L’ISLAM E L’ISIS
L’ISIS
combatte essenzialmente due guerre: una contro gli apostati e l'altra
contro i miscredenti. Gli apostati sono considerati coloro i quali
abbandonano la propria religione, incluse le regole o concetti, e sono
identificati principalmente con gli sciiti. In questa direzione bisogna
inserire i recenti attentati contro gli sciiti libanesi e contro quelli
iracheni, così come la lotta contro gli alawiti siriani. Ma apostati
sono anche quei regimi sunniti come l’Egitto e la Turchia che non si
adeguano all’idea di un califfato. La pena per l’apostasia, secondo
molti hadith, è la morte. I miscredenti sono invece gli atei o gli
appartenenti alle altre religioni, come i “crociati” cristiani – vedi i
recenti attentati di Parigi e Bruxelles – o come, con diverse tonalità,
gli yazidi, gli ebrei e così via.
E' questa la forza che anima la lotta per creare un Califfato, ma è
anche il suo principale limite perché mette l’ISIS contro tutto e tutti
e questo, prima o poi, porterà alla distruzione del sogno di Abu Bakr
al Baghadi. Ciò nonostante, ad esso sopravviverà non solo il
terrorismo, ma anche l'ideologia fondamentalista che di cotanto credito
gode nell'Islam. Riuscire a sradicare gli estremismi sarà la sfida dei
prossimi decenni che non potrà essere vinta senza il diretto intervento
e sostegno dei paesi musulmani.
Dopo il califfato
Oltre alla lotta contro le altre religioni, il conflitto principale è
all’interno del sunnismo, tra la sua anima fondamentalista e quella
moderata, ovvero tra i puristi salafiti e i mistici e ascetici sufi. Si
potrebbe obiettare che la crescita del terrorismo islamico di matrice
sunnita è stato favorito, in buona parte, da diverse circostanza
esogene – la guerra in Afghanistan, quella in Iraq, la questione
palestinese, la caduta di Gheddafi, la restaurazione della dittatura
militare in Egitto – ed endogene – la mancanza di democrazia e la
brutalità di tanti regimi nella regione – ma queste non sono che le
concause di una guerra teologica all’interno del sunnismo.
E’ altrettanto chiaro che il conflitto politico-militare che oggi vede
opposti i Paesi sunniti, Arabia Saudita in testa, e quelli sciiti,
essenzialmente l’Iran, porta conseguentemente ad una radicalizzazione
del confronto anche sul piano teologico e di questa circostanza ne
approfitta anche l’ISIS. Tuttavia, dietro lo schermo della diatriba
teologica si inseriscono anche altri elementi: la lotta per l'egemonia
tra Paesi mediorientali, gli interessi strategici delle superpotenze,
il controllo delle risorse energetiche. L’ISIS non è mai la causa, ma
l’effetto combinato di tutte queste dinamiche.
Il mondo occidentale, la Russia, alcuni Paesi arabi o musulmani, seppur
con diverse sfumature pensano solo ad una soluzione militare per
sconfiggere l’ISIS. E’ lo stesso approccio avuto dagli Stati Uniti in
Afghanistan ed Iraq o durante la defenestrazione di Gheddafi. Hanno
pensato a sconfiggere militarmente il nemico, ma non si sono
preoccupati di quello che sarebbe successo dopo. Oggi si rischia di
ripetere lo stesso errore.
L’approccio militare vale nella misura in cui ci si confronta in una
guerra tradizionale. Ma accanto alla guerra convenzionale c’è quella
non convenzionale, il terrorismo, e lì i rapporti di forza non hanno
più valore. Il terrorismo non si debella con una guerra, ma si sradica
solo se nel tessuto sociale in cui opera non trova connivenze o
convenienze. E questo potrà avvenire unicamente se ci sarà una
rivisitazione della teologia sunnita da un lato e se miglioreranno le
condizioni sociali delle popolazioni arabe dall’altro. Sarà possibile
tutto questo?
L’anima fondamentalista del sunnismo trova ampio sostegno grazie a due
circostanze: la potenza economica del wahabismo saudita e la forza
sociale ed organizzativa dei Fratelli Musulmani. A tutto questo bisogna
poi aggiungere il fatto che l’Islam non ha un suo Vaticano, non esiste
un'autorità centrale che interpreti i testi sacri e che possa guidare o
orientare la comunità religiosa. Esistono scuole di pensiero, esiste
una certa libertà di interpretazione letterale dei libri sacri, esiste,
di conseguenza, una diversa strumentalizzazione degli stessi, ovvero
una facile estremizzazione dei concetti. Questo porta quindi il
credente islamico a giustificare tutto ed il suo contrario. Il
salafismo, cioè quella parte del sunnismo che si rifà ai concetti
originali dell’Islam, osteggia ogni modernità sociale ed è la base di
quell'integralismo che sfocia poi nel terrorismo. Non è quindi soltanto
un problema teologico, ma anche culturale. Ed è nel salafismo che si
rivive l’Islam dei primi anni dopo Maometto: le conquiste territoriali,
la guerra contro gli infedeli, i nemici a cui veniva tagliata la testa.
Il concetto di jihad
Un concetto che ha bisogno di un chiarimento teologico è quello del
jihad, rivisitato e trasformato nel tempo in uno strumento di guerra.
Nella cultura islamica il jihad è/era una serie di pratiche per
liberare lo spirito dai vizi e dai comportamenti religiosamente
inadeguati . Ovvero, pratiche spirituali all'insegna della disciplina e
di purificazioni, tutte attività tipiche dell’Islam moderato e delle
correnti sufi. L'aspetto preminentemente morale del jihad non ha mai
impedito che, all'occorrenza, la pratica fosse associata ad azioni di
guerra di natura difensiva in caso di attacco. Il salafismo ha dato,
invece, un carattere offensivo, di coercizione, ed una connotazione
politica al concetto di jihad. L'ISIS ha finito per istituzionalizzarlo
come strumento di lotta armata, come forma di reclutamento, come
sistema di potere.
L’Islam, molto più di altre religioni, ha un impatto determinante sulla
sfera sociale e questo porta a rendere sovrapponibile la religione alla
politica. Questo vale per il sunnismo e soprattutto per lo sciismo.
Khomeini affermava che “l’Islam è politica altrimenti non è Islam”. Nel
mondo sunnita si è fatto portatore di questo connubio fra religione e
politica il movimento dei Fratelli Musulmani, osteggiati da molti
regimi arabi proprio per questa loro invadenza nella sfera del potere
costituito. Quel che è successo in Egitto, dove peraltro la
confraternita è nata, ne è un esempio.
Nel perseguire una visione radicale dell’Islam l’idea del califfato
rientra negli obiettivi ultimi anche dei Fratelli Musulmani. Tuttavia
cambiano le modalità per raggiungerlo: come processo sociale di un
popolo e non come conquista militare. Lo slogan dei Fratelli Musulmani,
spesso ripetuto nei suoi comizi, è in questo senso esaustivo: “l’Islam
è la soluzione”. Il concetto di jihad nell’ambito del movimento è stato
sviluppato da uno dei suoi teologi più importanti, Sayyd Qutb, che gli
ha dato una connotazione “offensiva” nella lotta contro la cultura
occidentale.
Ahmad imn Hanbali
Le scuole di pensiero
Nell’Islam esistono varie scuole di pensiero. Le quattro principali
sono tutte nate negli anni successivi alla morte di Maometto: la
“hanafita” (di ispirazione moderata), la “shafi’ta (incentrata sul
diritto islamico), la “malikita” (molto ostile al sufismo) e la
“hambalita” (fondata da Ibn Hanbal a fine '700, è la più radicale e,
nei fatti, la base ideologica delle correnti salafite nell’ambito del
sunnismo).
Quello che differenzia una scuola di pensiero dall'altra è l’approccio
verso i testi sacri dell’Islam. Si oscilla tra un'interpretazione
letterale e acritica dei suoi scritti ad un'interpretazione storica,
analogica e contestualizzata della parola di Dio e del profeta con
l’evolversi delle società islamiche. Nel primo caso la verità assoluta
degli scritti sacri è tale da non perdere valore nel tempo. Non c’è
spazio per sindacarne il contenuto o adeguarlo al mondo circostante.
Tutto è dogma. Le verità, “haqiqa”, dei testi sacri sono immutabili,
prime ed ultime nel contempo.
E’ chiaro che l’approccio letterale è anche quello più semplice da
applicare. Non richiede alcuna dissertazione teologica e può essere
quindi facilmente applicato ed assimilato anche da persone con basso
livello intellettuale. Ed anche da questo l’ISIS trova terreno fertile
per il proselitismo senza poi dimenticare che Abu Bakr al Baghdadi ha
studiato diritto islamico all’università di Bagdad ed è quindi un
potenziale manipolatore.
Un'altra caratteristica dell’Islam è che Dio decide tutto, manca quindi
il libero arbitrio. Se un combattente islamico muore o vince è sempre
Dio a deciderlo, non la sua volontà. Tutto è una sottomissione al
volere supremo. Il miliziano dell’ISIS va incontro al suo destino nella
consapevolezza di realizzare un disegno divino di cui è solo uno
strumento. Questo spiega anche il ricorso cosciente al martirio. La
vita non ha valore se non è spesa nel nome del proprio Dio.
La storia della diffusione dell’Islam è una storia di conquiste
militari tra il “Dar Islam”, il territorio dove regnano i musulmani, ed
il “Dar Harb”, il territorio della guerra dove abitano gli infedeli.
Una storia che accomuna tutte le tre religioni monoteiste, seppur in
diversi momenti storici. Basterebbe ricordare che le crociate cristiane
si sono ripetute a più ondate dal 1099 al 1272. Ovvero, l’Islam armato
segue di quasi mille anni quanto avvenuto in altri tempi sempre su
istigazione religiosa. Lo stesso dicasi dell’interpretazione letterale
dei testi sacri. Se si adottasse l’approccio letterale sul Vecchio
Testamento si arriverebbe probabilmente agli stessi risultati dei
salafiti.
In assenza di ideologie alternative – il comunismo era appannaggio dei
cristiani, mentre il socialismo arabo del partito Baath serviva a
mantenere il potere autocratico – il Medio Oriente non è riuscito ad
affrancarsi dall'Islam. Non deve quindi meravigliare che ogni lotta di
classe o di espansione territoriale avviene oggi nel nome di Allah e a
seconda dell'abbisogno interpretativo del momento.
Oggi i maggiori ispiratori del salafismo armato sono l'algerino Djamel
Beghal, ospite assiduo delle prigioni francesi e affiliato al Takfir
wal Hijra, il defunto siriano Abu Khalid al Suri – nome di battaglia di
Mohammed Baahaiah – uomo di vertice dell'Ahrar al Sham morto nel 2014
ad Aleppo, il giordano Abu Mohammed al Tahawi, alias Abdul Qadir
Shahada, il siriano Abu Musab al Suri, aka Mustafa bin Abdelqadir
Setmarian Nasser, teorico del jihad e scrittore. E' gente che ha
soppiantato i pensatori tradizionali e fornito alibi agli estremisti.
E' certo che ne sentiremo ancora parlare.