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L'ITALIA ED IL CASO SNOWDEN

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Per capire bene dove stanno le responsabilità delle intercettazioni verso vari Paesi, anche amici, bisogna partire non solo da chi le fa, ma anche da chi, a diverso titolo, concorre a questa attività. Esiste infatti, nel campo delle intercettazioni, un accordo che lega 5 paesi: Stati Uniti, Inghilterra, Canada, Nuova Zelanda e Australia. Tutte le informazioni di interesse raccolte in questo ambito sono rese note agli appartenenti al sodalizio. Chiaramente, quello che avviene nel quadro europeo interessa maggiormente USA e Inghilterra mentre, magari, quello che passa attraverso il contesto asiatico è di maggiore interesse per neozelandesi ed australiani. Durante la guerra in Iraq esistevano già queste compartimentazioni: nell’ambito dell’alleanza militare internazionale c’era un terminale informatico dedicato alle intercettazioni a cui potevano accedere soltanto i Paesi membri dell'accordo già citato. Agli altri si faceva sapere, in modo più vago e qualora necessario, qualche notizia di interesse specifico (e questo con buona pace di quell’urgenza di sapere che molte volte un campo di battaglia impone).

Un club esclusivo

Ma torniamo al cuore del problema: perché questo sodalizio di matrice anglofona? Perché il settore delle intercettazioni è il più delicato di tutti e sarebbe complicato rendere partecipi tanti altri Servizi a causa di quanto può potenzialmente emergere durante questa attività. Da un lato, infatti, quando si comunica una notizia derivante da una intercettazione si rende nota la propria capacità tecnica - in altre parole, anche se non esplicitato, con l'informazione si svela come vi si accede - e questo implica il disvelare la propria capacità di penetrazione all’interno di un Paese o di un sistema. Quindi, per evitare di incorrere in problemi di lesa maestà, di rischiare di urtare altrui suscettibilità, di dare informazioni a Paesi il cui il grado di affidabilità andrebbe comunque valutato alla luce della notizia fornita, questo ristretto club di Servizi di ispirazione anglosassone ha da sempre il privilegio di sapere tutto e subito. Gli altri Servizi, magari, possono eventualmente essere messi al corrente in un momento successivo, ovviamente solo se ritenuto opportuno e con i dovuti accorgimenti per non fare trapelare le modalità di acquisizione. Questa premessa è necessaria per far capire che se c’è una colpa per le intercettazioni in Europa, questa va divisa in parti uguali tra Stati Uniti e Regno Unito. Non solo perché nell’ambito del citato sodalizio sono questi i due attori operativi principali, ma anche perché, oltre alle intercettazioni satellitari, sono su territorio inglese le più grosse centrali di ascolto di cui si servono gli americani per prendere di mira l’Europa.

Ma non c’è solo il problema delle intercettazioni, ma anche quello, ancora più delicato, della decrittazione. Quando una notizia è in chiaro basta intercettarla e offrirla alla conoscenza del club. Quando una notizia viaggia nell’aria o su internet in modo cifrato (e, quindi, si presume si tratti di informazioni sensibili e l’originatore cerca di proteggerne il contenuto) c’è la necessità di decrittarla. E mantenere il segreto su questo aspetto tecnico è fondamentale. Sono quindi numerosi i segreti che attengono al sistema delle intercettazioni ed è per questo cruciale mantenere alto il livello di segretezza. Un Paese che accede a delle notizie o se le tiene per sé oppure, in alternativa, le condivide soltanto con gli amici più fidati con cui, ovviamente, partecipa anche alla fase tecnica di acquisizione.

Si intercettano comunicazioni radio e qualunque cosa circoli nell’etere. Si intercettano i telefoni e le comunicazioni che viaggiano via filo o attraverso i ponti radio. Si intercetta, come ampiamente riportato dalla stampa, anche il traffico internet. E come si intercetta, contestualmente si decritta. Tutto ciò avviene tutti i giorni nel mondo. E nel gioco delle parti si può essere contemporaneamente attore o vittima di questo sistema. Non ci sono amici o nemici, ma interessi di circostanza che rendono l’amico un nemico o viceversa.


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ex-primo ministro italiano Enrico Letta

Snowden e l'Italia

Ma veniamo al caso italiano. Dalle rivelazioni di Edward Snowden emerge chiaramente come anche l’Italia, assieme ad altri, sia stata oggetto di intercettazioni. Alcuni Paesi si sono ribellati, hanno risposto indignati alle rivelazioni del tecnico della NSA, altri, come l’Italia, hanno minimizzato la circostanza. Qui però si lascia il campo dell’intelligence perché la questione è squisitamente politica. Alla luce delle rivelazioni il Primo Ministro pro-tempore, Enrico Letta, interpella i Servizi e chiede loro: vi risulta che il sistema delle comunicazioni governative e delle ambasciate sia stato oggetto di spionaggio e compromissione? Risposta negativa.

Cosa potevano rispondere i Servizi: che le ambasciate erano intercettate e il sistema telefonico compromesso? Potevano forse offrire una risposta diversa visto che la protezione delle comunicazioni è competenza dell’AISE mentre il controspionaggio dell’AISI? Potevano i Servizi forse ammettere di non essere stati in grado di fronteggiare questo tipo di penetrazione di intelligence "amiche" e straniere verso il proprio Paese? Poteva il capo del DIS, fino a poco tempo prima Segretario Generale della Farnesina, ammettere che il sistema delle comunicazioni del Ministero degli Esteri faceva acqua da tutte le parti? Poteva l’AISE, competente per tutti i sistemi cifranti (apparecchiature, crittazione e decrittazione) delle varie istituzioni statali (ambasciate, ministeri, forze di polizia ecc.), ammettere il rischio di compromissione dei sistemi attualmente operativi? Poteva l’AISE, che provvede anche alla formazione ed indottrinamento del personale adibito ai sistemi cifranti, ammettere che forse qualche addetto ai lavori potesse avere avuto dei comportamenti tali da compromettere i sistemi?

Ma tutte queste domande il Primo Ministro italiano non se le è poste. Lui voleva solo preservare i difficili equilibri del suo governo e, nel contempo, evitare frizioni con gli americani. Forte delle risposte dei Servizi, il Premier è andato in Parlamento dove ha riferito quello che i Servizi gli avevano appena detto. Niente di più, niente di meno. Chiaramente le cose non stanno come diceva l'allora Primo Ministro Letta perché le rivelazioni di Snowden erano molto articolate. Indicavano dei picchi di ascolto a cavallo delle crisi di governo, davano anche delle cifre sul numero di intercettazioni telefoniche fatte in un mese in Italia: 45 milioni. E anche per quanto riguarda le ambasciate fornivano dei dati precisi.


Alberto Manenti
Il direttore dell'AISE Alberto Manenti

La realtà

Ma veniamo adesso alla realtà dei fatti.

La prima verità è che a Roma staziona, all'interno dell'ambasciata degli Stati Uniti, un rappresentante della NSA. Il suo lavoro sono le intercettazioni ed il personaggio è in contatto con i Servizi italiani.

La seconda verità è che sui tetti delle sedi diplomatiche degli Stati Uniti in Italia - su Via Veneto a Roma e sul Consolato di Milano - ci sono, benché mimetizzate, delle antenne adibite all’intercettazione. Le due circostanze confermano, qualora ve ne fosse il bisogno, l’interesse e la capacità di intercettazione da parte americana sul territorio italiano. Certo, gli americani non vanno a dire ai colleghi italiani che intercettano le loro comunicazioni, ma qui subentra la collaborazione a livello di intelligence tra i due Paesi.

Le leggi sulle intercettazioni in Italia sono molto restrittive. Anche i Servizi, per poter esercitare il controllo di alcuni obiettivi operativi (comunicazioni telefoniche o altro), hanno bisogno di una autorizzazione della magistratura. Ne consegue che se il Servizio italiano ha difficoltà ad ottenere le dovute autorizzazioni ha solo due strade: o intercetta senza l’autorizzazione della magistratura (con i rischi che l’iniziativa comporta) o si avvale della cooperazione e dell’aiuto di chi si dedica a questa attività senza restrizioni di sorta. Ed è questo il caso della NSA. Questo è un'altro chiave di lettura delle risposte che i Servizi hanno dato ai quesiti del Primo Ministro. Potevano loro accusare gli americani quando fanno parte, magari su obiettivi operativi congiunti e con il loro beneplacito, di questa attività occulta? E siccome nel mondo dell'intelligence ognuno cura i propri interessi, gli americani, nell'ambito di questa discrezionalità operativa concessa loro, hanno fatto i propri comodi.

Il rapporto che lega i Servizi italiani a quelli americani è talvolta anche di sudditanza. Le benemerenze che i vari vertici dei Servizi ottengono dai giudizi positivi degli americani arrivano generalmente sul canale politico e sono solitamente foriere di brillanti carriere. Il caso dell’attuale direttore dell’AISE, Alberto Manenti, è uno di questi. Non ci si deve quindi meravigliare delle risposte date al Primo Ministro dai vertici dei Servizi e dell’utilizzo acritico che questi ne ha fatto per superare indenne l'ennesima crisi governativa. Qualora occorressero ulteriori prove sulla volontà italiana di tenersi fuori dalle vicende di Edward Snowden basti pensare che l’individuo aveva richiesto l’asilo anche all’Italia e che gli è stato rifiutato. Il sotterfugio procedurale, come reso noto dall'allora Ministro degli Esteri Emma Bonino al Parlamento, era tutto sommato banale: una richiesta di asilo si può prendere in considerazione soltanto se il richiedente è fisicamente nel nostro Paese. E questo non era, guarda un po’, il caso in questione.