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RAPIMENTI: ATTIVITA’ DI UNO 007


silvia costanza romano

Silvia Costanza Romano


Il caso del rapimento della cooperante italiana Silvia Costanza Romano, avvenuto in Kenya il 20 novembre 2018, ripropone quella che è la procedura da attivare per casi del genere. Gli attori principali sono due: il Ministero Affari Esteri e l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE).
Il primo opera attraverso l’ambasciata nel paese dove avviene l’evento e nella fattispecie quella di Nairobi. L’AISE invece lo fa attraverso il proprio rappresentante in loco.

Entrambe le strutture operano, come è giusto che sia, in coordinamento tra loro. Vengono attivati rispettivamente due canali:

- l’ambasciata si rivolge al Ministero Affari Esteri per sensibilizzare la controparte sulla preoccupazione del governo italiano per l’incolumità della connazionale;
- il rappresentante dei Servizi, in questo caso il Capocentro, fa altrettanto con l’omologo locale, nello specifico il National Intelligence Service keniano, monitorando sul terreno quello che la controparte ha messo in atto. Nelle indagini in questione c’è di mezzo la Polizia keniota che effettua investigazioni, posti di blocco o arresti. La risultanza di questa attività viene comunicata, con continuità, alle autorità italiane in loco.

Due responsabilità diverse

Seppur entrambi gli organismi italiani siano importanti nell’interloquire con le istituzioni locali, il Ministero Affari Esteri, una volta sensibilizzate le autorità keniote, ha svolto pressoché totalmente il proprio ruolo. L’ambasciatore rimarrà in continuo contatto con il Ministero Affari Esteri sia a Roma che a Nairobi, sicuramente chiederà ed otterrà un incontro con il Ministro degli Interni del Kenya. Si farà anche portavoce degli organismi inquirenti italiani operando con il locale Ministero della Giustizia. Potrà anche attivare e sollecitare il console onorario di Malindi, che è territorialmente competente alla luce di dove si è verificato il rapimento, il villaggio di Chakama. Altrettanto potrà fare con l’altro console onorario a Mombasa che opera nella fascia costiera del Kenya.

Ma la parte operativa, quella che si riferisce a tutte le iniziative che possono essere messe in atto per liberare la connazionale, ricadono sul Capocentro dell’AISE. E’ lui che dialoga continuamente con i Servizi locali, è lui che stabilisce un contatto diretto con la Polizia, è lui che ha titolo a fornire suggerimenti operativi alla controparte, a sconsigliare eventuali operazioni troppo pericolose, a sollecitare iniziative utili alle indagini. E’ ancora lui che fa da intermediario tra i reparti investigativi italiani, nel caso specifico il ROS (Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri), e gli organismi di sicurezza locali. Non è interferenza, non può ovviamente andare oltre i limiti dell’insistenza, ma sicuramente quello che dice “deve” essere considerato.


aise logo

Lo stemma dell'AISE


Le armi del Capocentro

Il Capocentro, quello che fa bene il suo lavoro, ha sicuramente un ottimo rapporto con il National Intelligence Service e questo fa sì che la collaborazione della controparte non sia solo un atto dovuto, ma anche partecipato. Il Capocentro è un po' come l’ambasciatore dell’AISE nel Paese, quando parla lo fa a nome del suo Direttore a Roma e gode quindi di una considerazione, magari non pubblica, pari a quella dell’omologo del Ministero Affari Esteri, l’Ambasciatore.

Se poi ha fatto bene il suo lavoro, avrà avuto tempo e opportunità per conoscere personaggi influenti locali, avrà quindi la possibilità di far sostenere le sue istanze con il beneficio di questi contatti. Per ovvi motivi di contiguità tra i rispettivi lavori nel campo della sicurezza, generalmente il Capo della Polizia è uno di questi.

Un’altra area dove il Capocentro sviluppa relazioni personali è quella della comunità italiana che risiede in Kenya. E’ una comunità numericamente consistente e, nel caso specifico, conta personaggi molto qualificati ed inseriti nel tessuto sociale locale. Anche tramite questi agganci potrà essere portata avanti un’attività di sensibilizzazione.

Sicuramente una leva che può essere utilizzata con i Servizi Informativi è quella che generalmente si usa in questo tipo di relazioni bilaterali: corsi addestrativi, invito ufficiale del loro Direttore a visitare l’Italia, fornitura di materiali o apparecchiature. Sono gesti di considerazione che quando si applicano verso i Servizi di quei paesi, come il Kenya, in via di sviluppo e con limitate risorse, hanno un coefficiente di ricaduta positiva molto alta.

Un’eventuale trattativa per il riscatto

Anche se ufficialmente le autorità governative negano sempre il pagamento di un riscatto, la realtà è che quando c’è in gioco la vita o l’incolumità di un ostaggio, l’Italia è tra quei Paesi che è disponibile a negoziare per la sua liberazione. E’ avvenuto ampiamente in Iraq. È avvenuto ultimamente in Siria.

Ovviamente è un’attività che si svolge in forma segretata con (preferibilmente) o senza l’assistenza delle forze di sicurezza locali. In questo caso il primo problema è quello di trovare l’interlocutore che parli a nome dei rapitori. Il secondo è valutarne la sua affidabilità. Deve essere cioè verificato il potere contrattuale di cui dispone. E deve ovviamente fornire prove che abbia effettivamente accesso a chi detiene l’ostaggio.

Buona parte di questa attività compete sempre al Capocentro, anche se sicuramente anche altri agenti dalla Centrale sono coinvolti nell’operazione. Anche perché la trattativa è molto delicata, generalmente il riscatto è pagato in un Paese terzo, devono essere ben coordinati i tempi tra il rilascio dell’ostaggio ed il pagamento del riscatto, sono coinvolti altri intermediari di cui il Capocentro non conosce probabilmente l’identità. E quando ci sono soldi e c’è di mezzo la vita di una persona è bene che siano più persone a valutare le iniziative, ad assumersi responsabilità, a prendere le decisioni giuste.

Il Capocentro e gli altri Servizi

Il Capocentro nel Paese in cui risiede sviluppa anche contatti con omologhi di altri Servizi che operano come lui nelle relazioni con quelli locali. Sono contatti che si creano nell’ambito di comuni frequentazioni, fa anche parte un po' di quella empatia che fa avvicinare persone che fanno lo stesso lavoro e magari condividono gli stessi rischi.

Un Capocentro, prima o poi, conosce questi colleghi, anche perché individuarli fa parte del suo lavoro ai fini della sicurezza. Deve sapere sotto quale copertura agiscono, quanto siano introdotti nel tessuto sociale locale, cosa fanno e cosa cercano nelle priorità della loro nazione. Tra Servizi amici o rivali generalmente non si condividono informazioni o notizie, non si fanno operazioni congiunte, non c’è affidabilità su quello che potrebbero dirti, ma quando c’è un evento come quello che vede la cooperante italiana rapita, scatta anche in questo tipo di relazioni una certa solidarietà. Anche perché il confine tra criminalità e terrorismo (e quest’ultimo interessa a tutti), in un’area prossima al confine con la Somalia, è sempre molto labile. In parole povere ci si aiuta, ci si dà una mano, si condividono notizie specifiche. Non è più un problema di intelligence a ruoli contrapposti ma qualcosa di diverso.

In Kenya sono presenti rappresentanti di molti Servizi ed alcuni di loro molto importanti. Magari al rappresentante della CIA potrebbe essere richiesto (sia dalla Centrale a Roma ma anche dal Capocentro) un supporto nelle intercettazioni, un utilizzo di un drone per individuare il covo dei rapinatori vista anche la massiccia presenza americana a Gibuti.


Ministero degli Affari Esteri

Il Ministero degli Affari Esteri


Cosa avviene a Roma

A cavallo delle iniziative sul terreno in Kenya, anche a Roma vengono create delle strutture di emergenza per seguire l’evento. Per quanto riguarda il Ministero Affari Esteri, c’è un’Unità di Crisi che opera principalmente in questo tipo di emergenze. E’ la struttura che dialoga con l’ambasciatore a Nairobi e che si interfaccia con i familiari della cooperante rapita in Italia. A questi comunica con continuità l’evoluzione dell’attività investigativa.

Ma sempre in Italia anche l’AISE ha una sua Sala Operazioni che H/24 segue nel mondo gli eventi più importanti ai fini della sicurezza. Per il rapimento di Silvia Costanza Romano questa struttura ha sicuramente attivato un desk specifico. Tutte le informazioni di interesse vengono comunicate al capo del Governo o al sottosegretario con delega per i Servizi (l’AISE dipende dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) tramite il DIS (Dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza), che coordina l’attività sia dell’AISE e dell’AISI, o, qualora autorizzata direttamente. Il governo è quindi informato con continuità sull’evoluzione del caso.

Qualora emergano notizie di interesse sulle condizioni della connazionale o sull’evolversi delle indagini, queste possono essere fornite dall’AISE anche al Ministero Affari Esteri per essere portate a conoscenza dei familiari.

Sinergie utili

Quello che acquisisce il Capocentro a Nairobi viene trasmesso direttamente a Roma e, se non esistono controindicazioni, è buona norma che venga informato, in un momento successivo, anche l’ambasciatore. Altrettanto dovrebbe, anzi “deve” avvenire in senso inverso. Sono sinergie utili a far sì che si evitino accavallamenti di iniziative, dispendio di risorse altrimenti meglio utilizzabili. Anche perché, alla fine, sia il Capocentro che l’ambasciatore hanno necessità di essere rispettivamente informati e regolarsi di conseguenza. Può anche capitare che l’uno, in uno specifico momento dell’indagine o dell’attività di sensibilizzazione, abbia bisogno dell’altro.

I risultati

E’ chiaro che, per quanto possa essere efficace l’attività di sensibilizzazione dell’ambasciatore o di quella di intervento del Capocentro, il successo o l’insuccesso degli interventi dei Servizi di Sicurezza dipende dalla capacità investigativa di quest’ultimi. La caccia ai rapitori e l’eventuale liberazione della connazionale, oramai da mesi in mano a dei criminali, è però legata anche a queste attività in buona parte occulte, a questi personaggi che si agitano nell’ombra e che alla fine concorreranno, al pari della polizia locale, al successo finale. Personaggi, come nel caso del Capocentro locale, che non hanno un volto o un nome e che una volta che tutto andrà auspicabilmente a buon fine, non avranno nemmeno la giusta soddisfazione di essere citati dal plauso ufficiale dell’opinione pubblica italiana.



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