OMICIDIO KHASHOGGI: LE CONSEGUENZE NEL REAME SAUDITA
Mohamed bin Salman
In Arabia Saudita governa da sempre una monarchia assoluta priva
delle sensibilità sociali necessarie ad una corretta gestione del
potere: il rispetto dei diritti umani e dei cittadini, la
possibilità che possa esistere o sia tollerabile un certo dissenso
sulle scelte del regime. La morte di Jamal Khashoggi è conseguenza
di questo approccio.
L'unica cosa che forse non è stata adeguatamente valutata sono
state le conseguenze politiche che l'uccisione del giornalista
avrebbe innescato. Ed è proprio su queste conseguenze che si è
articolato il balletto di bugie, false responsabilità, negazioni
dell'evidenza, tutto nel perseguito interesse a disinnescare il
danno di immagine che il regime – e più espressamente la figura
del Principe ereditario Mohammed bin Salman – ha subito. E’
infatti oggi il figlio del Re, colui che gestisce in modo
autoritario il potere nel campo della sicurezza, ad essere sul
banco degli imputati.
La forzatura nella successione
La famiglia reale saudita, una pletora di oltre 15mila tra
principi e principesse e parenti vari, è oramai una holding
economica dove affari, gestione del potere e degli incarichi sono
da sempre caratterizzati da una condivisione delle scelte. Lo
stesso sistema dinastico, seppur regolato da avvicendamenti sulla
base dell’anzianità anagrafica, da un fratello all’altro, ha
subito, con l’arrivo di Re Salman, un forte ridimensionamento.
Scartati, nel ruolo di Principe ereditario, il fratellastro Muqrin
– reo di essere figlio di una schiava yemenita, nato fuori dai
matrimoni ufficiali del padre Abdul Aziz (22 matrimoni ufficiali,
numerose concubine e schiave) – e l’altro fratello Ahmed bin Abdul
Aziz (che avrebbe rinunciato a candidarsi insieme ad altri 9
fratelli/fratellastri) entravano nella linea di successione i
nipoti.
Nominato nell’aprile 2015, il nipote Mohammed bin Nayef (il padre
Nayef, se non fosse morto prematuramente, avrebbe preceduto Salman
nell’ascesa al trono), oggi quasi sessantenne, è stato estromesso
dal Re due mesi dopo la nomina, peraltro in modo alquanto brusco,
per inserire nella linea di successione al trono il proprio figlio
trentenne Mohammed bin Salman. Un abuso che ha fatto saltare il
criterio dell’anzianità anagrafica a favore di una scelta
nepotistica e familiare. Da questa forzatura dinastica sono poi
arrivate, in ricaduta, una serie di conseguenze e comportamenti
negativi.
Sapendo di non essere ben accetto e quindi osteggiato nell’ambito
della corte reale, Mohammed bin Salman ha inteso esercitare il
potere in modo autoritario e attraverso un regime poliziesco.
Estromessi (e poi messi sotto stretto controllo) tutti i parenti
che a diverso titolo potevano rivendicare un accesso al trono,
nominati ai vertici militari della sicurezza e della Guardia
Nazionale tutti uomini fidati, accentrati nelle sue mani i
maggiori poteri: Ministro della Difesa, Ministro degli Interni,
presidenza della Commissione economica, diretta responsabilità
nella riforma dei Servizi di sicurezza, Segretario Generale della
Corte reale (colui che autorizza i contatti con il sovrano).
In un crescendo di prepotenza e tracotanza, il figlio di Salman ha
inteso sbarazzarsi di ogni voce contraria accompagnando la lotta
alla dissidenza con una brutalità inusitata.
Mohamed bin Nayef
Gli errori accumulati
Mohammed bin Salman deve rispondere di una serie di errori
commessi nella gestione del potere, sia in politica estera che sul
piano interno. Si è voluto infilare in una guerra in Yemen contro
gli Houthi (sciiti/zaidi) con risultati disastrosi: perdite di
uomini, scarse vittorie, un costo finanziario eccessivo, una crisi
umanitaria e sociale in prossimità dei propri confini meridionali
che sinora ha prodotto solo instabilità. Adesso il problema è
quello di venirne fuori senza perdere la faccia.
Ha innescato una diatriba fatta di contrasti e accuse contro un
Paese membro del Gulf Cooperation Council come il Qatar,
decretando inoltre una serie di sanzioni credendo così di poterlo
piegare ai propri interessi, mentre ha ottenuto l’effetto
contrario: il Qatar si è avvicinato all’Iran ed ha ottenuto un
sostegno diretto turco che ha inviato un proprio contingente sul
territorio dell’Emirato.
Altrettanta protervia è stata utilizzata con il Premier libanese
Saad Hariri: convocato a Ryadh, arrestato, picchiato, costretto
inizialmente alle dimissioni, poi a rilasciare delle dichiarazioni
contro l’Iran nel chiaro scopo di interferire nelle vicende di un
governo straniero che ha al suo interno l’appoggio degli
Hezbollah. Intento poi fallito. Hariri è tornato a Beirut a fare
il primo ministro.
Sul piano interno si è inimicato molte persone, inclusi diversi
membri e dignitari della corte reale, con atteggiamenti
sprezzanti, senza alcuna ricerca del consenso, ma instaurando un
clima di terrore. Ha anche emarginato ed osteggiato il clero
wahabita che è comunque parte attiva nella legittimazione della
famiglia Saud al potere.
Queste sono le vistose discrasie di un uomo che, quando prende
un’iniziativa, non valuta mai il rapporto di causa ed effetto
preferendogli il suo senso di impunità. Preoccupante è anche la
sua mancanza di scrupoli, la brutalità con cui persegue i suoi
fini, una voglia di strafare che forse fa da contraltare alla
paura di essere un domani defenestrato.
Se oggi Mohammed bin Salman, nel ruolo di Principe ereditario, ha
collezionato così tanti errori, non fa ben sperare nell’ipotesi
che domani possa accedere al trono del padre. L’ultimo incidente,
quello che ha portato all’eliminazione di Jamal Khashoggi, esula
oramai dal contesto di un efferato delitto per diventare la
cartina di tornasole del comportamento di un uomo che, in
prospettiva, potrebbe creare ancora più tensione all’interno del
Paese e destabilizzare la regione mediorientale.
Forse un ottimo comunicatore, ne fa fede la credibilità e simpatia
che aveva raccolto nei suoi rapporti internazionali, ma anche un
pessimo stratega.
Saad Hariri
Il riformatore
Mohammed si è accreditato, in patria e all’estero, come l’uomo
delle riforme, colui che avrebbe traghettato il proprio paese dal
Medio Evo di una società condizionata dall’estremismo wahabita
verso un mondo più aperto. Le donne che possono guidare la
macchina o vedere partite di calcio, apertura alla musica e al
cinema, il rilascio di visti turistici, modifica dei programmi
scolastici. Tutti segnali di un mondo in via di cambiamento.
Per fare questo si è sentito autorizzato ad utilizzare ogni
strumento di coercizione in suo possesso. Ricambio di vertici
militari e politici senza preavviso o giustificazione, dissidenti
ed oppositori in galera, arresti di massa e purghe, lotta alla
corruzione con arresti di ministri, ex ministri e membri della
famiglia reale (seppur confinandoti in hotel a 5 stelle) costretti
a devolvere parte del loro patrimonio allo Stato (garantendosi
così anche il controllo finanziario del Paese), nazionalizzazioni
forzate abbinate a investimenti straniere.
Forse, è il giudizio di molti osservatori stranieri, troppe
riforme e tutte insieme lasciavano intravedere un unico
denominatore comune: l’interesse personale del principe a
rafforzare il proprio potere personale.
La responsabilità
In Arabia Saudita oggi non avviene niente, soprattutto nell’ambito
della sicurezza, che non sia autorizzato direttamente dal principe
ereditario. Il sovrano, anziano e fisicamente debilitato, ha
oramai delegato al figlio ogni margine decisionale. Da questa
considerazione emerge la possibilità che il sovrano, forse, non
sapesse nulla dell’operazione contro Khashoggi, ma che sicuramente
ne era a conoscenza il figlio Mohammed, perché da lui autorizzata.
I tentativi di accreditare le colpe ad altri e di sanzionare con
condanne a morte un brutale omicidio, le pubbliche condoglianze al
figlio di Khashoggi, le dichiarazioni di esecrazione per un
efferato delitto, sono tutti tentativi utili adr allontanare i
sospetti dal principe ereditario, ovvero limitare i danni alla sua
immagine.
Ma è troppo tardi. Oramai anche la CIA ha ufficializzato il
diretto coinvolgimento di Mohammed bin Salman indicando, tra
l’altro, delle intercettazioni durante le quali era emersa
l’intenzione saudita di rapire Khashoggi.
Cosa potrà accadere
Quasi sicuramente il sovrano non potrà estromettere il figlio
dalla linea di successione. Sarebbe anche per lui una sconfitta
per una scelta sbagliata e che peraltro riguarda la sua famiglia.
La speranza è che con il trascorrere del tempo l’impatto negativo
del caso Khashoggi sulla credibilità di Mohammed possa
affievolirsi.
Però è inequivocabile che all’interno della corte reale il
problema della successione a Salman rimane aperto e che lo scontro
tra Mohammed bin Salman e gli altri pretendenti al trono è solo
rinviato. Una soluzione mediata potrebbe essere quella di togliere
alcuni incarichi ministeriali a Mohammed (soprattutto quelli
inerenti agli aspetti di sicurezza), ma questo equivarrebbe ad un
suo indebolimento eccessivo. Il Re potrebbe anche tentare di
avvicendare Mohammed con un altro suo fratello più anziano, Faisal
bin Salman, allo scopo di mantenere la successione in ambito
familiare.
Ma a parte queste forme di compromesso, di aspiranti al trono
ostili a Mohammed sono molti in Arabia Saudita. Mohammed bin Nayef
ritorna almeno virtualmente in lizza nella successione. C’è anche
il cugino Mutaib bin Abdullah, estromesso dalla guida della
Guardia Nazionale, poi arrestato per corruzione e successivamente
liberato dopo l’esborso di un risarcimento di un miliardo di
dollari. I suoi rapporti con le tribù di beduini, coltivati
durante il comando della Guardia, lo rendono politicamente forte.
C’è anche lo zio Muqrin bin Abdul Aziz che potrebbe ripristinare
la successione sulla linea dei fratelli e non dei nipoti. E non è
da escludere, in quanto oppositore dichiarato alla guerra di
Mohammed in Yemen, lo zio Ahmed bin Abdul Aziz, rientrato da un
auto-esilio a Londra e fortemente festeggiato al suo rientro in
patria da molti membri della casa reale.
La successione al trono è regolata in Arabia Saudita dal
cosiddetto Consiglio di Fedeltà che teoricamente decide sia sulla
linea di successione, sia sulla incapacità del sovrano qualora
subentrino malattie invalidanti. Tale organismo, creato nel 2006 e
composto da 34 membri nominati dal sovrano e presenti di diritto
nell’ambito della famiglia reale, ha avuto sinora un ruolo
marginale, solo di ratifica di decisioni del sovrano. All’interno
di questo Consiglio si scontrano un gli interessi di tutte le
maggiori famiglie dei Saud, quelle maggioritarie legate ai Sudairi
(la moglie più influente di Abdul Aziz), al cui ramo appartiene Re
Salman, ed altri clan familiari come quello degli Abdullah e dei
Nayef.
Un sistema politico costruito sulla mediazione e sul compromesso,
con dispute risolte in modo incruento e negoziato, lascia adesso
spazio a faide familiari, a congiure di palazzo, ad un periodo di
instabilità dove vecchi equilibri e vecchie soluzioni sono oramai
saltate.
Come reagirà il principe ereditario?
Molto di quello che avverrà in Arabia Saudita nel prossimo futuro
dipenderà anche da come Mohammed intenderà affrontare il crescente
dissenso nei suo riguardi. Nonostante l'appoggio incondizionato
del padre, Mohammed sa bene che molti membri della corte reale non
condividono la sua futura ascesa al trono ed il caso Khashoggi ha
accentuato questa opposizione.
Sinora il principe ha reagito con autoritarismo e arroganza
anziché, come forse sarebbe stato meglio, con la ricerca del
consenso. Un autoritarismo poi trasceso in repressione. Adesso c’è
da verificare se intenderà proseguire in questa direzione, magari
inasprendo la repressione, o invece cercherà di trovare qualche
compromesso. Per quello che ha fatto sinora con troppa tracotanza,
appare un po' difficile che possa trovare interlocutori disposti
ad assecondarlo.