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LA SOLUZIONE LIBICA PASSA PER HAFTAR

khalifa haftar
Khalifa Haftar

Il generale Khalifa Haftar ha un ruolo centrale nella tribolata storia della Libia post-Gheddafi. Nessuna soluzione politica futura potrà essere realizzata senza il suo consenso. Si potrebbe obiettare se sia giusto o sbagliato dare al personaggio questa capacità dirimente, tuttavia nella Libia attuale il peso politico di ogni individuo è proporzionale alla sua forza militare. E Haftar ha oggi questa forza.

Il generale non ha mai nascosto le sue ambizioni, vuole diventare il leader del Paese. Visti i suoi trascorsi, l'adesione al colpo di Stato di Muammar Gheddafi nel 1969, non può essere esclusa una sua ascesa al potere al di fuori di un percorso democratico. Gioca a suo favore un approccio militare alle vicende libiche, la frammentazione del Paese, la presenza di bande armate e di milizie che non rispondono a nessuno, il pericolo incombente dell'ISIS e la mancanza, sinora, di un'autorità centrale in grado di guidare il Paese.

Haftar, anche se fortemente ostile ad un ruolo pacificatore sotto l'egida dell'ONU perché gli toglierebbe l'effetto condizionante delle suo esercito, ha comunque a suo favore alcuni parametri che potrebbero piacere a diverse nazioni occidentali: è contro l'islamismo militante, ha la cittadinanza americana ed è l'uomo dell'ordine. E nella Libia attuale, dove la cultura della democrazia è solo questione teorica ma non certo pratica, un uomo forte al comando potrebbe essere la soluzione per ricompattare il Paese. Lo potrà fare senza troppi scrupoli, applicando i parametri sociali del suo illustre predecessore.

Le opzioni sul tavolo

Khalifa Haftar ha davanti a sé diverse opzioni per prendere il potere:

la prima è quella di sconfiggere l'ISIS e le altre milizie islamiche del Paese (vedasi recentemente quelle di Derna) e accreditarsi come l'uomo del destino, convincendo così gli interlocutori internazionali che con lui si ripristina l'ordine e l'unità del Paese. Conquistare l'area di Sirte, dove sono attualmente arroccate le milizie di al Baghdadi – che non casualmente è anche la base della sua kabila (o tribù) di appartenenza – vorrebbe dire estendere la sua sfera di influenza oltre la Cirenaica. Nella pratica, il cosiddetto Esercito Nazionale verrebbe legittimato ad essere l'esercito della Libia unita. Chi gli è ostile, come le milizie di Misurata o altri, verrebbe comunque sconfitto o asservito al suo disegno egemonico;

la seconda opzione, qualora non ci fosse spazio per riconciliarsi con il resto del Paese e con le milizie della Tripolitania, sarebbe quella di consolidare il suo feudo politico in Cirenaica, dando poi spazio a quel processo federalista che molti osservatori internazionali vedono come alternativa all'unità della Libia. Questa opzione trova conforto nel fatto che Benghazi ha ultimamente cercato di commissionare ad una società russa la stampa di 7 miliardi di dinari – la valuta nazionale è stata sinora stampata da una ditta inglese – nonché abbia poi cercato di vendere, in deroga ad una risoluzione dell'ONU del marzo 2016, petrolio autonomamente, come evidenziato dal recente tentativo della petroliera Distya Ameya. Al momento esiste una sede “indipendente” della Banca Centrale libica nel capoluogo della Cirenaica, così come della N.O.C. (National Oil Company), la società petrolifera libica.

Certo, per Haftar la prima soluzione è quella più ambita, ma il generale ha dalla sua anche una soluzione negoziale che comunque passa sempre attraverso le sue vittorie militari. Perché, comunque la si rigiri, l'obiettivo finale di Khalifa Haftar è l'ascesa al potere.

abdel fatah al
              sisi
Abdel Fattah al Sisi


Gli amici del generale

Haftar può contare su di un sostegno internazionale di spessore nell'Egitto – che ha il vantaggio di essere il Paese territorialmente contiguo alla Cirenaica e quindi in grado di fare affluire quanto abbisogna all'alleato libico – l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti – che forniscono sostegno finanziario ed approvvigionamento di armi – e, anche se in maniera defilata, la Francia.

Il ruolo di Parigi appare alquanto ambiguo. Se da un lato appoggia la mediazione internazionale dell'ONU, dall'altro invece asseconda le pretese di Khalifa Haftar. Ma dietro a questo atteggiamento ci sono interessi finanziari con l'Egitto – vedasi i recenti accordi sottoscritti dal presidente francese François Hollande al Cairo per la vendita di aerei da combattimento Rafale – ed anche l'idea recondita che, se domani il generale libico prendesse il potere, la Francia potrebbe rivendicare un rapporto privilegiato con la Libia ed il suo petrolio. Questo giocare su due tavoli trova anche riscontro nella presenza di forze speciali francesi nell'aeroporto di Benina e, non ultimo, in un volo sospetto di un aereo militare francese da rifornimento che recentemente si è recato sullo spazio aereo libico, ha rifornito qualcuno in volo (probabilmente i Rafale egiziani) e poi è ritornato in Francia.

Appoggiando Khalifa Haftar l'Egitto si garantisce il confine occidentale dalle penetrazioni del terrorismo islamico e può quindi combattere quelle che si annidano nella penisola del Sinai più agevolmente. Inoltre, storicamente la Libia, Paese con grandissime risorse ed una scarsa popolazione, è sempre stata un'area dove molti egiziani hanno trovato lavoro. Ai tempi di Muammar Gheddafi, nonostante alterne vicende nei rapporti bilaterali, circa due milioni di egiziani, molti dei quali illegali, trovavano opportunità di lavoro in Libia.

Per quanto riguarda invece l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, le motivazioni per appoggiare Haftar derivano dall'ostilità verso i Fratelli Musulmani, presenti a Misurata e Tripoli, e da quel legame che si è instaurato tra il generale Fattah al Sisi e i sauditi. Il primo sta dando sostegno militare anche alla guerra in Yemen, i secondi contraccambiano con soldi.

Il recente arrivo a Benghazi di una nave saudita carica di mezzi militari poco prima che il generale Haftar iniziasse l'avanzata verso le postazioni dell'ISIS avvalora l'ipotesi che il personaggio abbia la chiara intenzione di guadagnare benemerenze militari per poi presentarsi al tavolo delle trattative da una posizione di forza. A Tripoli questa avanzata verso Sirte e la Tripolitania è vista con particolare sospetto. Qualcuno ha ipotizzato che Haftar, oltre a sconfiggere l'ISIS, voglia anche prendere il controllo materiale dei pozzi petroliferi dell'area. Tuttavia, ciò non potrebbe avvenire se non attraverso uno scontro con un'altra milizia altrettanto potente, quella di Ibrahim Jadhran, capo delle “Petroleum Facilities Guards” schierate a salvaguardia degli impianti di estrazione. L'ostilità personale tra Haftar e Jahdran risale ai tempi in cui il primo era un fedelissimo di Gheddafi e il secondo un membro del Gruppo Islamico Combattente Libico.

Oltre l'interesse a combattere l'ISIS, Khalifa Haftar coltiva anche il suo ruolo di combattente dell'estremismo islamico nelle sue varie forme. La sua operazione militare “Karame” (dignità) è stata sempre indirizzata contro le milizie islamiche di Benghazi e Derna. In quest'ultima cittadina ha ultimamente combattuto e sfrattato quelle appartenenti al Consiglio della Shura che, a suo tempo, erano riuscite a sconfiggere ed allontanare gli uomini dell'ISIS.

Un personaggio che divide

Khalifa Haftar non è un personaggio che unisce, come sarebbe necessario in questa fase caotica delle vicende libiche, ma che divide. E non fa niente per nasconderlo. Per lui esistono solo amici o nemici. Ma sono soprattutto i suoi trascorsi al fianco di Gheddafi a non essere graditi alle milizie islamiche di Tripoli e Misurata.

Il generale è passato all'opposizione solo a seguito della sconfitta e dell'abbandono da parte del regime delle truppe libiche da lui comandate in Ciad. Una conversione dettata quindi dalle circostanze. Anche il fatto che Haftar sia stato, e molto probabilmente lo è ancora, molto vicino alla CIA, che lo aveva reclutato per combattere il dittatore libico, non è un requisito molto gradito alle milizie islamiche. E la sua ricomparsa sul palcoscenico libico a cavallo della rivoluzione del 2011 dopo svariati anni di latitanza politico/militare non lo rende partecipe della defenestrazione del dittatore.

Nei vari posizionamenti pro o contro Haftar gioca un ruolo importante anche il fattore tribale. Il generale appartiene ad una kabila dell'area di Sirte, la Firjan, che è poi la stessa area di provenienza di quella di Gheddafi, la Qadadfa. Un altro fattore a suo favore sono le simpatie degli ex pretoriani del raìs che vedono in lui una possibilità di rivalsa per i soprusi subiti a seguito dell'uccisione del dittatore.

Fayed al Sarraj
Fayed al Sarraj


L'uomo del destino

Finché non si risolverà positivamente il tentativo internazionale di costituire un governo unitario libico di pacificazione nazionale, in Libia continueranno a convivere tre entità statuali: quella di Tobruk (fino a ieri l'unica internazionalmente riconosciuta e che oggi viene comunque asservita agli interessi di Haftar), quella di Tripoli (legata alle varie fazioni islamiche) e quella di Fayez al Sarraj che, teoricamente, dovrebbe subentrare come unico governo legittimo del Paese.

Grazie al riconoscimento concesso al parlamento e al governo a Tobruk, sinora tutte le avventure militari di Khalifa Haftar sono avvenute in un quadro di legittimità. Una volta subentrato il governo di Sarraj, Haftar si è rifiutato di consegnare il comando delle sue truppe ad un Ministro della Difesa nominato dal neo primo ministro. Questo nonostante al dicastero sia stato designato un uomo vicino al generale come Mahdi al Barghouti, già comandante di una brigata carri in Benghazi. In teoria, quindi, tutto ciò che Haftar intende adesso fare autonomamente sarebbe illegale. Questo almeno finché il parlamento di Tobruk non riconoscerà il ruolo di Sarraj. Questo dettaglio formale è stato recentemente sottolineato anche dalla Russia, che vede in Khalifa Haftar un potenziale alleato avendo il generale frequentato dei corsi militari in Mosca.

Ma non sono certo questi cavilli diplomatici a preoccupare il personaggio, né può il caos sociale e politico libico sanzionare questo tipo di comportamenti. Anche i Paesi che appoggiano le iniziative delle Nazioni Unite hanno sinora evitato di sanzionare il generale. Altrettanta indulgenza non è stata dimostrata verso il presidente del parlamento di Tobruk o con il primo ministro del governo di Tripoli. Ciò dimostra che vi è una consapevolezza internazionale del ruolo condizionante di Haftar negli equilibri libici. Lo stesso Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, ha dichiarato ufficialmente che Khalifa Haftar "deve" avere un ruolo nei futuri assetti istituzionali del Paese.

Molto probabilmente Haftar andrà avanti sulla propria strada, perseguendo i propri obiettivi. Giocherà sulla dissuasione garantita dalle truppe al suo comando, si circonderà della fama di paladino della lotta al terrorismo (a Benghazi molti lo considerano un eroe), combatterà gli islamici ma anche chi si oppone al suo potere, e ogni tanto cercherà qualche compromesso a livello internazionale. Con le buone o con le cattive, questo dipenderà dalle circostanze, arriverà al potere. Qualcuno aveva ventilato che si creasse un comando unificato per combattere l'ISIS, ma anche questo tipo di compromesso non ha trovato il gradimento del generale. E come il suo mentore e poi nemico Muammar Gheddafi, Khalifa Haftar ha anche preso l'abitudine di sfruttare a fini nazionalistici il colonialismo italiano chiamando le operazioni militari contro l'ISIS con il nome di "Al Qurdabiya 2", nome di una località dove fu combattuta una battaglia contro gli italiani.

Il generale non ha fretta. Sa che più si alimenta il caos nel Paese, più il suo ruolo diventerà importante. Sa che più l'ISIS costituirà una minaccia, più sarà importante il suo peso contrattuale nelle vicende libiche. Dal 30 marzo 2016, giorno dell'arrivo del neo Premier Serraj nella base di Abu Sittah a Tripoli, è ancora tutto bloccato. Mediatori e negoziatori internazionali, ministri degli esteri che colloquiano con le parti in causa e varie pressioni internazionali non hanno ancora prodotto risultati apprezzabili .Oggi la Libia ha tre governi, vari eserciti e milizie . La riunificazione del Paese appare ancora un obiettivo molto lontano, quasi irraggiungibile. Se la politica del dialogo nell'ambito della società libica non produrrà effetti, la mano passerà a chi ha la forza. Ed è quello che sta aspettando il generale Khalifa Haftar.


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