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OMICIDIO KHASHOGGI: LE CONSEGUENZE SUL PIANO INTERNAZIONALE


saudi


Se si guarda al caso Khashoggi per capirne le conseguenze ci si accorge che l’orribile morte del giornalista è ormai un fatto marginale. L'eliminazione di un povero giornalista saudita che aveva solo la colpa di criticare con toni moderati il suo paese è diventato l'elemento meno importante di questa torbida storia. Etica, giustizia, rispetto dei diritti umani, sono solo inutili corollari di qualcosa di più importante. Nella fattispecie: i giochi di potere in Medio Oriente.

Oltre ovviamente ai sauditi, il Paese più interessato a trovare una soluzione indolore al disastro di immagine sono stati gli Stati Uniti perché l'Arabia Saudita è il paese arabo alleato più importante. Il problema americano è quello di esorcizzare la sostanza per salvare le apparenze.

Giusto o sbagliato che sia, la politica estera si basa sugli interessi nazionali e non sull'etica. E nel caso specifico la morte di Khashoggi non vale quanto un interesse strategico o economico.

Il coinvolgimento del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman nell’omicidio Khashoggi non ha quindi conseguenze solo sul piano interno in Arabia Saudita, ma anche sul piano internazionale ed, in particolare, in Medio Oriente. Mohammed, infatti, aveva instaurato una nuova politica estera nella regione che risentirà della sua caduta di immagine e di prestigio.

Nonostante ciò l’Arabia Saudita, nella buona o nella cattiva sorte, resta sempre centrale negli equilibri regionali. Ma il declino di Mohammed bin Salman ha avuto delle ripercussioni sugli altri attori regionali.

Iran

L’Iran è la nazione che più di altre trae vantaggio dalla vicenda Khashoggi essendo in diretta concorrenza con i sauditi nella regione, sia sul piano religioso (sciismo contro sunnismo), sia sul piano della supremazia,politica e militare.

Questa circostanza è ancora più marcata dal fatto che gli Stati Uniti hanno scelto l’Arabia Saudita come paese centrale nel fronteggiare l’invadenza iraniana. L’indebolimento della leadership di Mohammed bin Salman colpisce l’uomo al centro degli stretti rapporti con Washington e dei legami privilegiati con il genero del Presidente Trump, Jared Kushner.

Sono state vendute armi ai sauditi per oltre 100 miliardi di dollari, è stata fornita assistenza di intelligence nella disastrosa guerra in Yemen, si sono infittiti anche i rapporti economici. Se cade Mohammed bin Salman, decade anche parte di quel legame privilegiato tra i due Paesi. E soprattutto si determina una instabilità all’interno dell’Arabia Saudita.


don trump

Donald Trump


Stati Uniti

Il caso Khashoggi ha messo gli Stati Uniti in una posizione difficile. Da un lato – lo ha affermato più volte direttamente il Presidente Donald Trump – l’Arabia Saudita rimane un Paese importante e fondamentale negli equilibri geo-strategici del Medio Oriente. A maggior ragione adesso che la Russia è tornata ad essere importante nelle vicende regionali.

Dall’altro lato, anche a seguito dell’impatto che ha avuto la vicenda Khashoggi sull’opinione pubblica americana (non dimenticando al riguardo che il dissidente viveva in auto-esilio proprio negli Stati Uniti), il presidente americano ha la necessità politica di prendere le distanze da colui che viene ritenuto il responsabile e il mandante dell’efferato delitto.

Percorsa, inizialmente, la strada del dubbio, delle verifiche accurate da effettuare, dei distinguo e dei silenzi, alla fine Trump ha dovuto prendere in considerazione le colpe del giovane principe saudita. A questo punto si sono aperte due strade: dialogare sempre e comunque con l’Arabia Saudita, prendere nel contempo le distanze da Mohammed bin Salman.

Un equilibrismo politico che ha inciso negativamente sulle relazioni bilaterali fra i due Paesi anche alla luce del fatto che Donald Trump, a differenza del suo predecessore, ha rafforzato i rapporti con Riad. Rimane difficile, per Trump, accusare l’Iran di una violazione sistematica dei diritti umani e poi disattendere il fatto che altrettanto avvenga in Arabia Saudita. Ma quello che più preoccupa gli Stati Uniti è che un indebolimento di Mohammed bin Salman possa creare instabilità all’interno dell’Arabia Saudita.

Un altro problema è che Mohammed era l’interlocutore degli americani, responsabile di decisioni, come quella di accettare senza proteste che Gerusalemme diventasse capitale di Israele, che altrimenti nessuno a Riad avrebbe mai accettato.

Se salta Mohammed bin Salman, salta l’opzione americana sulla risoluzione del problema palestinese, salta o si ridimensiona la guerra in Yemen (e se ciò avvenisse sarebbe un successo iraniano), salta quella lotta comune al terrorismo e le sinergie messe in campo per affrontare il futuro della Siria.

Turchia

L’offuscamento dell’immagine saudita negli Stati Uniti porta sicuramente dei vantaggi anche alla Turchia. Il primo è che ultimamente la Turchia, alleata NATO, grazie ad una serie di atteggiamenti ed iniziative estemporanee del suo presidente Recep Tayyip Erdogan, ha visto peggiorare i suoi rapporti bilaterali con Washington. Molti osservatori internazionali si sono ultimamente chiesti se la Turchia faccia ancora parte dell’Alleanza Atlantica dopo l’acquisto di missili russi e dopo una serie di accordi e di intese sulle vicende siriane con Mosca e Teheran. Ma in Medio Oriente le uniche potenze politiche e militari sunnite che contano sono oggi la Turchia e l’Arabia Saudita. Indebolendosi l’Arabia Saudita, viene di conseguenza magnificato il ruolo turco.

Ankara e Riad sono già entrate in rotta di collisione, ultimamente riguardo il Qatar, dove alle sanzioni saudite è seguita la protezione militare turca dell’emirato, ma prima sull’Egitto (Ankara appoggiava il presidente Mohamed Morsi, mentre Riad ha appoggiato il colpo d Stato di Abdel Fattah al Sisi), la Siria (Ankara è affiancata all’Iran nella risoluzione del conflitto, mentre Riad alimenta la ribellione) e la stessa Libia (i sauditi appoggiano Khalifa Haftar, mentre la Turchia sostiene le milizie islamiche di Tripoli).

Tra i due Paesi vi è ostilità anche sulla questione dei Fratelli Musulmani: l’AKP di Erdogan è legato alla Fratellanza, mentre i sauditi hanno messo il movimento all’indice. Il Qatar era accusato di essere colluso con tale organizzazione e, forse non casualmente, un’analoga accusa era stata formulata nei riguardi di Jamal Khashoggi.

Sulla vicenda del dissidente saudita la Turchia ha buon gioco nello sfruttare la pressione internazionale sul reame saudita generata dall’assassinio a Istanbul del giornalista dissidente. Del resto il fatto che l’omicidio si sia verificato sul proprio territorio fa sì che siano i servizi di sicurezza turchi ad essere in possesso delle prove dell’efferato delitto. In un gioco subdolo di voci e notizie fatte circolare con il contagocce sui mass media (che in Turchia sono sotto il diretto controllo del governo) o tramite funzionari anonimi, di investigazioni congiunte che hanno permesso l’ingresso della polizia nel consolato, l’insistere nel voler sapere dove si trova il corpo del dissidente (è quasi sicuro che sia stato fatto sciogliere nell’acido), ha fatto sì che la vicenda sia stata di volta in volta enfatizzata, riattivata, aggiungendo magari dettagli brutali.

Erdogan vuole trarre dall’uccisione di Khashoggi il massimo guadagno sia in termini di relazioni internazionali (ritornare ad essere il principale interlocutore degli americani nella regione), sia in termini strategici regionali (il cosiddetto sogno neo-ottomano), sia – probabilmente – anche per questioni finanziarie. La Turchia attraversa un periodo di difficoltà economiche, i soldi e gli investimenti sauditi farebbero sicuramente comodo e non è escluso che il presidente turco possa domani silenziare l’omicidio di Khashoggi per un tornaconto economico.

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Benjamin Netanyahu

Israele

E’ il Paese che più aveva da guadagnare dal ruolo di Mohammed bin Salman. Tramite i buoni uffici del genero di Trump, Kushner, un ebreo ortodosso, sono stati allacciati dei rapporti diretti tra i due Paesi, anche se ancora mai confermati ufficialmente. Come prima ricaduta la recente visita di una delegazione israeliana negli Emirati Arabi Uniti.

La relazione fra Israele e Arabia Saudita, che in passato sarebbe stata considerata impossibile, ha origine nell’interesse comune a fronteggiare la minaccia dell’Iran ed è frutto dell’approccio spregiudicato di Mohammed bin Salman in politica estera in Medio Oriente. L’alleanza anti-iraniana è poi tracimata nella questione palestinese dove la sinergia americana-israelo-saudita ha posto fine ad un negoziato di pace che Donald Trump ha trasformato in un ricatto.

Israele ha ottenuto che i suoi aerei commerciali possano sorvolare il territorio saudita per raggiungere l’India. E’ noto che in passato i raid delle forze armate israeliane hanno usato rotte commerciali per voli militari. E l’Arabia Saudita fornisce un’altra opzione tattica qualora Benjamin Netanyahu intendesse colpire l’Iran.

Cadendo in disgrazia Mohammed bin Salman e nell’ipotesi che possa essere sostituito da un altro principe ereditario, magari più sensibile alla classica politica filo-araba ed alle istanze del clero wahabita, tutta questa impalcatura di alleanze e di interessi potrebbe cadere.

Russia

La Russia ha ultimamente migliorato i suoi rapporti con Riad, ma è cosciente del fatto che l’Arabia Saudita resta il principale alleato americano nell’area. Quindi convergenze su questioni commerciali, come sul prezzo del petrolio, ma divergenze sulle questioni strategiche. Il solo fatto che l’alleato principale degli Stati Uniti sia indebolito dalla vicenda Khashoggi pone un evidente guadagno al ruolo, oggi già quasi egemonico, della Russia in Medio Oriente.


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