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KOSOVO E BALCANI: TERRENO FERTILE PER IL TERRORISMO ISLAMICO


kosovo

E’ ricorrente l'idea che il terrorismo islamico si annidi solo in Medio Oriente e che da lì sia esportato in altre parti del mondo e, secondo gli ultimi eventi delittuosi, soprattutto in Europa. La realtà storica però dice altro e concentra nei Balcani, ed in particolare negli ultimi 25 anni, i conflitti confessionali fra musulmani e cristiani, siano essi cattolici o ortodossi. Il tutto a seguito della traumatica dissoluzione della ex Jugoslavia che era composta da una serie di Stati divenuti poi indipendenti.

Fra questi, la Bosnia-Herzegovina ha una popolazione a maggioranza musulmana, oltre il 50%, e minoranze islamiche rilevanti si ritrovano anche in Macedonia (40%) e Montenegro (20%). La secessione del Kosovo dalla Serbia nel 2008 a seguito dell’intervento della NATO ha creato un altro Stato a maggioranza musulmana, religione seguita da oltre il 90% dei kossovari. Quella che era una minoranza albanese, rispecchia il fatto che in Albania gli islamici siano oltre il 70%.

L'Islam balcanico non era sicuramente radicale ai tempi dei regimi comunisti, ma lo è diventato nel momento in cui le vicissitudini regionali hanno assunto caratteristiche settarie. Quando ha combattuto per la propria indipendenza negli anni ‘90, la Bosnia ha avuto visto l’afflusso di brigate islamiche con volontari provenienti da altre parti del mondo, altrettanto è avvenuto per l'indipendenza del Kosovo. Sono arrivati i soldi sauditi con cui sono state costruite moschee (nel Paese ce ne sono oltre 800) e scuole coraniche ed è così che un Islam moderato è diventato di ispirazione wahabita. La Bosnia ha infatti alimentato le file dell'ISIS con circa 350 combattenti; in rapporto alla popolazione è il settimo maggiore contribuente dell'esercito di al Baghdadi. Altrettanti ne ha mandato il Kosovo, quinto contribuente mondiale pro-capite. L'Albania ha invece inviato 150/200 jihadisti, la Macedonia 100/150, mentre Montenegro e Serbia hanno fornito solo qualche decina di combattenti.

Il terrorismo balcanico è sostanzialmente più pericoloso perché sfugge allo stereotipo dell'arabo con la barba lunga o la donna con l'hijab su cui solitamente si concentrano sospetti ed indagini. Quando si ha a che fare con una popolazione slava esiste il rischio di una sottovalutazione della minaccia. Lo ha dimostrato l'individuazione ed arresto, nel marzo scorso, di una cellula di jihadisti kosovari in procinto di realizzare attentati a Venezia. Anche l'attentatore di Westminster a Londra, Khalid Masoud sembra avesse origini kosovare ed aveva avuto contatti con il salafismo wahabita durante un periodo di lavoro in Arabia Saudita.

Tutto ciò avviene in contiguità territoriale con il continente europeo e con la presenza di Paesi che sono aderenti o in procinto di aderire all'Unione Europea. Questo postula facilità di movimenti lungo le rotte balcaniche, con confini porosi fino ad arrivare nel cuore del continente.

Bisogna comunque dire che i vari Paesi dell'area si sono attrezzati alla lotta contro il terrorismo islamico. Sopratutto lo ha fatto il Kosovo che pur non avendo avuto sinora alcun attentato sul proprio territorio ha approvato una legislazione antiterrorismo molto efficace, ricevendo contributi finanziari e sostegno addestrativo dagli USA. La presenza di un contingente NATO sul proprio territorio (presenza giustificata dalla mancata realizzazione di un accordo con la Serbia sulla minoranza serba nel nord del Paese) aiuta la polizia locale a controllare meglio i propri confini. La legge kosovara ha stabilito che i reati legati al terrorismo siano perseguiti da un Ufficio Speciale della Procura, dove operano anche procuratori internazionali, e che le inchieste vengano condotte da un Direttorato speciale della Polizia. Questa strada normativa è stata poi seguita anche dalla Macedonia e dall’Albania. Nel contempo sono stati emessi documenti di riconoscimento difficilmente falsificabili, costituito un database generale e messo in funzione un controllo computerizzato per individuare le falsificazioni negli aeroporti e ai confini.

La minaccia alla sicurezza del Kosovo non è legata soltanto al ritorno in patria dei volontari islamici dal Medio Oriente, ma anche alla propaganda jihadista ed al suo impatto sulla popolazione giovanile locale. Quindi non solo un pericolo esterno, ma uno che trova spazio all'interno della società kosovara. Molte associazioni sono state chiuse, molti imam sono stati arrestati. Tuttavia, la penetrazione del credo wahabita nel Paese è tale che un'efficace operazione di controllo rimane alquanto difficile. Il timore è che, nonostante la prossima disfatta dell’ISIS, la radicalizzazione della società abbia oramai raggiunto livelli di guardia. Organizzazioni ed associazioni caritatevoli saudite hanno aperto ospedali, dato assistenza alle famiglie, aperto oltre 100 scuole coraniche finanziate da Riyadh, messo in piedi almeno 250 moschee di ispirazione wahabita, mettendo al libro paga della locale ambasciata saudita almeno 140 predicatori. Il potere di convincimento dei soldi ha fatto il resto. Nella pratica ed in prospettiva i Balcani stanno diventando un potenziale serbatoio per l'estremismo islamico del futuro.


ridvan haiqifi
Ridvan Haiqifi


Se non bastasse, la propaganda dell'ISIS ha più volte fatto cenno al Kosovo come obiettivo dell'espansione del califfato. Minacce formulate in un video da un comandante kosovaro, Ridvan Haiqifi (noto con l'alias di Abu Muqatil al Kosovi), nel novembre scorso. Nel frattempo il personaggio è stato ucciso, probabilmente in combattimento. Nell'agosto del 2015, un altro comandante kosovaro di rango nelle file dell'ISIS, Lavdrim Muhaxheri, aveva subito la stessa fine. Circola anche la voce che nel Paese esistano dei campi di addestramento per jihadisti dove i potenziali volontari islamici riceverebbero un addestramento militare dai quadri della forza paramilitare dell'UCK ( Esercito di Liberazione del Kosovo) che aveva combattuto contro la Serbia per l'indipendenza del Kosovo. Benché dichiarata organizzazione terroristica e ufficialmente disciolta, le gesta di questa formazione godono ancora di molto seguito nell'opinione pubblica locale. E per il semplice fatto che la guerra contro Belgrado aveva assunto una connotazione religiosa, adesso l'UCK trova dei punti di contatto con l'estremismo islamico. Quindi il movimento, iniziato con caratteristiche nazionalistiche, nelle sue convulsioni talvolta anche criminali si è adesso riproposto in chiave religiosa.

Nelle carceri kosovare, inoltre, il fenomeno della radicalizzazione islamica sembra abbia assunto dimensioni rilevanti. Questo avviene soprattutto perché la repressione di polizia ha colpito imam radicali ed anche membri dell'UCK, che una volta arrestati hanno dato continuità alla loro opera di indottrinamento. Gioca a favore dell'espansione del credo salafita e dell'estremismo islamico anche il fatto che, a fronte dei soldi elargiti dalle associazioni caritatevoli islamiche saudite, il Paese si confronta con grossi problemi economici e di disoccupazione. E questo spinge soprattutto i giovani a trovare attraente un certo approccio religioso.

All'inizio della dissoluzione della ex Jugoslavia la presenza di estremisti islamici era soprattutto determinata dall'arrivo di combattenti volontari dal Medio Oriente o da altre parti del mondo. Una brigata di volontari aveva combattuto in Bosnia a fianco dei musulmani. Alcuni di questi poi avevano sposato donne locali ed erano diventati residenti nel Paese. Altri volontari sono arrivati successivamente anche in Kosovo e Macedonia. Con l'inizio delle cosiddette "primavere arabe" il flusso si è invertito. Da fenomeno esogeno è diventato endogeno. Adesso il pericolo che le sconfitte militari dell'ISIS producano un ritorno dei jihadisti nell'area balcanica, con tutte le conseguenze negative che questo contro-esodo può determinare.


Alija Izetbegovic
Alija Izetbegovic


Per quanto riguarda la Bosnia, il seme di una strumentalizzazione dell'Islam in chiave politica risale agli anni '30 quando sorse il movimento dei "Giovani Musulmani" ("Madli Muslemani") il cui obiettivo era la grande nazione musulmana nei Balcani. Del movimento faceva parte anche Alija Izetbegovic, divenuto presidente della Bosnia a cavallo della lotta per l'indipendenza negli anni 1992/1996. Era quindi fatale che questa lotta finisse per essere condotta con l'ausilio di volontari islamici, i cosiddetti "Mudzahid" (quelli che in Medio Oriente si chiamano "Mujaheddin" ovvero "Combattenti per la guerra santa"). E sempre dalla Bosnia, con i soldi sauditi del Centro Culturale e Moschea di Re Fahd, l'Islam radicale wahabita ha incominciato a espandersi nei paesi vicini attraverso una network di strutture, organizzazioni caritatevoli, scuole per imam e così di seguito. Nella realtà, la radicalizzazione del Kosovo, almeno temporalmente, è avvenuta in un momento successivo.

Nella pratica il credo wahabita si è esteso nei Balcani con la stessa tecnica di penetrazione e diffusione dell'ISIS in Medio Oriente: pubblicazioni di riviste e sermoni, forte utilizzo dei mass media, comunicazioni internet. Tutto questo con l'aggravante che questa diffusione è avvenuta in un contesto sociale deteriorato da sanguinose guerre nazionalistiche e settarie, con l’aggravio che ciò è successo in un'area geografica culturalmente più evoluta. Che nel tempo questa opera di propaganda abbia ottenuto gli effetti desiderati trova riscontro in un sondaggio effettuato tempo fa sulla popolazione locale: il 20% dei kosovari, il 15% dei musulmani bosniaci ed il 12% degli albanesi è favorevole all'introduzione della sharia nei rispettivi Paesi. E sempre nello stesso sondaggio emerge che l'11% dei kosovari, il 6% degli albanesi ed il 3% dei bosniaci ritiene che l'uso della violenza (kamikaze compresi) per la difesa dei valori dell'Islam sia giustificata. Purtroppo, nei Balcani si sta sviluppando un nuovo modello di società di cui gli effetti collaterali negativi ancora non sono stati adeguatamente considerati.

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