COME FA LA GUERRA L'ISIS

Il 10 giugno 2014, Mosul, una città di circa 1,8 milioni di abitanti a 400 km a nord ovest di Bagdad, cade nelle mani dei terroristi dell'ISIS (Stato Islamico dell'Iraq e della Siria) dopo un assedio di pochi giorni. Da una parte circa 3000 jihadisti, dall’altra oltre 30.000 uomini dell’esercito iracheno che invece di combattere preferiscono scappare. Certo, l'avversario non era dei più temibili. Il fatiscente esercito iracheno conta oggi sulla carta 50 brigate, quasi tutte composte da militari inesperti, maldestramente addestrati e prevalentemente Sciiti. Tuttavia, il mondo assiste sgomento a questa avanzata. Nessuno, nemmeno la CIA per ammissione pubblica del suo direttore, aveva minimamente previsto che l’ISIS fosse così forte, ben organizzato ed efficace dal punto di vista militare.
Un esercito terrorista
Il primo quesito è quindi: l’ISIS è un solamente un manipolo di terroristi o un esercito propriamente detto? Sul piano della disciplina e dell’organizzazione è sicuramente assimilabile ad una forza armata. Oltre che in Iraq, lo ha dimostrato in Siria. L’esercito siriano di Bashar al Assad, ben armato, addestrato e appoggiato dalle milizie Hezbollah, a parte alcune disfatte ha mostrato di saper fronteggiare situazioni difficili rimanendo saldo e leale al regime. Rispetto ad altri gruppi ribelli come il Libero Esercito Siriano ed il Jabhat al Nusra, le conquiste e vittorie dell’ISIS in Siria sono state significative.
L'ISIS del resto continua ancora oggi a mietere successi ed a guadagnare terreno contro i curdi, vuoi in Iraq o in Siria e nonostante gli interventi aerei alleati. Nonostante fronteggi gruppi armati curdi più organizzati – dai Peshmerga iracheni abituati a Saddam Hussein, ai miliziani del PKK in Turchia o quelli del YPG in Siria – il risultato non cambia. E' per questo che oggi il gruppo terrorista controlla un’area tra Siria e Iraq più grande, territorialmente, dello stesso Libano dove vivono o vivevano (molti sono scappati al loro arrivo) circa 8 milioni di siriani e/o iracheni.
Psicologia ed armamenti
Allora è necessario, come stanno facendo diversi analisti internazionali, porsi ulteriori quesiti: da dove nasce questa forza militare? Come combatte per mietere tanti successi?
Un primo fattore è sicuramente di natura psicologica. Il fanatismo religioso che alimenta l’idea della giusta causa, la voglia di combattere, il disprezzo del pericolo e della morte, il martirio come scopo finale, il fatalismo che nella religione islamica fa sì che ogni atto dell’uomo sia stabilito da Dio e non dalle circostanze o dal libero arbitrio hanno un impatto sul terreno. Questa è gente che combatte sapendo di avere davanti a sé solo due possibili esiti: la morte o la vittoria.
L'estremismo si trasforma in crudeltà durante gli scontri ed in rappresaglia verso i vinti. Questo atteggiamento genera paura in chi affronta l’ISIS o rischia di subirne le conseguenze. Una crudeltà ostentata, pubblicizzata con un sofisticato apparato mediatico e strumentalmente resa centrale nei comportamenti dei miliziani per spaventare, intimorire, demoralizzare. Accanto alla guerra sul terreno è quindi in corso anche una guerra psicologica che propina l'immagine del miliziano islamico più “cattivo” e che, soprattutto, rende il nemico psicologicamente più debole. Il miliziano che massacra i nemici è lo stesso che sa che il suo percorso di guerra è una strada senza ritorno.
Il secondo fattore è quello degli armamenti a disposizione che offrono all’esercito dell’ISIS una quantità e qualità di fuoco spesso superiore ai nemici. E’ un armamento che proviene in maggioranza dai depositi dell’esercito iracheno e siriano, ma che è anche alimentato dai traffici illeciti favoriti dalla grande disponibilità finanziaria dell’organizzazione. Una lista provvisoria della dotazione nelle mani dell'ISIS annovera carri armati (circa 300 di cui la metà Abram americani di ovvia provenienza irachena) impiegati anche in combattimenti notturni, mezzi blindati (circa 3/4000, tra cui gli Humvee M1114 americani), artiglieria (1000/1500 pezzi di vario tipo, compresi obici da 155mm sempre americani che sparano sui 22km), sistemi missilistici, armi controcarro, mezzi di comunicazione sofisticati. Ultimamente i miliziani dell’ISIS risultano in possesso anche di sistemi contraerei portatili, come gli Strela 3 (che colpiscono in un raggio di oltre 4 km), gli Igla, gli Stinger americani ed i Cobra. L'ISIS ha già abbattuto in passato aerei ed elicotteri del regime siriano e dell’Iraq.
Inoltre, i miliziani hanno anche utilizzato, in almeno due occasioni, aggressivi chimici sottratti dai depositi iracheni (a Muthanna nel giugno 2014) e da quelli siriani. Ne avrebbero fatto le spese i curdi siriani ad Avdiko, un villaggio ad est di Kobane, il 12 luglio 2014, ed i soldati iracheni a Saqlawiya, nella zona di Ambar nel settembre 2014. In entrambi i casi sarebbero stati utilizzati l’iprite, che è un forte vescicante, e composti al cloro. Sembra che l'arsenale chimico sia stato stoccato dalle parti di Raqqa, la cosiddetta capitale dell’ISIS in territorio siriano, per presumibili utilizzi futuri.
Sono nella disponibilità dell’ISIS anche 3 aerei Mig 21 catturati al regime siriano. Non sono ancora stati impiegati in combattimento anche perché è facilmente intuibile che verrebbero immediatamente abbattuti dai caccia americani. Comunque – impiegati o meno – i miliziani di Abu Bakr al Baghdadi hanno a disposizione anche aerei da combattimento.
Un pilota ISIS dentro un Mig-21
Tattiche e strategie
La questione degli armamenti è importante se questi vengono adeguatamente impiegati. Qui subentra la professionalità dei militari del disciolto esercito di Saddam Hussein che oggi affiancano le milizie dell’ISIS nella guerra contro il governo sciita di Bagdad. Sono loro che insegnano l’uso delle armi, le tattiche e le strategie.
Dal punto di vista strategico, gli obiettivi che i miliziani dell’ISIS tendono a conquistare sono le arterie di maggiore circolazione, i campi petroliferi, le raffinerie, le dighe, le centrali elettriche. Sanno di non avere la forza numerica per controllare grandi aree e quindi si concentrano su infrastrutture o punti nevralgici che gli assicurino rifornimenti, finanziamenti, libertà di movimento, predominio sul terreno. Usando l’arma del terrore controllano aree diventate nel frattempo fortemente spopolate.
Dal punto di vista tattico, invece, le milizie operano sul terreno alternando forme di guerra convenzionale, abbinate al ricorso ad attentati e all’impiego di kamikaze che sfondando le linee nemiche con automezzi carichi di esplosivo precedono l’avanzata e l’attacco dei miliziani.
Sul piano operativo, il modus operandi dell’ISIS è caratterizzato da una forte autonomia concessa ai comandanti sul campo. A livello strategico si decide l’obiettivo che si vuole conquistare, ma sul come conquistarlo le decisioni restano in capo al comandante locale. Quindi si ha a che fare con un sistema di comando e controllo decentralizzato, fortemente flessibile che detta una pianificazione di massima e lascia che le operazioni siano condizionate dalle circostanze e dal terreno. Nella pratica, tattica, strategia e operazioni sono tra loro indistinte. Si procede sul terreno, passo dopo passo, e sulla base di questo parametro si conformano le iniziative militari successive. Così facendo si è creato un sistema di comando e controllo capovolto, che parte dal basso e non proviene dall’alto.
E’ un sistema centrato sul valore combattivo del singolo e non sull'organizzazione a cui appartiene. Singolo che è comunque un combattente disciplinato, inquadrato all'interno di un efficiente sistema gerarchico fatto di plotoni e compagnie. Un'organizzazione che ha facilità ad adattarsi ai cambiamenti di situazione.
I miliziani dell’ISIS combattono generalmente in piccoli gruppi, si sfruttano le condizioni del momento, siano esse morali o materiali, il terreno, il fattore sorpresa. All’occorrenza, se le circostanze lo permettono, vengono anche impiegati mezzi corazzati e blindati. Unità combattenti ed apparati logistici si radunano in prossimità dei luoghi dell’operazione poco prima di ogni attacco al fine della coordinazione. Nei centri abitati viene attuata la guerriglia urbana, combattendo palazzo per palazzo, blocco per blocco, quartiere per quartiere.
Con l’arrivo degli attacchi aerei americani, l'ISIS ha subito spostato i suoi quartier generali sul terreno riducendoli di dimensione e moltiplicandoli, ha ridotto al minimo l’utilizzo dei posti di blocco stradali, ha disperso e diradato sul terreno le proprie truppe e mezzi uscendo dalle caserme e acquartieramenti, si è infilato negli abitati per confondersi con la popolazione locale, ha drasticamente limitato l’uso di telefonini (che vengono tenuti soprattutto spenti per non farsi localizzare) o radio, ha disseminato le zone sotto il proprio controllo di bandiere nere per confondere il nemico sugli obiettivi da bombardare e sulla loro effettiva presenza, usa adesso nei suoi spostamenti più le moto che non le macchine perché più difficilmente individuabili ed attaccabili, durante le battaglie brucia sempre più spesso copertoni di ruote o petrolio per creare fumo e sfuggire alla vista degli aerei nemici.
Accanto alle operazioni convenzionali, le milizie dell’ISIS abbinano anche tattiche terroristiche. Oltre al ricorso ai kamikaze, c’è il forte utilizzo di autobombe, il minamento di strade, trappole esplosive, assassinio di leader religiosi e tribali, creazione di un sistema di spie locali che controllino la popolazione, l’utilizzo di cellule dormienti per pianificare ed eseguire attacchi terroristici.
Obiettivo Bagdad
Proprio su quest’ultimo punto si gioca il destino futuro di Bagdad. La capitale irachena è diventata l’obiettivo finale dell’ISIS perché se riuscisse a conquistarla verrebbe nei legittimata la creazione di un califfato ed il primato dell’ISIS su altre formazioni radicali combattenti. Sarebbe il primo passo per creare quell’entità territoriale che avrebbe come unico riferimento il dominio della Umma, la comunità islamica, e non i confini nazionali. Ma le milizie jihadiste non hanno oggi la forza sufficiente per conquistare o controllare la capitale irachena. E' per questo che stanno adottando un'altra strategia. Contando sulla diaspora sunnita ancora legata al regime di Saddam Hussein, l'ISIS ha preso il controllo di alcune strade di accesso a Bagdad nell'intento di creare una cintura d'assedio sulla capitale. Nell'intento di strozzare logisticamente la città, creare insicurezza nella popolazione e costringerla a fuggire sotto la minaccia che non vi sarà pietà per i vinti. Su questo fronte si giocheranno le fortune future dell’ISIS.
Fa parte del gioco d’azzardo dell’ISIS anche la sua spregiudicatezza. Costringe i suoi potenziali nemici a confrontarsi sulle contraddizioni generate da un intervento militare. Sa che Stati Uniti li vogliono distruggere, ma che, nel contempo, non vogliono aiutare il regime di Assad. Sa che la Turchia ha problemi ad accettare un sostegno ai curdi che combattono in Siria e Turchia. Sa anche che un intervento aereo nemico non sarà mai risolutivo per una loro sconfitta sul terreno. Occorrerà impiegare forze di terra ed è questo che forse l’ISIS e Al Baghdadi vogliono.
Tweet