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COME L’ISIS RACCONTA LA SUA STORIA SULLA SIRIA : PROPAGANDA E MISTICISMO


isis propaganda

Tra le tante pubblicazioni che l’ISIS fa circolare su internet ce n’è una che ricostruisce le vicende siriane dalla guerra civile in poi. Una pubblicazione dal titolo eloquente: “Miracoli in Siria”

Una storia dove il tutto enfatizza la ribellione contro l’oppressore alawita, il misticismo di una guerra di religione in una nazione riportata nelle scritture islamiche, l’epopea dei suoi combattenti, la certezza della vittoria. Perché “al Sham” (la Grande Siria ) viene citata nelle parole di Mohammed che interpellato da un compagno diceva: “Vedo gli angeli di Allah coprire con le loro ali sopra al Sham” (le citazioni sono ricorrenti in altri documenti dell’ISIS perché danno al Califfo al Baghdadi l’idea di realizzare una missione indicata dal profeta).

La storia inizia con l’immagine di un ragazzo che scrive sul muro “il popolo vuole la caduta del regime” (in arabo “al Sha’ab yureed, iskaat ul nidhaam”). Il ragazzo viene arrestato e torturato, come tanti altri nei 40 anni di dittatura alawita perché – questa è la tesi della pubblicazione – metà della popolazione siriana sono spie, la polizia segreta stupra le donne ed uccide gli uomini, i sicari della Shabiya (le milizie paramilitari alawite) ti danno la caccia ed una volta catturato ti trattano senza pietà e gli americani rimandano indietro al regime oppressore i sospettati di terrorismo ben sapendo che verranno torturati.

Ma ecco che dopo anni di oppressione la gente si ribella marciando in folla; la maggioranza sunnita si rivolta verso la tirannia alawita. E’ una folla che vuole cambiare, come i “fratelli” in Libia e Egitto, che urla “ Non abbiamo nessun altro che Allah”. Ed è una affermazione vera – sottolinea la pubblicazione - perché è gente indifesa, disarmata che rischia la vita sfidando il fuoco dei cecchini, gente che è protetta solo da Allah. E qui viene poi allegato un filmato dove un uomo viene colpito a morte durante una manifestazione.

Poi nel documento ci si dilunga sulle efferatezze degli sciiti (tali sono gli alawiti) contro i sunniti: gente impiccata fuori dalla porta, uomini frustati, madri costrette a scegliere quale figlio gettare dai palazzi, unghie tolte durante le torture, donne stuprate ed incinte ed ancor più in un crescendo di sadismo (colpisce il fatto che esecrare le efferatezze dei nemici - magari realmente verificatesi - non abbia poi portato ad una presa di coscienza su altrettante efferatezze di cui poi l’ISIS si è documentalmente macchiato).

Poi, per completare questo quadro apocalittico delle malvagità altrui, viene mostrata la foto di un sunnita torturato ed ucciso che ha la mano con l’indice sollevato come ad indicare quello che gli arabi chiamano “taweed”, l’unicità di un solo Dio. La circostanza viene etichettata come un martirio nella fede. E poi un’altra immagine di una donna che viene sepolta e che sembra sorridere correlandola ad una citazione del profeta: “il martire vede il suo posto in paradiso all’atto della morte”.

Ma poi il documento passa ad una citazione biblica del profeta Mosè, il quale aveva esortato alla lotta contro i tiranni di al Sham e di fronte alla codardia di chi allora rifiutò ecco la profezia di Allah: “questa terra santa verrà loro preclusa per 40 anni”.

Ed ovviamente, forse non casualmente nell’ottica mistica del mandato dell’ISIS, la rivoluzione in Siria è iniziata nel 2011, dopo 40 anni dalla presa di potere di Hafez Assad. Questo sottolinea il documento per correlare il ruolo delle milizie islamiche alla profezia di Allah con aggiunta un’altra citazione di Mohammed, il quale sostiene che, una volta conquistata al Sham, essa ”verrà giustamente guidata da un Califfo in aderenza alla profezia”. Con quest’ultimo passaggio viene legittimata anche l'auto-nomina di Abu Bakr al Baghdadi al ruolo di Califfo.

Risolto il problema della legittimazione religiosa, inizia l’epopea della guerra civile: i sunniti che defezionano dall’esercito, la loro adesione ai manifestanti ed alle proteste, la creazione del cosiddetto “Esercito libero siriano” ( “al Jaish al Hurr”) .

Ma questi era un esercito troppo debole per combattere il regime ed allora, sempre nella consecutio logica dell’ISIS, ecco arrivare a rinforzo dei ribelli i “migranti (“Mujahereen”) e i “sostenitori” (“Ansar”), ovviamente tutti musulmani, provenienti da 50 Paesi del mondo.

La solita citazione del Corano viene a legittimarli (“Coloro che hanno creduto ed emigrato e combattuto per la causa di Allah e coloro che hanno fornito rifugio ed aiuto, sono loro i veri credenti. Per loro perdono e nobili previsioni “ - cioè il paradiso).

Sono loro, aggiunge con ironia la pubblicazione, quelli che il mondo chiama terroristi.

Poi il documento riporta dei passaggi dal diario di un “mujahereen”, cioè un volontario di nazionalità inglese, e descrive le sue avventure e disavventure per raggiungere la Siria, le difficoltà ad attraversare il confine, i tentativi di vari personaggi di farsi pagare per l’attraversamento, l’estenuante attesa in un hotel, l’organizzazione che lo coadiuva, la contentezza di essere arrivato. Dai dettagli emerge la connivenza della polizia turca che, dopo averlo intercettato, insieme ad altri, lo lascia passare, i cattivi rapporti con l’Esercito Libero Siriano ed invece i buoni rapporti con Ahrar al Sham, la disposizione impartita ai mujahereen di nascondere le proprie generalità e di muoversi in Siria solo con un nome di copertura. Anche in questa lunga narrazione, le citazioni coraniche si sprecano.


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Segue poi un breve capitolo intitolato “la Jihad a 5 stelle” dove si vedono le foto di alcuni jihadisti che fanno il bagno nella piscina di un hotel (da lì il titolo emblematico), poi altre foto in cui da un lato i miliziani si fanno la guerra a palle di neve e nel contempo altre foto di guerra vera.

Poi in un successivo capitolo dal titolo “miracolo in battaglia”, si cerca di accreditare l'ipotesi che nella guerra in Siria ci siano stati dei miracoli in cui gli “schiavi di Dio” sono stati testimoni (il concetto introduce un elemento che nell’Islam è basilare nei comportamenti delle persone: tutto è dovuto alla volontà di Dio, l’uomo segue il percorso della sua vita nella volontà di Dio. Non esiste, come nel cristianesimo, il libero arbitrio).

Quindi al confine tra suggestione, esaltazione e realtà (molta più suggestione che poi travisa la realtà) vengono riportate varie storie: un volontario proveniente dall’Australia che racconta che le bombe lanciate dal regime non producevano alcun danno sulle case, che senza doccia o acqua non sudava e non puzzava (né lui né altri accanto a lui, mentre in Turchia capitava esattamente il contrario), che aveva bisogno di una macchina fuoristrada e che aveva contattato i genitori per soldi (e venne subito accontentato, nonostante le finanze familiari non fossero particolarmente floride), che aveva visto i soldati del regime avanzare e poi improvvisamente (inspiegabilmente) ritirarsi, i vari interventi dei MIG di Damasco che bombardavano aree vuote e senza obiettivi (e quindi senza produrre danni), i corpi dei martiri che non si decomponevano nemmeno dopo la sepoltura, il caso di un mujaheddin ferito ed abbandonato che non riuscendo a muoversi e scavando intorno a lui trovava l’acqua per sopravvivere e rientrare tra i suoi uomini, il caso di altri mujaheddin che, prima di andare ai combattimenti, sapevano già di dover morire e quindi consegnavano ai compagni i loro averi andando al martirio con il sorriso, i ragazzini che nei villaggi o città erano i primi a intercettare il rumore di elicotteri in arrivo e quindi ad avvertire la popolazione (notare il dettaglio che qualifica il “miracolo”: dai 2 anni in su), le piante da frutto che nei territori dell’ISIS, senza alcuna cura, davano frutti abbondanti e buonissimi.

Nel racconto di questo personaggio (la sua presunta nazionalità australiana è forse indicata per avvalorarne le affermazioni) è tale il basso livello dei “miracoli” che viene spontaneo chiedersi che tipo di impatto possano avere queste storie sul proselitismo e nel coltivare il fanatismo e la leggenda. La risposta sta forse nella tipologia del destinatario che forse viene considerato con un alto tasso di credulità.

Ma il racconto dei “miracoli” (perché questa è la finalità del documento) non finisce qui. Ci sono i cosiddetti racconti “umoristici”: i mujaheddin che avanzano e scavano trincee e poi si accorgono che il nemico sta dietro di loro, la reazione di due combattenti che al lancio di barili esplosivi sopra di loro uno insegue l’elicottero per cercare il martirio mentre l’altro esce dalla trincea sfidando il nemico (entrambi ovviamente sopravviveranno), le risate di un comandante di brigata che racconta come il tiro di un nemico verso di lui colpisce il caricatore del suo Kalanshikov, salvandogli la vita.

Si passa poi ai racconti che enfatizzano l’epopea ed il coraggio dei miliziani islamici: l’attacco di 5 fratelli contro le roccaforti del regime siriano con l’unico sopravvissuto che fa scappare il nemico, gli aerei nemici che bombardano le montagne ma non colpiscono mai i ribelli (e viene fatto un parallelismo con quello che avviene normalmente in Afghanistan e Cecenia, miliziani uzbechi che si lanciano a petto nudo contro colonne nemiche ed “ovviamente” vincono rimanendo illesi), la lotta contro milizie curde del PKK (in realtà si tratterebbe del YPG) con alterne fortune ma alla conquista di una postazione si sente comunicare in una radio del nemico: “come possiamo continuare a combattere con un nemico che ha mille kamikaze a disposizione”.


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C’è poi il racconto di una “piramide” (probabilmente un mausoleo) nel terreno espropriato ad un “veneratore di Satana” (riferimento ad un yazidi, perché tali sono etichettati nell’immaginario sunnita) che viene distrutta facendo rischiare la vita ad un miliziano (e qui si cita la possibilità che il tentativo di uccisione sia la presenza dei “jinn” - alias creature o spiriti sovrannaturali) e che dopo aver indagato cosa c’era nella piramide ci si dilunga nella descrizione di cosa era stato trovato a conferma di riti satanici (capelli, stringhe annodate, rasoi sanguinanti , liquidi pungenti etc).
Un altro capitolo viene dedicato al Free Syrian Army che combatte l’ISIS, uccidendogli gli uomini e stuprando le donne. “Perché ciò avviene?”, si domanda retoricamente il documento, “se poi li abbiamo aiutati a combattere il nemico comune?”. Semplice: noi vogliamo un Califfato globale che liberi la Palestina e tutto il mondo musulmano dai tiranni. Loro vogliono regimi secolari nazionali e perseguono questo obiettivo con i soldi e le armi dell’occidente e dei regimi arabi.

E qui riparte l’epopea contro i “sahwa” (termine arabo che significa “risveglio”, ma che indica delle milizie finanziate ed addestrate dagli USA). E' inutile sottolineare chi poi vince. Scontri non solo a colpi di arma da fuoco ma anche di epiteti (“porci”, “cani”, “non avete Osama Bin Laden che vi aiuta”, l’Arabia Saudita che viene definita “lap-dog”, che in slang inglese è l’immagine di un piccolo cane da tenere in braccio). Alla conquista delle postazioni dei “sahwa” vengono trovate razioni di viveri (che ovviamente i miliziani si mangiano) ed equipaggiamenti occidentali (poi il dettaglio viene comparato con i miliziani dell’ISIS, che hanno solo la protezione di Allah). Viene stigmatizzata la codardia dei “sahwa” di fronte ai combattimenti, la loro richiesta di clemenza quando regolarmente perdono, le fughe lasciando dietro armamenti, la scoperta che avevano stuprato e ucciso donne saudite.

Il documento dell’ISIS si dilunga ancora a lungo su queste storie di epopea militare, sulla missione religiosa di una guerra santa contro apostati (e qui si critica l’atteggiamento turco) e miscredenti. Seguono poi varie storie di martiri dove i corpi profumano di muschio. Vengono pubblicate foto dove i corpi dei martiri sono integri e sorridenti, mentre quelli dei miscredenti sono decomposti (ovviamente un altro segnale divino). Le citazioni religiose si sprecano in questo procedere di racconti.

Ed infine vengono pubblicizzati alcuni Ebook dove l’epopea dell’ISIS trova evidentemente ulteriore sostegno.

Nel suo complesso questa pubblicazione ricalca l’enfasi che è primaria in ogni messaggio dell’ISIS: la giusta causa in una giusta guerra, un messaggio e compito divino da assolvere, l’epopea dei mujaheddin, la legittimazione del Califfo e Califfato, il martirio come scopo finale con in premio il paradiso. Poi, come spesso accade in altri documenti, forse allo scopo di impressionare e convincere una utenza di probabile basso livello intellettuale ma sicuramente con alto tasso di suggestionabilità, si ricorre a tutta una serie di affermazioni e deduzioni che portano a trasformare spesso il misticismo religioso in credulità popolare.

Più che il convincimento, si cerca la suggestione di chi legge questi documenti. E forse la forza delle milizie di al Baghdadi sta proprio in questo mix di religione, fanatismo e suggestione che rende la loro causa senza ritorno ed alternative e la paura della morte un dettaglio auspicabile.


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