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IL TERRORISMO ISLAMICO ED IL CASO ITALIANO


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La domanda che si pongono molti analisti ed esperti del terrorismo islamico è la seguente: perché gli attentati che si sono sinora verificati in Europa hanno colpito quasi tutti i Paesi del continente con l'esclusione dell'Italia? Perché dall'attacco alle torri gemelli nel 2001 ad oggi non si è verificato alcun attentato in questo paese?

La domanda è pertinente perché almeno sulla carta l'Italia è un paese a rischio di terrorismo più di tante altre nazioni: è più vicino geograficamente ad aree destabilizzate dove il terrorismo è presente, è paese di arrivo e transito di clandestini provenienti dall'Africa e Medio Oriente, è la sede del papato (quindi un obiettivo fortemente simbolico per chi si dedica ad alimentare un terrorismo dai connotati religiosi) ed ha confini e coste così estesi da renderne difficile il controllo. Inoltre, il Paese è presente in molte aree mediorientali per compiti addestrativi o di cooperazione militare ed ha partecipato con un proprio contingente alle guerre del Golfo e all'estromissione di Gheddafi in Libia.

La comunità musulmana

In Italia vivono circa 2,5 milioni di musulmani che rappresentano il 4% dell'intera popolazione. E' una stima al ribasso, perché basata sui dati ufficiali e non tiene conto di tutti quei clandestini - molti di religione islamica - che girano per il paese senza una registrazione ufficiale.

Di questi 2,5 milioni, circa 1 milione sono cittadini italiani a tutti gli effetti che hanno acquisito la nazionalità attraverso le normali procedure di naturalizzazione. Quindi gente regolare ampiamente inserita nel contesto sociale. In questa casistica rientrano anche i convertiti, che sono circa 100.000, cioè persone autoctone che hanno cambiato fede.

Il rimanente 1,5 milione di musulmani che vivono in Italia sono invece cittadini stranieri. Tra questi , considerando le nazionalità a più alto rischio di contagio terroristico: 400.000 sono marocchini, circa 100.000 egiziani e 110.000 tunisini. Comunque, anche qui si tratta di persone con regolare permesso di soggiorno. Essendo una immigrazione di carattere economico si concentrano in aree del paese, come Lombardia e Veneto, dove le opportunità lavorative sono più alte.

Comunque - ed è questo l'aspetto più pericoloso ai fini della sicurezza - si stima che almeno altri 4/500.000 musulmani, in posizione irregolare, vivano nel Paese.

Va notato che la presenza islamica in Italia è meno rilevante che in altri Paesi europei:

- in Francia sono 4,5 milioni (circa 8% della popolazione), di cui 1,5 milioni provenienti dall'Algeria, 1 milione provenienti dal Marocco e 350.000 dalla Tunisia (i convertiti sono anche qui 100.000). Si stima che i clandestini siano circa 400.000

- in Belgio i musulmani oscillano tra 7/900.000 individui di cui oltre 270.000 di origine marocchina. Complessivamente, rappresentano il 7% dell'intera popolazione

- in Germania sono circa il 6%, in Gran Bretagna il 6,3%. A seguire Olanda (7,1%) , Austria (6.9%), Danimarca (5,4%) , Grecia (5,7%).
Solo la Spagna (2,6%) e il Portogallo (0,4%) ha percentuali più basse mentre a Cipro, data la sua posizione geografica, i musulmani raggiungono circa un quarto della popolazione.

Complessivamente, i musulmani che vivono nell'Unione Europea sono circa 19 milioni, rappresentando il 4% dell'intera popolazione.



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La situazione sociale

I numeri però non aiutano completamente ad evidenziare il fenomeno terroristico, perché non esiste, almeno apparentemente, una correlazione diretta tra popolazione musulmana e combattenti islamici. Anche perché il computo deve essere fatto non su fattori numerici, ma soprattutto sociologici.

Intanto un fatto oggettivo; in Italia non esistono ghetti dove la popolazione musulmana vive relegata e quindi si auto-emargina dal contesto sociale del Paese in cui vive. Stessa cosa non si può dire di Francia, Belgio, Gran Bretagna. E non è un caso che questo senso di isolamento, di emarginazione sociale, porti l'individuo ad identificarsi in quegli elementi oggettivi che lo contraddistinguono dal contesto sociale in cui vive, cioè la religione. Quindi il fattore religioso diventa elemento di contrapposizione con quel mondo che circonda il ghetto, produce frustrazione e odio. ed è lì che nasce quella spirale che porta l'individuo a radicalizzarsi. E lì, nella cultura del diverso cresce e si nasconde il terrorista. Un discorso che vale soprattutto per i giovani di seconda generazione.

In Italia ci sono - almeno ufficialmente - circa 1200 moschee di cui una dozzina propriamente dette, mentre la stragrande maggioranza sono luoghi di culto fatiscenti (garage, capannoni ,magazzini, scantinati). Essendo questi i luoghi di aggregazione dove inizia l'indottrinamento, il Ministero dell'Interno ha sottoscritto un patto con le maggiori associazioni islamiche per cooperare nel controllo delle moschee.

Quindi, nel loro complesso, c'è in Italia un dialogo tra la comunità islamica locale e le istituzioni governative. Si cerca il dialogo, si cerca l'integrazione, si creano le condizioni per prevenire l'insorgere del contagio del radicalismo islamico.

I volontari islamici italiani

In Italia sono stati identificati 125 casi di cittadini italiani e/o stranieri partenti dall'Italia che si sono recati in Medio Oriente per combattere al fianco degli estremisti islamici.

Se si tiene conto che i volontari islamici sono stati circa 42.000, provenienti da 120 nazioni e che in Europa sarebbero stati circa 5.000 (17% donne) - di cui 8/900 dall'Inghilterra, oltre 1.700 dalla Francia, circa 950 dalla Germania, 500 dal Belgio e 300 dalla Svezia e dall'Austria - anche qui emerge che lo specifico fenomeno, per quanto riguarda l'Italia, è alquanto limitato (ed è un valore da correlare sia al complesso degli islamici residenti nel Paese sia al dato complessivo della popolazione).

Le statistiche dicono che il 30% di queste persone sono ritenute morte nei combattimenti e un altro 30% farà rientro nei Paesi di provenienza.

Ma torniamo al caso italiano: dei 125, 37 sono morti nei combattimenti, 22 sono rientrati in Europa e tra questi 10 in Italia. Il resto è rimasto in loco o si è spostato su altri teatri di guerra. Le donne sono 10 di cui la maggioranza tra i 18 e i 30 anni di età. Nel complesso, un mix di prima e seconda generazione. Come dato riferito alla residenza, la maggioranza vive/viveva in piccoli centri e non in aree metropolitane. Altro dato che emerge è che molti hanno precedenti penali o sono afflitti da malattie mentali.

Nella consapevolezza che il terrorismo islamico può colpire comunque e dovunque e che è quindi quasi impossibile ritenerlo debellato o estirpato; che questo è un fenomeno che ha radici in molti Paesi e che segue logiche di stragismo senza limitazioni di sorta. Tutto considerato, l'Italia è sinora riuscita a far sì che il proprio territorio sia stato risparmiato da atti terroristici.

Sicuramente la fortuna può avere il suo peso ma non è un parametro di successo.

Intanto bisogna dire che le forze di sicurezza italiane sono arrivate all’appuntamento con il terrorismo islamico forti di importanti esperienze pregresse. Terrorismo di sinistra e di destra, lotta alla mafia ed alla criminalità organizzata. Avendo lottato per debellare questi fenomeni, ha potuto poi utilizzare il know-how acquisito nella specifica guerra. Soprattutto le esperienze maturate contro mafia, camorra e 'ndrangheta hanno affinato l'utilizzo di strumenti elettronici, ascolti telefonici, monitoraggio delle carceri, video sorveglianze, pedinamenti, utilizzo delle fonti, degli infiltrati, delle operazioni sotto copertura, degli studi sociologici e degli approcci psicologici. Tutta una serie di competenze trasbordate adesso nella lotta al terrorismo.

Una peculiarità tutta italiana è che sulla lotta al terrorismo operano diverse strutture: polizia, carabinieri, AISI, AISE e Guardia di Finanza. Potrebbe sembrare apparentemente un dispendio inutile di risorse ma nel caso specifico vi è invece una sinergia di intenti. Con una legge del 2015 la pre-esistente Direzione Nazionale Antimafia è diventata competente anche per la trattazione di procedimenti in materia di terrorismo. Quindi, se ci può essere sul terreno un accavallamento di strutture operative, il coordinamento delle stesse rimane accentrato nelle mani di un organo che assomma esperienze antimafia con esperienze antiterrorismo.

Un’altra specificità italiana è quella della espulsione di cittadini stranieri per motivi di sicurezza nazionale. Qualora esistano fondati sospetti su un individuo e nel suo coinvolgimento in attività contigua al terrorismo, l’individuo viene rimandato nel paese di origine. Si tratta del procedimento di espulsione amministrativa.


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La moschea di Roma è la più grande al di fuori dal mondo musulmano, la Russia e l'India


Con una legge del 2015 sono stati ampliati i casi di reato nel campo del terrorismo rispetto ad una analoga legge del 2005 e, di conseguenza, si è ampliato lo spettro di casi in cui può essere applicata l’espulsione amministrativa. L’ampio utilizzo di questo sistema dal 2015 ad oggi ha consentito di prevenire e reprimere ogni latente minaccia di terrorismo prima ancora che potesse diventare motivo di procedimento penale. A parte l’effetto deterrente (il potenziale terrorista che rientra nel Paese di origine incorre nella maggioranza dei casi in un trattamento meno rispettoso delle proprie garanzie e diritti), si ottiene nel contempo che non venga alimentato quel fenomeno di radicalizzazione che sembra abbia spesso spazio nei luoghi di detenzione.

Un’altra iniziativa che deve ancora avere una dovuta applicazione è quella di creare un Islam di matrice italiana, cioè istruzione di imam con l’assistenza di scuole coraniche moderate, sermoni in italiano, un dialogo più ampio tra istituzioni islamiche nazionali ed autorità governative, una maggiore integrazione sociale tra le due comunità, un canale preferenziale tra esponenti islamici locali ed il Vaticano. Quindi una maggiore collaborazione che, oltre ad avere ricadute sociali e favorire l’integrazione, coinvolga anche aspetti afferenti la sicurezza, perché è interesse reciproco che non si dia spazio al radicalismo islamico.

La recente nomina di un parlamentare italiano di fede islamica quale Direttore del Centro Culturale Islamico della moschea di Roma va in questa direzione. Dando spazio ad un Islam di matrice nazionale si marginalizza il ruolo di due fonti di proiezione dell’Islam radicale nel mondo: i Fratelli Musulmani e il wahabismo saudita. E non è casuale che la nomina alla moschea di Roma abbia estromesso l’ambasciatore saudita ed abbia premiato invece un italiano di origine marocchina e quindi legato alla scuola giuridica malikita che è moderata.

Se, nel loro complesso, tutte queste iniziative possono aver marginalizzato la diffusione del radicalismo islamico in Italia, il cosiddetto “rischio zero” nel campo della lotta al terrorismo non esiste. Si può fare prevenzione, si può fare repressione, attuare tutti i possibili accorgimenti nel campo della sicurezza, ma un terrorismo che persegue come obiettivo lo stragismo può colpire ovunque e dovunque.

Nel 2017 ci sono stati attentati a Barcellona, Parigi, Londra, Manchester, Stoccolma, Copenaghen e San Pietroburgo. In tutto vi sono morte una settantina di persone. Gente che è morta senza sapere perché. Morti inutili. L’Italia è sinora riuscita ad essere esclusa da questa casistica ed è forse il risultato di un approccio giusto ad un fenomeno sociale negativo che colpisce l’Europa.

L’ultimo attentato in Italia, che causò 23 morti, risale al 27 dicembre del 1985 e fu perpetrato da un gruppo di terroristi di Abu Nidal.

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