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IL FATTORE ISLAM NELLE VICENDE DEL CENTRAFRICA


central african republic map

Vendette, stupri, violenze, episodi di banditismo, estorsioni, spedizioni punitive, arresti di massa, ricatti, omicidi in assoluta impunita', saccheggi e razzie anche nel vicino Camerun. Tutto questo e' oggi il conflitto nella Repubblica Centroafricana, dove e' anche ricomparso il dramma dei bambini soldato. Non esistono dati sulle vittime di questa specie di guerra civile fra il governo centrale ed alcuni gruppi ribelli. Gli sfollati - almeno quelli ufficiali sanciti dalle organizzazioni internazionali - sono oltre 500.000 su una popolazione che non raggiunge i 5 milioni di abitanti. Ad oggi sono invece 60.000 i rifugiati che stazionano nei Paesi confinanti. Un dramma umano e sociale che non ha limiti e che, come spesso avviene con i conflitti africani, non colpisce come dovrebbe l'opinione pubblica internazionale.

Tutto comincia nel Marzo 2013 quando la ribellione Seleka (un nome che nel dialetto Bantu locale, il Sango, significa "alleanza") prende il controllo di tutto il Paese a seguito dell'estromissione, manu militari, del dittatore del momento, il presidente François Bozize'. La campagna militare che ha portato i ribelli fin nella capitale Bangui e' cominciata il 10 dicembre 2012. Partendo dal nord del Paese, i miliziani hanno installato al potere Michel Djotodia, insediatosi come Presidente ad interim o meglio, come lui stesso ha voluto auto-definirsi, "Capo di Stato transitorio". La Costituzione e' stata sospesa e le milizie Seleka andavano dissolte, ma cio' non e' avvenuto.

Nella Repubblica Centroafricana i motivi per un sovvertimento sociale non mancano mai. E' troppo lunga la storia di dittatori che si sono alternati alla guida del Paese fin dall'indipendenza ottenuta dalla Francia nel 1960: David Dacko, rimpiazzato dal celebre cugino - famoso per i crimini e le efferatezze, oltre che per lo smisurato narcisismo - l'auto-proclamato Imperatore Jean Bede'l Bokassa, seguito ancora da Dacko, Ange-Felix Patasse' (sostenuto da Gheddafi) infine scalzato da François Bozize' nel 2003. Bozize' del resto aveva gia' tentato un golpe nel 1982, un fallimento che aveva tutta l'aria di una prova generale.

Tuttavia, cio' che ha spinto i ribelli di Seleka a prendere il potere non e' stata certo la sete di giustizia sociale o la voglia di democrazia. Il golpe e' stato l'ennesimo sovvertimento causato dal fisiologico ricambio fra una dittatura e l'altra. Questa volta pero' - ed e' quello che piu' preoccupa - c'e' di mezzo una connotazione religiosa che nei trascorsi colpi di Stato non c'era. Il presidente ad interim Djotodia e' infatti un musulmano del nord del Paese.

All'interno delle milizie del Seleka c'e' un po' di tutto: popolazioni del Darfur, molti ciadiani e sudanesi, probabilmente pescati fra i profughi che da decenni sono ospitati sul territorio della RCA. Una sorta di brigata internazionale ove molti combattenti non parlano nemmeno la lingua nazionale della Repubblica Centroafricana, il Sango.

L'unico comune denominatore fra i Seleka e' la religione: i combattenti sono a maggioranza musulmana in un Paese dove questi normalmente costituiscono una minoranza (circa il 15% della popolazione, contro il 50/60% di cristiani). In un Paese dove le tradizioni religiose locali ed il sincretismo africano non avevano sinora mai generato conflitti di carattere religioso, i Seleka hanno avuto il demerito di innescare un conflitto inter-confessionale. Partiti dal nord in 3/4000, al loro arrivo a Bangui i ribelli erano diventati 25mila. Una dimostrazione del sostegno della popolazione alla loro causa? Non necessariamente, perche' le rivoluzioni in Africa hanno sempre risvolti economici positivi per i vincitori del momento e, soprattutto, forniscono opportunita' di razzie, saccheggi e stupri.

La matrice "internazionale" di queste milizie e il loro iniziale dislocamento nel nord del Paese rendono attendibile l'ipotesi che dietro alla rivolta vi sia la mano del Presidente del Ciad, Idriss De'by. Anch'egli dittatore di lungo corso, De'by ha avuto un ruolo di primo piano nelle vicende centroafricane fin dal suo golpe nel 1990. Non e' infatti un caso che la rivolta dei Seleka abbia avuto inizio a seguito del deterioramento dei rapporti fra De'by e Bozize', la cui presa del potere era stata sponsorizzata dall'omologo ciadiano.

Alla fine del 2012 la guardia presidenziale di François Bozize', formata da pretoriani ciadiani, era stata ritirata ed alcuni membri dell'opposizione al regime di Bangui imprigionati a N'Djamena erano stati liberati. Improvvisamente i ribelli sono spuntati dal nulla con un'abbondante disponibilita' di armi e soldi che gli hanno permesso di conquistare il Paese nel giro di pochi mesi, facendo della Repubblica Centroafricana il ricettacolo delle tensioni che avvolgono i Paesi confinanti come Ciad, Sudan e la Repubblica Democratica del Congo.


francois bozize
Francois Bozize'

L'interventismo francese

La storia della Repubblica Centroafricana non ha purtroppo niente di diverso dalle cronache di soprusi, dittature, violazione dei diritti umani, interferenze e neo-colonialismo di cui e' piena l'Africa. Una storia nella "norma" che non offre all'opinione pubblica internazionale spunti di interesse che portino ad un coinvolgimento volto a risolvere la crisi e ad evitare le nubi che incombono, come il ventilato rischio di genocidio di matrice religiosa.

In assenza di un interessamento internazionale, a riempire il vuoto e' la ex potenza coloniale, la Francia. I timidi tentativi dell'Onu e l'intervento di un contingente africano - al solito scarsamente incisivo - hanno offerto a Parigi la possibilita' di inviare delle proprie truppe sul terreno. La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2121 dell'Ottobre 2013 ha dato la copertura giuridica all'intervento francese volto non alla restaurazione della democrazia - che non c'era e non vi e' mai stata - ma alla riaffermazione del ruolo di tutela che Parigi intende continuare ad esercitare sui suoi ex possedimenti coloniali (vedi il caso del Mali ad esempio). Sullo sfondo interessi strategici ed economici che hanno portato la Francia prima a schierarsi a fianco dei ribelli Seleka per defenestrare il presidente Bozize' (fa sempre comodo salire sul carro del vincitore), salvo poi ricredersi all'indomani delle prime avvisaglie di pulizia etnico-religiosa e costringendo il presidente ad interim Michel Djotodia alle dimissioni ed all'esilio il 10 Gennaio 2014.

L'operazione "Sangaris", come e' stato ribattezzato l'intervento francese a Bangui, e' anche frutto di quell'attivismo militare che anima da sempre la politica estera francese in Africa. Negli ultimi due anni Parigi ha inviato truppe in Mali (operazione "Serval" nel febbraio 2013), Costa D'Avorio (ormai da un decennio) ed e' stata la nazione che piu' di altre ha favorito l'intervento militare internazionale contro Muammar Gheddafi. Nella RCA vi sono poi materie prime (oro, uranio, diamanti), appalti da vincere con condizioni di favore e una presenza militare fissa in un Paese geograficamente strategico.

La politica degli interessi ha dovuto pero' tenere conto degli abusi commessi sul terreno, da quelli di Bozize' a quelli dei Seleka, ed il rischio di dover ancora una volta utilizzare - a torto o a ragione - "the G word" tanto temuto da Bill Clinton ai tempi del Ruanda: genocidio. Nella RCA sono state attaccate chiese cristiane e moschee. Il 5 dicembre 2013, ad esempio, sono stati contati almeno 105 morti nell'assalto di una moschea nel centro di Bangui in quella spirale di vendette incrociate innescatasi fra cristiani e musulmani.

Da una parte i cosiddetti "gruppi di autodifesa", composti da cristiani e chiamati anche "anti-balaka", ovvero "anti-machete" con richiamo alle armi usate dalla controparte musulmana dei Seleka. Se oggi i francesi stanno disarmando i Seleka, il rischio e' che l'ennesimo cambiamento nei rapporti di forza fra i due contendenti porti ad una caccia al musulmano. Anche in questo caso sarebbe interessante capire come questi gruppi di "anti-balaka" abbiano improvvisamente ricevuto armi ed acquisito capacita' militari. Un altro sintomo che sulla pelle di questo Paese si giocano interessi piu' grandi.

L'evoluzione dell'Islam

La storia della Repubblica Centroafricana e' legata al nome di un prete cristiano, Barthe'lemy Boganda, che riusci' a coagulare in modo pacifico le istanze della popolazione ed ad ottenere la sua indipendenza nel 1960. Non riusci' a diventare il primo Presidente del Paese perche' mori' in un incidente aereo di cui non si scoprirono mai le cause.

Nella Repubblica Centroafricana l'Islam non ha mai svolto alcun ruolo politico, ne' tantomeno e' stato mai fonte di conflitti a sfondo religioso. Le minoranze musulmane presenti sono un fenomeno esogeno legato alle migrazioni di tribu' islamizzate provenienti dalle aree limitrofe.

Nell'articolata composizione etnica della RCA le tribu' Bantu, circa 80 in tutto il Paese, sono largamente dominanti: i Baya nel sud-ovest (32% della popolazione), i Mandja (21%) nel centro ovest, i Banda (27%) nel centro-est scappati dalle persecuzioni musulmane nel Darfur, gli Azande a est provenienti dal Congo e dal Sudan, i Sara (10%) originari del Ciad e i Sango distribuiti lungo le rive dell'Ubangui. Quasi tutti questi gruppi sono a maggioranza cristiana e/o animista. Sono le minoranze Fulbe e Bororo (o Mbarara) nel nord e nord-ovest ad aver portato l'Islam nella Repubblica Centroafricana assieme alle popolazioni Hausa predominanti in molti Paesi dell'Africa Occidentale.

L'Islam nella RCA ha sempre avuto un seguito limitato anche perche' associato localmente con il traffico degli schiavi, fiorente soprattutto nelle mani degli arabi. Nemmeno l'ingerenza della Libia ai tempi della presidenza di Patasse' e' stata sufficiente a ribaltare questo trend religioso. Tuttavia, benche' numericamente minoritari, i musulmani Centroafricani - sopratutto le tribu' nomadi e pastoraliste dei Bororo - sono considerati economicamente ricchi. Tutto cio' ha alimentato, nel corso degli anni, risentimenti latenti nelle altre etnie e, talvolta, tensioni sociali.

Negli anni passati alcune province del nord erano state il teatro di attacchi contro il clero cristiano. Ma erano stati episodi isolati. Adesso pero' tra le fila dei Seleka vi sono molti Bororo, che hanno covato un senso di rivalsa nei confronti del Presidente François Bozize' non per motivazioni religiose, ma per l'instabilita' nelle regioni dove loro, da sempre nomadi e pastori, non si sentivano piu' protetti.


ange felix patasse'
Ange-Felix Patasse'

Il fattore etnico e il pericolo del genocidio

Dietro al fattore religioso incombe anche l'elemento tribale. La lotta tra Ange-Felix Patasse' e François Bozize' non e' mai stata di origine religiosa - entrambi sono cristiani - ma tribale. Il primo e' un Baya, mentre Bozize' appartiene all'etnia minoritaria degli Yakoma. Fortemente presenti nei ranghi delle FF.AA., gli Yakoma hanno subito persecuzioni a seguito della cacciata di Bozize' da Capo di Stato Maggiore nel 2001. Furono trovate delle fosse comuni e la notizia diffusa da una stazione radio cattolica, "Radio Notre Dame", procuro' l'arresto del direttore dell'emittente, che era un sacerdote.

Nel caso di Michel Djotodia abbiamo invece a che fare con un Gula, una popolazione del nord di prevalente fede musulmana, cosi' come e' forte la caratterizzazione islamica dei Seleka. Il rischio e' che nonostante le dimissioni del presidente ad interim, i rapporti tra le due comunita' rischino di cambiare irrimediabilmente. Gia' il fatto stesso che ci si combatta su opposti fronti nelle strade del Paese e' sintomo di una situazione che puo' degenerare. E soprattutto sorge lecito oggi il parallelismo con quella lotta tra cristiani e musulmani che i Boko Haram (alias Jamaat Ahi al Sunna li Da' wat al Jihad) stanno conducendo da tempo in un Paese vicino, la Nigeria.