COME NASCE L’ISIS
Tutto ha inizio il 19 marzo 2003, giorno in cui gli Stati Uniti decidono di attaccare l’Iraq di Saddam Hussein. Una guerra breve che porta alla sconfitta del dittatore iracheno e del suo partito Baath. Come quasi sempre avviene, gli USA si preoccupano più degli aspetti immediati del conflitto che non di quello che potrebbe avvenire dopo. La guerra distrugge tutte le infrastrutture principali del Paese, seguono situazioni di estremo disagio per la popolazione, lasciata senz'acqua, elettricità, benzina o, per gli ex membri del partito di regime, senza i mezzi minimi di sussistenza. Gli americani pensano di essere accolti come liberatori per aver cacciato un autocrate sicuramente sanguinario, credono di aver esportato la democrazia.
Saddam Hussein
Un terreno fertile
Nella realtà solo la popolazione sciita intravedeva un guadagno
dalla cacciata del dittatore. Benché maggioritari, gli sciiti
iracheni erano sempre stati emarginati e perseguitati dal regime
sunnita di Saddam Hussein. Nel post-conflitto le loro simpatie per
gli americani sono però state subito inficiate da due fattori: uno
di carattere pratico (il deterioramento delle condizioni di vita
prodotto dalla guerra ha alienato le simpatie nei confronti dei
“liberatori”) ed uno di carattere preminentemente politico (tutti
i maggiori gruppi sciiti di opposizione a Saddam avevano trovato
rifugio ed assistenza in Iran con cui avevano e mantenevano
stretti legami).
Nel capovolgimento sociale determinato dal conflitto gli sciiti
hanno preso il potere, i sunniti sono stati emarginati. Ma se
questo è un dato di fatto oggettivo, questa discriminazione al
contrario ha trovato un sostegno inatteso nelle scelte del
proconsole americano chiamato a dirigere il periodo di transizione
post bellico. Paul Bremer, infatti, come primo provvedimento
stabiliva, il 16 maggio 2003, che tutti quelli che avevano aderito
al partito Baath fossero esclusi da incarichi pubblici. Con
l’Ordine Numero 2 della Coalition Provisional Authority,
l’organismo internazionale a trazione americana che guidava la
transizione, datato 23 maggio 2003, venivano sciolti anche
l’esercito ed i servizi di sicurezza iracheni.
Ai tempi di Saddam le Forze Armate, composte quasi esclusivamente
da sunniti, contavano circa 500.000 uomini, nei ministeri e nelle
strutture dello Stato gli iscritti al Baath erano ancora di più.
Nei fatti le direttive di Bremer mettono sul lastrico, in maniera
impietosa, comprese le famiglie, qualche milione di iracheni. Il
provvedimento pone inoltre le basi per una divisione settaria
dell'Iraq e – elemento ancor più pericoloso – costringe
all’opposizione politica e spinge verso la deriva armata quella
parte del Paese con le migliori competenze militari, guadagnate
sul campo durante la Prima Guerra del Golfo e dal lungo confronto
armato con l’Iran. E' su queste premesse che nasce la guerriglia
contro la nuova dirigenza sciita a Baghdad.
Abu Musab al Zarqawi
Il seme del terrorismo
E' questo preciso contesto che consente l'ascesa di Ahmad Fadhil
Nazzal al-Khalaileh, noto con il nome di battaglia di Abu Musab al
Zarqawi, giordano di Zarqa, già ospite delle patrie galere come
criminale comune radicalizzatosi durante le sue frequentazioni
carcerarie. Una volta uscito dal carcere, a cavallo degli anni
1989-1992, Zarqawi si reca in Afghanistan a combattere contro i
sovietici, comanda un proprio gruppo combattente denominato “Jund
al Sham” (L’Esercito della Siria) e poi rientra in Giordania
cercando di fomentare l'attività sovversiva contro il regno
Hashemita. Viene nuovamente arrestato per un presunto complotto
contro Re Hussein (gli vengono trovate armi e degli esplosivi in
casa) nel ’94. Uscirà dal carcere cinque anni dopo grazie
all'amnistia concessa a seguito dell’ascesa al trono di Re
Abdullah II. Zarqawi fa in tempo ad essere nuovamente accusato di
attività sovversiva dalle autorità giordane e quindi scappa
nuovamente in Afghanistan dove resta fino al momento in cui, dopo
l’11 settembre 2001, gli americani intervengono militarmente
contro i talebani.
Sarà proprio Abu Musab al Zarqawi, trasferitosi in Iraq dopo la
Seconda Guerra del Golfo, ad appropriarsi del risentimento sunnita
contro Baghdad e ad alimentare le correlate attività terroristiche
a partire dall'aprile del 2003, un mese dopo l'invasione
americana. Si unisce inizialmente ad una formazione separatista
curda, “Ansar al Islam” (I partigiani dell’Islam), prima di
fondare un gruppo tutto suo. A partire dal 2004 pende sulla sua
testa una taglia del Dipartimento di Stato USA di 10 milioni di
dollari.
In quello stesso periodo Ibrahim Awwad Ibrahim Ali Muhammad
al-Badri al-Samarrai, alias Abu Bakr al Baghdadi, è catturato e
detenuto nel carcere di Camp Bucca dagli americani. E' arrestato
per le sue frequentazioni di membri di Al Qaeda. Nella prigione di
Bucca, dove soggiornerà per un certo periodo prima di essere
rilasciato, al Baghdadi fa amicizia con altri terroristi che poi
ingloberà, successivamente, nell’ISIS. Fa anche la conoscenza di
alcuni ufficiali baathisti che l’affiancheranno nella sua futura
avventura militare.
In virtù dei suoi trascorsi afghani, Abu Musab al Zarqawi conduce
la sua guerra con la benedizione di Ayman al Zawahiri e di Al
Qaeda. Lo fa accomunando varie fazioni terroristiche sotto la sua
bandiera con la denominazione di “Jama’at al Tawhid wal Jihad”
(Associazione per l’Unicità e la Jihad), poi successivamente
ribattezzata “Tanzim Qaidat al-Jihad fi Bilad al-Rafidayn”
(Organizzazione della Jihad di al Qaeda nel Paese dei due Fiumi,
ovvero in Mesopotania). Gli USA a quel punto alzano la taglia
sulla sua testa, portandola a 25 milioni di dollari, quanto Osama
bin Laden ed il suo mentore Ayman al Zawahiri, e aggiungono la sua
sigla, ormai divenuta Al Qaeda in Iraq (AQI) alla lista del
terrorismo.
Abu Bakr al Baghdadi
Le nuove leve
L’esperienza terroristica di Zarqawi ha fine il 7 giugno del 2006,
un intervento aereo americano colpisce il suo rifugio a Baquba, a
nord di Baghdad. Con lui muoiono la quarta moglie ed alcuni suoi
luogotenenti. L’eliminazione di Abu Musab al Zarqawi non risolve
l'elemento fondante della ribellione jihadista, ovvero il
risentimento covato dai sunniti, oramai accomunati sotto una
bandiera salafita, nei confronti della dirigenza sciita a Bagdad.
E per questo che nello stesso 2006 nasce l’ISI (Stato Islamico in
Iraq) che solo successivamente, nell’aprile del 2013, aggiungerà
la “S” di Siria o “Sham” cioè Damasco.
A guidarlo è inizialmente Abu Omar al Baghdadi, alias Hamid Dawud
Mohamed Khalil al Zawi, affiancato nel ruolo di vice da un
egiziano, Abu Ayyub al Masri, noto anche con lo pseudonimo di Abu
Hamza al-Muhajir. Nell’ISI confluiscono altri gruppi, non solo
quello del defunto Zarqawi, ma anche altri gruppi radicali
operanti nell’area come “Il Consiglio della Shura dei Mujaheddin”
ed il “Jund al Sahaba” (L’esercito dei compagni del Profeta). Abu
Bakr al Baghdadi entra a far parte dell'ISI in virtù della sua
militanza nel Consiglio della Shura dei Mujahideen, dove era stato
promosso nel Comitato di Coordinamento, e grazie alle amicizie
strette a Camp Bucca. A colpire di Al Baghdadi è la sua profonda
conoscenza della dottrina islamica, acquisita con un dottorato
presso l’Università islamica di Baghdad, nonché il suo bagaglio
teorico sul jihadismo, frutto delle sue frequentazioni con i
Fratelli Musulmani e la lettura di testi dei “cattivi maestri”
della guerra santa: Abu Mohammed al Maqdisi, Sayyid Qubt, Abu
Mohammed al Mufti al Aali.
Non si sa molto di Abu Bakr al Baghdadi. Ha due mogli, Asma Fawzi
Mohammed al-Dulaimi and Israa Rajab Mahal Al-Qaisi. Dalla prima,
una cugina di primo grado, ha avuto 5 figli, uno dalla seconda.
Non è noto dove risieda la sua famiglia risieda, anche se viene
ipotizzato che lo abbiano seguito a Raqqa, la capitale del
califfato in Siria ed antica capitale del califfato abbaside.
L'auto-proclamato califfo ha anche tre fratelli: Jomaa che cui uno
funge da guardia del corpo e consigliere, Shamsi in un carcere
iracheno e Ahmad, ora libero, con alle spalle una serie di
imbrogli finanziari. Il padre di Ibrahim Awwad Ibrahim Ali
Muhammad al-Badri al-Samarrai era imam in una moschea di Samarra
ed è forse lì che è iniziato l’indottrinamento teologico del
figlio.
Come con Zarqawi, anche Abu Omar e Abu Ayyub sono eliminati nel
corso di un'operazione congiunta notturna americano-irachena il 18
aprile del 2010 nella regione di Anbar. E' a quel punto che
compare a capo dell’ISI Abu Bakr al Baghdadi, fino ad allora noto
con il nome di Abu Dua. Non è una promozione condivisa da buona
parte dell’organizzazione, ma a premiarlo è la sua discendenza
dalla tribù dei Quraish, la stessa del Profeta, un dettaglio al
Baghdadi sfrutterà per la sua auto-nomina a califfo.
Un salto di qualità
Abu Musab al Zarqawi e Abu Bakr al Bagdadi avrebbero condiviso un
passato al fronte insieme in Afghanistan, nella zona di Herat; in
comune hanno sicuramente il repertorio di efferatezze,
decapitazioni ed uccisioni di ostaggi che ieri come oggi occupano
i media internazionali. Le similitudini finiscono qui.
Zarqawi combatteva gli occupanti americani e, in linea
subordinata, gli sciiti, non aveva ambizioni legate alla creazione
di uno Stato islamico, si riteneva affiliato ad al Qaeda in virtù
dei suoi trascorsi e continuava a coltivare i rapporti con i
talebani afghani e pakistani. Al Baghdadi va ben al di là delle
ambizioni localistiche del suo predecessore. Mira a capeggiare la
comunità musulmana nel mondo, la “Umma”. Ha anche la pretesa di
sostituire al Qaeda alla guida del terrorismo internazionale, così
come voluto dallo stesso Osama bin Laden nei suoi ultimi scritti.
E' per questo motivo che l'ISIS combatte con un vigore senza
precedenti contro gli avversari interni al mondo islamico,
compresi i gruppi salafiti che operano in Siria.
Se confrontando con analoghe formazioni terroristiche, l’ISIS è
qualcosa di molto più grosso e di grandemente più pericoloso.
Partito con 5.000 combattenti, oggi ne conta oltre 30-40.000. Al
Baghdadi ammanta la sua avventura militare di una maggiore
caratura religiosa rispetto allo stesso Zarqawi, che non aveva un
background teologico, se non quello offertogli di volta in volta
dai sermoni di Osama bin Laden o di Ayman al Zawahiri. L'ISIS mira
al califfato e lo fa con un proprio bagaglio ideologico.
La brutalità, il non fare prigionieri, l'uso spregiudicato dei
media fanno quindi parte di una strategia ben precisa, cominciata
a suo tempo da al Zarqawi, ma portata a picchi inusitati da parte
di al Baghdadi. Ferocia ed efferatezze che servono a spaventare il
nemico, far fuggire la popolazione (agevolando quindi il controllo
dei territori “conquistati”), e per rendere per chi vi partecipa
la guerra una strada senza ritorno. O si vince o si muore non
potendo, in nessun caso, contare sulla clemenza dell’avversario.
Lo ha dimostrato in maniera lampante la riconquista di Tikrit da
parte dell’esercito iracheno. Ai prigionieri di guerra dell'ISIS è
stato riservato lo stesso trattamento che loro avevano riservato
ai loro nemici.
La storia recente dell'ISIS e di al Baghdadi è nota: i suoi due
luogotenenti inviati in Siria per formare Jabhat al Nusra entrano
in competizione col capo, le conquiste e le disfatte militari, la
dissociazione da Al Qaeda ed i dissidi con al Zawahiri. Difficile
invece prevedere l'epilogo della sua avventura militare. I suoi
predecessori hanno fin qui fatto tutti una brutta fine. Anche Al
Baghdadi ci è andato vicino l’8 novembre 2014 mentre era in Iraq.
Ferito, è riuscito a scappare in Siria. Da allora vive in
clandestinità, non si fa vedere in giro ed i suoi movimenti sono
sempre secretati. I tempi dei sermoni nella moschea di Mosul del
giugno 2014 sono oramai finiti.