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LE FORZE PARAMILITARI IRACHENE


haider al abadi
Haider al Abadi

Il Primo Ministro iracheno Haider al Abadi ha recentemente firmato un decreto che ufficializza l’inclusione nelle forze di sicurezza dell’Iraq delle milizie paramilitari che hanno combattuto contro l’ISIS. Si tratta di milizie composte per la stragrande maggioranza da sciiti iracheni e non, generalmente addestrate e sostenute dall’Iran e che durante la riconquista di Mosul e Tikrit si sono macchiate di efferatezze contro la popolazione sunnita, oltreché contro i miliziani di Abu Bakr al Baghadi.

L’iniziativa del Premier iracheno risponde in buona parte ad esigenze di carattere politico in quanto queste milizie, meglio note come “Unità di Mobilitazione Popolare” (“Al Hashd Al Sha’abi”), godono tuttora di forte una considerazione da parte della popolazione sciita e l’approssimarsi delle elezioni politiche del 12 maggio induce il governo iracheno a scelte dal forte impatto popolare.

Lo stesso al Abadi si presenta alle elezioni con un proprio partito (“Al Nasr”, “La Vittoria”) in competizione diretta con altre formazioni sciite, soprattutto quella dell’ex premier Nouri al Maliki che nel 2014 aveva avuto il maggior numero di consensi, e quella costituita da ex combattenti sciiti legati all’Iran (“Al Fatih Al Mubin” alias “ La conquista luminosa”). Proprio quest’ultima coalizione è guidata dal capo della milizia al Badr, la più importante e forte nell’ambito delle Unità di Mobilitazione Popolare, Hadi al Amiri.



nour al maliki
Nouri al Maliki

Il confronto politico

La diatriba tra al Abadi e al Maliki è quella che più ha inciso nelle decisioni del Premier. Al Maliki è sempre stato un forte sostenitore della supremazia sciita e dell’emarginazione della minoranza sunnita, a maggior ragione dopo l’appoggio dei sunniti all’ISIS. Tuttavia, le Unità di Mobilitazione Popolare erano parte attiva di questo disegno politico divisivo.

Al Abadi è invece per una politica di maggior integrazione e pacificazione sociale e religiosa. Per togliere sostegno al suo avversario ha deciso di firmare questo decreto che, tra l’altro, prevede che le milizie abbiano sì lo stesso trattamento delle Forze armate sul piano salariale, ma anche gli stessi obblighi, cioè devono rispondere del loro operato al Ministero della Difesa. Diventano quindi, a tutti gli effetti, parte dell’esercito regolare. Così facendo Al Abadi toglie ai suoi principali avversari politici un forte elemento di consenso e di pressione sociale.

L’integrazione delle milizie sciite negli apparati di sicurezza dell’Iraq da un lato ha il pregio di legalizzare e mettere sotto il controllo governativo delle formazioni armate che altrimenti sarebbe stato difficile disarmare. Al contempo ammanta di legalità anche tutti i crimini di guerra di cui si sono macchiate queste milizie.

E se questo provvedimento non aiuta a ricomporre la frattura sociale tra la maggioranza sciita e quella sunnita, anzi va nella direzione opposta, ha il pregio di fare sì che queste milizie non abusino, come in passato, in modo incontrollato della loro forza militare. Un altro aspetto positivo è che quando, nel 2014, queste formazioni sono state costituite erano state poste sotto il controllo del Ministero dell’Interno, ricoprivano quindi anche funzioni di ordine pubblico, con grosse implicazioni sul sociale. Adesso invece la loro attività è confinata alle questioni militari.

Quante sono

Non esistono, almeno ufficialmente, dati certi sull’entità di queste forze paramilitari; le Unità di Mobilitazione Popolare sono almeno una quarantina e ognuna è, nei fatti, indipendente dall’altra. Tra le loro fila, a parte la maggioranza sciita, ci sono yazidi, turcomanni, cristiani e persino sunniti. Questi ultimi appartengono soprattutto a quelle tribù che hanno subito delle persecuzioni sotto il dominio dell’ISIS per non aver giurato fedeltà al califfato. Il comune denominatore di aggregazione di queste milizie è quindi la vendetta.

Le stime parlano di circa 60/70.000 uomini che adesso verranno inquadrati nell’esercito iracheno. Lo scorso anno, sempre sotto l’egida dell’esercito che a suo tempo gli aveva fornito armamenti e mezzi, le milizie hanno anche sostenuto un addestramento da parte delle forze speciali. Altre armi e mezzi nonché addestramenti gli sono stati forniti dai Pasdaran iraniani.

Se si tiene conto che l’esercito iracheno ha circa 280.000 effettivi, in futuro l’inquadramento delle milizie rappresenterà un peso rilevante nelle Forze Armate irachene. La loro creazione risale al 2014 su richiesta dell’Ayatollah Ali al Sistani che poi, nel 2016, aveva auspicato il loro inquadramento nell’esercito. La decisione di Al Abadi ha quindi anche un avallo religioso.

Implicazioni internazionali


L’incorporazione di queste milizie nelle strutture dello Stato ha delle conseguenze dirette nei rapporti internazionali dell’Iraq. In primo luogo vi è un rafforzamento dei rapporti con l’Iran, visto che queste milizie sono state, per la maggior parte, addestrate e sostenute da Teheran. L’asse strategico/militare sciita è adesso ancora più marcato.

Ovviamente la questione non è gradita all’Arabia Saudita, ultimamente impegnata nel tentativo di allontanare Baghdad da Teheran. Dopo un lungo periodo di turbolenza nei rapporti bilaterali, soprattutto durante il governo di Nouri Al Maliki, l’Arabia Saudita aveva deciso di riaprire la propria ambasciata a Baghdad nel 2015. Una ulteriore evoluzione positiva vi è stata con una prima visita del Ministro degli esteri saudita Adel al Jubeir a Baghdad nel febbraio 2017, ben dopo 27 anni. Nell’occasione era stato creato un organismo di coordinamento congiunto.

Il pretesto per riavvicinare i due Paesi era stato dato dalla Conferenza Internazionale per la ricostruzione dell’Iraq che si è tenuta a Kuwait City nel febbraio 2018 e durante la quale i sauditi hanno promesso di fornire sostegno finanziario. Chiaramente la contropartita dei soldi sauditi è politica e riguarda le ingerenze iraniane. Vedere le milizie sciite inglobate nell’esercito iracheno, un qualcosa di simile ai Pasdaran iraniani, è una circostanza sicuramente non gradita a Ryad.

Il problema saudita è che Haider al Abadi è l’interlocutore preferito nel panorama politico sciita. Osteggiare lui significherebbe favorire soggetti maggiormente legati agli interessi iraniani, come Al Maliki e Al Amiri. Ma l’iniziativa di Al Abadi non piace nemmeno agli Stati Uniti che durante la guerra contro l’ISIS si sono rifiutati di collaborare con queste milizie. A ottobre2017, l’ormai ex Segretario di Stato Rex Tillerson aveva auspicato lo scioglimento di queste milizie.

La costante mediorientale


Le presenza di forze paramilitari è una costante in Medio Oriente. Ci sono in Siria e combattono a fianco dell’esercito di Assad – i famigerati Shabiha o Comitati popolari di fede alawita – ci sono gli Hezbollah libanesi di fede sciita ed i Peshmerga di etnia curda, con gli anni divenuti dei veri e propri eserciti indipendenti. Ciò che li accomuna è l’aggregazione su base religiosa o etnica.

Come nel caso degli Shabiha siriani, durante la guerra ha svolto il lavoro sporco, non rispondendo del proprio operato a nessuna autorità superiore.La loro utilità sul campo di battaglia ha generato impunità per tutti i misfatti di cui si sono macchiati.

L’operato delle milizie sciite irachene ha aiutato il governo di Baghdad a sconfiggere il terrorismo islamico di matrice sunnita. E proprio il fatto che operassero in aree a maggioranza sunnite ha creato una certa dose di risentimento. Da questo punto di vista, la decisione del Premier al Abadi innescherà ulteriormente la questione settaria, peraltro già abbondantemente presente nella società irachena.

Un problema irrisolto


In Iraq ci sono anche le milizie che fanno capo al religioso Moqtada Moqtada Al Sadr, la “Saraya Salam” (“Brigata della Pace”), creata a seguito dello scioglimento dell’Esercito del Mahdi nel 2008. Anche questa è una milizia sciita che risponde ai voleri del suo capo, politicamente contrario all’ingerenza iraniana negli affari iracheni.

Poi c’è anche la “Asa’ib Ahl Al Haqq”, nota anche come “Khazali network” (dal nome del suo fondatore, Qais Al Khazali); è un’altra milizia sciita nata nel 2006 da una scissione dell’Esercito del Mahdi. Questo gruppo, composto da circa 10.000 uomini, filo-iraniano, ha combattuto non solo in Iraq, ma anche in Siria e Libano macchiandosi di crimini e violazioni.

Sia la “Saraya Salam” che la “Asa’ib Ahl Al Haqq” sono la mano violenta di due personaggi che operano nel panorama politico iracheno.



niniveh guard
La guardia Niniveh


Il caso della Niniveh Guard

Per annacquare la prevalenza sciita nelle Unità di Mobilitazione Popolare, al Abadi ha anche proposto l’inclusione di una formazione di miliziani sunniti, la Niniveh Guard, precedentemente si chiamava “Forze di Mobilitazione Nazionale”, a suo tempo armata e addestrata dai turchi. Un provvedimento a doppio indirizzo: rendere il tutto marcatamente meno settario e nel contempo cercare di assecondare le preoccupazioni turche di un Iraq troppo vicino alle istanze iraniane.

Un ex capo di questa formazione, Atheel Al Nujaifi, è riparato nel Kurdistan iracheno per sfuggire ad un mandato di arresto in quanto ritenuto colluso con una potenza straniera (ovviamente la Turchia). A questa milizia, composta in prevalenza da ex soldati e quadri del disciolto esercito di Saddam Hussein (quindi professionalmente molto efficiente), a suo tempo era stato impedito di combattere per la riconquista di Mosul.

Le conseguenze future


Purtroppo la guerra civile in Iraq (così come quella in Siria) ha prodotto il proliferare di milizie che in alcuni casi sono anche diventate bande armate. Le autorità di Baghdad non hanno oggi la forza di poterle smantellare e quindi la loro legalizzazione attraverso l’inclusione nei ranghi dell’esercito, risponde anche a criteri di necessità.

L’esercito iracheno nato dalla disfatta di Saddam Hussein, costruito sull’estromissione dei quadri sunniti (che la guerra la sapevano fare, come dimostrato contro l’Iran) e poi rifondato con quadri sciiti (che invece la guerra non l’avevano mai fatta e non la sapevano fare), in maggioranza incompetenti, si porta dietro, a distanza di una quindicina di anni, questa mediocre capacità militare. Sotto questo aspetto, quindi, l’inclusione nelle Forze Armate di queste milizie porta benefici operativi.

Gli aspetti negativi riguardano le ricadute sulla perseguita pacificazione tra sunniti e sciiti e quindi un aumento del settarismo. Poi c’è il fatto che ognuna di queste milizie, nate su basi etniche, tribali o religiose e/o finalità politiche, anche una volta integrate nelle Forze armate probabilmente manterranno queste caratteristiche e questi legami o interessi pregressi. Il successo di questa iniziativa e la futura riappacificazione dell’Iraq dipenderanno molto dai risultati delle prossime elezioni parlamentari di maggio.

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