LA FORZA DELL’ISIS: SOLDI, ORGANIZZAZIONE, TERRORE

Il vero potere dell’ISIS (Islamic State of Iraq and Syria) di Abu Bakr Al Baghdadi, all'anagrafe Hamed Dawood Mohammed Khalil Al Zawi, non è soltanto nelle armi (molte delle quali saccheggiate nei depositi militari siriani e/o iracheni ), ma soprattutto in quella capacità di gestire e controllare i territori che occupa. Per fare ciò ha messo in piedi un'efficiente organizzazione in grado di acquisire e disporre di ingenti risorse finanziarie e che usa l’arma del terrore per minacciare, assoggettare o far scappare la popolazione. Questi tre strumenti, utilizzati all’occorrenza in modo adeguato, hanno assicurato alle milizie dell’ISIS i successi militari e quell’espansione territoriale che hanno contraddistinto la loro avanzata.
Prodromi di uno Stato
Se il messaggio che l’organizzazione terroristica invia all’occidente è volutamente basato sugli abusi inflitti verso i vinti o i prigionieri, nei territori occupati dall'ISIS viene invece adottata una tattica ambivalente: la crudeltà e l’eliminazione di chi non aderisce alla causa o viene ritenuto ostile, ma anche il sostegno finanziario a chi si dimostra favorevole, con particolare attenzione alle fasce sociali più deboli. Se da un lato viene limitata la libertà della popolazione nelle aree sotto il controllo delle milizie di Al Baghdadi – con obblighi e imposizioni dei precetti islamici in chiave radicale (dalla chiusura obbligatoria dei negozi all’ora della preghiera, all’obbligo del velo per le donne) il cui rispetto è monitorato dall’utilizzo di una polizia religiosa in un sistema che ricorda il wahabismo saudita – nel contempo sono salvaguardati gli approvvigionamenti e le attività commerciali principali come le panetterie, le stazioni di benzina ed i mercati in genere.
L'ISIS è stato in grado, in un tempo relativamente breve, di dotarsi di un'organizzazione capillare per il controllo del territorio, sia dal punto di vista militare che sotto l'aspetto economico e sociale. E' forse questo l'aspetto più peculiare che distingue l'ISIS da altre milizie islamiche che operano nella regione. Del resto l'obiettivo dell'ISIS è quello di avvalorare la tesi che le loro conquiste non sono un evento temporaneo, ma duraturo. Ovvero, costituiscono la premessa per la creazione di quell’entità politico/territoriale/religiosa indicata con il nome di califfato nel solco della tradizione musulmana che dovrebbe riunire la “umma” (cioè la comunità dei credenti musulmani) oggi divisa geograficamente da confini retaggio del periodo coloniale.
Per fare ciò Al Baghadi ha articolato la sua struttura di comando in 16 distretti amministrativi (wilayat) suddivisi fra Siria (9) e Iraq (7). I distretti sono responsabili della gestione militare, politica e finanziaria dei territori che amministrano. Per quanto la forza militare dell’ISIS, secondo valutazioni della CIA, sia stimata sull’ordine di 20/30.000 unita (un numero che sembra crescere parallelamente ai successi militari del gruppo), questa non è sufficiente a controllare un territorio così vasto. Da alcuni computer trovati accanto a miliziani morti nei combattimenti nell’area di Mosul è emerso uno spaccato di organizzazione sul terreno che i Servizi occidentali, CIA compresa, hanno ritenuto stupefacente. L’ISIS si presenta nei territori che occupa non come un gruppo terroristico di passaggio che combatte contro un governo, sia esso iracheno o siriano, ma come una struttura che arriva per mantenere e consolidare il proprio potere. In altre parole come un nuovo Stato.
Nonostante i numerosi simpatizzanti nei territori occupati, sono le esecuzioni di massa, le efferatezze ampiamente pubblicizzate ad intimorire le popolazioni soggiogate o a costringerle alla fuga. Quest'ultima circostanza agevola e non poco l’ISIS nel controllo dei propri territori. Le abitazioni lasciate vuote dalle popolazioni in fuga sono spesso riassegnate a rifugiati sunniti. E' successo così per le case dei turcomanni sciiti che hanno lasciato Mosul. E chi, come i cristiani, gli yazidi, i sabei o gli stessi sciiti, non si converte o manda i propri figli a combattere al fianco dei miliziani rischia la morte. Chi sopravvive è costretto invece al pagamento della “jizya”, la tassa di protezione per i non musulmani. I prigionieri, invece, soprattutto se donne, diventano oggetto di commercio o sfruttamento sessuale.
Hamed
Dawood Mohammed Khalil Al Zawi (alias Abu Bakr al Baghdadi)
La finanza del califfo
Tutto questo non sarebbe possibile senza una solida base finanziaria. Si stima, per difetto, che l'ISIS abbia introiti giornalieri pari a circa tre milioni di dollari al giorno. Denaro necessario a pagare i combattenti e ad erigere il neo-costituendo califfato. La principale fonte di introito è il petrolio derivante dal controllo dei pozzi situati nell'est della Siria. Il campo petrolifero di Omar (sotto il controllo dei terroristi dal 2012) estrae tra i 10 ed i 30mila barili di greggio al giorno. A questi si sono aggiunti i pozzi nella zona di Kirkuk in Iraq (attualmente 7 asserviti da due raffinerie principali ed altre piccole strutture similari adibite esclusivamente alle attività di contrabbando) dai quali sono estratti dai 25 ai 40mila barili giornalieri.
Non è attualmente valutabile se i recenti bombardamenti americani delle raffinerie in Siria (ma non dei pozzi) abbiano prodotto risultati apprezzabili nel bloccare il contrabbando di petrolio. La commercializzazione del greggio è assicurata da intermediari e annovera tra i clienti lo stesso regime siriano (attraverso un mediatore cristiano di origine libanese, George Hasnawi, legato a Bashar al Assad e economicamente anche a Mosca, titolare di una società che opera nel campo energetico), la Giordania ed il Kurdistan iracheno.
Altrimenti, le autobotti con il greggio finiscono per confluire sul mercato nero turco. Nelle aree confinarie tra Turchia, Siria ed Iraq il contrabbando di petrolio è un'attività economica consolidata. Il canale utilizzato dall'ISIS è lo stesso che usava Saddam Hussein fino ad un decennio fa per aggirare l'embargo internazionale. La Turchia chiude entrambi gli occhi a questi traffici per sostenere indirettamente un'area economicamente depressa e soggetta alle fibrillazioni del partito combattente curdo del PKK. Nemmeno le pressioni americani hanno sinora prodotto dei risultati. Del resto il greggio rivenduto dai terroristi ha un prezzo concorrenziale – tra i 15 ed i 40 dollari al barile contro una quotazione sul mercato internazionale di 100 dollari – e finisce per alimentare l'oleodotto che da Kirkuk arriva fino al porto turco di Ceyhan. Il Consiglio di Sicurezza, il 28 luglio 2013, ha approvato una risoluzione che vietava l'acquisto di petrolio dai gruppi terroristici in Siria ed Iraq. Ad Ankara il messaggio non deve essere mai arrivato.
Se il petrolio è la fonte finanziaria primaria dell’ISIS, il gruppo terroristico attinge anche ad altre risorse. Con la conquista di Mosul ha razziato le banche locali per un valore stimato di circa 420 milioni di dollari. Sempre nella stessa città, le imposte sulle attività commerciali generano sugli 8 milioni di dollari al mese. La tassa sui profitti dei commerci si aggira fra il 10 ed il 20 per cento. Chi non paga viene prima minacciato e poi eventualmente ucciso. Le esazioni riguardano anche i pochi uffici governativi ancora attivi nei territori occupati. A questo si aggiunge il pedaggio imposto sulle principali arterie stradali. Le tasse sono a tutti gli effetti una primo passo verso la legittimazione del califfato.

L'oleodotto Kirkuk - Ceyhan
Fonti indirette
Vi sono poi le fonti indirette di finanziamenti, come il sequestro di stranieri per la cui liberazione viene pagato un riscatto. La liberazione nei mesi passati di quattro francesi e di due giornalisti spagnoli ha sicuramente prodotto qualche milione di dollari di riscatti, a prescindere dalle smentite dei rispettivi governi. Non è chiaro se anche la Turchia si sia assoggettata a questa regola per la recente liberazione di 49 suoi connazionali, compresi i diplomatici catturati dopo la conquista di Mosul da parte dell’ISIS. Sicuramente c’è stato anche uno scambio di prigionieri con la liberazione di alcuni jihadisti.
Un altra fonte di sostegno finanziario per l’autoproclamato califfo Abu Bakr al Baghdadi e le sue milizie sono le donazioni provenienti da organizzazioni non governative arabe. Questo è un problema che anche il Dipartimento del Tesoro americano ha cercato di affrontare. Sul banco degli imputati vi sono al solito l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait ed il Qatar. Le difficoltà a bloccare questo tipo di transazioni risiede nell'opacità del sistema bancario kuwaitiano che viene oggi utilizzato da quasi tutte le ONG arabe.
Si stima che complessivamente i fondi a disposizione dell’ISIS siano sull’ordine di 1,5/2 miliardi di dollari. Difficile fare valutazioni nel merito, ma per dare un’idea della pericolosità di questi soldi basti pensare che i combattenti di Jabhat al Nusra, il gruppo concorrente dell’ISIS nel teatro di guerra siriano-iracheno, che sono passati all'ISIS sono stati gratificati con una paga mensile di 200 dollari. L’autosufficienza finanziaria dei terroristi è forse l’aspetto più pericoloso di una guerra che può anche essere vinta sul campo di battaglia, ma che può assicurare alle milizie di Al Baghdadi la sopravvivenza nel tempo. Allo stato attuale nessun gruppo terroristico operante nel mondo islamico ha un tale disponibilità finanziari equiparabile a quella dell’ISIS.
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