IL CONTRONEGOZIATO SUL NUCLEARE IRANIANO: MINACCE E CORSA AGLI ARMAMENTI

Se
da un lato la diplomazia internazionale disserta sulla validità di
un'intesa con l’Iran sul suo programma nucleare, ponendo in
controluce i pro e i contro di un accordo e dividendosi nei
giudizi di merito, dall'altro la circostanza ha assunto anche
altre caratteristiche che esulano dal clima ovattato che
generalmente circonda una trattativa diplomatica. Il contenuto dei
messaggi indiretti che solitamente ogni parte in causa manda alla
controparte hanno assunto un tenore poco negoziale e molto
minaccioso.
Infatti, a cavallo del primo accordo di massima raggiunto tra
l’Iran ed il resto del mondo, basato essenzialmente su delle linee
guida da definire entro poche settimane, si è scatenata una guerra
di notizie e di subdole intimidazioni a sfondo militare. In altre
parole, ogni attore di questo negoziato ed ogni altra entità
statuale che teme le risultanze di questo negoziato ha
incominciato ad enfatizzare le proprie capacità militari. Il
sotto-testo è evidente: se non si rispettano i termini
dell’accordo io, inteso come Stati Uniti e Israele, ho la capacità
di colpirti: Di tutta risposta, io, ovvero l'Iran, ho invece la
capacità di difendermi. Mentre io, la Russia, ho la capacità di
recitare un ruolo di sostegno in quanto superpotenza.
E' in questo intreccio di ruoli e di interessi che bisogna
contestualizzare alcune recenti notizie, tutte essenzialmente di
carattere militare.
Escalation “contro-negoziale”
Hanno incominciato gli americani rendendo noto che sono in
possesso di una bomba, anzi di una superbomba, in grado di
distruggere qualsivoglia struttura nucleare sotterranea . Chiamato
“Massive Ordnance Penetrator”(munizionamento compatto di
penetrazione) è nella pratica la più potente bomba bunker buster
in circolazione con una testata di 30.000 libbre (oltre 13
tonnellate di esplosivo) che può penetrare una struttura in
cemento armato fino a circa 61 metri. Il messaggio è altrettanto
chiaro e si riferisce alle strutture sotterranee del programma
nucleare iraniano. Nel caso specifico la centrale di Fordo, vicino
a Qom, dove si arricchisce l’uranio. Una capacità militare
enfatizzata subito dopo l’accordo di Ginevra direttamente dal
Segretario di Stato per la Difesa americano Ashton Carter.
Da parte sua l’Iran, attraverso una dichiarazione del Generale
Abdul Rahim Mousavi, ha risposto facendo pubblicizzare la notizia
di essere in possesso di un drone da impieghare in attacchi
kamikaze. Ovvero, in grado di lanciarsi ed esplodere su di un
obiettivo. Un tipo di drone già fornito sia ad Hezbollah che ad
Hamas, munito di cariche esplosive a bordo e che avrebbe come
caratteristica una lunga autonomia di volo. Un messaggio diretto
ad Israele nel caso Tel Aviv avesse intenzione di colpire le
strutture nucleari iraniani.
Nel gioco delle minacce è entrata anche la Russia che ha
platealmente reso pubblico, il 12 aprile 2015, di aver
autorizzato, dopo un bando durato alcuni anni, la vendita di
missili S-300, impiegati per la difesa aerea di lunga distanza,
all’Iran. Quegli stessi missili, qualche settimana dopo, sono
stati venduti da Putin anche all'Egitto. La mossa ha
tranquillizzato l’Iran nel caso di un eventuale raid israeliano.
Nel contempo la Russia ha mandato forte e chiaro un altro
messaggio: nel gioco mediorientale c’è anche Mosca .
In questa partita a scacchi è allora intervenuto il presidente
degli Stati Uniti, Barack Obama, per venire incontro alle
preoccupazioni di Israele. Obama ha fatto la sua mossa ed ha
annunciato che gli USA sono in grado di penetrare il sistema
missilistico russo S-300 venduto da Mosca all’Iran.
Un'affermazione che però non tiene conto dei vari modelli
dell’S-300, di cui alcuni antiquati, ma altri molto più
sofisticati. E su quest'ultimo punto anche Vladimir Putin ha
mantenuto il riserbo.
Insieme a quella di Israele cresce anche l'agitazione degli altri
Paesi del Golfo, non solo per le armi russe vendute all’Iran, ma
per il pericolo che l’accordo sul nucleare e la rimozione delle
sanzioni possa, nel prossimo futuro, permettere a Teheran di
ritornare a recitare un ruolo egemonico nella penisola arabica. Ai
Paesi del Gulf Cooperation Council, convocati a Camp David da
Barack Obama il 14 maggio 2015, sono state fornite delle
rassicurazioni sull’impegno americano a venire in loro difesa in
caso di aggressione. Contestualmente sono state anche promesse
delle armi.

Missili terra-aria S-300
Il messaggio di Tel Aviv
Israele non è rimasto a guardare. Da un lato si è dedicato a
pubblicizzare le proprie capacità difensive in caso di attacco
missilistico: un nuovo sistema di difesa, denominato “Magic Wand”
(Bacchetta Magica) o “David's Sling” (La Fionda di Davide), ha
superato brillantemente vari test tecnici e può diventare
operativo entro pochi mesi. E’ un sistema in grado di intercettare
e distruggere centinaia di missili in un ipotetico scenario in cui
gli Hezbollah, che possiedono ad oggi circa 120.000 missili
forniti da Teheran, ne sparino dai 1.000 ai 1.500 al giorno. Nel
contesto di una guerra asimmetrica il messaggio all’Iran è palese:
se voi fornite missili agli Hezbollah non riuscirete a colpirci.
Israele è oggi in grado di distruggere ogni missile o razzo in
arrivo sul proprio territorio e sparato da qualsivoglia distanza.
E' questa la sostanza del messaggio: “Iron Dome” (fino a 70 km),
“Magic Wand” o “David Sling” (dai 70 ai 300 km), “Arrow 2”
(distanza superiore), “Arrow 3” (fino a quelli sparati da oltre
2500 km). Tradotto in termini militare significa che non c’è
alcuno spazio operativo per i Fajr-5 e i BM-25 iraniani, né
tantomeno per gli M-600 e Yakhont (o P-800 Oniks) in mano ai
siriani.
Ma ad Israele non è bastato magnificare le proprie capacità
difensive e, con il supporto americano, ha anche mandato un
segnale di minaccia offensiva. Il giorno delle celebrazioni
dell’Indipendenza di Israele, il 23 aprile 2015, il Vice
Presidente americano Joe Biden ha reso pubblica la notizia che gli
Stati Uniti venderanno ad Israele 28 aerei F-35 di ultima
generazione. Un aereo multiruolo, a lungo raggio, con capacità
“stealth” che non ha rivali nel panorama mediorientale, fatto
salvo alcuni modelli, meno sofisticati, in mano alle Forze Aeree
turche. L’annunciata consegna è stata anche etichettata come parte
della politica americana verso l’alleato israeliano. La fornitura
permette infatti allo Stato ebraico di mantenere la prevalenza
militare nella regione, qui configurata nella supremazia aerea,
nell'ambito del principio del “qualitative military edge”, margine
militare qualitativo.
Un'altra minaccia offensiva fatta trapelare da Israele è il test
positivo di un altro missile intercontinentale, il “Jericho 3”,
con un raggio di oltre 10.000 km. Se si dovesse combattere una
guerra a suon di missili Teheran deve stare in guardia. Lo
sviluppo delle tecnologie militari va di pari passo con
l’allocazione di fondi per la difesa. Israele ha aumentato di
circa il 7% il proprio bilancio di acquisizioni militari. Gli
Stati Uniti stanno decidendo di passare dagli attuali 3 miliardi
di dollari di aiuti militari annuali allo Stato ebraico a circa
3,6/3,7 miliardi. Perché le guerre costano, e quella dello scorso
anno contro Gaza è costata circa 8,6 miliardi di dollari, e costa
anche difendersi dalle minacce.

Lockheed Martin F-35
La corsa gli armamenti
In altri termini, la questione nucleare iraniana ha innescato una
vera e propria corsa agli armamenti. In questo gioco che vede
alternarsi velate minacce e riarmo si è inserita anche la Francia
che, se da un lato vuole ribadire il proprio “grandeur” e ruolo
internazionale, dall’altro lato, molto più prosaicamente,
approfitta della situazione di tensione nella regione
mediorientale per vendere armi. François Hollande, accompagnato
dai ministri degli Esteri e della Difesa, ha recentemente
partecipato ad un vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo.
La prima tappa del viaggio del presidente francese è stata in
Qatar, dove ha sottoscritto un contratto di 6,3 miliardi di euro
per la vendita di 24 aerei da combattimento Rafale. L’accordo
include assistenza tecnica, addestramento piloti e supporto
intelligence. Poi è stata la volta degli Emirati Arabi Uniti per
altrettanta commessa militare, a cui ovviamente è stata aggiunta
la promessa di un sostegno militare in caso di aggressione.
Ma l’aspetto più preoccupante è che la paura del nucleare iraniano
è stata esorcizzata dai Paesi del Golfo con l’idea di procurarsi
anch'essi un ordigno nucleare. E’ il caso dell’Arabia Saudita, che
ha allacciato delle trattative con il Pakistan per acquistare una
bomba atomica prima ancora che Teheran acquisisca potenzialmente
la capacità di produrla. Circostanza possibile visto il rapporto
privilegiato che lega Riyadh ad Islamabad, dove furono i sauditi,
a suo tempo, a finanziare il programma nucleare pakistano.
L'alternativa a questa strisciante nuclearizzazione del Medio
Oriente è venuta da una proposta egiziana appoggiata da vari altri
Paesi arabi: richiedere una conferenza internazionale per bandire
le armi nucleari dalla regione. Un'iniziativa morta sul nascere
per l’opposizione americana poiché avrebbe messo sul banco degli
imputati anche Israele.
La morale di tutta questa questione nucleare trova origine proprio
nell'aspetto asimmetrico e sbilanciato dei rapporti di forza in
Medio Oriente: c’è chi la bomba atomica ce l’ha (Israele) e chi la
vorrebbe avere (Iran), c’è chi teme perché Israele la possiede
(Iran) e chi teme che l’Iran possa un domani procurarsela (Israele
e Arabia Saudita). E dietro a queste dinamiche ci sono le annose
questioni irrisolte che rendono la regione un focolaio di
tensione: il conflitto tra sunniti e sciiti, il ruolo egemonico di
Stati Uniti e della Russia, la questione palestinese, il
radicalismo ed il terrorismo islamico, le guerre civili. Ecco
allora che per gli attori in causa tutte queste vertenze sembra
possano risolversi solo con un accrescimento della propria forza
militare e con fattori di deterrenza. Una logica perversa che,
purtroppo, sembra ancora non avere fine.