GIORDANIA, UN PAESE IN PRIMA LINEA

Per
la prima volta in forma massiccia, ai primi di marzo la Giordania
ha affrontato l’attacco di una cellula dell’ISIS sul proprio
territorio. Non proveniva dalla Siria, ma era nata all’interno del
Paese ed era composta da cittadini giordani, di cui almeno uno di
ritorno dal pantano siriano. Si è scatenata una battaglia vera
durata molte ore, nella quale sono stati coinvolti circa 20
terroristi ben armati e pronti ad immolarsi. Alle fine sette sono
stati ammazzati e 13 catturati. Il luogo dello scontro è stata la
città di Irbid che dista meno di 15 km dal confine siriano e che
negli ultimi cinque anni ha visto raddoppiarsi la sua popolazione
con l’arrivo di profughi siriani.
A giugno vi sono stati altri attentati: l'attacco contro una
struttura dei Servizi di sicurezza in un campo palestinese nel
nord del Paese, l'assalto contro un posto di controllo al confine
con la Siria partito da un campo profughi sul territorio siriano.
Il ricorrere di questi eventi di per sé non meraviglia. La
Giordania è in prima linea nella lotta contro l’ISIS e partecipa
ai bombardamenti in Siria. Ad Amman opera un centro operativo che
coordina gli interventi internazionali contro lo Stato Islamico e
nel Paese sono presenti anche forze speciali americane.
Meraviglia piuttosto solo il fatto che, nonostante le misure messe
in atto, la reputazione dei Servizi di sicurezza giordani ed un
confine sigillato, possa essersi verificato un attacco in grande
stile che postula l'esistenza di un'organizzazione terroristica
autoctona ramificata e di ampie dimensioni. Per ritrovare un
attacco altrettanto eclatante bisogna tornare al novembre del
2005, quando dei kamikaze attaccarono tre hotel causando circa 60
morti. Allora la matrice era il gruppo terroristico sotto il
comando di Abu Musab al Zarqawi, non a caso di nazionalità
giordana ed il precursore di Abu Bakr al Baghdadi in Iraq, ed il
franchising era quello di Al Qaeda.
Non è chiaro se la cellula dell’ISIS di Irbid abbia operato su
specifica direttiva del califfato o se, invece, si sia messa
all'opera autonomamente sotto la bandiera ideologica del
califfato. Rimane comunque il fatto che la cellula terroristica ha
attaccato in un momento di debolezza militare dell’ISIS in Siria
ed Iraq. Ogni qualvolta ciò avviene, gli estremisti al soldo del
califfo esorcizzano le proprie sconfitte sul terreno con attentati
e minacce all’estero. Così facendo riaffermano il principio che
l’ideologia dell’ISIS ha valore internazionale ed uno scopo
messianico.
Il fascino del califfo
Che le gesta del califfo abbiano un certo fascino sulla gioventù
giordana è confermato dal fatto che anche due figli di
parlamentari giordani siano transitati nelle fila dell’ISIS,
finendo per immolarsi come kamikaze. Irbid è sempre stata
considerata una roccaforte dello Stato Islamico, mentre altre zone
del Paese, come Zarqa – seconda città della Giordania – e Mafraq –
sede di un'importante base aerea – rivolgono più simpatie verso al
Qaeda. Complessivamente l’estremismo islamico attira soprattutto
la componente di origine palestinese del Paese, pari a circa la
metà della popolazione giordana.
A questo bisogna aggiungere il pericolo sociale rappresentato da
circa 630.000 siriani registrati come profughi in Giordania a cui,
secondo le autorità di Amman, bisogna aggiungerne altri 1,3
milioni non registrati. Questa presenza massiccia costituisce oggi
circa il 20% della popolazione giordana e non è escluso che fra
loro vi siano degli infiltrati. Inoltre, si stima vi siano circa
1.500-2.000 giordani che hanno aderito all’ISIS, facendo del Paese
arabo il terzo maggior contribuente di foreign fighters dopo la
Tunisia e l’Arabia Saudita. L'incidente di Irdib potrebbe indicare
l'intenzione dell’ISIS di destabilizzare il regno hashemita e la
presenza nel Paese di cellule dormienti di al Baghdadi.
L’ISIS gode di ampie simpatie nei campi profughi palestinesi ed
anche tra i giovani, dove è ampio il disagio sociale in un Paese
dove il tasso di disoccupazione tocca il 28%. Oltre ai foreign
fighters, si stima che vi siano almeno altri 2/3.000 giordani
potenzialmente affiliati all’ISIS ed altri 1.000-1.300 a al Jabhat
al Nusra, la branca qaedista in Siria, soprattutto fra la
popolazione che coltiva idee religiose salafite.

Abu Mohammed al Tahawi
Il
contrasto ideologico
Le autorità di sicurezza giordane cercano di contrastare la
diffusione dell’estremismo islamico soprattutto sul piano
culturale e teologico. Tuttavia, la recente liberazione di due
teologi come Abu Mohammed al Maqdisi e Abu Qatada, noti per le
loro idee estremiste e che hanno sconfessato le iniziative
del’ISIS sul piano religioso, non ha sinora prodotto risultati
apprezzabili. Il loro seguito era ormai limitato ed altri soggetti
ne avevano nel frattempo preso il posto nelle simpatie dei
giordani.
Fra questi, e confinato nelle patrie galere, vi è un altro
personaggio di spessore: Abu Mohammed al Tahawi, liberato più
volte ed incarcerato lo scorso anno, gode di un certo seguito in
ambito palestinese e tra i salafiti giordani. A differenza di al
Maqdisi, al Tahawi ha ufficialmente aderito con dissertazioni di
natura teologica alla lotta sotto la bandiera dell’Islam in Siria.
In passato aveva pubblicamente rivendicato l’idea di un jihad
contro Israele. Nelle sue affermazioni pubbliche è ricorrente
l’elogio degli attacchi suicidi, l’empietà di alcuni regimi arabi,
l’obbligo di ogni musulmano di accorrere in aiuto dei fratelli in
Siria, la lotta contro l’Occidente.
Abu Mohammed al Tahawi, il cui vero nome è Abdul Qadir Shahada,
appartiene a quei movimenti salafiti che operano al di fuori delle
azioni politiche dei Fratelli Musulmani. E’ una componente della
società giordana che conta circa 7-10.000 simpatizzanti e che
oscilla fra il sostegno all’ISIS e quello a Jabhat al Nusra. Per
un certo periodo hanno avuto una crisi di identità in
corrispondenza degli scontri tra le due fazioni in Siria e a
seguito delle esecuzioni comminate dall’ISIS nei confronti di
combattenti di nazionalità giordana. E come tutti i movimenti
estremisti islamici, hanno dei rapporti turbolenti con le autorità
governative.
Un adepto di Tahawi è Omar Mahdi Zeidan, un religioso originario
di Irbid e adesso personaggio di rilievo dell’ISIS. Un suo
fratello, Mahmoud, è morto in Waziristan, in Pakistan, nel 2010
dove si era aggregato ad al Qaeda. Un altro soggetto che fa
parlare di se è Mohammed al Shalabi, noto anche con il nome di
battaglia di Abu Sayyaf. E' originario di Ma'an, una città
economicamente depressa nel sud della Giordania nota per
l’opposizione al governo. Proprio a Ma'an, nel giugno del 2014, vi
sia stata una manifestazione popolare con la presenza di bandiere
dell’ISIS. Tuttavia, al Shalabi è ritenuto un simpatizzante di
Jabhat al Nusra.
Nel contesto politico e sociale giordano è forte l’influenza dei
Fratelli Musulmani che operavano, almeno sino ad oggi, nella
legalità con il loro partito: il Fronte di Azione Islamica. Il
loro oltranzismo religioso è quello che ha alimentato la crescita
dei movimenti salafiti, che peraltro rifiutano ogni omologazione
politica o strutturazione partitica. La Fratellanza non organizza
elezioni, ma coopta i propri adepti nel Consiglio della Shura,
l'organismo di vertice delle struttura, secondo una meritocrazia
teologica. Recentemente la sede centrale della confraternita ad
Amman ed una sua filiale a Jerash sono state chiuse con il
pretesto che, alla luce della nuova legge sui partiti del 2014,
non fosse stata rinnovata la licenza ad operare. L'iniziativa
delle autorità si abbina al riconoscimento, lo scorso anno, di una
branca dissidente del movimento e volge a dividere il fronte
islamista legale.
Un Paese in prima linea
Tra i Paesi arabi della regione, la Giordania è la nazione più
esposta nella lotta contro l’ISIS da quando un suo pilota, Muath
al Kasasbeh, è stato catturato e bruciato vivo nel gennaio del
2015. Sul suo territorio vengono addestrati i ribelli siriani che
lottano contro il regime di Damasco e a cui vengono forniti
sostegno logistico ed armamenti una volta rientrati in Siria. I
campi di addestramento sono gestiti da consiglieri militari
americani e da funzionari della CIA. Tuttavia, la transumanza di
armi a favore dei ribelli siriani ha creato nel Paese un commercio
clandestino di armamenti in cui sarebbero coinvolti anche membri
degli apparati di sicurezza.
Sul piano dell'intelligence l’attività dei Servizi informativi
giordani (General Intelligence Department) sul suolo siriano è
molto sviluppata. Attualmente i miliziani salafiti di al Nusra e
dell'ISIS disterebbero circa 80 km dal confine giordano, tuttavia
molti di loro si sarebbero infiltrati in alcuni campi profughi
lungo il lato siriano del confine con la Giordania, come
confermato dal recente attentato. Per far fronte a questa minaccia
incombente, Amman ha recentemente ripreso il controllo di un
valico confinario al confine con la Siria, quello di Al Waleed,
combattendo contro i miliziani salafiti con due battaglioni di
forze speciali, uno formato da tribù siriane del sud addestrate in
Giordania e l’altro di soldati giordani.
Ora si parla anche della possibilità che forze speciali giordane
compiano azioni coperte contro l’ISIS in territorio siriano. La
circostanza è già stato oggetto di un avvertimento da parte del
regime di Damasco che ha respinto l’iniziativa perché inopportuna,
non richiesta ed anche lesiva della sovranità del Paese. Questa
eventualità ha anche incrinato i rapporti tra Amman e la dirigenza
saudita che, pur “ufficialmente” in lotta contro il terrorismo
islamico dell’ISIS, vede nell’iniziativa giordana un sostegno
indiretto al regime di Bashar al Assad. A differenza dei sauditi,
la Giordania non ha dubbi su chi sia più pericoloso fra Assad e al
Baghdadi. Questo nonostante i circa cinque miliardi di dollari
ricevuti dall'Arabia Saudita dall'inizio della guerra civile in
Siria.

Re Abdallah di Giordania
Di padre in figlio
Un po' come suo padre Hussein, re Abdallah ha una formazione
militare consolidatasi all’accademia militare inglese di
Sandhurst. Il padre era un pilota di aerei, il figlio un cultore
delle forze speciali; questo spiega, almeno in parte, l’attitudine
ad impiegarle in contesti anche lontani. Sembra infatti che forze
speciali giordane siano presenti anche in Libia a fianco dei SAS
(Special Air Service) inglesi. Per quanto riguarda il teatro
siriano, è convinzione giordana che la guerra contro l’ISIS non
sia di tipo convenzionale o tradizionale, ma di
contro-insurrezione ed è per questo che sono prevalenti le forze
speciali.
La linea politica della Giordania è sempre stata filo-occidentale
e questo ha permesso al regno di hashemita di godere del sostegno
e della protezione degli Stati Uniti, da cui riceve aiuti per
circa un miliardo di dollari l'anno. Il disimpegno militari
americano nelle vicende regionali ha però nei fatti penalizzato il
ruolo della Giordania che, contestualmente, ha rafforzato i propri
rapporti con il Regno Unito e mantenuto contatti e relazioni non
pubblicizzate con Israele.
Nelle sue recenti visite a Washington, non ultimo durante il suo
colloquio con i membri del Congresso americano a gennaio 2016, re
Abdallah ha espresso velate critiche, perplessità e frustrazione
nei confronti del partner statunitense. Vi è infatti la
consapevolezza di come la soluzione della guerra civile in Siria
sia ormai in mani russe e questo potrebbe danneggiare in
prospettiva gli interessi giordani, che invece hanno buoni
rapporti con molti esponenti dell’opposizione siriana. Sul piano
militare quello che preoccupa la Giordania è diventare una delle
rotte di fuga per le milizie dell’ISIS in caso di sconfitta una
volta che le truppe lealiste siriane ed i curdi del YPG
riusciranno a sigillare il confine con la Turchia.
Sul piano interno, invece, è stata emendata la Costituzione ed il
Re si è riappropriato di alcune prerogative che alcuni anni prima,
all'inizio della primavera araba, aveva concesso per evitare
sommosse popolari. Un Re con più poteri, soprattutto nelle nomine
militari e nel campo della sicurezza, per proteggere la monarchia
hashemita.