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IMMIGRAZIONE CLANDESTINA E LE INIZIATIVE ITALIANE


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181.405 migranti hanno raggiunto l'Italia dalle coste libiche nel 2016. Il 18% in più rispetto all'anno precedente. Oltre 5.000, ed è un dato per difetto, sono morti durante la traversata, almeno 700 erano minori. La Libia tuttora rappresenta la fonte di circa l'80% dell'immigrazione che arriva in Italia.

Quest'anno il fenomeno appare diversamente articolato: nei primi tre mesi del 2017 gli arrivi sono aumentati di oltre il 60% rispetto allo scorso anno. Parliamo di un periodo invernale dove le condizioni climatiche e del mare rendono generalmente impraticabile l'attraversamento. Negli ultimi mesi, invece, l'afflusso è calato dell'80%.

Il fenomeno dell’immigrazione clandestina negli anni si è sviluppato in maniera così abnorme da diventare una vera emergenza sociale, talvolta un problema di ordine pubblico e di sicurezza nazionale, sicuramente un peso finanziario per lo Stato italiano. I quesiti che sinora non hanno trovato adeguata risposta sono sempre gli stessi: come assistere in modo adeguato coloro che arrivano, cosa fare per bloccare definitivamente questo afflusso di persone, come fare a rimandare indietro chi non ha diritto all'asilo.

Come funziona il sistema


In Italia, almeno sulla carta, ci sarebbe un sistema di accoglienza oggi non in grado di fare fronte ad un tale numero di arrivi. Ci sono i Centri di Prima Accoglienza che si articolano in strutture governative affiancate da strutture "temporanee" regionali. Poi ci sono i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), che dovrebbero poi far transitare gli aventi diritto nel Sistema di protezione per richiedenti asilo. Infine vi sono gli ex Centri di identificazione ed espulsione (CIE), ribattezzati Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR).

Secondo questo schema, il migrante che sbarca nel nostro Paese dovrebbe essere inizialmente accolto e poi valutato se avente diritto all'asilo e se oppure debba essere respinto. Una selezione che distingue tra chi fugge da una conflitto (profugo) o da una persecuzione (rifugiato e quindi protetto dalla Convenzione di Ginevra del 1951) ed il clandestino, ovvero colui che non ha titoli per rimanere nel Paese e va espulso.

Ammesso e non concesso che sia facile distinguere un clandestino da un rifugiato o da un profugo – molte volte i clandestini dichiarano delle false generalità, inclusa la nazionalità, e tendono a raccontare storie mirate a convincere l'organo giudicante cioè la Commissione territoriale – il grosso problema è rappresentato dal tempo necessario al riconoscimento o meno dello status che autorizzerebbe la permanenza del migrante sul territorio italiano. In teoria il tutto dovrebbe avvenire entro un mese dall’arrivo del richiedente asilo, ma generalmente il processo richiede almeno un anno, salvo poi ricorsi ed appelli in caso di diniego. Quando l’iter burocratico ha finalmente un esito negativo, il richiedente asilo si tramuta in clandestino e quindi oggetto di una richiesta di espulsione.

Poi c'è il problema, alquanto macroscopico, dei minorenni non accompagnati. Arrivano in Italia da soli (oltre 12.000 nel 2017, un fenomeno sempre più in crescita), non possono essere espulsi ed hanno bisogno di assistenza sul territorio a prescindere dalla loro provenienza. Si parla di creare sezioni speciali nell'ambito degli SPRAR (Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Nel 2016 i bambini arrivati in Italia sono stati 28.223 (16% degli arrivi), di cui 25.846 non accompagnati. Dei 64mila minori sbarcati in Italia negli ultimi tre anni, solo 17mila sono all’interno del sistema di accoglienza.

Infine, i CIE (o CPR) dovrebbero servire per trattenere e poi espellere i clandestini. Sono centri da cui non si potrebbe uscire anche se non sono veri e propri centri di detenzione.

Ma qui subentra l'altro grosso problema: come si fa ad espellere un clandestino se manca un accordo di riammissione con il Paese di origine. E siccome parliamo in stragrande maggioranza di partner africani dove la povertà è endemica, è facile immaginare come questi non siano molto propensi a riprendersi indietro un proprio connazionale. Quindi al clandestino viene notificata l'espulsione, ma il provvedimento non viene eseguito. Anzi, il clandestino fa perdere le sue tracce e magari circola sul territorio nazionale con altre generalità.



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La ricerca di accordi


La soluzione principale che ha cercato l'Italia è stata quella di finalizzare accordi bilaterali con i Paesi di provenienza dei migranti o con quelli di transito. L'idea principale è quella di bloccare l'immigrato nel Paese di origine o mentre è in transito e prima che arrivi sulle coste libiche. L'ultimo accordo con il Niger, con una profferta di 50 milioni di euro, va in questa direzione.

Altre trattative sono in corso con l'Egitto (da dove partono quasi il 10% delle barche di clandestini), la Tunisia e la Nigeria, statisticamente la nazione da dove arriva il maggior numero di migranti che poi diventano irregolari. In questo contesto va anche inserito l'accordo sottoscritto alcuni mesi fa dal Ministero dell'Interno italiano con i Tuareg, i Tebu e altre tribù del sud della Libia. Verranno addestrate delle guardie di confine, a cui vanno aggiunti altri vantaggi economici.

L'Italia sta ripercorrendo con la Libia la stessa strada del passato. Nel 2008 fu firmato con Muammar Gheddafi un accordo che contemplava, tra le varie cose, anche la collaborazione di Tripoli nel riprendersi indietro i clandestini che partivano dalle spiagge libiche. Gheddafi accettò i respingimenti di migranti in cambio di 5 miliardi di euro, distribuiti su progetti di autostrade, borse di studio, cooperazione, sistemi di sorveglianza etc.

L'odierno accordo sottoscritto con il governo di Sayez al Sarraj a Tripoli corre su due livelli: quello politico, perché tutto l'interesse a dialogare con un governo locale che possa poi onorare gli impegni presi; e quello pratico, perché una volta che l'accordo è stato firmato c'era l'interesse a fornire alla controparte gli strumenti tecnici per per renderlo operante.

Alla ricerca di un interlocutore

Tuttavia, l’Italia sa bene che il governo a Tripoli esiste solo sulla carta un governo e che non è in grado di onorare un accordo. Da lì è nata e si è sviluppata tutta un'attività diplomatica per far sì che anche le forze ostili al premier Sarraj potessero essere parte di una riconciliazione nazionale. Il recente invito a Roma del maggior oppositore del primo ministro, il generale Khalifa Haftar, e la promessa di aiuti (umanitari e non) rientrano in questo quadro.

Lo stesso dicasi dell'invio di un ospedale da campo a Misurata a sostegno delle milizie che avevano combattuto l'ISIS a Sirte. Milizie che oggi appoggiano Sarraj e sono, nel contempo, il principale ostacolo militare del Libyan National Army di Haftar. Ovvero, un sottile gioco di equilibrismo negoziale per agevolare una riconciliazione nazionale senza la quale qualunque lotta contro il traffico di essere umani non avrebbe possibilità di successo.

La seconda fase è stata quella di fornire a Sarraj, visto che è nell'area intorno a Tripoli che si concentrano le partenze verso l'Italia, gli strumenti per bloccare il traffico. In questo caso è stata ripresa un'iniziativa a suo tempo centrale negli accordi con Gheddafi: la fornitura di navigli e l'addestramento della Guardia Costiera libica.

L’Italia fornirà un totale di 10 motovedette, ancora non tutte consegnate, e relativo addestramento dei marinai a cui va aggiunto un centro operativo a Tripoli (asservito a sistemi radar per coordinare l'attività di pattugliamento) e ad un sostegno logistico in territorio libico. Alcune richieste libiche non hanno avuto seguito a causa dell’embargo su armi e materiale bellico e gli stessi radar per le sale operative sono stati soggetti ad un’autorizzazione dell’ONU. Per strumenti tecnici, equipaggiamenti e una decina di ambulanze invece non ci sono state difficoltà. L'Italia si è quindi sobbarcata un costo complessivo di circa 800 milioni di euro.



CPT lampedusa
Il CPT di Lampedusa, in Sicilia


A tutta Libia

Il Memorandum Italia-Libia, firmato il 2 febbraio 2017, è articolato in 8 punti e citava solo le generiche esigenze da soddisfare, i dettagli sono stati aggiunti dopo. Una curiosità del documento è stata quella di indicare, tra le cose da fare, anche l'articolo 19 del memorandum firmato nel 2008 con Gheddafi in cui il dittatore chiedeva un sistema di radar per il controllo dei confini meridionali in chiave anti-immigrazione. Era allora notorio che tale sistema aveva altre funzioni, più squisitamente militari, ma evidentemente se ne richiede ancora la realizzazione. All’epoca costava sui 300 milioni di dollari e avrebbe dovuto essere realizzato dalla Selex. Forse la recente visita a Roma dei 10 sindaci del Fezzan ha spinto in tal senso.

Nella pratica, come in passato, la guardia costiera libica opererà per impedire la partenza delle imbarcazioni dei clandestini e riprenderà indietro quelle intercettate in mare dal pattugliamento italiano o dal Frontex europeo. Durante il vertice di Malta ad inizio 2017 si è chiesta la creazione in mare di una "Linea di protezione" per bloccare e respingere tutti i natanti. Sinora le navi di Frontex non potevano entrare nelle acque territoriali libiche. Negli ultimi mesi anche queste limitazioni sono state superate.

Sinora, anche se in modo non totalmente definitivo, il traffico di migranti provenienti dalla Libia è stato bloccato. Sicuramente le forniture italiane e la ricostituzione della Guardia Costiera libica sono state parte di questo successo. Anche se ufficialmente e ripetutamente negato (il governo italiano non avrebbe potuto fare altrimenti), anche alcune milizie nell'area di Sabratha sono state "finanziate" per bloccare le partenze dalle spiagge. Non poteva essere altrimenti perché in quell'area il governo di Sarraj non ha il controllo del territorio. Ed il lavoro sporco lo ha direttamente gestito l'AISE, l'Agenzia per le Informazioni e la Sicurezza Esterna, che più di ogni altro Servizio europeo è impegnata a operare sul territorio libico.

Il problema dell'immigrazione clandestina non è completamente risolto anche perché dietro a questo traffico opera un’organizzazione criminale transnazionale. Se si chiude una strada, se ne apre subito un'altra vista la mole di coloro che vogliono arrivare in Europa. Ultimamente si sono riaperte le rotte che partono dalla Tunisia e dall'Algeria e si sono rafforzate quelle nei Balcani. In prospettiva si pone il problema di bloccare questo afflusso di clandestini prima che arrivino in Libia. Si parla della possibilità di far stazionare contingenti internazionali in Niger, Ciad e Mali. I francesi già sono presenti in queste aree con loro militari trattandosi di ex colonie. Altra ipotesi, forse più difficilmente realizzabile, è quella di creare strutture che possano selezionare i richiedenti asilo in Libia o a sud del Sahara, magari gestite dall'Alto Commissariato per i Rifugiati.

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