I PUNTI DEBOLI DELL’ISIS

Abu Bakr al Baghdadi
L’ISIS,
acronimo per Stato Islamico in Iraq e Siria, è sicuramente una
forza emergente nel panorama mediorientale, o piuttosto, nel caos
politico e sociale che prevale oggi in Medio Oriente. E' all'apice
della sua notorietà per l'efferatezza con cui pubblicizza le
esecuzioni di stranieri o nemici, per l’utilizzo spregiudicato del
settore mediatico, per le conquiste militari che continua ancora a
mietere sul terreno, frutto più della debolezza e scarsa
professionalità degli avversari che non della propria forza.
Se tutto è finora andato per il meglio per le milizie di Abu Bakr
al Baghdadi, il crescente intervento militare degli Stati Uniti e
dei suoi alleati in Iraq e in Siria alla lunga avrà i suoi effetti
negativi sulla tenuta militare delle milizie islamiche. Con una
precisazione in merito: i bombardamenti aerei, i missili lanciati
dalle navi, i voli dei droni, possono sicuramente diminuire
l’efficacia di una minaccia militare, ma se nessuno provvederà poi
alla riconquista dei territori oggi sotto il controllo dell’ISIS,
la guerra contro questo nemico non verrà mai completamente vinta.
Anche perché non è dato ancora sapere chi eventualmente si farà
carico di questa incombenza: presumibilmente le forze
dell’esercito iracheno o i Peshmerga curdi, forse anche
un'improbabile forza internazionale o panaraba, o forse
addirittura i gruppi ribelli di ispirazione laica che combattono
Bashar al Assad. E le forze americane? E’ molto improbabile che
ciò avvenga durante la presidenza di Barack Obama, sia perché
l’attuale amministrazione USA si è sempre dedicata ad un
disimpegno dalle avventure militari di George W. Bush, sia perché
il dispiegamento sul terreno del dispositivo dell’esercito
statunitense implica tempi lunghi, costi esosi e l’alto rischio di
subire delle perdite.
Soffermandosi sugli aspetti militari e se si osservano i rapporti
di forza sul terreno, rimane forte il dubbio che il movimento di
Al Baghdadi possa, nel tempo, riuscire a mantenere, consolidare o,
in prospettiva, estendere il proprio controllo del territorio. Il
detto “molti amici, molto onore” ha il suo fascino emotivo, ma
costituisce sicuramente anche un limite oggettivo alle aspirazioni
del movimento. Ci sono troppi fronti aperti per una milizia che
conta oggi, secondo le ultime valutazioni della CIA, dai 20.000 ai
32.000 combattenti, a cui vanno aggiunti i migliaia di
simpatizzanti sul territorio, la cui affidabilità è direttamente
proporzionale ai successi militari dell'ISIS.
L'inizio dei bombardamenti alleati ha obbligato il gruppo
terrorista ad un cambiamento di strategia e di tattica militare.
Non più impiego di grandi masse di combattenti per conquistare un
obiettivo, difficoltà del sistema di comando e controllo per
trasmettere gli ordini, difficoltà negli approvvigionamenti
logistici. Questi aspetti incidono sull’operatività delle milizie
islamiche nel medio e lungo termine, ma non nell'immediato.
Ma a parte quello che potrà essere l’effetto dell’intervento
militare internazionale contro l’ISIS, esistono anche altre cause
che, in prospettiva, possono costituire motivo di debolezza per le
milizie islamiche.
Una strana alleanza
L’ISIS si pone il traguardo di creare uno Stato al quale, per
finalità etico-religiose, dà la denominazione di califfato. Per
realizzarlo è necessario passare da un controllo militare del
territorio, ad una gestione dello stesso tramite la creazione di
'istituzioni' adeguate. Ma queste non si possono creare dalla sera
alla mattina: vi sono dei limiti oggettivi nel reperire personale
qualificato nei diversi settori che compongono un'amministrazione
'pubblica', ovvero far sì che la nuova entità sia accettata dalla
popolazione di riferimento, questo in un tessuto sociale
notoriamente poco incline ad esperimenti teocratici.
All'origine dell'ascesa dell'ISIS vi è infatti un vulnus,
un'alleanza impropria che vede combattere insieme i radicali
islamici sunniti di Al Baghadi con gli ex pretoriani di Saddam
Hussein che, sicuramente, in virtù della loro impostazione
ideologica di baathisti arabi, sono tutto fuorché simpatizzanti
con le orde islamiche. Li unisce soltanto un nemico comune
identificato nel governo sciita di Baghdad. La forza militare
dell’ISIS, del resto, ha un senso solo se contrapposta alle varie
fazioni paramilitari sciite: i “Battaglioni della Pace” di Moqtada
al Sadr o le pre-esistenti milizie volontarie (Jaish al Mahdi, le
Brigate Al Badr, Asa’ib Ahl al Haq).
Gli ex saddamisti sono, nei fatti, la componente militarmente più
professionale del dispositivo dell’ISIS. E certamente non sono
solidali con l’imposizione di costumi e vincoli sociali che l’ISIS
instaura nei territori che occupa. Arriverà probabilmente il
giorno in cui gli interessi di questi due gruppi divergeranno. E
questo potrà accadere nel momento in cui i sunniti riotterranno un
ruolo adeguato nel contesto politico e sociale iracheno.
Una speranza è costituita infatti dal nuovo governo iracheno.
Estromesso Nouri al Maliki e subentrato Haider al Abadi, è
auspicabile che il nuovo esecutivo attui una politica meno
conflittuale con la componente sunnita del Paese, come aveva fatto
dieci anni or sono il premier Ayad Allawi. Se ciò avverrà,
automaticamente diminuirà l’interesse dei sunniti nell'appoggiare
le rivendicazioni dell’ISIS. Una delle armi psicologiche che tende
a sfruttare lo Stato Islamico è proprio il settarismo sciita al
governo a Baghdad.
I fratelli Kouachi
Integralismi in lotta
Un altro elemento di debolezza è la conflittualità esistente fra i
gruppi integralisti sunniti che operano nella regione.
L’iniziativa di Abu Bakr al Baghdadi di creare un califfato è
stata presa al di fuori di ogni coordinamento e senza l'assenso di
Al Qaeda e di Ayman al Zahawiri. Benché sia oggi poco più che un
riferimento morale, 'la base' rimane una fonte di ispirazione per
i movimenti integralisti.
C’è stata infatti un'evoluzione nei rapporti tra l’ISIS e Al
Qaeda. Inizialmente l'organizzazione che fu di Osama bin Laden
aveva appoggiato la fondazione del gruppo di Jabhat al Nusra in
Siria ad opera di Al Baghdadi. In seguito al tentativo di
annettere al Nusra nell'ISIS nell'aprile del 2013, i due gruppi ed
i rispettivi leader si erano invece contrapposti: i siriani
guidati da Abu Mohammed al Julani si erano rifiutati di farsi
inglobare, rivendicando invece la propria fedeltà ad Al Qaeda. Ne
sono seguiti degli scontri, anche cruenti, fino all'espulsione di
Jabhat al Nusra dalle province siriane sotto il controllo
dell'ISIS.
E' un dato inequivocabile: ISIS e Al Qaeda si contendono il
primato nel mondo del terrorismo islamico. Al Qaeda è più dedicata
ad una lotta di respiro internazionale, ad uno scontro tra
religioni e civiltà. L’ISIS, invece, è più pragmaticamente legato
alle sue conquiste territoriali e si dedica essenzialmente a
problematiche regionali. Entrambe le organizzazioni alimentano la
cultura dell’odio, talvolta gareggiando nel campo delle
efferatezze e stimolando l’emulazione tra i simpatizzanti. E non è
casuale che durante gli attacchi terroristici di Parigi, i
fratelli Kouachi abbiano millantato la loro appartenenza alla
filiale yemenita di Al Qaeda nella Penisola Arabica, mentre Amedy
Coulibaly si è dichiarato appartenente all’ISIS.
La partita regionale
La sopravvivenza del movimento è anche fortemente legata alle
dinamiche regionali ed allo scontro con diversi attori regionali:
l’Iran in virtù della difesa dello sciismo, i curdi nelle loro
varie collocazioni e colorazioni e la stessa Arabia Saudita che
teme il contagio di un sunnismo rivoluzionario, pericolo
materializzatosi con gli attacchi alla frontiera con l’Iraq il 5
gennaio 2015 nell’area di Arar, dove ha perso la vita in un
agguato il generale saudita Odeh al Balawi, comandante del confine
settentrionale. Il paradosso è che nonostante l’ISIS abbia in
comune con il wahabismo saudita una visione radicale dell’Islam,
il potenziale di aggressione militare degli uomini di al Baghdadi
rende lo Stato Islamico pericoloso per molte monarchie del Golfo.
Nei fatti, l’ISIS è oggi più impegnato a combattere gli apostati -
inglobando in questo concetto non solo gli sciiti, manche i
sunniti che non condividono la loro ideologia radicale - che non
gli infedeli, settore invece prioritario per Al Qaeda.
Un punto di debolezza dell’ISIS è determinato quindi anche dal
fatto che, pur catalogato come movimento armato sunnita, è
sostanzialmente e a diverso livello osteggiato dallo stesso
consesso sunnita in cui opera. Chi lo aiuta, almeno non
ufficialmente, come il Qatar, lo fa non tanto per simpatia nei
confronti delle imprese dell’ISIS, quanto perché trova in questo
sostegno uno sbocco alle proprie mire egemoniche a livello
regionale. Doha è oggi il principale oppositore del ruolo
dominante dell’Arabia Saudita nella regione, opposizione giocata
per interposta persona attraverso l’ISIS, i Fratelli Musulmani,
Hamas, il governo islamico di Misurata e Tripoli, gli Houthi in
Yemen.
Sotto questo aspetto, l’ISIS rischia di essere strumentalizzato in
vicende diverse da quelle per cui combatte. Così facendo, da
soggetto attivo diventa, automaticamente, soggetto passivo. E
l’appoggio di cui oggi gode potrebbe decadere nel momento in cui
non risulterà più conveniente. Come con gli ex saddamisti che
combattono al suo fianco, il Qatar e gli altri gruppi che oggi
appoggiano strumentalmente l’ISIS saranno affidabili fintanto che
vedranno incoraggiati i propri interessi.
Il regno del terrore
Un altro elemento di debolezza dell’ISIS è la brutalità dei suoi
comportamenti. E’ una bestialità che serve a terrorizzare la
popolazione, a rendere mediaticamente più visibili le proprie
azioni, a spopolare intere aree conquistate consentendone un più
facile controllo. Ma, nel contempo, allontana dal movimento
l’appoggio di quella fetta di gente che vedrebbe con favore la
rinascita del sunnismo in Iraq e la caduta di molte monarchie
invise ai popoli della Penisola Arabica, ma che non condivide i
metodi proposti dall’ISIS.
Gli integralisti di Al Baghdadi impediscono l’uso di internet, dei
telefoni cellulari, impongono il reclutamento militare
obbligatorio, indicatore, quest'ultimo, della mancanza di
attrattiva di un'adesione volontaria. La pena per chi si sottrae a
queste regole è generalmente la morte. L’efferatezza nei confronti
del nemico o del colpevole è sostanzialmente un sintomo di
debolezza che spaventa e allontana la gente comune, timorosa di
perdere le libertà civili. Anche la qualità della vita a Mosul e
dintorni è fortemente calata ultimamente a seguito dei
bombardamenti alleati che hanno ridotto l’approvvigionamento dei
principali generi alimentari.
L’apparato di sicurezza e di intelligence dell’ISIS, dove forte è
la presenza degli ex saddamisti, è oggi dedicato più
all’eliminazione degli oppositori interni e al controllo della
popolazione che non al contrasto del nemico, come è invece
generalmente auspicabile in situazioni di guerra.
Mappa dei territori
controllati dall'ISIS
Una guerra interna ai sunniti
L’ISIS oggi non combatte soltanto una guerra contro l’Occidente o
gli sciiti, ma è parte in causa di un conflitto interno all’Islam
sunnita. La riuscita del progetto di al Baghdadi è legata
soprattutto a questo parametro.
Del resto, il controllo del territorio è un altro elemento che
incide negativamente sulle capacità di affermazione o di
sopravvivenza dell’ISIS. Sinora le conquiste territoriali si sono
concentrate su di aree a maggioranza sunnita. Rimane forte il
dubbio che l’ISIS possa un domani avere la capacità di controllare
zone dell’Iraq a maggioranza sciita o curda. E nelle aree sunnite
conquistate sono subito sorti dei contrasti con molti gruppi
tribali che non aderiscono alle direttive di Al Baghdadi. Intere
tribù sono state sterminate nelle zone conquistate dall'ISIS. Ma
il vincolo tribale che è alla base di molte comunità arabe della
regione. E' un vincolo di sangue, implica un radicamento sul
territorio non altrimenti realizzabile, postula la vendetta
secondo la legge del taglione nei confronti del carnefice. La
reazione giordana alla morte del proprio pilota arso vivo da parte
dell’ISIS è emblematica di questo mondo e di questo modo di agire.
Dal punto di vita finanziario, è stato enfatizzato l’accesso
dell’ISIS ai proventi derivanti dalla vendita di prodotti
petroliferi. Questa è una forma di sostentamento finanziario in
via di ridimensionamento. Infatti, i bombardamenti alleati hanno
messo fuori uso molti pozzi, manca il personale specializzato per
la loro manutenzione o ripristino e la circolazione di autobotti è
diventata difficile perché divenuta bersaglio degli aerei. L’ISIS
è stata così costretta a concentrare le proprie forme di
finanziamento su di un sistema di tassazione forzata, estorsioni
verso commercianti o camionisti, rapimenti. Sono tutti sistemi che
nel lungo periodo potrebbero portare ad alienarsi il sostegno
della popolazione.