L'IMPORTANZA DELLE PROSSIME ELEZIONI IRANIANE

Il
19 maggio prossimo ci saranno le elezioni presidenziali in Iran.
Anche in un sistema teocratico come quello iraniano, dove comunque
il parere della Guida Suprema della Rivoluzione, Ali Khamenei, ha
una forte valenza ed il potere del Consiglio dei Guardiani della
Rivoluzione, che possono rigettare alcune candidature, è
sicuramente discriminante, la nomina di un Presidente risponde
comunque ad una volontà popolare. La gente vota e decide, e sotto
questo aspetto il sistema iraniano è da considerarsi
"democratico".
Come avviene sempre, la sfida è tra le due anime del Paese: i
moderati (o riformisti) ed i conservatori. I primi per una
maggiore democratizzazione del sistema interno e di relazioni meno
conflittuali in politica estera, i secondi per un rafforzamento
della teocrazia ed una sfida con il mondo. I Conservatori
iraniani, infatti, specie sul piano interno, supportano il ruolo
della Guida Suprema, i valori della rivoluzione iraniana ed i
principi religiosi a cui si ispira.
Tutto questo avviene sicuramente con il consenso popolare sul
piano interno ma è anche condizionato dai rapporti internazionali:
la minaccia rappresentata da Israele e dagli USA o la lotta contro
il mondo sunnita e l'Arabia Saudita hanno la capacità di orientare
in un senso o nell'altro l'elettorato iraniano. Quindi una
minaccia verbale del Presidente Trump, la volontà dichiarata di
rinegoziare l'accordo nucleare e le reiterate sanzioni economiche
sono tutti elementi che potrebbero convogliare l'opinione pubblica
iraniana in senso radicale.
Allo stato attuale il maggiore rappresentante dell'ala moderata è
l'attuale presidente Hassan Rouhani che si ripresenta per il
secondo mandato. La sua appare una candidatura che trova il
sostegno di tutta l'area politica di riferimento. Rouhani gode di
prestigio e di considerazione. E quindi nei fatti è il candidato
più autorevole.
Sul fronte opposto , quello dei conservatori, ancora non è emersa
una figura di prestigio, in altre parole è un fronte diviso alla
ricerca di un accordo sul nome da sponsorizzare. In Dicembre è
stato formato un "Fronte popolare delle forze rivoluzionarie" su
iniziativa di un ex Ministro della Sanità, Marzieh Vahid
Dastjerde, che peraltro non è riuscito a coagulare il consenso di
questa area politica.
L'ex Presidente Ahmadinejad, a cui la Guida qualche mese fa lo
stesso Khamenei aveva "consigliato" di non ripresentarsi come
candidato ha invece sponsorizzato un proprio personaggio nella
persona di un suo ex vice, Hamid Baghaei. Probabilmente nel
tentativo di interferire nelle vicende politiche del Paese per
interposta persona.
Altrettanto avrebbe fatto un ex negoziatore dell'accordo nucleare,
Saeed Jalili, anche lui esponente dei conservatori, che ha inteso,
nonostante varie sollecitazioni di segno contrario,
auto-candidarsi come indipendente.
E pure lo Speaker del Parlamento, Ali Larjani, anche lui militante
nella stessa area politica, ha avuto parole critiche contro
l'iniziativa di Dastjerde. Insomma, almeno al momento, un tutti
contro tutti.

Hassan Rouhani
Sebbene il fronte dei conservatori appaia al momento disunito, non
bisogna dimenticare che questo fronte ha oggi la maggioranza
nell'Assemblea Consultiva Islamica (alias Parlamento rinnovato lo
scorso anno), nell'Assemblea degli Esperti (quell'organismo
deputato a nominare o sostituire la Guida Suprema) e pure nel
Consiglio dei Guardiani (quelli che selezionano i candidati).
Quindi i giochi non sono ancora fatti.
Comunque, nel contesto elettorale, come si è detto, ha valenza
anche il parere di Khamenei che recita il ruolo dell'arbitro ma
non sempre è imparziale.
La Guida Suprema nel sistema iraniano ha la voce finale su ogni
questione dello Stato. E non è passato inosservato il fatto che
due mesi fa abbia pubblicamente criticato Rouhani per gli scarsi
successi ottenuti in campo economico, soprattutto nel campo degli
investimenti e della disoccupazione. E tali critiche le ha pure
reiterate il 20 marzo scorso, sottolineando le sofferenze della
povera gente. Un assist a favore dei conservatori? Nella sostanza
sì. Probabilmente anche per equilibrare le scarse chances attuali
dei conservatori nella tenzone presidenziale.
Rouhani teme inoltre che qualche apparato dello Stato possa
tentare di inquinare, con interferenze, la tenuta regolare delle
elezioni presidenziali. Ne ha fatto cenno in una dichiarazione
pubblica del 25 febbraio citando espressamente, tra l'altro, il
sistema giudiziario, le Forze Armate, le forze di sicurezza e
l'utilizzo improprio di fondi statali. Più che un segnale, si
tratta di un avvertimento basato probabilmente su fondati
sospetti. Già nelle elezioni del 2009 c'erano stati tentativi di
manipolazione da parte dei conservatori per fare rivincere
Ahmadinejad.
E dietro tutto questo ci sono anche i rapporti conflittuali con il
Consiglio dei Guardiani ed il suo capo l'Ayatollah Ahmad Jannati.
Rouhani rivendica per sé il ruolo del controllo amministrativo
delle elezioni mentre limita il ruolo del Consiglio dei Guardiani
al solo ruolo di supervisione.
Quello che oggi manca a Rouhani è anche la presenza di un
personaggio di spessore come l'Ayatollah Hashemi Rafsanjani, morto
a gennaio e che, godendo di ampio prestigio, costituiva un
elemento di mediazione e di raccordo con l'establishment e nel
contempo un punto di riferimento per l'unità nel campo moderato.
Un ruolo che era stato decisivo dopo le manifestazioni del 2009
contro le manipolazioni nella rielezione di Ahmadinejad che aveva
portato all'arresto di esponenti dell'area moderata come Hossein
Mousavi e Medhi Karroubi ed alla correlata persecuzione della
corrente moderata. La figlia di Rafsanjani, Faezeh Hashemi
Rafsanjani, nota attivista per i diritti umani, è stata arrestata
a Marzo e condannata a 6 mesi di carcere per avere offeso il
potere giudiziario.
Nel campo moderato, oltre a Rouhani, ci sono anche altre figure
emergenti come Hassan Khomeini, 44 anni, nipote del fondatore
della rivoluzione iraniana Rohullah Khomeini, che intendeva
candidarsi (su spinta di Rafsanjani) lo scorso anno nell'Assemblea
degli Esperti ma che era stato scartato dal Consiglio dei
Guardiani per scarsa conoscenza della giurisprudenza islamica. Ma
ci sono molti altri esponenti che prima militavano nel campo
conservatore che non condividono l’idea che l'area conservatrice
sia adesso in mano a personaggi politicamente estremisti. Comunque
anche lo stesso Rouhani, in passato, militava nel campo
conservatore. Ed è nelle aspirazioni di Rouhani che il giovane
Khomenei, forte del prestigio che gli conferisce il cognome e dei
suoi rapporti stretti con Khamenei, possa recitare, anche a
cavallo delle elezioni, il ruolo del defunto Rafsanjani.
Le elezioni presidenziali iraniane sono comunque espressione della
volontà popolare nonostante le interferenze del sistema
teocratico. E questo ha fatto si che nella massima carica si siano
alternati nel tempo riformisti (come Mohammed Khatami nel 1997 e
2001 e Rouhani nel 2013) e conservatori (Ahmadinejad nel 2005 ed
in quelle contestate del 2009). Sinora chi ha governato per un
mandato è sempre riuscito a farne un secondo.
Un elemento importante delle elezioni iraniane è il tasso di
partecipazione: se la partecipazione è alta generalmente questo
favorisce i riformisti, altrimenti sono favoriti i conservatori.

Ali Akbar Hashemi Rafsanjani
Effetti sulla politica estera
I prossimi 4 anni della politica interna ma soprattutto estera
iraniana sono legati a chi vincerà le elezioni presidenziali in
Iran. Ci sono tanti contenziosi ed aree di crisi in Medio Oriente
che, se gestiti in maniera radicale, rischiano di degenerare.
L'arrivo al soglio presidenziale di un conservatore, chiunque esso
sia, che in ultima analisi sarebbe portatore di una politica di
contrapposizione religiosa, potrebbe generare ulteriori lotte e
guerre. E dietro l'angolo ci sono le divergenze con le monarchie
sunnite.
Nell'ultimo summit della Lega Araba ad Amman il 29 marzo (consesso
di cui l'Iran non fa parte) si è parlato solo dell'Iran, delle sue
colpe e responsabilità elencate in 15 dettagliati punti
(interferenze in Bahrein, attacco contro l'ambasciata saudita in
Teheran, l'occupazione delle isole nel Golfo persico, interferenze
in Siria, supporto al terrorismo, etc.)
Quando era vivo Rafsanjani, il personaggio aveva un rapporto
personale molto stretto con il defunto Re saudita Abdullah e
sapeva nel contempo fare accettare a Khamenei e all'ala
conservatrice posizioni più moderate. Oggi manca alla politica
estera iraniana questo ruolo di mediazione.
C'è poi il contenzioso con gli U.S.A. e sembra che l'arrivo di
Trump alla presidenza americana abbia innescato un innalzamento di
tensione. Anche qui Rouhani potrebbe fare la differenza, viste le
sue pregresse esperienze maturate nelle trattative nucleari. Ed
anche lì c'era stato un ruolo occulto di Rafsanjani nei rapporti
con gli americani.
Effetti sulla politica interna
Il sistema politico iraniano ha bisogno di essere ulteriormente
democratizzato e questo può avvenire solo se il ruolo del clero
sciita nelle vicende del Paese, sponsorizzato dall'ala
conservatrice ed oltranzista, verrà in qualche modo
ridimensionato. Anche sotto questo aspetto, al fianco di Rouhani,
se verrà riconfermato nel mandato presidenziale, manca il ruolo di
Rafsanjani. Con l'abilità di un uomo dal forte carisma e dal ruolo
assunto nella rivoluzione iraniana, Rafsanjani poteva permettersi
di dialogare e all'occorrenza contrapporsi a Khomeini ieri e
Khamanei oggi. Era l'uomo che credeva nel liberalismo economico;
poteva contrapporsi allo strapotere dei pasdaran e nel contempo
coagulare l'area moderata del mondo politico. Era stato anche uno
dei maggiori sponsor della candidatura presidenziale di Rouhani
nel 2013.
Cosa potrà accadere se vince Rouhani
Pur subendo un ridimensionamento, nelle elezioni del 2016 i
conservatori hanno mantenuto la maggioranza sia nel Parlamento che
nella Assemblea degli Esperti. La corrente conservatrice ha
comunque tutte le leve per condizionare o bloccare, a seconda dei
casi, l'attività di un presidente moderato come lo stesso Rouhani.
Questa circostanza rende ogni eventuale iniziativa di Rouhani, in
campo economico, a prescindere dai giudizi negativi di Khamenei,
subordinata all'approvazione del Parlamento che ha il controllo
del Bilancio dello Stato.
Altro elemento che comunque potrebbe inficiare le riforme
economiche è il fatto che una parte consistente del budget dello
Stato, quello che si riferisce al Corpo delle Guardie
Rivoluzionarie (pasdaran) non è nelle competenze del Presidente.
Un ulteriore limite all'attività presidenziale nel campo delle
riforme è rappresentata dal diritto di veto del Consiglio dei
Guardiani su ogni provvedimento di legge qualora non risponda a
"requisiti" costituzionali. Rouhani ha sia l'ostilità dei vertici
sia del Parlamento che dell'Assemblea degli Esperti e del
Consiglio dei Guardiani. A questo bisogna aggiungere i dissidi con
il Capo del sistema giudiziario, l'Ayatollah Sadegh Amodi
Larijani.
Se Rouhani verrà rieletto questo non significa che sarà in grado
di cambiare molto perché il diritto di veto esercitato a vario
titolo dagli organismi a trazione teocratica del sistema
istituzionale potranno all'occorrenza impedire ogni riforma,
soprattutto nella direzione di una maggiore democratizzazione del
Paese. C'è quindi un grosso potere esterno di condizionamento.
Comunque, a parte queste limitazioni, il presidente iraniano è
colui che presiede il Consiglio Supremo della Sicurezza Nazionale,
e quindi ha voce in capitolo sulla sicurezza e la politica della
difesa. Il dossier del nucleare (il noto "Joint Comprehensive Plan
of Action"), da lui fortemente voluto e negoziato, cade sotto la
sua responsabilità e le linee di politica estera sono di sua
diretta competenza.
Una valutazione di quello che potrà accadere in Iran con le
elezioni presidenziali non è tanto in quello che potrebbe fare
Rouhani se fosse riconfermato ma in quello che potrebbe accadere
se un rappresentante dell'area radicale prendesse domani il suo
posto. Ed in questa fase dei rapporti conflittuali tra l'Iran e
gli U.S.A. sarebbe oltremodo pericoloso soprattutto per la
stabilità del Medio Oriente.