ISRAELE . NUOVO
OBIETTIVO DELL'ISIS?

Nel marasma del Medio Oriente sono in atto guerre civili, restaurazione di regimi militari, lotte religiose tra sciiti e sunniti, problemi egemonici tra Arabia Saudita e Iran, una rinascita dell’influenza russa nella regione, una dissociazione politica e militare degli Stati Uniti. Tutte queste circostanze hanno rotto equilibri, fatto saltare amicizie e accordi, reso instabili alleanze ed alla fine reso possibili anche delle assonanze tra stati, politicamente innaturali.
Alla fine hanno fatto premio l’interesse diretto di uno Stato, le sue convenienze. La politica e la diplomazia hanno ceduto il ruolo al pragmatismo. Sono saltate barriere e schieramenti ed ogni nazione ha cercato di trarre da questo caos sociale un proprio beneficio.
Nella lotta contro l’ISIS, Israele ha tenuto sinora un profilo molto basso, nell’idea che questo movimento islamico non costituisse al momento un pericolo diretto ma tutto sommato fosse utile nella misura in cui indeboliva vari stati arabi ostili o varie organizzazioni molto più pericolose per Gerusalemme come gli Hezbollah.
Secondo valutazioni dell’esercito israeliano, l’impegno militare degli Hezbollah sarebbe costato circa 1500 morti ed il triplo di feriti, una circostanza che ovviamente fa piacere alle autorità di Gerusalemme. Ma come tutte in le cose positive ci sono anche quelle negative perché se Assad rimane al potere, le benemerenze acquisite permetteranno al Partito di Dio di godere dell’appoggio siriano ed ovviamente mantenere anche un collegamento diretto con l’Iran, che è alla fine il maggior sponsor militare del movimento sciita libanese. E l’esperienza di guerra acquisita dalle milizie sciite potrebbe domani rendere più pericoloso il ruolo militare di queste nel confronto con Israele.
Un osservatore distante
Comunque Israele sinora non si è mai mischiato nelle vicende siriane monitorando gli eventi ed intervenendo saltuariamente con raid aerei su obiettivi Hezbollah o dando assistenza sanitaria (ed anche militare come dal pubblicizzato sequestro di un carico di armi israeliane reso pubblico dall'esercito di Assad) ad alcune fazioni di ribelli. Anche perché ogni assetto futuro della Siria senza Assad rappresenta comunque per Israele un rischio forse maggiore.
Alla fine l’interesse primario israeliano è oggi soprattutto quello di risolvere il problema dell’intifada nei territori occupati, intervenire all’occorrenza contro Hamas in Gaza ed una volta risolti i problemi in casa propria posizionarsi nelle vicende regional. Le efferatezze che giornalmente emergono nei comportamenti delle milizie dell’ISIS distolgono peraltro l’attenzione internazionale sulle misure repressive che le autorità israeliani applicano contro i palestinesi o sull’allargamento delle colonie israeliane nei territori occupati. Il noto problema palestinese, una volta elemento centrale delle vicende regionali, è ora accantonato a causa di problematiche maggiori. Non vi sono trattative che ovviamente Israele non vuole, non ci sono concessioni, non c’è neanche quella pressione internazionale che potrebbe costringere Israele a delle concessioni. Ed è anche chiaro che non appoggiando la causa palestinese gli attriti tra ISIS e Israele sono rimasti circoscritti. Comunque è convinzione israeliana che l’ISIS prima o poi verrà eliminato ma che invece la questione palestinese durerà nel tempo.
Per essere più precisi non è solo stato
Israele a defilarsi nei riguardi delle milizie islamiche
ma anche l’Isis da parte sua ha accantonato, almeno
sinora, il problema palestinese in quanto, nell’idea del
Califfo, le rivendicazioni palestinesi sono considerate di
natura territoriale mentre al Baghdadi persegue una
espansione globale dove confini e Stati non dovrebbero più
trovare spazio nella regione. I primi combattono a nome di
un popolo, i secondi a nome dei musulmani. Poi vi è anche
il fatto che Hamas gode di legami stretti con gli
Hezbollah e quest’ultimi sono tra i maggiori avversari
militari dell’ISIS mentre sul fronte opposto l’Autorità
nazionale Palestinese e l’OLP sono organizzazioni laiche.
Quindi perché sollevare la bandiera della
causa palestinese per appoggiare un popolo che ha
caratteristiche non confacenti con i parametri religiosi
dell’ISIS? E non è un caso che nel luglio del 2015 in un
video l’ISIS minacciava di sradicare Hamas da Gaza. E
sempre nella Striscia, lo scorso anno, si sono verificati
una dozzina di attacchi e scontri in Gaza tra militanti di
Hamas e simpatizzanti dell’ISIS. Tutto questo nonostante
il Ministro dell’intelligence israeliano Katz avesse
dichiarato che era in atto una cooperazione tra Hamas e
ISIS contro Israele. Ma a parte la retorica di una vaga
accusa è molto più probabile nei fatti che Israele e ISIS
siano entrambi accomunati da un odio verso Hamas.
Poi nel caos del Medio Oriente c’è anche la possibilità da
parte di Israele di stringere pseudo-alleanze “segrete”
come quelle con l’Arabia Saudita ed altri Paesi del Golfo
(contatti segreti si sono già verificati tra le parti)
allo scopo di fronteggiare il pericolo iraniano.
E’ infatti la storia del nucleare iraniano che ha
avvicinato gli interessi dei paesi sunniti con quelli di
Israele. Ed è anche questa faccenda, dopo la firma di un
accordo internazionale, che ha reso difficili i rapporti
tra Netanyahu ed il Presidente americano Obama. Sotto
questo aspetto, nell’approssimarsi di un cambio alla Casa
Bianca, il tempo gioca a favore di un ruolo meno visibile
di Israele nelle vicende regionali, in attesa di tempi
politicamente migliori.

Rilievi della polizia turca dopo la bomba del 19 Marzo a Istanbul
Monta la tensione
Questo gioco a recitare un ruolo minimale è andato
bene sinora ma sembra che le cose stiano cambiando. Il 19
marzo infatti, in Istanbul, un simpatizzante dell’ISIS si
è fatto esplodere in mezzo ad un gruppo di turisti
uccidendo 3 israeliani e ferendone 11. Poi sono circolate
notizie di un possibile attacco dell’ISIS contro le scuole
ebraiche della Turchia ed il governo israeliano è stato
costretto ad innalzare il livello di allerta e a invitare
i propri concittadini a lasciare la Turchia. Nei mesi
precedenti c’erano stati già dei segnali di allarme: in
ottobre 2015, a cavallo delle rivolte palestinesi, per la
prima volta era stato trasmesso dall’ISIS un video in
ebraico in cui annunciava l’eliminazione di ogni ebreo in
Gerusalemme. Ed in dicembre, con un audio registrato e
diffuso dalla propaganda dell’ISIS, Al Baghdadi aveva
minacciato Israele di un attacco da parte dei suoi
miliziani nel prossimo futuro. Nelle ultime settimane è
poi comparso un nuovo video di Ayman Zawahiri che invitava
i miliziani salafiti a combattere uniti contro Israele a
cui poi ha fatto seguito una analoga dichiarazione del
figlio di Osama bin Laden, Hamza.
Ma quel che preoccupa Israele è che in un arco di due
giorni (7/8 maggio) sono stati inviati simultaneamente una
decina di messaggi di minacce contro lo Stato ebraico da
vari parti dove opera l'ISIS (Siria, Iraq, Sinai, Libia )
dando l'idea di una strategia pianificata e motivata. Non
è al momento chiaro se a fronte delle difficoltà che
stanno incontrando le milizie del Califfo, si stia
cercando di motivare i combattenti salafiti con una
tematica di sicuro impatto emotivo (anche se l'interesse
tende più alla "liberazione" di Gerusalemme, che non al
supporto delle rivendicazioni palestinesi) oppure possa
trattarsi di un cambio di strategia ed obiettivi.
Il pericolo dell’ISIS non è stato comunque mai sottovalutato da Israele. Fronte siriano a parte, si rileva la presenza dei miliziani islamici anche nel Sinai, quelli del “Beit al Maqdess”, che ufficialmente sono affiliati all’ISIS. Il 3 luglio del 2015, 3 missili Grad erano stati sparati dal Sinai verso il territorio israeliano costringendo il governo a chiudere i confini con l’Egitto. Quindi abbiamo una potenziale minaccia a nord (confine con la Siria) e un’altra a sud (Sinai, confine con l’Egitto) del Paese. Nell’agosto del 2012 un gruppo del Beit al Maqdess aveva attraversato il confine tra Egitto e Israele ed era entrato con un mezzo militare in territorio israeliano prima di essere distrutto da un missile lanciato da un aereo.
Una nuova Brigata
Per fronteggiare questo pericolo Israele ha
nei mesi scorsi formato una nuova Brigata commando dove
sono poi confluiti varie forze speciali dell’esercito
israeliano dedicate ad una guerra terrestre non
convenzionale. Si tratta dell’assemblaggio sotto un unico
comando di unità specializzate in operazioni clandestine
in territorio nemico (come la “Duvdevan”), quelle
abilitate a interferire nei sistemi nemici raccogliendo
dati e trasmettendoli in tempo reale (la “Maglan” o “Unità
212”), quelle specializzate in contro-guerriglia (la
“Egoz”) e quelle abilitate in attività di ricognizione
(come la “Rimon”). Nella pratica una unità di élite pronta
ad entrare in combattimento fuori dei confini nazionali
con modalità di ingaggio non convenzionale. Ed inoltre è
stato approntato un nuovo centro di comando e controllo
segreto dal quale si possono monitorare i confini e le
vicende nei paesi limitrofi con capacità di intervento su
diversi obiettivi contemporaneamente.

La classifica dei pericoli per Israele
Bisogna però sottolineare che nella valutazione dei pericoli che affronta lo stato ebraico, al primo posto viene l’Iran (che ultimamente ha testato un missile balistico con raggio d'azione di 2000 km), al secondo il conflitto con i palestinesi e solo al terzo posto troviamo la minaccia dell’ISIS. Anche dal punto di vista militare, l’ISIS non fa paura né potrebbe mai confrontarsi con successo contro l’esercito israeliano sia dal punto di vista numerico che qualitativo. Non ha armamenti adeguati, non ha aviazione ed adesso sta incontrando crescenti difficoltà sia in Siria che in Iraq.
il maggior obiettivo militare dell’ISIS nel Sinai è l’esercito egiziano mentre in Siria il califfato combatte contro russi, siriani e i loro alleati. In entrambi i teatri di guerra, un confronto diretto tra le milizie islamiche e l’esercito israeliano appare improbabile al momento (e questo a prescindere dalla retorica di un video o di comunicato audio). Sul terzo fronte, quello giordano, è la stessa monarchia hashemita ad essere una dei maggiori nemici del califfato.
Certo, come è capitato in Europa ed in Turchia, l’unico pericolo che Israele corre è quello dell’attentato terroristico contro propri concittadini o istituzioni in altri paesi, come peraltro è successo ad Istanbul. Questo tipo di minaccia è difficile da contrastare e peraltro chi eventualmente è abilitato a contrastarla è il Paese dove si verifica il fatto. Nella collaborazione internazionale contro il terrorismo Israele è sempre presente anche se le sue competenze o conoscenze sull’ISIS risultano inferiori rispetto ad altri tipi di terrorismo.
In Israele lo Shin Bet è vigile all’interno della comunità araba e musulmana per monitorare eventuali infiltrazioni dell’ISIS e soprattutto per le simpatie o emulazioni che l’organizzazione potrebbe raccogliere. Ci sono stati due recenti episodi che in una certa misura hanno sollevato preoccupazione. Il 7 febbraio, ad Ashkelon, un individuo di nazionalità sudanese, poi ucciso, ha pugnalato un soldato in una stazione di autobus. All’interno del suo telefonino erano stati rinvenuti materiale di propaganda dell’ISIS. Era un personaggio comunque già ospite delle prigioni israeliani per reati violenti. A fine marzo due palestinesi di Gerusalemme est sono stati arrestati perché in procinto di organizzare un attentato terroristico con un autobomba. Dalle indagini è emerso che i due personaggi erano affiliati all’ISIS ed avevano anche tentato di raggiungere la Siria. Comunque, un'equazione che metta in relazione diretta i crescenti attentati in Israele con le decisioni o intenzioni dell'ISIS non trova ancora conferma.
Al momento si tratta di due episodi isolati
ma che comunque sono un campanello d’allarme . Non si è
ancora creata una sovrapposizione tra la protesta
palestinese e la lotta dell’ISIS ma comunque è stato
ampiamente dimostrato in altre parti del Medio Oriente che
l’ISIS esercita tuttora un certo fascino, soprattutto tra
i giovani musulmani. Un pericolo da non trascurare anche
per Israele, dove vivono circa 1,7 milioni di arabi che
complessivamente costituiscono il 20,7% dell’intera
popolazione.