L’ITALIA E LA
POLITICA DEI RESPINGIMENTI


Il 6 maggio 2009, ,ha avuto
luogo il primo respingimento dei clandestini intercettati n mare
in acque internazionali a sud di Lampedusa e poi riportati in Libia.
3 motovedette militari italiane, la mattina del 7 maggio, (due della Guardia costiera ed una della Finanza) arrivarono nel porto commerciale di Tripoli dove erano presenti anche rappresentanti dello Stato italiano, testimoni diretti (oltre ovviamente agli equipaggi ) – qualora ce ne fosse stato bisogno di conferme – della scarsa propensione libica a comportamenti rispettosi dei diritti umani ed umanitari. Altri testimoni : due giornalisti francesi che su autorizzazione del Comando generale della Guardia di Finanza stazionavano da circa 2 settimane su un natante italiano ( il “Bovienzio”) per un servizio giornalistico. Uno di questi era Fran�ois De Labarre di “Paris match”che descriver� in un articolo quello che ha visto ( pubblicato su “Migrante” del 15 giugno 2009)
Il ritorno in Libia e le violenze
Quel giorno , di fronte ad una iniziale resistenza dei clandestini a scendere a terra , una volta resesi conto di non essere sbarcati in un porto italiano ma di essere ritornati in Libia, il personale libico (militare e non) , procedeva subito all’uso della forza. In modo indiscriminato, in modo abusivo, con brutalit� eccessiva.
Uso di bastoni (usati anche remi di legno), fruste , percosse e calci , spintoni per fare scendere i clandestini e dirottarli su containers piazzati su camion utilizzati come celle temporanee. Da una parte le donne ( container pi� piccolo) , dall’altra gli uomini (containers pi� grande). 3 donne incinte lasciate per terra perch� sfinite e non in grado di camminare. Qualche clandestino disidratato e non in grado di muoversi anch’esso abbandonato sull’asfalto e poi di peso buttato dentro il container . Un film dell’orrore che era solo l’assaggio di quello che avrebbero dovuto affrontare i clandestini nei giorni e mesi successivi , questa volta per� senza testimoni e quindi nel completo arbitrio dei carcerieri.
Le motovedette italiane prestate alla Libia
Il 20 maggio 2009 arriveranno poi in Libia tre motovedette della Guardia di Finanza per le operazioni congiunte italo-libiche , di contrasto all’immigrazione clandestina (poi ormeggiate nel porto di Zuwarah) e quindi la prassi del respingimento diventer� un evento di routine.
La differenza sar� che i trasbordi tra navi militari italiane (qualora queste abbiano per prime intercettato i barconi) e quelle libiche avverranno prevalentemente in alto mare. Con l’accortezza di svolgere questa operazione sempre in acque internazionali (fossero esse di competenza S.A.R. – cio� responsabilit� di intervento – italiane , libiche o maltesi). Le 3 motovedette opereranno sotto comando libico , battenti bandiera libica , con a bordo comunque personale della Guardia di Finanza (erano arrivati in quei giorni a Tripoli 1 Ufficiale e 14 finanzieri) in posizione di “osservatore” e di assistenza logistica.
Dal maggio 2009 al dicembre dello stesso anno i respingimenti riguarderanno complessivamente oltre 1000 clandestini , quasi tutti riportati indietro dalle motovedette italo-libiche , a fronte di circa 1600 clandestini che , nonostante queste attivit� di repressione riusciranno ad arrivare a Lampedusa. Nel loro complesso , comunque l’inizio dei respingimenti aveva sicuramente posto un argine al flusso continuo di clandestini provenienti dalla Libia verso il nostro Paese. Ed era alla fine quello che interessava a governo italiano.

Silvio Berlusconi con Muhammar Gheddafi
Con l’arrivo delle motovedette si perfezioner� anche la tecnica del respingimento : ai natanti in pattugliamento arrivavano le segnalazioni circa la localizzazione dei barconi dei clandestini da parte italiana . La motovedetta italo-libica ed il suo personale adottavano una tattica elusiva: si avvicinavano al barcone senza bandiera libica sul pennone (il natante di per s� non creava sospetto essendo comunque di costruzione italiana), il contatto con il barcone lo gestivano i militari italiani mentre quelli libici(a cui venivano tolti gradi e uniformi militari) rimanevano silenziosi (cos� da far credere al clandestino che si trattava di una imbarcazione italiana) il trasbordo dal barcone alla motovedetta avveniva in modo singolo, ,prima tutte le donne che venivano fatte trasbordare e accomodate in coperta, poi toccava agli uomini: il clandestino veniva accompagnato all’interno della motovedetta e portato sul lato opposto della nave (quello non visibile dal barcone) e senza che i suoi compagni di viaggio se ne accorgessero veniva ammanettato ( in un caso un clandestino si era accorto dell’inganno e si era buttato in acqua ma poi era stato ripescato e ammanettato). Dopodich� , uno alla volta tutti gli uomini si trovavano trasbordati e ammanettati . Per le donne invece , dopo il trasbordo non venivano applicate manette o altro ma venivano chiuse sotto coperta. In questo modo la motovedetta faceva rientro a Zuwarah o Tripoli e l� avveniva la consegna dei clandestini alle autorit� libiche. Quando il clandestino si accorgeva di essere stato riportato in Libia , non era pi� in grado di reagire. Su quello che avveniva dopo lo sbarco, cadeva un silenzio colpevole( Bisogna per� dire che l’escamotage utilizzato dalla motovedetta per riportare i clandestini in Libia era anche dettato da ragioni di sicurezza perch� a fronte di un equipaggio di 14-15 uomini , con a bordo un carico di circa 80-100 clandestini il pericolo di una ribellione o ammutinamento sia durante il trasbordo, sia durante il rientro in Libia avrebbe potuto mettere in pericolo il controllo del natante e del suo equipaggio) .
La Corte Europea non ci sta.
.Per questa politica dei respingimenti l’Italia � stata ritenuta, il 23 febbraio 2012 , colpevole e condannata al risarcimento dei danni (15.000 euro a testa) a 24 clandestini (13 eritrei e 11 somali – di cui 2 morti successivamente - sui 210 clandestini che quel 7 maggio erano stati rimpatriati) che avevano ricorso alla Corte europea di Strasburgo con l’assistenza del C.I.R. (Consiglio Italiano Rifugiati ) dell’ex sindacalista Savino Pezzotta.
La condanna di Strasburgo si riferisce alla violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo per quanto riguarda i trattamenti inumani e degradanti, il rischio dei clandestini di essere rimpatriati e la prassi delle espulsioni collettive .

Libia: Misratah Detention Center
La linea difensiva italiana � stata quella di dichiarare che “la Libia era un posto sicuro e che Tripoli rispettava i propri impegni internazionali sull’accesso all’asilo”. I fatti accaduti quel 7 maggio , i vari testimoni istituzionali pi� o meno reticenti ( Ministero Difesa sicuramente informato tramite equipaggi Guardia costiera e Addetto Militare, Ministero dell’Interno tramite equipaggio Guardia di Finanza e propri rappresentanti a Tripoli, l’Ambasciata con il suo personale) non hanno potuto avvalorare questa teoria. Anche la reiterata dichiarazione (del Ministero dell’Interno e del suo Ministro pro-tempore) che nei respingimenti successivi fosse data possibilit� di poter fare domanda di asilo (ma guarda caso nessuno la faceva , e poi a chi? , in che modo? Come venivano accertate le nazionalit�? ma forse pochi si accorgevano di essere riportati in Libia) � non rispondente al vero (�).
Ci sono stati poi gli allarmi di Amnesty International , le segnalazioni dell’U.N.H.C.R. e Human Rights Watch , ma niente di tutto questo ha spinto l’Italia a richiedere alla controparte conto della sorte dei clandestini n� a migliorare il comportamento dei carcerieri o la qualit� della detenzione.
Dal 7 maggio 2009 in poi, ogni volta che avveniva un respingimento, dei clandestini sbarcati e riconsegnati alle autorit� libiche non sono mai arrivate informazioni n� – ed � l’aspetto pi� discutibile - sono state richieste.
Questa situazione si � protratta fino al 26 febbraio 2011 quando l’Italia , a seguito dell’inizio della guerra civile in Libia dichiarava annullati gli accordi bilaterali. Attualmente sono ripresi i contatti con la nuova dirigenza di quel Paese per poter ripristinare una cooperazione nello specifico settore. Funzionari del Ministero dell’Interno stazionano nuovamente a Tripoli . Sono in corso accertamenti per valutare i danni ai natanti a suo tempo dati alla Libia ( e quindi l’idea � quella di ripristinare la specifica cooperazione bilaterale) . Ma , almeno per il momento , il flusso di clandestini si � praticamente interrotto anche perch� la situazione � diventata pi� pericolosa per i clandestini sub-sahariani presenti in Libia nel paventato pericolo di essere confusi con i tanti mercenari di colore che hanno combattuto al fianco delle truppe di Gheddafi.
Le carceri libiche e ancora violenze.
Una volta riportati in Libia , i clandestini venivano internati in uno dei tanti Centri di identificazione ed espulsione che operavano nel Paese. Strutture sovraffollate ,promiscuit�, condizioni igieniche disastrose, nessuna assistenza medica, niente registrazione sistematica degli internati , nessun grado di giudizio o possibilit� di appello, quotidiani abusi (pestaggi , stupri, casi di pedofilia, torture). Si veniva internati dalla Polizia , arbitrariamente o discrezionalmente la Polizia poteva liberare.
Solo nel dicembre del 2009 era stato dato mandato ad alcuni giuristi libici di studiare una legge che potesse disciplinare la materia , configurando il reato di clandestinit�. La legge - che comunque non ha mai trovato il tempo di essere completata e/o approvata e/o resa operante – avrebbe dovuto prevedere un grado di giudizio sul clandestino da parte del magistrato che aveva in alternativa tre opzioni : comminare una pena detentiva ( ed il vantaggio era che cos� l’interessato poteva sapere quando sarebbe dovuto rimanere incarcerato) , comminare una pena pecuniaria, ordinare l’espulsione. Nella realt� – ed era questo il latente pericolo – la nuova legge poteva anche determinare il fatto che dopo aver corrotto le guardie carcerarie o la Polizia per poter uscire o essere meglio trattato , il povero clandestino avesse adesso di fronte un'altra bocca da sfamare.
E’ inoltre da notare che il reato di clandestinit� era stato in quel periodo anche introdotto in Italia (legge del 15.07.2009 nr. 94/09) e questa concatenazione temporale non pu� escludere una correlazione tra le due iniziative (peraltro la legge era stata successivamente bocciata dalla Corte di giustizia Europea perch� “in contrasto con le direttive europee sul rimpatrio dei clandestini” ed aveva gi� subito censure dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione italiana).

Comunque le operazioni in mare delle motovedette italo-libiche , per quanto gi� detto, sono proseguite indisturbate dal maggio 2009 fino all’inizio del 2011 .Le imbarcazioni consegnate alla Libia sono salite a 6 ed � anche proporzionalmente aumentato il personale della Guardia di finanza distaccato in Libia. La presenza di personale italiano a bordo era sicuramente un deterrente per maltrattamenti e abusi da parte del personale militare libico. Questo fatto ha poi trovato parziale smentita quando l’U.N.H.C.R. , nel luglio del 2009 , ha ufficialmente denunciato casi di maltrattamenti subiti dai clandestini su una imbarcazione della Marina Militare ( la “Orione”) che aveva raccolto una barca di clandestini in acque internazionali il 1^ luglio del 2009. In quel caso , tra l’altro i clandestini erano stati perquisiti, la roba sequestrata racchiusa in un sacco e consegnata ai militari libici. Ovviamente il tutto � poi sparito(sul presunto maltrattamento subito dai clandestini occorre dire che generalmente la Marina filmava le operazioni di assistenza/trasbordo in maree che quindi esisterebbero delle prove documentali a difesa del natante italiano. C’� inoltre da tenere conto che molte volte il clandestino , nelle sue interviste o resoconti tendeva a enfatizzare tribolazioni e sofferenze per avvalorare la sua richiesta di asilo ).
Il calcolo politico.
E’ pur vero che nella specifica cooperazione tra i due Paesi , se l’Italia si fosse messa a obiettare sul trattamento dei clandestini dopo il respingimento , da parte di Tripoli c’era il rischio di veder rifiutare altri arrivi. Questo pu� essere considerato un elemento giustificativo ma anche – sotto gli aspetti etici- un’aggravante.
Negli ultimi periodi , a bordo delle motovedette , oltre all’equipaggio della Guardia Costiera libica e agli “osservatori” italiani , saliva anche – in borghese- un funzionario della Polizia libica che – viaggio durante – interrogava i clandestini per individuare le modalit� e dettagli del viaggio organizzato dai trafficanti .
La Libia di Gheddafi non aveva mai sottoscritto Convenzioni sui diritti umani n� aveva mai riconosciuto lo status di rifugiato o il diritto di asilo. Quindi , almeno sotto l’aspetto giuridico , poteva – a differenza dell’Italia – crearsi meno scrupoli . Comunque – ed era questa la sostanza – Tripoli , su questo argomento vedeva con fastidio le accuse internazionali e aveva elaborato una accentuata suscettibilit� sull’argomento. Era quindi prudente, da parte italiana, per mera convenienza politica , tenersene lontani. Non era certo per la Libia – dopo oltre 40 anni di dittatura sanguinaria- un problema etico o di ordine morale essere accusata di maltrattamenti ai clandestini . Non esisteva peraltro una opinione pubblica con cui confrontarsi . Diversa ovviamente la posizione italiana.

I finanziamenti italiani...
Riprendendo un vecchio progetto , l’Italia cercava di sgravarsi di eventuali sensi di colpa , finanziando contemporaneamente la costruzione di 3 centri di assistenza per clandestini sul territorio libico a Gharyan, Kufrah e Sebha. Nella realt� poi l’intero progetto non ha avuto realizzazione completa quando l’Italia si � accorta che finanziando questi centri e dandoli in gestione alla Libia, potesse correre il rischio di essere ritenuta corresponsabile della trasformazione degli stessi in potenziali lager . A Sebha non � stato costruito pi� niente , le infrastrutture di Gharyan sono state trasformate in stazione della Polizia libica e per Kufrah c’� stata la trasformazione della struttura in centro di assistenza sanitaria sempre a favore dei clandestini (una infermeria con circa 150-200 posti letto ed una mensa). Per quest’ultimo manufatto – che comunque nel 2010 non era ancora terminato - sorge lecito il dubbio che un complesso del genere , una volta completato e consegnato ai libici , posto in un agglomerato urbano decentrato (come l’oasi di Kufrah) carente di strutture sanitarie adeguate, potesse essere dedicato effettivamente all’assistenza dei clandestini e non a beneficio della popolazione locale.
L’ultima osservazione riguarda il C.I.R. una delle poche O.N.G. che hanno operato in Libia per il tramite di un’altra organizzazione umanitaria privata libica , la “International Organization for Peace, Care and Development “ (I.O.P.C.D.) , gestita da Khaled al Humaidi , figlio del membro del Consiglio Rivoluzionario Kweldi al Humaidi , nonch� cognato di Saadi Gheddafi .
Chiaramente la I.O.P.C.D.non ha molto aiutato il C.I.R. a monitorare gli abusi che avvenivano nei centri detenzione ma ha forse permesso ai clandestini di essere assistiti in una controversia contro lo Stato italiano. Khaled al Humaidi � rimasto in passato coinvolto in una inchiesta della Procura di Perugia per un traffico d’armi internazionale.
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(�) Portale ANSA del 24.06.2009
Durante la cerimonia organizzata dall’UNHCR in occasione della giornata mondiale del rifugiato giunge la notizia del respingimento di un barcone con 72 clandestini a bordo . Presi a bordo da una motovedetta della Guardia Costiera vengono poi trasbordati in mare su una unit� della Marina libica (leggasi una delle tre motovedette con equipaggio congiunto italo-libica). La comunicazione del Viminale riferisce testualmente “Si � da poco conclusa con la consegna alle autorit� libiche 72 clandestini in maggioranza nigeriani (44 uomini e 28 donne) un operazione italo-libica diretta al contrasto all’immigrazione clandestina. Visto che nessuno dei 72 clandestini ha manifestato la volont� di chiedere asilo, d’intesa con le autorit� libiche, i migranti sono stati trasbordati su un’unit� della marina libica per essere ricondotti a Tripoli”.
3 motovedette militari italiane, la mattina del 7 maggio, (due della Guardia costiera ed una della Finanza) arrivarono nel porto commerciale di Tripoli dove erano presenti anche rappresentanti dello Stato italiano, testimoni diretti (oltre ovviamente agli equipaggi ) – qualora ce ne fosse stato bisogno di conferme – della scarsa propensione libica a comportamenti rispettosi dei diritti umani ed umanitari. Altri testimoni : due giornalisti francesi che su autorizzazione del Comando generale della Guardia di Finanza stazionavano da circa 2 settimane su un natante italiano ( il “Bovienzio”) per un servizio giornalistico. Uno di questi era Fran�ois De Labarre di “Paris match”che descriver� in un articolo quello che ha visto ( pubblicato su “Migrante” del 15 giugno 2009)
Il ritorno in Libia e le violenze
Quel giorno , di fronte ad una iniziale resistenza dei clandestini a scendere a terra , una volta resesi conto di non essere sbarcati in un porto italiano ma di essere ritornati in Libia, il personale libico (militare e non) , procedeva subito all’uso della forza. In modo indiscriminato, in modo abusivo, con brutalit� eccessiva.
Uso di bastoni (usati anche remi di legno), fruste , percosse e calci , spintoni per fare scendere i clandestini e dirottarli su containers piazzati su camion utilizzati come celle temporanee. Da una parte le donne ( container pi� piccolo) , dall’altra gli uomini (containers pi� grande). 3 donne incinte lasciate per terra perch� sfinite e non in grado di camminare. Qualche clandestino disidratato e non in grado di muoversi anch’esso abbandonato sull’asfalto e poi di peso buttato dentro il container . Un film dell’orrore che era solo l’assaggio di quello che avrebbero dovuto affrontare i clandestini nei giorni e mesi successivi , questa volta per� senza testimoni e quindi nel completo arbitrio dei carcerieri.
Le motovedette italiane prestate alla Libia
Il 20 maggio 2009 arriveranno poi in Libia tre motovedette della Guardia di Finanza per le operazioni congiunte italo-libiche , di contrasto all’immigrazione clandestina (poi ormeggiate nel porto di Zuwarah) e quindi la prassi del respingimento diventer� un evento di routine.
La differenza sar� che i trasbordi tra navi militari italiane (qualora queste abbiano per prime intercettato i barconi) e quelle libiche avverranno prevalentemente in alto mare. Con l’accortezza di svolgere questa operazione sempre in acque internazionali (fossero esse di competenza S.A.R. – cio� responsabilit� di intervento – italiane , libiche o maltesi). Le 3 motovedette opereranno sotto comando libico , battenti bandiera libica , con a bordo comunque personale della Guardia di Finanza (erano arrivati in quei giorni a Tripoli 1 Ufficiale e 14 finanzieri) in posizione di “osservatore” e di assistenza logistica.
Dal maggio 2009 al dicembre dello stesso anno i respingimenti riguarderanno complessivamente oltre 1000 clandestini , quasi tutti riportati indietro dalle motovedette italo-libiche , a fronte di circa 1600 clandestini che , nonostante queste attivit� di repressione riusciranno ad arrivare a Lampedusa. Nel loro complesso , comunque l’inizio dei respingimenti aveva sicuramente posto un argine al flusso continuo di clandestini provenienti dalla Libia verso il nostro Paese. Ed era alla fine quello che interessava a governo italiano.

Silvio Berlusconi con Muhammar Gheddafi
Con l’arrivo delle motovedette si perfezioner� anche la tecnica del respingimento : ai natanti in pattugliamento arrivavano le segnalazioni circa la localizzazione dei barconi dei clandestini da parte italiana . La motovedetta italo-libica ed il suo personale adottavano una tattica elusiva: si avvicinavano al barcone senza bandiera libica sul pennone (il natante di per s� non creava sospetto essendo comunque di costruzione italiana), il contatto con il barcone lo gestivano i militari italiani mentre quelli libici(a cui venivano tolti gradi e uniformi militari) rimanevano silenziosi (cos� da far credere al clandestino che si trattava di una imbarcazione italiana) il trasbordo dal barcone alla motovedetta avveniva in modo singolo, ,prima tutte le donne che venivano fatte trasbordare e accomodate in coperta, poi toccava agli uomini: il clandestino veniva accompagnato all’interno della motovedetta e portato sul lato opposto della nave (quello non visibile dal barcone) e senza che i suoi compagni di viaggio se ne accorgessero veniva ammanettato ( in un caso un clandestino si era accorto dell’inganno e si era buttato in acqua ma poi era stato ripescato e ammanettato). Dopodich� , uno alla volta tutti gli uomini si trovavano trasbordati e ammanettati . Per le donne invece , dopo il trasbordo non venivano applicate manette o altro ma venivano chiuse sotto coperta. In questo modo la motovedetta faceva rientro a Zuwarah o Tripoli e l� avveniva la consegna dei clandestini alle autorit� libiche. Quando il clandestino si accorgeva di essere stato riportato in Libia , non era pi� in grado di reagire. Su quello che avveniva dopo lo sbarco, cadeva un silenzio colpevole( Bisogna per� dire che l’escamotage utilizzato dalla motovedetta per riportare i clandestini in Libia era anche dettato da ragioni di sicurezza perch� a fronte di un equipaggio di 14-15 uomini , con a bordo un carico di circa 80-100 clandestini il pericolo di una ribellione o ammutinamento sia durante il trasbordo, sia durante il rientro in Libia avrebbe potuto mettere in pericolo il controllo del natante e del suo equipaggio) .
La Corte Europea non ci sta.
.Per questa politica dei respingimenti l’Italia � stata ritenuta, il 23 febbraio 2012 , colpevole e condannata al risarcimento dei danni (15.000 euro a testa) a 24 clandestini (13 eritrei e 11 somali – di cui 2 morti successivamente - sui 210 clandestini che quel 7 maggio erano stati rimpatriati) che avevano ricorso alla Corte europea di Strasburgo con l’assistenza del C.I.R. (Consiglio Italiano Rifugiati ) dell’ex sindacalista Savino Pezzotta.
La condanna di Strasburgo si riferisce alla violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo per quanto riguarda i trattamenti inumani e degradanti, il rischio dei clandestini di essere rimpatriati e la prassi delle espulsioni collettive .

Libia: Misratah Detention Center
La linea difensiva italiana � stata quella di dichiarare che “la Libia era un posto sicuro e che Tripoli rispettava i propri impegni internazionali sull’accesso all’asilo”. I fatti accaduti quel 7 maggio , i vari testimoni istituzionali pi� o meno reticenti ( Ministero Difesa sicuramente informato tramite equipaggi Guardia costiera e Addetto Militare, Ministero dell’Interno tramite equipaggio Guardia di Finanza e propri rappresentanti a Tripoli, l’Ambasciata con il suo personale) non hanno potuto avvalorare questa teoria. Anche la reiterata dichiarazione (del Ministero dell’Interno e del suo Ministro pro-tempore) che nei respingimenti successivi fosse data possibilit� di poter fare domanda di asilo (ma guarda caso nessuno la faceva , e poi a chi? , in che modo? Come venivano accertate le nazionalit�? ma forse pochi si accorgevano di essere riportati in Libia) � non rispondente al vero (�).
Ci sono stati poi gli allarmi di Amnesty International , le segnalazioni dell’U.N.H.C.R. e Human Rights Watch , ma niente di tutto questo ha spinto l’Italia a richiedere alla controparte conto della sorte dei clandestini n� a migliorare il comportamento dei carcerieri o la qualit� della detenzione.
Dal 7 maggio 2009 in poi, ogni volta che avveniva un respingimento, dei clandestini sbarcati e riconsegnati alle autorit� libiche non sono mai arrivate informazioni n� – ed � l’aspetto pi� discutibile - sono state richieste.
Questa situazione si � protratta fino al 26 febbraio 2011 quando l’Italia , a seguito dell’inizio della guerra civile in Libia dichiarava annullati gli accordi bilaterali. Attualmente sono ripresi i contatti con la nuova dirigenza di quel Paese per poter ripristinare una cooperazione nello specifico settore. Funzionari del Ministero dell’Interno stazionano nuovamente a Tripoli . Sono in corso accertamenti per valutare i danni ai natanti a suo tempo dati alla Libia ( e quindi l’idea � quella di ripristinare la specifica cooperazione bilaterale) . Ma , almeno per il momento , il flusso di clandestini si � praticamente interrotto anche perch� la situazione � diventata pi� pericolosa per i clandestini sub-sahariani presenti in Libia nel paventato pericolo di essere confusi con i tanti mercenari di colore che hanno combattuto al fianco delle truppe di Gheddafi.
Le carceri libiche e ancora violenze.
Una volta riportati in Libia , i clandestini venivano internati in uno dei tanti Centri di identificazione ed espulsione che operavano nel Paese. Strutture sovraffollate ,promiscuit�, condizioni igieniche disastrose, nessuna assistenza medica, niente registrazione sistematica degli internati , nessun grado di giudizio o possibilit� di appello, quotidiani abusi (pestaggi , stupri, casi di pedofilia, torture). Si veniva internati dalla Polizia , arbitrariamente o discrezionalmente la Polizia poteva liberare.
Solo nel dicembre del 2009 era stato dato mandato ad alcuni giuristi libici di studiare una legge che potesse disciplinare la materia , configurando il reato di clandestinit�. La legge - che comunque non ha mai trovato il tempo di essere completata e/o approvata e/o resa operante – avrebbe dovuto prevedere un grado di giudizio sul clandestino da parte del magistrato che aveva in alternativa tre opzioni : comminare una pena detentiva ( ed il vantaggio era che cos� l’interessato poteva sapere quando sarebbe dovuto rimanere incarcerato) , comminare una pena pecuniaria, ordinare l’espulsione. Nella realt� – ed era questo il latente pericolo – la nuova legge poteva anche determinare il fatto che dopo aver corrotto le guardie carcerarie o la Polizia per poter uscire o essere meglio trattato , il povero clandestino avesse adesso di fronte un'altra bocca da sfamare.
E’ inoltre da notare che il reato di clandestinit� era stato in quel periodo anche introdotto in Italia (legge del 15.07.2009 nr. 94/09) e questa concatenazione temporale non pu� escludere una correlazione tra le due iniziative (peraltro la legge era stata successivamente bocciata dalla Corte di giustizia Europea perch� “in contrasto con le direttive europee sul rimpatrio dei clandestini” ed aveva gi� subito censure dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione italiana).

Comunque le operazioni in mare delle motovedette italo-libiche , per quanto gi� detto, sono proseguite indisturbate dal maggio 2009 fino all’inizio del 2011 .Le imbarcazioni consegnate alla Libia sono salite a 6 ed � anche proporzionalmente aumentato il personale della Guardia di finanza distaccato in Libia. La presenza di personale italiano a bordo era sicuramente un deterrente per maltrattamenti e abusi da parte del personale militare libico. Questo fatto ha poi trovato parziale smentita quando l’U.N.H.C.R. , nel luglio del 2009 , ha ufficialmente denunciato casi di maltrattamenti subiti dai clandestini su una imbarcazione della Marina Militare ( la “Orione”) che aveva raccolto una barca di clandestini in acque internazionali il 1^ luglio del 2009. In quel caso , tra l’altro i clandestini erano stati perquisiti, la roba sequestrata racchiusa in un sacco e consegnata ai militari libici. Ovviamente il tutto � poi sparito(sul presunto maltrattamento subito dai clandestini occorre dire che generalmente la Marina filmava le operazioni di assistenza/trasbordo in maree che quindi esisterebbero delle prove documentali a difesa del natante italiano. C’� inoltre da tenere conto che molte volte il clandestino , nelle sue interviste o resoconti tendeva a enfatizzare tribolazioni e sofferenze per avvalorare la sua richiesta di asilo ).
Il calcolo politico.
E’ pur vero che nella specifica cooperazione tra i due Paesi , se l’Italia si fosse messa a obiettare sul trattamento dei clandestini dopo il respingimento , da parte di Tripoli c’era il rischio di veder rifiutare altri arrivi. Questo pu� essere considerato un elemento giustificativo ma anche – sotto gli aspetti etici- un’aggravante.
Negli ultimi periodi , a bordo delle motovedette , oltre all’equipaggio della Guardia Costiera libica e agli “osservatori” italiani , saliva anche – in borghese- un funzionario della Polizia libica che – viaggio durante – interrogava i clandestini per individuare le modalit� e dettagli del viaggio organizzato dai trafficanti .
La Libia di Gheddafi non aveva mai sottoscritto Convenzioni sui diritti umani n� aveva mai riconosciuto lo status di rifugiato o il diritto di asilo. Quindi , almeno sotto l’aspetto giuridico , poteva – a differenza dell’Italia – crearsi meno scrupoli . Comunque – ed era questa la sostanza – Tripoli , su questo argomento vedeva con fastidio le accuse internazionali e aveva elaborato una accentuata suscettibilit� sull’argomento. Era quindi prudente, da parte italiana, per mera convenienza politica , tenersene lontani. Non era certo per la Libia – dopo oltre 40 anni di dittatura sanguinaria- un problema etico o di ordine morale essere accusata di maltrattamenti ai clandestini . Non esisteva peraltro una opinione pubblica con cui confrontarsi . Diversa ovviamente la posizione italiana.

I finanziamenti italiani...
Riprendendo un vecchio progetto , l’Italia cercava di sgravarsi di eventuali sensi di colpa , finanziando contemporaneamente la costruzione di 3 centri di assistenza per clandestini sul territorio libico a Gharyan, Kufrah e Sebha. Nella realt� poi l’intero progetto non ha avuto realizzazione completa quando l’Italia si � accorta che finanziando questi centri e dandoli in gestione alla Libia, potesse correre il rischio di essere ritenuta corresponsabile della trasformazione degli stessi in potenziali lager . A Sebha non � stato costruito pi� niente , le infrastrutture di Gharyan sono state trasformate in stazione della Polizia libica e per Kufrah c’� stata la trasformazione della struttura in centro di assistenza sanitaria sempre a favore dei clandestini (una infermeria con circa 150-200 posti letto ed una mensa). Per quest’ultimo manufatto – che comunque nel 2010 non era ancora terminato - sorge lecito il dubbio che un complesso del genere , una volta completato e consegnato ai libici , posto in un agglomerato urbano decentrato (come l’oasi di Kufrah) carente di strutture sanitarie adeguate, potesse essere dedicato effettivamente all’assistenza dei clandestini e non a beneficio della popolazione locale.
L’ultima osservazione riguarda il C.I.R. una delle poche O.N.G. che hanno operato in Libia per il tramite di un’altra organizzazione umanitaria privata libica , la “International Organization for Peace, Care and Development “ (I.O.P.C.D.) , gestita da Khaled al Humaidi , figlio del membro del Consiglio Rivoluzionario Kweldi al Humaidi , nonch� cognato di Saadi Gheddafi .
Chiaramente la I.O.P.C.D.non ha molto aiutato il C.I.R. a monitorare gli abusi che avvenivano nei centri detenzione ma ha forse permesso ai clandestini di essere assistiti in una controversia contro lo Stato italiano. Khaled al Humaidi � rimasto in passato coinvolto in una inchiesta della Procura di Perugia per un traffico d’armi internazionale.
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(�) Portale ANSA del 24.06.2009
Durante la cerimonia organizzata dall’UNHCR in occasione della giornata mondiale del rifugiato giunge la notizia del respingimento di un barcone con 72 clandestini a bordo . Presi a bordo da una motovedetta della Guardia Costiera vengono poi trasbordati in mare su una unit� della Marina libica (leggasi una delle tre motovedette con equipaggio congiunto italo-libica). La comunicazione del Viminale riferisce testualmente “Si � da poco conclusa con la consegna alle autorit� libiche 72 clandestini in maggioranza nigeriani (44 uomini e 28 donne) un operazione italo-libica diretta al contrasto all’immigrazione clandestina. Visto che nessuno dei 72 clandestini ha manifestato la volont� di chiedere asilo, d’intesa con le autorit� libiche, i migranti sono stati trasbordati su un’unit� della marina libica per essere ricondotti a Tripoli”.