testata_leftINVISIBLE DOGvideo

LA GIORDANIA E LA PAURA DELL’ISIS


amman

Ci sono due Paesi che, a diverso titolo, temono un allargamento delle conquiste militari dell’ISIS e l'effetto destabilizzante dovuto alla presenza di estremisti e terroristi islamici sul proprio territorio: Libano e Giordania. Il primo è un Paese che da sempre convive con la precarietà istituzionale ed è quindi, in quota parte, abituato a confrontarsi con situazioni sociali, politiche e militari a rischio, trovando di volta in volta nelle necessarie mediazioni interne una sintesi. La Giordania, invece, appartiene a quella parte di mondo che vive in un contesto internazionale ben definito, ha una sua politica interna ed estera non negoziabile, ha una monarchia che ha bisogno, dopo la morte di Re Hussein, di riaffermare il proprio ruolo e prestigio. Questo espone Amman al rischio derivante dal dilagante estremismo islamico nella regione a cui la monarchia giordana si oppone.

Effetti collaterali


La guerra civile siriana, l’ascesa dell’ISIS e la sua diffusione anche sul territorio iracheno sono tutti elementi che mettono in difficoltà la stabilità, se non addirittura la sopravvivenza, del regime hashemita. I 179 km di confine con l’Iraq ed i 379 km con la Siria ne sono la prova evidente. Un primo impatto concreto sul tessuto sociale giordano è dato dagli oltre 680.000 rifugiati siriani che stazionano nel Paese. E’ un dato per difetto perché basato solo sulle liste dell'ONU. Si parla infatti di oltre un milione e mezzo di siriani sparsi sul territorio giordano, a cui vanno aggiunti almeno un milione di rifugiati iracheni e circa 600.000 egiziani. Per un Paese che conta circa 7,5 milioni di abitanti questa massa di profughi costituisce non solo un peso economico, ma anche un pericolo sociale. Anche perché c’è anche il ragionevole dubbio che tra tutti questi espatriati qualcuno sia collegato al terrorismo islamico.

E' infatti sul piano della sicurezza interna che il regno fronteggia i rischi più grandi. Oggi combattono nelle fila dell’ISIS e del Jabhat al Nusra fra Siria e Iraq oltre 2.000 volontari giordani. Questo fa della Giordania una delle nazioni più rappresentate nelle milizie terroristiche in Medio Oriente. Inoltre, da alcuni sondaggi condotti dall’università di Amman emerge come circa il 10% della popolazione esprima simpatie verso l’estremismo islamico. Alcune manifestazioni tenutesi nel giugno 2014 a Ma'an, nel sud del Paese, area storicamente teatro di rivolte e di infiltrazioni salafite e da dove molti volontari sono partiti per unirsi al Jabhat al Nusra, conferma questa statistica. Un altro dato a sostegno del sondaggio è la recente scoperta ed arresto di una trentina di presunti terroristi in procinto di compiere e/o organizzare attentati nel reame.


thuneibat
Abdul Majid Thuneibat


I Fratelli Musulmani giordani


Il potenziale sostegno all'estremismo è un dato ancora più preoccupante se si correla all'attivismo ed al radicamento sociale dei Fratelli Musulmani in Giordania. La fratellanza è presente sia in ambito politico, esercitando l’opposizione e quindi operando in un contesto legale con il Fronte di Azione Islamica (FAI), sia fomentando all’occorrenza disordini cavalcando risentimenti sociali. Le ultime vicende legate alle persecuzioni ed alla (ri)messa al bando dei Fratelli Musulmani in Egitto, l’ostracismo di Arabia Saudita e Paesi del Golfo e l’emarginazione di Hamas hanno creato forti tensioni all’interno della confraternita giordana accentuando i contrasti tra chi intende operare nella legalità e chi invece vorrebbe adottare iniziative radicali.

Lo scontro interno ai Fratelli Musulmani giordani ha generato, il 14 febbraio 2015, una scissione all’interno dell’organizzazione. Il Consiglio della Shura, massimo organo della Fratellanza, ha infatti espulso 10 personalità del movimento che, a loro volta, hanno subito richiesto e ottenuto la legalizzazione di un nuovo soggetto politico. Nella pratica questa nuova fazione dei Fratelli Musulmani, guidata da Abdul Majid Thuneibat, indicata come “riformista” ma sostanzialmente filo-governativa, intende recidere i legami con le omologhe organizzazioni operanti in Egitto e con Hamas, cosa che non piace ai duri e puri del movimento. Uno scontro che ha visto contrapporsi il Consiglio della Shura, che ha approvato l’espulsione dei dissidenti, e il Consiglio degli Studiosi dei Fratelli Musulmani che ha appoggiato Thuneibat. La sostanza è quella di definire una netta distinzione tra i “falchi”, che vogliono continuare ad appoggiare le rivendicazioni e le rivolte dei confratelli mediorientali, e le cosiddette “colombe”, cioè quelli che vogliono rimanere legati alle sole vicende esclusivamente giordane ed operare nella legalità.

In questa diatriba interna alla fratellanza giordana è rimasta implicata anche Hamas, strumentalizzata da un'accusa di Abdul Majid Thuneibat di aver creato una organizzazione segreta nel reame. La circostanza è stata ovviamente negata dai vertici di Hamas, ma ha avuto la conseguenza di mettere a repentaglio anni di tentativi da parte di Khaled Meshal, capo dell’Ufficio politico di Hamas, di ripristinare rapporti cordiali con Re Abdullah II. Hamas è stata estromessa dalla Giordania nel 1999.

I rischi della frammentazione


Esaudire la richiesta di Thuneibat di legalizzare la propria branca dei Fratelli Musulmani mira soprattutto a mettere giuridicamente fuori dalla legalità la componente a lui opposta che, almeno numericamente, è ancora maggioritaria. Le autorità governative giordane sono sicuramente consenzienti o almeno favorevoli a questa scissione che, almeno in un primo momento, indebolisce la confraternita. Ma, a buon titolo, paventano anche il rischio che deriva dallo spingere verso l'illegalità una parte del movimento e le conseguenze che questo potrebbe avere nel combattere l’estremismo islamico nel Paese. I Fratelli Musulmani in Giordania contano su di una militanza attiva di 6/7.000 uomini e potrebbero creare delle saldature con le milizie dello sceicco dell'ISIS, Al Baghdadi. Questo è uno dei motivi per cui la confraternita giordana, nonostante le pressioni dei Paesi del Golfo e dell’Egitto, non è stata mai inserita da Amman nella lista delle organizzazioni terroristiche.

A sostegno della sua iniziativa Abdul Majid Thuneibat ha enfatizzato anche il valore aggiunto dell'appartenere ad una tribù beduina in contrapposizione alla maggioranza del Consiglio della Shura, di origine o più favorevole alle istanze palestinesi con tutto quello che ciò implica nelle vicende regionali. Non bisogna infatti dimenticare come la monarchia hashemita basi la propria forza ed il proprio consenso sui beduini, nonostante i palestinesi costituiscano circa la metà della popolazione giordana.

Per completare il quadro bisogna anche dire che il Fronte di Azione Islamica non è oggi rappresentato nel Parlamento giordano dopo aver boicottato le ultime elezioni generali ed opera quindi politicamente e socialmente già ai margini della legalità.

I legami con il terrorismo


Il nesso che lega l’estremismo islamico giordano alle vicende interne dei Fratelli Musulmani è un dato di fatto e costituisce, sul piano interno, uno dei principali pericoli per la stabilità della monarchia. Se il leader del FAI, lo Sheykh Hamza Mansour, ha recentemente dichiarato che il califfato può nascere anche in Giordania, ma con il consenso del popolo, accanto alla confraternita vi è anche il movimento dei salafiti giordani, guidati da Mohammed Shalabi (alias Abu Sayyaf), che coltiva identiche visioni estremistiche.

Infatti, proprio per disinnescare sul piano religioso le simpatie verso i gruppi radicali e, al contempo, delegittimare le efferatezze dell’ISIS, le autorità giordane hanno liberato dal carcere due teologi molto noti per le loro istanze radicali. Il primo, Abu Qatada, alias di Omar Mahmoud Othman, è un giordano/palestinese estradato dall’Inghilterra nel 2013 per terrorismo e, forse non casualmente, recentemente dichiarato non colpevole. Il secondo è Abu Mohammed al Maqdisi, alias di Assem Mohammed Tahir al Barqawi, anche lui giordano/palestinese, condannato a 5 anni di reclusione per il reclutamento di mujaheddin in Afghanistan e già noto alle patrie galere dove aveva passato 16 anni sempre per coinvolgimento in attività terroristica. I suoi scritti sono stati fonte di legittimazione e di ispirazione per le imprese di Abu Musab al Zarqawi in Iraq e di Ayman al Zahawiri in Afghanistan. La liberazione di entrambi questi estremisti è stata mercanteggiata con delle dichiarazioni e delle prediche pubbliche dove entrambi i personaggi hanno più volte reiterato le loro accuse di illegittimità contro l’ISIS.


al maqdisi
Abu Mohammed al Maqdisi


Una scelta di campo

Oltre ai pericoli di natura endogena vi sono anche quelli di origine esogena. Un po’ per necessità, dettata dal contesto internazionale in cui opera la Giordania ed i cui garanti sono gli Stati Uniti, i Paesi occidentali ed in linea subordinata anche lo stesso Israele, e in parte per convinzioni di natura politica e sociale, Amman si è fermamente schierata per la lotta contro l'ISIS. Il coinvolgimento militare del reame è emerso in maniera plateale quando un suo aereo da combattimento è stato abbattuto sopra Raqqa il 24 dicembre 2014, il suo pilota catturato e poi arso vivo il 3 gennaio 2015. L'episodio in realtà non ha altro che accentuato l’impegno anti-ISIS della Giordania sia in termini militari, come emerso dalla rappresaglia aerea dell’operazione “Martire Muath”, sia con lo schieramento di reparti corazzati al confine con Siria ed Iraq. La recente conquista del valico confinario con la Siria da parte del Jabath al Nusra ha aumentato il pericolo per la stabilità del reame.

La Giordania in questi anni è diventata nei fatti il fulcro della lotta contro il regime di Bashar al Assad, prima, e di quella contro l'ISIS, poi. Amman ospita sul proprio territorio circa 8.000 soldati americani, soprattutto reparti di élite ed un'unità aerea a Mafraq, basi addestrative dove la CIA forma i ribelli siriani (l’Amministrazione USA ha recentemente stanziato mezzo miliardo di dollari per addestrare almeno 5.000 ribelli l’anno prossimo) e un Comando Operativo Militare nella capitale che coordina le operazioni nella regione e dove operano americani, sauditi ed militari provenienti da altri stati del Golfo. La Giordania consente inoltre l’afflusso ed il rientro dei ribelli in Siria con la relativa fornitura di armi e finanziamenti assecondando, nei fatti, le loro attività militari.

La centralità di Amman nella lotta contro l’ISIS e contro il regime siriano è stata certificata dalla recente visita, il 5 marzo 2015, del capo di Al Quds, le unità speciali delle Guardie Rivoluzionarie, il Generale iraniano Qasem Soleimani, prima dell’inizio delle operazioni per riconquistare Tikrit da parte dell'esercito iracheno con l’appoggio anche di Teheran. Soleimani si è incontrato con il Direttore del GID (General Intelligence Directorate), il Generale Faisal al Shoubaki, mentre non è chiaro se abbia segretamente anche incontrato Re Abdullah. Oggetto della discussione è stata anche la presenza di circa 15.000 miliziani sciiti in Siria, di cui quota parte iraniani. Al generale iraniano è stato riservato un trattamento di riguardo anche dal punto di vista protocollare e questo indica che, nella prospettiva di un riavvicinamento dell’Iran con i Paesi del Golfo, la Giordania potrebbe giocare, ovviamente con il consenso saudita, un ruolo centrale. Da settembre scorso Amman ha ristabilito i rapporti diplomatici con Teheran inviando un ambasciatore e, dopo Soleimani, il Ministro degli Esteri giordano Nassir Judeh ha visitato la capitale iraniana.

Anche il generale americano Martin Dempsey, Capo di Stato Maggiore, transita spesso da Amman per consultazioni con le autorità locali. Nel contesto dei fondi per la lotta al terrorismo, gli USA hanno recentemente approvato un sostanziale aiuto militare al reame per il 2016.

Un pericolo immanente

Ma, come abbiamo detto, nonostante l’impegno militare e gli appoggi internazionali, il reame non è esente dai pericoli immanenti. Ci sono dei confini prossimi ad aree di guerra, con possibili infiltrazioni di terroristi, si è creato un florido mercato di contrabbando di armi, sono state sinora debellate alcune cellule terroristiche che preparavano attentati nel Paese.

Anche se in passato la dinastia hashemita ha sempre avuto rapporti difficili con la monarchia saudita, in una competizione legata alla rispettiva legittimazione nella discendenza dal Profeta e nel controllo dei luoghi santi, adesso tra Amman e Riyadh, complice anche il comune pericolo dell’ISIS, le relazioni sembra stiano diventando più strette. Questo produce per la Giordania, che non ha risorse proprie e sopravvive quindi grazie ai contributi esteri, l’arrivo di finanziamenti, più che mai utili per mitigare i disagi e le rivolte sociali quando nel Paese la disoccupazione oscilla tra il 25% e il 30%.

A differenza del padre Hussein, re Abdullah deve ancora consolidare il proprio ruolo di monarca nelle simpatie della popolazione. La morte del pilota Muath al Kassabeh e la partecipazione alle esequie hanno sicuramente aiutato a migliorare la figura del sovrano, ma soprattutto della moglie Rania, di origine palestinese, spesso oggetto di critiche per il lusso che impunemente esibisce. La scelta di schierarsi contro l’ISIS non trova ampio consenso nella popolazione giordana che, in alternativa, avrebbe preferito un atteggiamento più neutrale e meno interventista nelle aree di crisi regionali. Questo è un sentimento fatto proprio non solo dai militanti dei Fratelli Musulmani.

Una scelta di campo era obbligatoria anche perché, a parte il pericolo derivante dall’ISIS, dalla guerra civile siriana, dalla diffusione esponenziale del fondamentalismo islamico politico e di matrice terroristica, il regno hashemita è implicato anche in un’altra annosa vertenza: la questione palestinese. La recente riconferma di Benjamin Netanyahu nelle recenti elezioni israeliane che, durante la campagna elettorale ha affermato pubblicamente che non consentirà mai la formazione di uno Stato palestinese, stanno creando le premesse per una prossima Intifada. Ed un Paese dove metà della popolazione è di origine palestinese, una circostanza del genere sarebbe socialmente molto pericolosa per la stabilità del regno.

Poi c’è adesso il problema degli Houthi e dell’intervento militare saudita in Yemen. A parte la solidarietà giordana, soprattutto simbolica, all’iniziativa saudita ciò che preoccupa Amman è che questa nuova area di crisi possa distogliere l’attenzione dalla guerra all’ISIS, che è invece la priorità assoluta del Paese. Con la campagna di guerra yemenita, gli Emirati Arabi Uniti ed il Bahrein hanno infatti tolto il loro supporto militare aereo alla coalizione internazionale impegnata contro l’ISIS.

La politica estera giordana tende oggi a distinguersi rispetto a quella di molti altri attori regionali: è contro l’isolamento dell’Iran, nella guerra in Siria ritiene prioritaria la sconfitta dell’ISIS e non la caduta di Assad, è velatamente critica del disimpegno americano nell’area, sulla Libia ha preso una netta posizione ospitando il Generale Haftar, promettendogli armi ed addestramenti. Il tempo dirà se la scelta di campo di re Abdullah è stata saggia, ma non bisogna mai dimenticare che, nel contesto mediorientale, la Giordania è uno dei Paesi più deboli dal punto di vista demografico, finanziario e militare.

back to top