UCRAINA
- LA GUERRA NEI SUOI ASPETTI. ANALISI E COMMENTI

Gli antefatti della crisi
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, era stato
sottoscritto un accordo, gestito dai direttori politici dei
rispettivi ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Gran
Bretagna, Germania e Canada per cui furono date garanzie alla
Russia che, in cambio del ritiro del proprio contingente militare
dai paesi dell’Europa Orientale, nessun Paese dell’ex patto di
Varsavia sarebbe entrato nella NATO. Limite geografico: il fiume
Oder. Tutte promesse disattese.
Nel 1999 entrano nella NATO Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca.
Nel 2004 seguiranno Bulgaria, Estonia, Lituania, Lettonia, Romania
e Slovacchia.
Nel 2008, durante la riunione NATO a Bucarest, gli Stati Uniti
dichiarano la prossima adesione all’organizzazione di Ucraina e
Georgia (iniziativa poi bloccata per l’opposizione di Francia,
Italia e Germania).
La sensazione da parte russa di essere accerchiata o aggredita
trova sostanza in tutto questo.
Ed è proprio tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 che iniziano
i prodromi dell’attuale crisi: manifestazioni in Ucraina per
associarsi all’Unione Europea rifiutate dal presidente ucraino
filorusso Yanukovich che viene esautorato. Lo farà invece il suo
sostituto, Poroshenko qualche mese dopo. Intanto la Russia occupa
la Crimea e ne legittima l’incorporazione con un referendum
pilotato e nel contempo alimenta il secessionismo in aree
dell’Ucraina con prevalente popolazione russa. Un gesto di monito
a Kiev. Ci saranno invece ulteriori incidenti in Odessa tra
filorussi e filo-ucraini con morti e feriti alimentati sopratutto
da gruppi estremisti di destra e neonazisti ucraini (da lì
l’accusa ricorrente nei discorsi di Putin di voler cacciare da
Kiev un regime nazista e di voler proteggere la popolazione russa
dell’Ucraina).
Per queste circostanze sono stati firmati a Minsk due successivi
protocolli nel 2014 e 2015 per mettere fine allo scontro armato
nel Donbass tra i secessionisti filorussi delle autoproclamate
repubbliche del Donetsk e del Luhansk e l’Ucraina. Gli accordi
erano stati favoriti dalla mediazione russa, che vi partecipava
come attore non coinvolto nella diatriba insieme a Francia e
Germania, firmati dalla Organizzazione per la Cooperazione e la
Sicurezza in Europa (OCSE) ed alla fine ratificati dal Consiglio
di Sicurezza dell’ONU. Anche su questi protocolli si sono
intrecciate accuse di mancato rispetto da entrambe le parti.
Altro elemento non trascurabile: nel 2021 le truppe ucraine hanno
partecipato ad una esercitazione NATO sul Mar Nero che ha
ulteriormente alimentato i timori di Mosca. A questo bisogna poi
aggiungere il fatto che dal 2005 gli Stati Uniti avevano inviato
in Ucraina membri delle forze speciali e della C.I.A. per
addestrare l’esercito alle tecniche della guerriglia, protezione
delle comunicazioni, uso di mezzi controcarro etc. Un programma
iniziato sotto Obama, poi proseguito da Trump e poi interrotto da
Biden qualche giorno prima della guerra.
Nella rivisitazione storica di Putin, la sovranità della Crimea
era stato trasferita da Krushev nel 1954 dalla Russia all’Ucraina
(e quindi era adesso ”giusto” che ritornasse nella madre patria) e
comunque una Ucraina indipendente è nata solo nell’agosto del 1991
(e nella sua costituzione è previsto il non allineamento ed il
rifiuto di forze straniere sul proprio territorio) mentre prima
era una repubblica integrata nell’Unione Sovietica dove lingua e
cultura si sono nel tempo sovrapposti. Una lettura un po' forzata,
se non una manipolazione della storia e della geografia.
Il 22 febbraio scorso, infatti, due giorni prima delle operazioni
militari, Putin aveva affermato testualmente in un discorso alla
nazione che “L’Ucraina per noi non è solo un paese confinante. È
parte inalienabile della nostra storia, cultura e spazio
spirituale”. Una ricostruzione storica che si lega alla Russia
imperiale e non alle vicende bolsceviche su cui spende anche
giudizi negativi. Ed è un concetto che nei fatti limita l’idea che
l’Ucraina possa avere una propria sovranità. E nel discorso di
unica nazione viene inserita in altre allocuzioni anche la
Bielorussia.
La condotta delle operazioni.
Ci sono state negli ultimi 30 anni tre grosse operazioni militari:
due in Iraq ed una in Afghanistan. La guerra degli altri porta
sempre un’esperienza indotta che può risultare utile.
Nei tre episodi bellici citati gli Stati Uniti hanno sempre
utilizzato la stessa tecnica di intervento: inizio delle
operazioni di notte con jamming delle comunicazioni, intervento
aereo mirato sui sistemi di comando e controllo e sulla difesa
aerea del nemico con relativo controllo immediato dello spazio
aereo, sistematica distruzione delle infrastrutture del paese
soprattutto quelle che potevano incidere sulla capacità operativa
avversaria e poi, nel tempo successivo, distruzione di quelle
infrastrutture che potevano incidere sul morale dell’esercito
nemico.
Solo dopo alcuni giorni di questi bombardamenti e distruzioni
arrivavano le truppe di terra che entravano nel Paese.
L’esercito russo non ha seguito questa procedura: è entrato subito
nel Paese senza aver distrutto il sistema di comando e controllo
ucraino, né si è assicurato il controllo dello spazio aereo. Tanto
meno sono state colpite le infrastrutture principali del paese.
Il risultato è stato quello di trovarsi fin dal primo giorno
dell’invasione un nemico capace di contrastare l’avanzata.
Si è molto dissertato su questa decisione russa che non ha fatto
tesoro delle pregresse esperienze americane. Molto probabilmente
c’è stato un errore nella valutazione della reazione da parte
dell’esercito ucraino, frutto di un altrettanto errore di analisi
da parte dei Servizi russi.
Si sperava che l’arrivo delle truppe russe fosse accolto con
tripudio da parte della popolazione ucraina ? Probabilmente sì.
Si sperava che l’esercito ucraino si sarebbe subito dissolto
davanti all’avanzata russa? Probabilmente sì. D’altronde
l’occupazione della Crimea era avvenuta senza sparare un colpo.
Se, come nella realtà, è avvenuto il contrario, c’è da chiedersi,
oltre ai Servizi russi, chi altro ha sbagliato. La percezione
errata di quello che poteva essere la reazione dell’Ucraina
coinvolge anche l’entourage di Putin, i suoi consiglieri politici
ed ovviamente le predisposizioni sul terreno dei vertici militari.
Quando si affronta una invasione o una guerra c’è sempre da
programmare, con margini ampi, la possibilità che si debbano
fronteggiare anche eventi negativi non pianificati.
Sul piano militare quali gli errori più vistosi: l’ampio utilizzo
di personale di leva non sufficientemente addestrato o motivato,
le grosse carenze nella catena logistica (forse nella presunzione
di una guerra lampo), un sistema di comunicazioni cifrate non
adeguato che ha costretto molti militari a ricorrere all’utilizzo
del cellulare (con relativa intercettazione), il mancato
bloccaggio degli aiuti militari esteri che affluiscono
all’esercito ucraino, un inadeguato numero di truppe per un paese
di oltre 600.000 kmq e con una popolazione che supera i 40 milioni
di abitanti. Non bastavano sicuramente i 190.000 schierati
inizialmente sul terreno.
Ma tutto risale all’errore iniziale: la convinzione che non ci
sarebbe stata una resistenza ucraina e che i soldati russi
sarebbero state accolti come liberatori.
Forse in questo approccio ottimista vi è anche la scelta di una
invasione fatta in condizioni climatiche difficili. Per i mezzi
corazzati o blindati, per agibilità delle strade, sarebbe stato
meglio fare questa operazione militare in un periodo dell’anno
senza neve.

Putin ed i sui consiglieri
Qualcuno ha sollevato dubbi sulle capacità psicofisiche di Putin e
sul fatto che sia circondato da un nucleo ristretto di uomini
fidati, molti dei quali provenienti dall’ex Kgb (come Nikolay
Tokarev che presiede la società che gestisce gli oleodotti russi;
i consiglieri Igor Panarin e Nikolay Patrushev; il capo della
Rostec Corporation che opera nel campo della difesa), o altri che
si sono arricchiti con la compiacenza del Presidente.
Quindi una serie di personaggi che per motivi personali non hanno
interesse a contraddire o contestare le decisioni di Putin. Il
resto lo fa la diffidenza – innata o professionalmente procurata –
che limita i contatti del Presidente con altri interlocutori al di
fuori del suo cerchio magico. Lo stesso titolare del dicastero
della Difesa, Sergey Shoigu, che veste la divisa di Generale nelle
sue apparizioni pubbliche, è un ingegnere civile che poco sa delle
dinamiche militari.
Tutte queste circostanze probabilmente hanno impedito a Putin di
confrontarsi o documentarsi con la realtà dei fatti, ma di farsi
opinioni o considerazioni su una realtà virtuale propinata dai
suoi uomini. Unica cosa certa è che Putin e molti dei suoi
consiglieri sono cresciuti professionalmente in un contesto legato
sopratutto alle esperienze della disciolta Unione Sovietica,
vivono le vicende del mondo in forma antagonista, trasformano gli
avversari in nemici, credono nella possibilità di ricostruire i
fasti del passato.
Gli effetti collaterali
Ovviamente l’invasione dell’Ucraina ha nuociuto all’immagine di
Putin nel mondo. Ed è un danno che avrà durata nel tempo non solo
per il personaggio, ma anche per il paese che rappresenta.
Poi c’è la questione economica che potrà in parte essere bypassata
da altri accordi commerciali con paesi terzi anche se la finanza
internazionale è in mano americana. Quindi se l’impatto delle
sanzioni potrà avere effetti limitati nel breve termine, nel medio
e lungo termine colpiranno l’economia russa.
Ma le conseguenze dell’operazione militare russa ingloba anche
altri aspetti che forse Putin ha sottovalutato:
- la NATO che era diventata un personaggio in cerca di autore dopo
la caduta dell’Unione Sovietica, ha ripristinato un suo ruolo
centrale nelle alleanze militari dell’Occidente ed ha spostato il
suo baricentro militare verso est;
- l’Europa, alquanto acquiescente nelle vicende della Crimea e del
Donbass, ha ritrovato una sua unità nel paventato pericolo comune
ed è probabile che questo accelererà la costituzione di una difesa
militare comune;
- l’Ucraina, che nella narrazione storica putiniana costituiva
solo una diramazione territoriale della grande madre Russia, ha
invece dimostrato al mondo, col sangue della sua resistenza
armata, che è una nazione vera e propria e che vuole difendere la
propria integrità territoriale ed autonomia. Quindi la guerra ha
alimentato il nazionalismo ucraino;
- se la dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia poteva
costituire nel tempo una velata forma di pressione sulle vicende
politiche europee, adesso questo, nel breve/medio termine, non
avverrà più. E’ un discorso che si riferisce a molti paesi che
dipendono dal gas e petrolio russo, tra cui anche l’Italia, ma
soprattutto la Germania che adesso passerà da una politica
accomodante su quello che accade ai suoi confini orientali ad una
posizione più critica ed intransigente, come peraltro dimostrato
dal suo recente aumento del budget per le spese militari;
- la paura di una Russia aggressiva potrà anche avere l’effetto di
indurre alcuni paesi dell’Europa orientale ad affrancarsi da una
politica neutrale, come la Svezia e la Finlandia che sono state
invitate ad un recente vertice NATO. Altri, come Polonia,
Repubblica Ceca o Paesi baltici, avranno maggiore interesse ad
ospitare sul proprio territorio, truppe dell’Alleanza;
- la guerra ha messo contro russi ed ucraini che prima convivevano
pacificamente. Non è ancora quantificabile cosa produrrà questa
circostanza. Sicuramente questo avrà le sue conseguenze,
soprattutto, quando terminerà questa guerra o questa occupazione,
il popolo ucraino si dovrà confrontare con le distruzioni che ha
subito o sui morti che dovrà contare. Si è ampiamente discusso sul
fatto che gli ucraini sono linguisticamente russofoni, ma questo
non implica che siano russofili.

Il fattore tempo
Una guerra non vinta bene è una guerra persa. Ed è quello che sta
accadendo in Ucraina. Passare da una auspicata guerra lampo ad una
guerra di logoramento è quello che qualifica una disfatta. Più il
tempo passa più l’immagine internazionale della Russia ne rimane
penalizzata. Cade il presupposto che il regime nazista di Kiev sia
illegale e non supportato dalla popolazione, cade il presupposto
che gli ucraini abbiano gioito all’arrivo delle truppe russe.
Adesso rimangono solo poche opzioni a Putin per salvare le
apparenze: arrivare in fondo alla guerra conquistando tutte le
città e controllando il paese, oppure negoziare. La prima opzione,
forse più gradita da parte russa, è anche la più complicata da
realizzare. Significa distruggere un paese, subire grandi perdite
di uomini come avverrebbe nei combattimenti negli abitati,
alimentare una guerra civile come da esperienza afghana, avere
comunque l’onere militare di controllare un enorme paese. Molti
costi in denaro e vite umane, pochissimi i benefici.
L’altra opzione, quella del negoziato, è forse la più praticabile
anche se certifica la sconfitta russa. Perché fermarsi o tornare
indietro vuol dire perdere. Lo stesso dicasi se riuscirà a
completare il pieno controllo del mare d’Azov o negoziare una
neutralità ucraina. Si è già passati da un ultimatum dei primi
giorni, ad un negoziato ultimativo ed infine a un vero e proprio
negoziato. La Russia vuole ottenere il più possibile e per questo
prosegue nelle operazioni militari cercando di acquisire nella
guerra un potere negoziale ed indurre la controparte a maggiori
concessioni. Ma anche qui il fattore tempo ha il suo peso.
Altro sintomo di debolezza è il fatto che adesso vengono colpiti
obiettivi civili come scuole e ospedali. Si cerca di dissociare la
reazione della popolazione dalle intenzioni della leadership
politica e militare del paese nel resistere all'invasione russa.
Vuol dire giocare sulla frustrazione o esasperazione della gente.

I riflessi nel sistema di
potere della Russia
Oggi in Russia, come avviene nelle autocrazie, il potere
decisionale è nelle sole mani di Putin. Che ordina e decide senza
contraddittorio. Non ha bisogno di confrontarsi con il giudizio
dell’opinione pubblica.
Pensare che le vicende ucraine lo possano spodestare forse è
troppo, ma sicuramente possono indebolirlo. Una sua eventuale
esautorazione, se accadrà, non è un fatto che potrà avvenire in
tempi brevi. Ci vorrà qualcuno che piano piano si circondi di
personaggi dell’establishment, magari possa contare sui soldi di
qualche oligarca, abbia dalla sua parte i poteri forti come
l’Esercito, i Servizi di sicurezza e magari l’appoggio del
patriarcato ortodosso. Sono tutte strutture che invece al momento
sono controllate da Putin.
E’ più probabile che gli eventi ucraini possano portare ad una
involuzione del sistema di potere in Russia verso le forme più
rigide di una dittatura. E’ una circostanza ricorrente nella
storia russa che si applica su una popolazione che non ha mai
subito il fascino di una democrazia se non per il contagio
derivante dall’accesso ad internet o siti social. Ne farà le spese
chi proverà a dissentire perché sarà soggetto a forme più dure di
repressione.
La differenza sostanziale tra democrazia e autocrazia – o peggio
ancora dittatura – è proprio nel processo decisionale che elabora
il capo e che avviene nel disprezzo dell’opinione pubblica.
Putin e l’appoggio della chiesa ortodossa russa
Hanno fatto effetto le recenti dichiarazioni pubbliche del
patriarca russo Kirill che in una occasione ha giustificato
l’invasione dell’Ucraina correlandola al libertinismo sessuale
nell’Occidente ed in altra esternazione pubblica ha dato la
responsabilità del conflitto alla NATO. Così facendo ha
legittimato la guerra e si è schierato in modo plateale al fianco
di Putin.
All’interno del patriarcato russo Kirill è stato spesso accusato
da alcuni membri autorevoli e conservatori di essersi troppo
esposto verso l’Occidente e la chiesa cattolica e sotto questo
aspetto aveva bisogno di rimarcare la sua fedeltà alla Russia. Il
legame con Putin è fatto anche dai soldi, esenzioni fiscali,
accesso libero alla televisione, tutte facilities che il
Presidente elargisce con generosità al patriarcato.
Ma poi c’è il problema dei rapporti del patriarcato russo con la
chiesa ortodossa autocefala ucraina che dopo l’invasione della
Crimea, il deteriorarsi dei rapporti tra Mosca e Kiev, ha deciso
di staccarsi dai suoi legami con il citato patriarcato per unirsi
con il patriarca di Costantinopoli. E’ una circostanza che è stata
utilizzata contro Kirill dai detrattori presenti all’interno del
patriarcato russo. Sia in Russia come in Ucraina i rispettivi
patriarcati sono implicati in vicende politiche o militari
nazionali.
Le centrali nucleari
All’atto dello scioglimento dell’Unione Sovietica, proclamata la
propria indipendenza, l’Ucraina aveva sul proprio territorio armi
nucleari appartenenti all’Unione Sovietica. Con un Memorandum
sottoscritto a Budapest nel dicembre del 1994 l’Ucraina aderiva al
Trattato di non Proliferazione nucleare e consegnava alla Russia
1900 testate nucleari ottenendo in contropartita la garanzia di
Russia, Stati Uniti, Regno Unito (e successivamente Cina e
Francia) della propria indipendenza e sovranità, nonché la
integrità territoriale nei propri confini.
Nel corso dell’invasione la Russia ha cercato di prendere il
controllo delle centrali nucleari (al momento ne controlla 3 su 4)
che operano in Ucraina e che forniscono oltre il 50% dell’energia
elettrica al Paese. Questo obiettivo mira, dal punto di vista
militare, a poter controllare il sistema elettrico dell’Ucraina,
ma è anche servito a rilanciare l’accusa russa che Kiev stesse
sviluppando un proprio programma di sviluppo per armamento
nucleare.
Accusa che poi serve a giustificare il mancato rispetto della
Russia del Memorandum di Budapest per gli aspetti inerenti la
sovranità ucraina.
Cosa fa la Cina
La Cina al momento, guarda e tace. Ha sempre optato per un
approccio prudente in tante altre controversie internazionali. Il
contatto tra Biden e Xi è da intendersi interlocutorio. La Cina
non vuole essere coinvolta in un conflitto ed in una parte di
mondo che non le interessa.
Ha dato la sua disponibilità ad una ricostruzione del Paese al
termine della guerra. Traduce la questione ucraina ad un business
futuribile. Non vuole sopratutto essere coinvolta nel problema
delle sanzioni.
L’interscambio commerciale con i paesi europei è di circa 580
mld/EUR, quello con gli USA di oltre 676 mld/USD mentre quello con
la Russia di 140mld/USD. Non gli conviene inimicarsi due
contraenti più importanti di Mosca. L’approccio è anche tipico del
pragmatismo nella politica estera cinese.
Sicuramente l’iniziativa militare russa che ha portato
contraccolpi nel commercio e nella finanza internazionale, non è
stata gradita anche se ufficialmente si è parlato di colpe più
americane che russe. La Cina osserva le vicende ucraine per
monitorare soprattutto le reazioni americane nella prospettiva di
una crisi per Taiwan.

Le intercettazioni
E’ una attività che ha avuto grande importanza nella guerra in
Ucraina. Non esiste oggi la possibilità che una qualsiasi
comunicazione che viaggia nell’aria o in un collegamento
telematico possa sfuggire ad una intercettazione. Magari si può
porre il problema della decrittazione del messaggio, ma non della
sua individuazione. E questa è una problematica che viene
affrontata, in fase difensiva o offensiva, da tutti i Servizi di
Informazione.
Esiste nel mondo una cooperazione nel campo delle intercettazioni
che viene etichettata, dal numero dei paesi aderenti, come quella
dei “Five Eyes”. E’ una cooperazione di intelligence, incentrata
soprattutto sulle intercettazioni e relative decrittazioni, che
comprende gli Stati Uniti, Regno Unito, l’Australia, la Nuova
Zelanda ed il Canada. Era una cooperazione nata dopo la II Guerra
Mondiale, nel 1946, sulla base di un accordo bilaterale tra USA e
Regno Unito poi esteso agli tre paesi anglofoni. Hanno distribuito
nel mondo una serie di strutture di intercettazione (la maggiore,
in Europa, si trova in Regno Unito ) il cui prodotto e relative
risultanze viene congiuntamente condiviso.
Sul caso dell’Ucraina, gli Stati Uniti con i suoi sodali,
conoscevano da tempo i preparativi militari che stava approntando
la Russia per l’invasione di quel Paese. Lo sapevano già da
novembre scorso ed in qualche modo, sebbene vago per non fare
scoprire da dove venivano le informazioni, avevano cercato di
preavvisare i paesi alleati inviando in Europa Avril Haines,
direttrice dell’Intelligence nazionale. Avevano anche contattato
la Cina per avvertirla delle intenzioni russe e, come ultimo
tentativo, era stato mandato a Mosca il capo della CIA, Williams
Burns, per fare sapere a Putin che loro erano a conoscenza delle
sue mire ucraine sperando così di fare abortire il suo piano.
I risultati di questi tentativi, peraltro falliti, di bloccare la
guerra sono sotto gli occhi di tutti.
Rimane comunque il fatto che in una guerra conoscere in anticipo
le intenzioni dell’avversario fornisce un grande vantaggio sia
strategico che tattico e non solo, come nel caso specifico, sul
terreno.
L’attività SIGINT (signal intelligence) ha poi permesso di
anticipare, passo passo, tutti movimenti sul terreno dell’esercito
russo, conoscere dati intercettando le comunicazioni tra reparti,
poter fornire così all’esercito ucraino ed ai suoi vertici
politici tutto quello che poteva tornare loro utile.
L’uso della informazione e disinformazione
Seguendo di volta in volta le varie comunicazioni pubbliche del
presidente Zelensky, a parte quello che lui ha più volte
dichiarato per coinvolgere altri paesi nella lotta contro la
Russia, è soprattutto di interesse quello che lui ha spesso detto
pubblicamente per anticipare o smontare le intenzioni di Mosca.
Anche in questo caso la conoscenza derivante dalle intercettazioni
è stata utile per prevenire o ostacolare tutta quella marea di
disinformazioni, da parte di Mosca, sia per impedire che la
popolazione russa fosse a conoscenza delle reali vicende ucraine,
sia per accusare Kiev di vari misfatti ed anche per minare il
morale della controparte.
E’ quella propaganda che in Occidente viene etichettata come “fake
news” ma che nel sistema sovietico prima e poi russo adesso ha
sempre avuto un ruolo primario nelle vicende belliche di Mosca.
Una peculiarità, nota agli addetti con il nome di “disinformatia”.
In questa attività Mosca ha dovuto operare su più fronti
mediatici, sia in forma difensiva che offensiva dovendo avvalorare
la teoria di una operazione speciale (mai usato il termine
“guerra”), sia per dimostrare che a Kiev c’era un regime nazista,
che la comunità locale russa era oggetto di genocidio e che
l’intervento era stato richiesto dagli stessi ucraini per liberare
il paese.
Poi ovviamente c’è stato bisogno, da entrambe le parti, ldi
enfatizzare o sminuire vari episodi locali per stigmatizzare
l’operato del nemico. Quindi propaganda.
L’errore che ha commesso la Russia in questo specifico contesto è
non aver sufficientemente contrastato o inibito la presenza di
tanti giornalisti stranieri che hanno riempito le cronache di
fatti e misfatti che una guerra comporta.
Sul fronte opposto un presidente particolarmente esperto di mass
media per i suoi trascorsi professionali, come Zelensky, ha
utilizzato invece la pubblicità della guerra per sollecitare aiuti
e sostegni internazionali, per alimentare il senso di orgoglio
nazionale ed il morale dei combattenti.
Il linguaggio
E’ una variabile che muta con il divenire delle circostanze.
Putin è passato dagli iniziali toni trionfalistici a toni
minacciosi, rivolti poi anche a non meglio identificati traditori,
presumibilmente in patria, dove comunque vige una stretta
vigilanza della censura ed una sistematica oppressione di ogni
forma di opposizione. Probabilmente si riferiva a quella categoria
di oligarchi, una cleptocrazia arricchitasi all’ombra del
Presidente e che adesso sta subendo sulla propria pelle le
conseguenze delle sanzioni. E comunque è un segno di debolezza.
Non aiuta in un futuro post-guerra ucraina, il fatto che Putin sia
stato etichettato da Biden come un “criminale di guerra”. Né che
nel mondo occidentale ci si una crescente russofobia.
L’esperienza bellica per gli armamenti
Come avviene sempre, le guerre servono per testare gli armamenti e
per affinare tattiche, strategie, modalità di impiego di uomini e
mezzi. Lo è stata anche l’esperienza ucraina.
E’ stato magnificato l’uso dei droni nelle sue varie
configurazioni: perché il drone vede, ascolta, uccide o distrugge.
E’ stato accertato che utilizzare un forte numero di mezzi
corazzati, ma non protetti da adeguata fanteria, alimenta le
imboscate e la loro distruzione. Ed in questo contesto vari
armamenti contro-carri hanno avuto l’opportunità di dimostrare la
loro capacità, come i Javelin americani.
E’ stato accertato che il dominio dello spazio aereo è essenziale
e che le comunicazioni tra reparti devono essere sempre criptate.
E’ stato anche accertato che la catena logistica deve essere
sempre funzionante e che bisogna sempre essere in grado di passare
da una guerra lampo ad una guerra di logoramento.
Tutte lezioni per entrambi i contendenti, ma soprattutto per
l’esercito russo.
E’ stato dimostrato che il decoy installato sul sistema
missilistico russo Iskander funziona, che i missili ipersonici
russi sono difficili da intercettare, che gli Stinger hanno
confermato, dopo l’Afghanistan, quanto siano micidiali contro gli
elicotteri e gli aerei a bassa quota. E’ sempre il campo di
battaglia che indica ciò che funziona meglio e ciò che deve essere
migliorato.
E si potrebbe continuare sulla capacità della guerriglia ucraina
di colpire le retrovie bloccando le avanzate o sull’uso dei
cecchini che possono sparare a chilometri di distanza generando
panico ed insicurezza. Ma soprattutto, quando si fanno le guerre,
quelle che contano sono le motivazioni che i coscritti russi non
avevano e gli ucraini sì.
E’ lì che risiede la differenza sul terreno. E non conta più che
l’Ucraina abbia un esercito di 200.000 uomini contro il milione
dei russi, che abbia un quarto dei mezzi corazzati, un terzo
dell’artiglieria e non possa competere in aerei o elicotteri.
L’uno sa di combattere per una giusta causa e non ha paura di
combattere, l’altro ha solo paura e non capisce i motivi per cui
potrebbe o dovrebbe morire.

Commenti
Al momento non è noto quelli che saranno gli sviluppi futuri della
guerra in Ucraina. Sicuramente avrà ripercussioni nei rapporti tra
Ucraina e Russia e sicuramente avrà ripercussioni per Putin nel
contesto internazionale e forse anche interno.
Questa guerra poteva essere evitata qualora fossero state
rilasciate alla Russia garanzie che l’Ucraina, che ha un confine
comune con la Russia di oltre 2.200 km, non sarebbe mai entrata
nella NATO e fosse rimasta neutrale, un ponte tra l’Alleanza e
Mosca. Queste garanzie non sono state fornite ed al contrario si è
alimentata l’idea, anche nella dirigenza ucraina, che questa
adesione alla NATO fosse possibile. La Russia ha avuto paura per
la propria sicurezza, si è sentita minacciata e la frustrazione ha
poi prodotto una sequela di reazioni negative: minacce,
provocazioni, l’appoggio a istanze secessioniste, incorporazione
della Crimea ed infine la guerra.
Tutto quel che è avvenuto di negativo nel comportamento russo non
può essere valutato con il metro di giudizio di una democrazia
occidentale, ma deve essere parametrato sulla cultura di una
autocrazia che guida un paese dal glorioso passato ma da un
presente non altrettanto glorioso. Una autocrazia dedicata a
rinverdire i fasti di una grande Russia. L’invasione di un altro
Stato, in questo tipo di cultura, non ha lo stesso peso negativo
che può avere per una democrazia occidentale. Putin aveva timori,
peraltro anche fondati, che l’Ucraina potesse passare nello
schieramento occidentale e tale circostanza ha giustificato, ai
suoi occhi, l’intervento armato.
Giusto o sbagliato che sia, non bisogna ricorrere necessariamente
all’approccio machiavellico del fine che giustifica i mezzi. Il
problema per Putin è che i mezzi utilizzati non sono stati quelli
giusti e che la guerra, quella di logoramento tuttora in atto, lo
costringe a giocare una partita dove comunque perderà: sia che
negozi sia che decida di portare la guerra fino alla fine. Ha dato
inoltre un cattivo esempio di come si possono risolvere le
controversie internazionali e questo ha spaventato tanti paesi che
sinora si erano mantenuti neutrali e che adesso invece sono
costretti ad una scelta di parte.
La neutralità richiesta dalla Russia alla Ucraina (si disserta
molto sul modello Austria o Finlandia o Svezia) con un intervento
armato, se sarà raggiunta, non potrà affrancarsi da tutto quel che
è capitato con città distrutte, morti, soprusi. Rancori e
risentimenti saranno per lungo tempo il metro dei rapporti non
solo tra Russia e Ucraina, ma anche tra Russia e buona parte del
mondo. Neanche se la Russia si sederà in un negoziato, con la
pistola puntata alla tempia di Kiev e con alcune conquiste
importanti nel sud. Una neutralità costruita artificialmente
intorno ad un tavolo non durerà nel tempo.
Il domani sarà diverso dall’oggi, ma sarà sicuramente peggiore,
sopratutto per la Russia. Se poi, come prevedibile, l’Ucraina avrà
l’opportunità di entrare nell’Unione Europea diventerebbe comunque
parte di un sistema di alleanze dove è prevista una forma di
difesa comune prevista dal trattato di Lisbona del 2009.
L’ultimo aspetto è la ricorrenza da parte della Russia di
appoggiare i separatismi e i secessionismi filorussi in varie
parti dell’ex impero sovietico, quale a voler rimarcare un proprio
diritto di prelazione sulla sovranità di tanti paesi che
appartenevano alla propria sfera di influenza. E’ capitato alla
Moldavia con la Transnistria fin dal 1992 (dove è presente oggi
una base militare russa con oltre 1500 uomini che potrebbe tornare
utile per la conquista di Odessa). E’ capitato nel 2008 in Georgia
dove è stato appoggiato e poi riconosciuto il separatismo
nell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia con intervento militare russo
(non casualmente quando la Georgia aveva pubblicamente espresso
l’intenzione di aderire alla NATO). Ed adesso alle cosiddette
repubbliche del Donetsk e Luhansk separatiste nel 2014 ed ora
secessioniste.
Su tutti questi episodi l’Europa si era dimostrata acquiescente e
forse questo ha ingenerato nella Russia la percezione che questo
modus operandi fosse lecito e accettato nelle sue controversie con
i paesi dell’ex Patto di Varsavia. L’invasione dell’Ucraina ha
fatto aprire gli occhi sulla pericolosità di questo modo di agire.