IMMIGRAZIONE CLANDESTINA, SICUREZZA E RICERCA DI SOLUZIONI

L'immigrazione
è un business dove la merce di scambio, il prodotto della
transazione o il cliente è un essere umano.
In questo business si muovono molti soldi e molti interessi.
C'è chi dirige questo business con una centrale in Sudan, c'è chi
trasporta via terra o via mare, chi recluta, chi nasconde.
Un giro d'affari che produce ogni anno miliardi di profitti (circa
12 miliardi di dollari l'anno secondo L'Organizzazione
Internazionale per l'Immigrazione - O.I.M.) e crea, nel suo
percorso da un paese all'altro, opportunità di lavoro a coloro che
si dedicano a questa attività illegale.
Molte volte è la manovalanza di un povero che sopravvive
sfruttando le disgrazie di un altro povero.
E' un mercato che non conosce crisi perché alimentato da regimi
totalitari, aree di guerra, povertà endemiche, sopraffazioni ed
abusi che rendono alla fine ancora accettabile i rischi,
soprattutto fisici, che un povero immigrante si accolla per vivere
una vita migliore da qualche altra parte del mondo.
Essendo organizzazioni criminali transnazionali, sopravvivono
sulla volatilità dei confini, in ogni paese di transito si basano
sulla corruzione delle varie polizie, hanno quella flessibilità
che gli permette di chiudere o aprire una rotta di questo traffico
umano a seconda delle circostanze.
L’Europa che non c'è
L'immigrazione clandestina è oggi diventato un problema centrale
per l'Italia - in quanto Paese in prima linea - e per l'Europa che
su questa problematica si sta dividendo tra populismi ed egoismi
nazionali.
Una eterna lotta che mette in gioco problemi sociali, economici,
etici e che alimenta nel contempo paure più o meno giustificate,
come la sicurezza, il terrorismo, il pericolo per i propri modelli
culturali, la contrapposizione religiosa, la xenofobia o
l'intolleranza.
Questo è uno dei motivi per cui nel 2015 l'Europa aveva deciso di
ricollocare circa 160.000 richiedenti asilo arrivati in Italia e
nella realtà poi ciò non è avvenuto se non per soli 5000.
Nel frattempo si sono creati muri all'interno dei Paesi aderenti
all'Unione Europea. L'Inghilterra ha aderito alla Brexit agitando
il pericolo derivante dall'immigrazione clandestina, l'Ungheria ha
tenuto un referendum, molte prossime elezioni nazionali avranno
come tema centrale proprio questo afflusso di clandestini.
Laddove era auspicabile che alcuni valori fondanti dell'Unione
Europea fossero alla fine utili a trovare una soluzione a questo
problema sociale, sono invece prevalsi gli egoismi e gli interessi
di parte.
I riflessi sull’Italia
Ma a parte gli aspetti europei, che ovviamente hanno impedito di
trovare una soluzione condivisa, la posizione italiana nel
contempo è peggiorata. Non potendo contare sulla solidarietà degli
altri, ci si è trovati davanti ad un problema da risolvere, sotto
tutti gli aspetti (sociali, etici ed economici) in modo autonomo.
E soprattutto quei clandestini che arrivavano in Italia con
l'intento di proseguire verso altre nazioni (praticamente, in
passato solo il 15% degli immigrati decideva di rimanere in
Italia) adesso rimangono bloccati nel Paese.
Adesso, prima ancora che inizi la stagione invernale che nei fatti
rallenta l'arrivo dei clandestini, siamo già, per quest'anno,
oltre i 140.000 arrivi. Ma sicuramente i dati degli sbarchi del
2016 saranno complessivamente superiori a quelli del 2015 che si
erano attestati sui 144.000.
Comunque, nei primi 6 mesi dell'anno i clandestini morti
nell'attraversamento del Mediterraneo, sono stati quasi 3000.
Quest'ultimo è un dato al ribasso perché si basa sulle stime
accertate e non tiene conto di quelle morti di cui non si saprà
mai nulla. E' un dato che quantifica la disperazione di chi
affronta la traversata e gli scarsi scrupoli di chi si arricchisce
su questo traffico.
Le difficoltà contingenti affrontate dall'Italia non tolgono
comunque valore ad un fenomeno sociale che ha riflessi
internazionali e che per questo non può che risolversi con una
soluzione di respiro internazionale.
Pertanto oggi l'Italia come paese di arrivo e la Libia come paese
di partenza sono solo gli attori principali di un dramma sociale
che coinvolge tanti altri paesi.

L’accordo con Gheddafi
Con l'accordo dell'agosto 2008 ("Trattato di amicizia partenariato
e cooperazione"), tra l'Italia e la Libia di Gheddafi, il problema
dell'immigrazione clandestina era stato affrontato ed in un certo
senso risolto. L'aspetto ricattatorio con cui la Libia aveva
gestito il problema aveva spinto l'Italia a sottoscrivere il
documento.
Nell'articolo 19 del citato trattato si stabiliva che le due parti
avrebbero intensificato la cooperazione sull'immigrazione
clandestina, avrebbero promosso la realizzazione di un sistema di
controllo alle frontiere libiche (un sistema di sorveglianza radar
a cui teneva molto il leader libico, anche se un tale sistema
aveva altre finalità oltre a quella di intercettare clandestini in
arrivo dal deserto), e soprattutto avrebbero aderito alla
"definizione di iniziative, sia bilaterali, sia in ambito
regionale, per prevenire il fenomeno dell'immigrazione clandestina
nei Paesi di origine dei flussi migratori".
Nella pratica, la Libia, dietro un sostanziale contributo
finanziario italiano (non solo i 5 miliardi di dollari
dell'accordo ma la fornitura di 6 motovedette, addestramenti,
materiali vari, il citato sistema di sorveglianza radar ai confini
meridionali) accettava di riprendersi indietro quei clandestini
che partendo dalle coste libiche cercavano di raggiungere
l'Italia.
L'Italia così risolveva il suo problema ma nel contempo
disattendeva molti aspetti etici dello stesso, poiché il
clandestino respinto in Libia veniva lì incarcerato e rientrava a
pieno titolo in quel calvario da cui aveva cercato di sfuggire
fatto di soprusi, stupri e sfruttamento.
Di quell'accordo però rimaneva irrealizzato l'aspetto più
importante, e cioè che entrambi i Paesi si adoperassero
congiuntamente per bloccare l'immigrazione clandestina presso le
nazioni da dove i clandestini partivano. Nei fatti la Libia era
solo un Paese di transito.
Gheddafi da poco era stato Presidente dell'African Union, era il
periodo in cui il suo ricorrente narcisismo lo aveva portato a
farsi proclamare da una pletora di capi tribù africani "Re dei Re"
e in cui aveva ancora un suo peso politico nelle vicende del
continente africano.
Alla fine, né Italia né Libia si erano però adoperati in quella
direzione. Con la primavera araba che ha coinvolto molti Paesi
mediorientali e nord africani, con l'intervento internazionale che
nel 2011 ha estromesso Gheddafi e con i conseguente caos sociale
che ancora perdura in Libia, ovviamente l'accordo del 2008 è
diventato carta straccia ed il caos sociale si è aggravato.

Muhamar Gheddafi con Silvio Berlusconi
La ricerca di soluzioni.
Sulla falsariga dell'esperienza italo-libica anche l'Unione
europea ha sottoscritto con la Turchia nel novembre 2015 un
identico format di accordo: l'Europa fornisce alla Turchia aiuti
per 3 miliardi di euro, la Turchia si riprende indietro chi tenta
di partire verso 'Europa. Anche qui lo stesso contesto politico in
cui è stato sottoscritto l'accordo (una forma velata di ricatto),
la stessa circostanza di ruolo (Turchia paese di transito), con
l'aggravante che se dalla Libia la maggioranza dei clandestini
avevano motivazioni economiche, nel caso dei siriani scappati
dalla guerra era prevalente l'aspetto umanitario.
Quindi ancora una volta l'approccio sbagliato: negoziare col Paese
di transito, non con quello di origine.
E' utile a questo punto domandarsi se esiste una soluzione al
problema dell'immigrazione clandestina che, come fenomeno sociale,
non ha soluzione fintanto che ci saranno Paesi ricci e Paesi
poveri o regimi oppressivi, ma che potrebbe venire ammortizzato da
accordi con i Paesi di origine. Ovviamente ci si riferisce ai casi
in cui l'immigrato clandestino è motivato da ragioni economiche e
non politiche.
E' quest'ultimo l'approccio che sta tentando di portate avanti il
governo italiano. Vorrebbe , anche per il diverso potere
contrattuale, che fosse l'Europa a negoziare, ma sinora non è
avvenuto.
Il grosso problema, quello che blocca ogni soluzione, è che il
clandestino quando arriva in Italia chiede lo status di protezione
internazionale e, nel caso non gli venga concesso (e
statisticamente a circa il 60% dei richiedenti viene negato), non
può essere espulso perché il paese di origine non è disponibile a
riprenderselo. Solo un negoziato, a cui affiancare prebende
finanziarie, può sboccare questa situazione. I 3 miliardi promessi
alla Turchia, se diversamente impiegati nei rapporti con le
nazioni povere della fascia sub-sahariana dell'Africa, avrebbero
sicuramente avuto un impatto positivo.
Rimane nel frattempo ancora aperta come soluzione alternativa,
benché parziale e non risolutiva, uno pseudo negoziato con le
autorità libiche che, essendo divise in tre governi, tante milizie
e una polizia inefficiente e corrotta, non hanno nessuna capacità
di assicurare che un eventuale accordo possa essere rispettato.
L’unica giustificazione all'iniziativa italiana a fronte della
latitanza europea è che non esistono alternative praticabili. Ed è
una scelta obbligata perché il 90% dei clandestini che arrivano in
Italia partono proprio dalla Libia.
Adesso è stata costituita una "sala operativa congiunta" italo -
libica a Tripoli per dare avvio ad una cooperazione tra i due
Paesi. Accordo sottoscritto con il Governo di Accordo Nazionale
del Premier Serraj (circostanza che postula dubbi sull'adesione di
eventuali altre entità politiche del Paese).
Ufficialmente l’accordo mira anche alla lotta al terrorismo oltre
ché all'immigrazione clandestina, ma in pratica serve ad arginare
quest'ultima.
Si parla per esempio di un controllo dei confini meridionali da
dove giungono i clandestini, ma è noto che quelle aree sono senza
controllo governativo ed in mano ai Tuareg (nell'area di Sheba),
ai Tebu (nell'area di Kufra) e a bande criminali e terroristiche.
Soprattutto adesso che i terroristi dell'ISIS sono stati sfrattati
(o stanno per essere definitivamente sfrattati) da Sirte, molti
sono proprio scappati nel sud del Paese.
L’accordo parla anche di droni per il controllo dei confini, di
addestramenti vari ed ovviamente della fornitura di mezzi e
strumenti. Niente di nuovo rispetto al passato, ma con un aspetto
migliorativo (da parte italiana al progetto concorrono sia i
Servizi che il Ministero dell'Interno e della Difesa, mentre nel
2008 una diatriba tra Ministri dell'Interno e della Difesa aveva
escluso quest'ultimo ed i Servizi da un contributo informativo ed
operativo) ed uno peggiorativo (si è negoziato con uno Stato che
oggi non è nel pieno dei suoi poteri).
Se nel passato esisteva in Libia comunque una collusione tra
apparati dello Stato e sfruttamento all'immigrazione clandestina,
oggi si è passati da un fenomeno episodico a qualcosa di
sistematico in quanto sull'illegalità vivono e sopravvivono non
solo i poliziotti (che talvolta non ricevono stipendi), ma libici
in cerca di lavoro, ed anche - almeno fino a poco tempo fa - i
terroristi dell'ISIS.
Correlazione terrorismo – immigrazione clandestina
Non esiste una conferma che le rotte dell'immigrazione clandestina
siano servite al terrorismo per infiltrarsi in Italia. Tale
conferma non esisteva ai tempi di Gheddafi e non esiste oggi. Il
terrorista vuole trovare la morte nel martirio e non nel
capovolgimento di un barcone nel mezzo del Mediterraneo.
Però l'immigrazione clandestina, quando non regolata e supportata
da adeguate strutture di accoglienza, porta con se problemi di
emarginazione sociale, di frustrazione, facilita la collusione con
la criminalità ed il terrorismo, diventa quindi una potenziale
minaccia per il Paese ospitante. In prospettiva, rappresenta un
pericolo. Ne trova conferma il fatto che molti recenti episodi di
terrorismo in Europa siano stati condotti da arabi o musulmani a
lungo residenti nei vari paesi.
L'Italia ha oggi circa 4 milioni di residenti stranieri sul
proprio territorio (ed è la cifra che si riferisce a coloro che
sono in regola) a cui si aggiungono oggi una moltitudine di
clandestini - i cosiddetti "invisibili" - di cui è difficile
tenere il conteggio. Tra questi, domani, potrebbe trovare spazio
psicologico un nuovo potenziale terrorista.
I "foreign fighters", quelli censiti dal Ministero dell'Interno,
per fortuna sono oggi un numero alquanto esiguo: 90 arruolati
nelle file dell'ISIS e di Al Nusra, di cui 18 morti e 14 rientrati
in Italia. Ma l'estremismo islamico può presto trovare nuovi
adepti nel mondo dei diseredati.