interno.

Questa guerra poteva essere evitata qualora fossero state rilasciate alla Russia garanzie che l’Ucraina, che ha un confine comune con la Russia di oltre 2.200 km, non sarebbe mai entrata nella NATO e fosse rimasta neutrale, un ponte tra l’Alleanza e Mosca. Queste garanzie non sono state fornite ed al contrario si è alimentata l’idea, anche nella dirigenza ucraina, che questa adesione alla NATO fosse possibile. La Russia ha avuto paura per la propria sicurezza, si è sentita minacciata e la frustrazione ha poi prodotto una sequela di reazioni negative: minacce, provocazioni, l’appoggio a istanze secessioniste, incorporazione della Crimea ed infine la guerra.

Tutto quel che è avvenuto di negativo nel comportamento russo non può essere valutato con il metro di giudizio di una democrazia occidentale, ma deve essere parametrato sulla cultura di una autocrazia che guida un paese dal glorioso passato ma da un presente non altrettanto glorioso. Una autocrazia dedicata a rinverdire i fasti di una grande Russia. L’invasione di un altro Stato, in questo tipo di cultura, non ha lo stesso peso negativo che può avere per una democrazia occidentale. Putin aveva timori, peraltro anche fondati, che l’Ucraina potesse passare nello schieramento occidentale e tale circostanza ha giustificato, ai suoi occhi, l’intervento armato.

Giusto o sbagliato che sia, non bisogna ricorrere necessariamente all’approccio machiavellico del fine che giustifica i mezzi. Il problema per Putin è che i mezzi utilizzati non sono stati quelli giusti e che la guerra, quella di logoramento tuttora in atto, lo costringe a giocare una partita dove comunque perderà: sia che negozi sia che decida di portare la guerra fino alla fine. Ha dato inoltre un cattivo esempio di come si possono risolvere le controversie internazionali e questo ha spaventato tanti paesi che sinora si erano mantenuti neutrali e che adesso invece sono costretti ad una scelta di parte.

La neutralità richiesta dalla Russia alla Ucraina (si disserta molto sul modello Austria o Finlandia o Svezia) con un intervento armato, se sarà raggiunta, non potrà affrancarsi da tutto quel che è capitato con città distrutte, morti, soprusi. Rancori e risentimenti saranno per lungo tempo il metro dei rapporti non solo tra Russia e Ucraina, ma anche tra Russia e buona parte del mondo. Neanche se la Russia si sederà in un negoziato, con la pistola puntata alla tempia di Kiev e con alcune conquiste importanti nel sud. Una neutralità costruita artificialmente intorno ad un tavolo non durerà nel tempo.

Il domani sarà diverso dall’oggi, ma sarà sicuramente peggiore, sopratutto per la Russia. Se poi, come prevedibile, l’Ucraina avrà l’opportunità di entrare nell’Unione Europea diventerebbe comunque parte di un sistema di alleanze dove è prevista una forma di difesa comune prevista dal trattato di Lisbona del 2009.

L’ultimo aspetto è la ricorrenza da parte della Russia di appoggiare i separatismi e i secessionismi filorussi in varie parti dell’ex impero sovietico, quale a voler rimarcare un proprio diritto di prelazione sulla sovranità di tanti paesi che appartenevano alla propria sfera di influenza. E’ capitato alla Moldavia con la Transnistria fin dal 1992 (dove è presente oggi una base militare russa con oltre 1500 uomini che potrebbe tornare utile per la conquista di Odessa). E’ capitato nel 2008 in Georgia dove è stato appoggiato e poi riconosciuto il separatismo nell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia con intervento militare russo (non casualmente quando la Georgia aveva pubblicamente espresso l’intenzione di aderire alla NATO). Ed adesso alle cosiddette repubbliche del Donetsk e Luhansk separatiste nel 2014 ed ora secessioniste.

Su tutti questi episodi l’Europa si era dimostrata acquiescente e forse questo ha ingenerato nella Russia la percezione che questo modus operandi fosse lecito e accettato nelle sue controversie con i paesi dell’ex Patto di Varsavia. L’invasione dell’Ucraina ha fatto aprire gli occhi sulla pericolosità di questo modo di agire.

back to top