COSA C’È DIETRO L’AVANZATA DI HAFTAR

Il
generale Khalifa Haftar
Era
scontato che fare un negoziato tra Khalifa Haftar e Fayez al
Sarraj ad Abu Dhabi, quindi in un Paese che neutrale non è sulle
vicende libiche, non avrebbe prodotto risultati apprezzabili ma,
al contrario – come poi avvenuto – alimentato, in uno dei due
contendenti – nel caso specifico Haftar – la percezione di essere
appoggiato nelle sue velleità militari.
Infatti, dietro il tentativo di conquistare Tripoli, c’è
l’appoggio incondizionato degli Emirati Arabi Uniti – che hanno
già fornito al generale il proprio sostegno aereo – ed anche la
longa manus dell’Arabia Saudita, che trova così l’occasione di
contrastare il Qatar che invece appoggia le milizie di Misurata,
quelle islamiche della Tripolitania e lo stesso Sarraj.
I sauditi avrebbero fornito al generale disponibilità finanziarie
per pagare i miliziani. Non è infatti casuale che Khalifa Haftar
fosse a Riyadh il 28 marzo dove ha incontrato Re Salman. Qualcuno
ipotizza che i sauditi avrebbero assicurato al generale che alcune
milizie salafite di Tripoli avrebbero abbracciato la sua causa. Si
tratterebbe di quelle che fanno capo al movimento Madakhala di
ispirazione wahabita. Cosa che però non sembra sia avvenuta.
Ma la domanda è sempre la stessa: il governo di Fayez al Sarraj
non è quello internazionalmente riconosciuto dalla comunità
internazionale e quindi con la certificazione del Consiglio di
Sicurezza dell’Onu? E se questo è vero, come lo è, perché altri
Paesi appoggiano in varie maniere Haftar facendogli alimentare la
voglia di conquistare militarmente il Paese?
I colpevoli, i bugiardi, gli incapaci
Se nel caso dell’ultima offensiva per la presa di Tripoli i
maggiori colpevoli sono gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia
Saudita, altri Paesi continuano a comportarsi in modo scorretto:
da un lato, in forma ufficiale, assecondano ed appoggiano i vari
negoziati per ristabilire la pace in Libia; dall’altro lato invece
parteggiano per quello che oggi appare il contendente militarmente
più forte e cioè Khalifa Haftar.
E’ il caso della Francia che ha, a suo tempo, inviato reparti
speciali in Cirenaica. Alcuni consiglieri militari francesi
affiancano l’esercito di Haftar anche in questa operazione. Le
smentite dell’ambasciatrice francese a Tripoli sono parte di
quella commedia diplomatica dove le bugie cercano di coprire la
verità. Le forze speciali – a detta di Parigi – sono lì per
combattere il terrorismo e non per aiutare Haftar. Ma nelle ore
precedenti l’attacco una delegazione guidata dal figlio di Haftar,
trasportata da un Falcon messo a disposizione dalle autorità
francesi, era andata a Parigi per ottenere l’appoggio francese
all’operazione militare. Ma la Francia si è scoperta anche quando,
in sede di Unione Europea, ha bloccato una dichiarazione che
condannava l’avanzata militare di Haftar. Motivo del veto: troppo
dure le accuse contro il generale libico.
Anche la Russia – almeno ufficialmente – ha condannato l’avanzata
delle truppe di Haftar, ma troverebbe dei guadagni strategici –
sembra abbia ottenuto la promessa per l’utilizzo di una base
navale nel Paese – se il generale prendesse il potere. Personale
russo è presente nei porti di Tobruk e Derna.
E se effettivamente Mosca volesse bloccare le velleità del
generale basterebbe impedire ai circa 300 mercenari russi del
gruppo Wagner di combattere al fianco di Khalifa Haftar. Sono
infatti i cosiddetti “contractors”, ex militari con pregresse
esperienze belliche nelle truppe speciali russe che si mettono al
servizio di chi ha bisogno di loro. Ma sono legati ai Servizi
russi. Sono sì mercenari, ma non possono andare a combattere per
qualcuno se le autorità russe non danno informalmente il loro
benestare. In pratica, fanno il lavoro sporco per conto dello
Stato russo.
Ma la Russia ha anche altre colpe: ha fornito armi ad Haftar carri
armati, artiglieria e assistenza per quegli armamenti in mano al
generale che provenivano dal vecchio arsenale di Muammar Gheddafi.
E, non ultimo, Mosca ha anche bloccato una risoluzione del
Consiglio di Sicurezza dell’Onu che intimava ad Haftar di fermare
la sua avanzata, salvo poi convocare il generale a Mosca per
cercare di bloccare le sue iniziative.
Anche gli Stati Uniti erano presenti con unità delle forze
speciali in Libia e ne hanno poi decretato l’evacuazione. Ad onor
del vero, le dichiarazioni del Segretario di Stato Mike Pompeo
contro l’avanzata di Haftar sono state tra le più dure. Se il
generale prendesse il potere potrebbe forse andare bene a
Washington, visto che Haftar è stato a lungo (e forse lo è ancora)
sul libro paga della CIA. Quello che non sta bene agli Stati Uniti
è la relazione tra Haftar e la Russia. Avere al potere un uomo
troppo legato a Mosca non è di gradimento americano. E se gli
Stati Uniti hanno sì ritirato i propri militari sul terreno, hanno
anche fatto convergere una flotta guidata dalla portaerei Abraham
Lincoln nel Mediterraneo ed in aree limitrofe alla costa libica.
Un monito per chiarire che ogni soluzione in Libia passa per
l’autorizzazione americana.
Però bisogna qui farsi una domanda: è possibile che Khalifa Haftar
si sia impelagato in una operazione militare che richiede tempi
tecnici di preparazione, che abbia avuto l’appoggio incondizionato
di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita (entrambi stretti alleati
degli Stati Uniti in Medio Oriente) senza che nessuno (CIA
soprattutto) si sia accorto di niente e non abbia fatto niente per
impedire che l’offensiva avesse inizio? O forse era meglio lasciar
fare per vedere come andavano le cose e, quando ci si è accorti
che si rischiava un acuirsi della guerra civile, si è
ufficialmente condannata l’iniziativa?
E che dire dell’Italia, il Paese che forse più di altri ha da
perdere dalla guerra di Khalifa Haftar dal momento che la
posizione italiana nelle vicende libiche è quella di appoggiare in
modo quasi incondizionato il governo legittimo di Fayez al Sarraj?
Roma ha dei militari dispiegati in un ospedale da campo a Misurata
ed altri per l’assistenza alla guardia costiera a Tripoli. Abbiamo
un vice direttore dell’AISE, il generale Giovanni Caravelli, che è
il punto di contatto con Haftar e che non capisce le intenzioni
del generale libico, ovvero non trova il modo per contrastarlo o
convincerlo. Era in Libia anche nelle ore precedenti l’attacco. Ci
sarebbe da domandarsi a cosa serve questo qualificato contatto se
poi non produce risultati apprezzabili. Caravelli aveva già
ottenuto dei risultati modesti quando era capo della divisione
militare del Servizio e gestiva i suoi uomini nei contingenti
militari italiani impiegati all’estero. Poi se ne era andato via
dal Servizio – o meglio era stato invitato ad andarsene – per poi
ricomparire con un incarico di prestigio. I risultati però non
cambiano.
Forse in questa lunga commedia di bugie il Paese più corretto è
stato l’Egitto: notoriamente appoggia Khalifa Haftar, ma non si è
esibito in smentite o dissociazioni. Ha invece ufficialmente
ribadito l’appoggio al generale nell’ultima visita di Haftar al
Cairo. Abdel Fattah Al Sisi ha fornito armi ed inviato consiglieri
militari.

Fayez al Sarraj
Un
indizio
C’era peraltro un indizio che poteva svelare le intenzioni
bellicose di Khalifa Haftar. Nelle settimane precedenti
l’operazione, suo figlio Saddam era andato a negoziare con le
autorità di Misurata un compromesso per la spartizione del potere.
Il generale era disponibile ad accettare un primo ministro ad
interim legato a Misurata. La missione era fallita anche perché la
diffidenza tra le parti è ancora molto alta.
Khalifa Haftar cercava di sfruttare il fatto che Misurata non è
molto contenta dell’operato di Fayez al Sarraj. Ma da lì ad
accettare un accordo con Haftar, il passo era troppo lungo. Tra
tutti i gruppi armati che operano in Tripolitania, le milizie di
Misurata sono sicuramente le più efficienti, quelle di cui ha
paura Haftar. Sono reparti che hanno combattuto contro Gheddafi e
sono anche quelle che hanno poi sconfitto l’ISIS nell’area di
Sirte.
L’esercito di Haftar
E’ difficile oggi quantificare la forza militare di Haftar anche
perché molte milizie sono in attesa degli sviluppi militari per
poi decidere se magari schierarsi dalla parte del vincitore. Anche
quelle che combattono per Haftar perseguono propri obiettivi.
Khalifa Haftar, almeno sulla carta, può contare su circa 10.000
uomini, molti di più di quelli che può schierare sul terreno
Sarraj. Il cosiddetto Libyan National Army dispone anche di
mercenari sudanesi, provenienti dal Darfur, dal Ciad, di forze
tribali che a suo tempo erano vicine a Gheddafi, su circa
2.000/2.500 combattenti delle milizie di Zintan, la Brigata di
Tarhuna, le milizie tuareg.
La sua aviazione poi è basata in buona parte su aerei russi che
prima appartenevano all’Esercito di Gheddafi, a cui si sono
aggiunti i velivoli forniti dagli Emirati Arabi Uniti e
dall’Egitto. In totale 25/27 aerei (ma solo una decina operativi
grazie all’assistenza di tecnici russi) ed alcuni elicotteri da
combattimento e da trasporto (anche questi forniti in parte da UAE
e Egitto). Per un certo periodo l’Egitto aveva condotto degli
attacchi aerei diretti sul territorio libico contro i terroristi
islamici. Gli Emirati mettono a disposizione anche un drone per il
controllo del territorio.
Le intenzioni del generale
L’escalation militare di Haftar è avvenuta mentre l’ONU preparava
un incontro a Ghadames per l’ennesima conferenza di pace. E’ una
circostanza che conferma le vere intenzioni di Haftar: prendere il
potere e diventare il prossimo Gheddafi. Le varie conferenze di
pace (Skhirat, Parigi, Palermo) che di volta in volta qualcuno
organizza, sono per lui solo una perdita di tempo.
Haftar avrebbe accettato i negoziati solo ed esclusivamente se
fosse stato possibile prendere il potere per via diplomatica.
Durante i colloqui il generale ha sempre chiesto di essere messo a
capo delle Forze Armate e del Ministro della Difesa, per diventare
colui che avrebbe gestito la forza nel nuovo assetto
istituzionale. Un passo intermedio prima di assumere il completo
potere.
Probabilmente, forse in virtù di una percezione favorevole delle
circostanze, Khalifa Haftar ha optato per l’azione di forza. La
facilità con cui ha conquistato i campi petroliferi ed il
controllo del sud del Paese ha alimentato il suo senso di
invincibilità. Sicuramente gli appoggi che a diversa gradazione e
coinvolgimento gli sono venuti da attori esterni hanno elevato il
suo senso di impunità.

Muhammar
Gheddafi
E
i negoziati?
La Libia, purtroppo, si confronta non solo con problemi di
rivalità tribali, la nota ostilità tra Tripolitania e Cirenaica,
l’insorgere dell’estremismo e terrorismo islamico, le bande
criminali che scorrazzano nel Paese, le lotte tra Tebu e Tuareg,
ma deve pagare un tributo di instabilità anche alle mire ed
ingerenze di Paesi esterni. Ne fanno fede il susseguirsi di visite
e di emissari dei due maggiori protagonisti tra Qatar, Mosca,
Francia, Turchia ecc. Un interesse che deriva sia dalla posizione
strategica della Libia sul Mediterraneo che dalla presenza di
grossi giacimenti di idrocarburi.
Bisogna però anche dire che nella cultura sociale dei libici, la
cosiddetta democrazia non trova spazio. Comunque andrà a finire
l’offensiva di Haftar, alla fine ci sarà sempre un potere di
qualcuno che prevarrà su quello degli altri. Allora a cosa servono
i negoziati che alcuni si ostinano a portare avanti? Solo ad
evitare che questa presa di potere avvenga con un bagno di sangue
e che questo poi alimenti una nuova catena di vendette. Una
questione pratica più che una ricerca di democrazia in un Paese
che non l’ha mai avuta.