I CURDI, UN
PROBLEMA NEI PROBLEMI


Il problema curdo - un popolo con una
propria lingua, tradizioni, cultura ed una forte identita' etnica - si
trascina avanti senza soluzioni politiche da moltissimi anni
nella disattenzione non casuale, ma omertosa di tutti quei Paesi,
occidentali e non, che non intendono inimicarsi la Turchia oppure, nel
caso piu' semplice, non vogliono aggiungere altri elementi di
instabilita' in una regione attraversata da guerre civili,
instabilita' sociale e da un dilagante fondamentalismo islamico.
La questione curda nasce con il crollo dell'Impero Ottomano e dal successivo Trattato di Se'vres (10 agosto 1920) con cui, oltre allo smembramento dell'impero, si delineava la possibilita' di una tutela per le minoranze (tra cui i curdi) per le quali la Societa' delle Nazioni prefigurava la possibilita' di costituirsi in Stati autonomi (art. 62-64 del Trattato). La successiva vittoria dei nazionalisti di Mustafa Kemal Ataturk in Turchia poneva pero' subito un limite all'irridentismo curdo, poi sancito dal successivo Trattato di Losanna (24 luglio 1923) che cancellava indissolubilmente le concessioni indicate soltanto tre anni prima. Da quel momento e fino ai giorni nostri, il problema curdo non e' stato piu' trattato come una questione politica ma e' diventato, con alti e bassi, un problema di ordine pubblico, di sicurezza o di lotta al terrorismo.
Divisi territorialmente tra Turchia, Siria, Iran e Iraq, la storia dei curdi e' stata caratterizzata da persecuzioni, strumentalizzazioni di parte, pseudo-negoziati per pseudo-autonomie ed emarginazioni sociali. A tutte queste angherie la risposta e' stata molto spesso il terrorismo che ha visto protagonista il P.K.K. (Parti Karkerani Kurdistan alias "Partito dei Lavoratori Curdi") nato come organizzazione politica nel 1978 (un mix tra marxismo e nazionalismo) e poi trasformatosi, passando anno dopo anno dalle proteste ai sabotaggi, in una organizzazione armata nel 1984.
La svolta terroristica di questo movimento ha fatto si' che, da un lato, le istanze curde fossero sempre presenti nell'immaginario dei potenti del mondo, ma al contempo, etichettando il P.K.K. come organizzazione terroristica, se ne riduceva la credibilita' ad un problema di sicurezza disattendendo proprio quelle istanze che ne motivavano il comportamento. Un percorso sanguinario che anche altri popoli in attesa di giustizia come i palestinesi hanno attuato nel tempo, ma che per i curdi ancora non si e' trasformato in un riconoscimento di status o di interlocutore negoziale.
LA QUESTIONE CURDA NEI SINGOLI STATI
Il problema principale che ha impedito a questa comunita' di fare massa comune nelle rivendicazioni del loro popolo risiede soprattutto nella divisione territoriale dei curdi in quattro Paesi diversi. Cio' ha avuto un impatto sulle priorita' e sugli approcci alla questione indipendentista.
In Siria i curdi sono stati associati al regime e quindi anche protetti da esso. Un po' come tutte le minoranze di quel Paese, hanno goduto di particolari privilegi, ma sono stati anche strumentalizzati in chiave anti-turca quando Damasco riteneva pagante questa opzione politica. Oggi i curdi del P.K.K. combattono in prevalenza accanto a Bashar al Assad non tanto per convinzione (essendo peraltro sunniti come la maggioranza del Paese e a differenza del regime alawita), ma soprattutto per la loro nota ostilita' verso Ankara.
In Turchia i curdi sono stati oggetto di persecuzioni e emarginazione. Non e' stata loro riconosciuta alcuna forma di autodeterminazione o di identificazione culturale. Per questo la loro lotta e' stata soprattutto armata. Una contrapposizione tra il nazionalismo militare di matrice kemaliana e quello antagonista curdo. In Turchia i curdi lottano per avere diritti, ma anche per sopravvivere. Il P.K.K. e le autorita' turche sono stati oggetto di ripetute condanne internazionali per le reciproche efferatezze.
In Iran la minoranza curda, che vive principalmente lungo i confini con la Turchia, viene tollerata da Teheran, ma non perseguitata salvo quando attacchi militari o turbative dell'ordine pubblico non lo giustifichino. I curdi iraniani godono di una convivenza precaria che nei fatti concede loro lo spazio per un certo grado di autonomia.
In Iraq i curdi, dopo il crollo del regime baathista che li aveva combattuti e perseguitati, stanno godendo di una particolare liberta' nei riguardi di Bagdad. Autonomia non concessa, ma conquistata nella loro lotta contro Saddam Hussein. Una circostanza che sta configurando per loro, almeno de facto, la possibilita' di crearsi uno Stato. Rimangono comunque latenti attriti e contrasti tra Bagdad ed il Kurdistan iracheno sulla questione dei giacimenti petroliferi e sull'estensione della zona da ritenersi sotto giurisdizione curda.
Complessivamente quindi le rivendicazioni curde spaziano dall'appoggio a un regime, alla lotta armata, alla convivenza, alla speranza di un proprio Stato. Cambiano le prospettive e cambiano anche i livelli di aspettativa.
IL PARTITO DEI LAVORATORI CURDI
La storia del P.K.K. si intreccia con le vicende turche e siriane. Come tutti i movimenti irredentisti degli anni '70, nasce come formazione di ispirazione marxista. Inizialmente ha le caratteristiche di un partito, seppur con colorazione e tendenze estremiste (manifestazioni, scioperi, pressioni sui curdi dell'esercito affinche' si congedassero). Questa configurazione rimane valida fintanto che un colpo di stato non porta al potere i militari turchi. Da questo momento (12 settembre 1980) tutti i partiti vengono sciolti e questo fornisce al P.K.K. guidato da Abdullah Ocalan l'opportunita' (o la necessita') di passare in clandestinita'. Le nuove autorita' militari usano la mano pesante, vengono comminate pene di morte ai militanti curdi, ricevendone in contropartita attentati, stragi e rappresaglie. E' una spirale di violenze e una lotta senza quartiere che lascia politicamente isolato il P.K.K. nell'ambito delle altre formazioni curde della regione con cui condivideva obiettivi e rivendicazioni: il Partito Democratico Curdo (K.P.D.) e l'Unione Patriottica del Kurdistan (K.P.U.) in Iraq, il Partito per la Liberta' del Kurdistan (P.J.A.K.) e il Partito Democratico del Kurdistan Iraniano in Iran.
Questa guerra ha contato ad oggi almeno 40.000 morti.
Il P.K.K. usava come basi per combattere l'esercito turco anche i territori confinanti: talvolta il Kurdistan irakeno, raramente quello iraniano, ma soprattutto la Siria. Damasco aveva con la Turchia dei contenziosi territoriali e vedeva con particolare preoccupazione la decisione unilaterale di Ankara di costruire una grande diga sull'Eufrate. Il risultato era che il confronto militare estendeva la propria instabilita' non solo in Turchia, ma anche nei Paesi di confine.
Ocalan, noto con il nome di battaglia di Apo, aveva trovato rifugio in Siria. Le pressioni e minacce turche avevano costretto Damasco a mandarlo via nel 1998. Dopo una parentesi in Russia ed in Italia, Abdullah Ocalan era scappato in Kenya per paura dell'estradizione rifugiandosi nell'ambasciata greca di Nairobi. Ma anche Atene voleva disfarsene e cosi' Ocalan, durante un trasferimento verso l'aeroporto e verso l'ennesima fuga in direzione di Paesi piu' sicuri, veniva catturato/riconsegnato ai Servizi turchi. Dal 1999 langue unico carcerato della prigione sull'isola di Imrali in regime di isolamento ed in condizioni di salute precarie. La sua condanna a morte e' stata commutata in prigione a vita. Ma il suo gruppo continua a portare avanti la lotta armata.
Il P.K.K. figura nella black list del Dipartimento di Stato americano dal 10 agosto 1998, e' inserito nel "Terrorism Act 2000" approvato dal Parlamento inglese e confermato nel dicembre 2011, e' nella lista delle organizzazioni terroristiche del Consiglio Europeo (aggiornata il 26 giugno 2012), persino in quella dell'Australia, Canada, Eire e ovviamente Turchia. L'inserimento di questa organizzazione tra quelle dedite al terrorismo non ha sicuramente aiutato a risolvere il problema curdo per via diplomatica attraverso un tavolo negoziale o una mediazione internazionale. Ci si e' limitati quindi a giudicare le azioni di questo gruppo (che ha attuato il proprio terrorismo solo nella direzione delle proprie rivendicazioni) disconoscendone le motivazioni di fondo che forse qualche giustificazione la fornivano. Un appiattimento sulle posizioni turche, per interesse o acquiescenza, che ha escluso qualsivoglia alternativa alla lotta armata.
Comunque, e' bene dirlo, le istanze curde turche sono state portate avanti anche da una formazione politica: il "Koma Civaken Kurdistan" ("Unione delle comunita' in Kurdistan", noto in passato anche come "Koma Komalen Kurdistan" cioe' "Conferenza Popolare del Kurdistan"). E' nella pratica il braccio politico del P.K.K. e come tale molti dei suoi esponenti sono tuttora in galera.

distribuzione della popolazione curda
QUANTI SONO I CURDI
Non esistono dati certi su questa comunita' perche' gli Stati che la ospitano non hanno interesse a quantificare il peso anagrafico.
In Turchia i curdi dovrebbero oscillare tra i 12 ed i 16 milioni su un totale di 75 milioni di abitanti concentrati nelle zone sud-est del Paese.
In Iran invece vengono stimati in circa 7 milioni e la maggior parte di questi, a differenza degli altri Paesi di residenza, sono di fede sciita anziche' sunnita.
In Siria i curdi rappresentano la minoranza etnica piu' numerosa e sono circa 2-3 milioni concentrati nel nord-est del Paese.
Poi ci sono i curdi iracheni stimati in circa 4-6 milioni.
Se tutti questi dati sono attendibili, i curdi in Medio Oriente sono circa 30 milioni a cui aggiungere un'ampia diaspora nel mondo sfuggita alle cicliche persecuzioni.
Complessivamente quindi la comunita' curda e' una delle maggiori etnie nel mondo a non godere di un proprio Stato.
IL CASO IRAKENO
Con la caduta di Saddam Hussein che li aveva perseguitati e combattuti e con l'avvento di una nuova autorita' nel Paese, i curdi iracheni hanno nei fatti conquistato un'ampia autonomia per il Kurdistan iracheno. Liberta' non regolata da accordi con il governo centrale di Bagdad, ma sostanziale nei fatti. I due movimenti principali, il K.D.P. ed il K.P.U., che rappresentano politicamente la comunita' sono stati in passato divisi e conflittuali per questioni egemoniche dei rispettivi leader (Massoud Barzani e Jalal Talabani). Ora pero' sono accomunati dal comune intento di una strisciante e crescente autonomia.
Nella reciproca spartizione degli incarichi Barzani e' Presidente della Regione del Kurdistan dal giugno 2005 mentre Talabani e' Presidente della Repubblica irachena dal 6 aprile dello stesso anno. L'incarico di quest'ultimo, favorito sicuramente anche dai tradizionali buoni rapporti del personaggio con l'Iran, certifica che i curdi vogliono sicuramente una propria autonomia, ma probabilmente non una secessione con la costituzione di un proprio Stato autonomo fintanto che - e questo fa parte del sottile gioco diplomatico in atto - non si creeranno le condizioni politiche per farlo.
Quest'ultima circostanza ha fatto si' che la Turchia, da sempre ostile ad ogni forma di rivendicazione autonomistica curda (il Kurdistan iracheno poteva creare un pericoloso esempio da imitare in casa propria), ha al contrario instaurato stretti rapporti economici con questa regione.
Il Kurdistan iracheno ha un proprio governo, un esercito di Peshmerga mai inglobati nell'esercito nazionale come chiedeva Bagdad, amministra autonomamente la propria vita sociale, garantisce la sua sicurezza, sfrutta l'estrazione del petrolio ed ha quindi una forte autonomia finanziaria. Nei fatti e' gia' uno Stato nello Stato.
Nel Marzo 2012 in un discorso pubblico Massoud Barzani ha fatto cenno all'avvicinarsi di questo traguardo storico ma il sogno curdo, lo sanno bene sia Barzani che Talabani, non potra' realizzarsi senza un adeguato consenso degli Stati limitrofi, in primis la Turchia.
IL CASO SIRIANO
Dal luglio di quest'anno, soprattutto per esigenze militari, le autorita' siriane hanno delegato ai curdi il controllo militare dell'area nord-est del Paese che e' abitata prevalentemente da questa comunita' etnica. La circostanza ha consentito al regime di dedicarsi in modo militarmente piu' massivo ad altre parti del Paese. Il Kurdistan siriano e' oggi sotto il controllo di una serie di formazioni politiche curde affiliate al Partito dell'Unione Democratica (P.Y.K.), a sua volta considerato il braccio politico del P.K.K. (questo e' stato ultimamente accusato di aver ricevuto armi e finanziamenti dalla Vevak iraniana). Nei fatti si e' creato un doppio evento negativo per gli interessi turchi: la creazione di un'area autonoma curda (e quindi foriera di possibili rivendicazioni autonomistiche o secessionistiche future) ed un legame fra questa entita' e la lotta armata che il P.K.K. porta avanti in territorio turco.
Ma quel che preoccupa maggiormente Ankara e' la ricomparsa in questa enclave di un'altra formazione estremista la "Acilciler" (nome che significa "le urgenze " e che prende spunto da un manifesto programmatico pubblicato dopo il colpo di stato militare del 1980), meglio nota anche col nome di "Partito/Fronte popolare di liberazione turco" (T.H.K.P/C) guidato da Mihac Ural, un terrorista ricercato dalla polizia turca. Legato ai Servizi siriani, operativo nella provincia turca di Hatay (da cui deriva anche un'altra denominazione del gruppo "Esercito di Liberazione dell'Hatay"), conta 5/700 militanti armati che potrebbero essere utilizzati per sostenere il P.K.K. nelle operazioni contro le Forze Armate turche. Il P.K.K. e le formazioni dell'Esercito di Liberazione Siriano si sono gia' scontrate nei sobborghi di Aleppo.
LA SITUAZIONE ATTUALE E LE PROSPETTIVE
L'evoluzione della questione curda e l'ottenimento di una autonomia o di uno Stato puo', nelle sue linee generali, seguire due percorsi alternativi :
• La lotta armata, come sta facendo con alterne fortune il P.K.K.
• Una soluzione negoziale o diplomatica
La scelta di un percorso piuttosto che di un altro sara' condizionata dalla situazione nella regione perche', come e' chiaro, la questione si interseca con l'evoluzione del contesto nei singoli Stati dove risiedono i curdi. Non e' un problema nazionale, ma internazionale.
A fronte dell'ostilita' oramai storica della Turchia nel riconoscere l'esistenza della questione curda e di ricercarne quindi una soluzione ed a causa dell'intransigenza del P.K.K., che ritiene ineludibile l'approccio terroristico, quello che sta avvenendo oggi in Siria e Iraq puo' dare spazio a nuove opzioni. Questo e' ovviamente possibile se quel che avviene in questi Paesi sara' considerato dagli aventi causa un'opportunita' e non una rivalsa.

Erbil, Iraq
Un fatto importante e' la riunione che il Presidente del Kurdistan iracheno Barzani ha tenuto a Erbil a luglio assieme alle fazioni curde siriane cercando di mediare tra loro per riconciliarle. Alcune fazioni erano schierate con Assad, altre al fianco dei ribelli. Un tentativo mirato ad evitare che le sinergie del movimento curdo si perdessero nei meandri di una guerra civile in Siria. Uno sforzo per cercare di unificare le istanze della comunita' al di la' delle specificita' nazionali, sotto l'egida della componente irachena.
Che alla componente curdo irachena venga oggi, nei fatti, riconosciuto un certo primato politico sulla questione e' confermato anche da un secondo evento: ai primi di agosto il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha incontrato a Erbil, con i buoni uffici di Barzani, le stesse fazioni curde siriane (con l'eccezione del P.Y.K.) rendendo nota l'ostilita' turca a qualsivoglia entita' autonoma curda in Siria.
Anche se sia da parte turca che curda permangono delle divergenze di fondo, questi tentativi di dialogo tra le parti danno l'idea che un percorso diplomatico possa essere sviluppato. Anche perche' negli ultimi mesi - ed e' una circostanza che Ankara teme - le operazioni armate del P.K.K. sono cresciute esponenzialmente.
Ma nella questione curda c'e' un altro attore regionale defilato: Israele.
Tel Aviv mantiene rapporti alquanto buoni sia con i curdi iraniani, ma soprattutto con quelli iracheni. Il motivo risiede nel fatto che queste comunita' hanno osteggiato nel tempo i rispettivi governi centrali, noti nemici di Israele, e hanno quindi goduto della correlata simpatia (e sostegno pratico; nel passato Israele aveva fornito armi e assistenza militare a Barzani). Per di piu', i curdi non si sono mai esercitati nella retorica arabo-musulmana relativa all'esistenza di Israele, essendosi dedicati alla loro esistenza e sopravvivenza. Le comunita' ebraiche curde hanno sempre goduto di particolare protezione nel Kurdistan iracheno. Il fatto che adesso i curdi siriani rappresentino un problema per la Turchia, Paese una volta alleato con Israele ed oggi invece fortemente critico verso Tel Aviv, e' un'altra circostanza favorevole per la politica ebraica (anche se, a suo tempo, quando Ocalan fu catturato in Kenya, Israele fu accusato di aver fornito informazioni al Servizio turco MIT).
Perche' in Medio Oriente le alleanze e le strategie si sviluppano spesso non su affinita' politiche degli aventi causa, ma sul cinismo pragmatico del momento. E la legge che ricorre nel settore e' che il nemico del mio nemico e' mio amico. La creazione di una entita' autonoma curda in Medio Oriente avrebbe il pregio, agli occhi di Tel Aviv, di indebolire le nazioni arabe laddove insistono geograficamente le comunita' curde e, nel contempo, avere un potenziale alleato regionale, impermeabile al dilagante fondamentalismo islamico. Al momento (apparentemente) i rapporti tra Israele e i curdi iracheni si sono alquanto raffreddati perche' l'ostilita' di Tel Aviv nei confronti del nucleare iraniano pone problemi relazionali all'Iraq ancora alla ricerca di un certo modus vivendi con Teheran (alleata primaria di Bagdad). Nel suo viaggio in U.S.A. ad aprile il presidente iracheno Massoud Barzani aveva evitato incontri con la comunita' ebraica americana. Ma corrono voci che Israele abbia basi nel Kurdistan iracheno per monitorare l'Iran.
Come si e' detto, quello che succedera' nel prossimo futuro nella regione condizionera' anche gli sviluppi e le conseguenti possibilita' di soluzione del problema curdo. C'e' di mezzo la guerra civile siriana , il confronto tra Iran e Israele, la recrudescenza del problema palestinese, i precari equilibri politici in Iraq ed in questo contesto l'instabilita' che deriva dalla mancata soluzione del problema curdo puo' assommarsi all'instabilita' che gia' abbondantemente aleggia nell'area. Quindi un problema nel problema.
La questione curda nasce con il crollo dell'Impero Ottomano e dal successivo Trattato di Se'vres (10 agosto 1920) con cui, oltre allo smembramento dell'impero, si delineava la possibilita' di una tutela per le minoranze (tra cui i curdi) per le quali la Societa' delle Nazioni prefigurava la possibilita' di costituirsi in Stati autonomi (art. 62-64 del Trattato). La successiva vittoria dei nazionalisti di Mustafa Kemal Ataturk in Turchia poneva pero' subito un limite all'irridentismo curdo, poi sancito dal successivo Trattato di Losanna (24 luglio 1923) che cancellava indissolubilmente le concessioni indicate soltanto tre anni prima. Da quel momento e fino ai giorni nostri, il problema curdo non e' stato piu' trattato come una questione politica ma e' diventato, con alti e bassi, un problema di ordine pubblico, di sicurezza o di lotta al terrorismo.
Divisi territorialmente tra Turchia, Siria, Iran e Iraq, la storia dei curdi e' stata caratterizzata da persecuzioni, strumentalizzazioni di parte, pseudo-negoziati per pseudo-autonomie ed emarginazioni sociali. A tutte queste angherie la risposta e' stata molto spesso il terrorismo che ha visto protagonista il P.K.K. (Parti Karkerani Kurdistan alias "Partito dei Lavoratori Curdi") nato come organizzazione politica nel 1978 (un mix tra marxismo e nazionalismo) e poi trasformatosi, passando anno dopo anno dalle proteste ai sabotaggi, in una organizzazione armata nel 1984.
La svolta terroristica di questo movimento ha fatto si' che, da un lato, le istanze curde fossero sempre presenti nell'immaginario dei potenti del mondo, ma al contempo, etichettando il P.K.K. come organizzazione terroristica, se ne riduceva la credibilita' ad un problema di sicurezza disattendendo proprio quelle istanze che ne motivavano il comportamento. Un percorso sanguinario che anche altri popoli in attesa di giustizia come i palestinesi hanno attuato nel tempo, ma che per i curdi ancora non si e' trasformato in un riconoscimento di status o di interlocutore negoziale.
LA QUESTIONE CURDA NEI SINGOLI STATI
Il problema principale che ha impedito a questa comunita' di fare massa comune nelle rivendicazioni del loro popolo risiede soprattutto nella divisione territoriale dei curdi in quattro Paesi diversi. Cio' ha avuto un impatto sulle priorita' e sugli approcci alla questione indipendentista.
In Siria i curdi sono stati associati al regime e quindi anche protetti da esso. Un po' come tutte le minoranze di quel Paese, hanno goduto di particolari privilegi, ma sono stati anche strumentalizzati in chiave anti-turca quando Damasco riteneva pagante questa opzione politica. Oggi i curdi del P.K.K. combattono in prevalenza accanto a Bashar al Assad non tanto per convinzione (essendo peraltro sunniti come la maggioranza del Paese e a differenza del regime alawita), ma soprattutto per la loro nota ostilita' verso Ankara.
In Turchia i curdi sono stati oggetto di persecuzioni e emarginazione. Non e' stata loro riconosciuta alcuna forma di autodeterminazione o di identificazione culturale. Per questo la loro lotta e' stata soprattutto armata. Una contrapposizione tra il nazionalismo militare di matrice kemaliana e quello antagonista curdo. In Turchia i curdi lottano per avere diritti, ma anche per sopravvivere. Il P.K.K. e le autorita' turche sono stati oggetto di ripetute condanne internazionali per le reciproche efferatezze.
In Iran la minoranza curda, che vive principalmente lungo i confini con la Turchia, viene tollerata da Teheran, ma non perseguitata salvo quando attacchi militari o turbative dell'ordine pubblico non lo giustifichino. I curdi iraniani godono di una convivenza precaria che nei fatti concede loro lo spazio per un certo grado di autonomia.
In Iraq i curdi, dopo il crollo del regime baathista che li aveva combattuti e perseguitati, stanno godendo di una particolare liberta' nei riguardi di Bagdad. Autonomia non concessa, ma conquistata nella loro lotta contro Saddam Hussein. Una circostanza che sta configurando per loro, almeno de facto, la possibilita' di crearsi uno Stato. Rimangono comunque latenti attriti e contrasti tra Bagdad ed il Kurdistan iracheno sulla questione dei giacimenti petroliferi e sull'estensione della zona da ritenersi sotto giurisdizione curda.
Complessivamente quindi le rivendicazioni curde spaziano dall'appoggio a un regime, alla lotta armata, alla convivenza, alla speranza di un proprio Stato. Cambiano le prospettive e cambiano anche i livelli di aspettativa.
IL PARTITO DEI LAVORATORI CURDI
La storia del P.K.K. si intreccia con le vicende turche e siriane. Come tutti i movimenti irredentisti degli anni '70, nasce come formazione di ispirazione marxista. Inizialmente ha le caratteristiche di un partito, seppur con colorazione e tendenze estremiste (manifestazioni, scioperi, pressioni sui curdi dell'esercito affinche' si congedassero). Questa configurazione rimane valida fintanto che un colpo di stato non porta al potere i militari turchi. Da questo momento (12 settembre 1980) tutti i partiti vengono sciolti e questo fornisce al P.K.K. guidato da Abdullah Ocalan l'opportunita' (o la necessita') di passare in clandestinita'. Le nuove autorita' militari usano la mano pesante, vengono comminate pene di morte ai militanti curdi, ricevendone in contropartita attentati, stragi e rappresaglie. E' una spirale di violenze e una lotta senza quartiere che lascia politicamente isolato il P.K.K. nell'ambito delle altre formazioni curde della regione con cui condivideva obiettivi e rivendicazioni: il Partito Democratico Curdo (K.P.D.) e l'Unione Patriottica del Kurdistan (K.P.U.) in Iraq, il Partito per la Liberta' del Kurdistan (P.J.A.K.) e il Partito Democratico del Kurdistan Iraniano in Iran.
Questa guerra ha contato ad oggi almeno 40.000 morti.
Il P.K.K. usava come basi per combattere l'esercito turco anche i territori confinanti: talvolta il Kurdistan irakeno, raramente quello iraniano, ma soprattutto la Siria. Damasco aveva con la Turchia dei contenziosi territoriali e vedeva con particolare preoccupazione la decisione unilaterale di Ankara di costruire una grande diga sull'Eufrate. Il risultato era che il confronto militare estendeva la propria instabilita' non solo in Turchia, ma anche nei Paesi di confine.
Ocalan, noto con il nome di battaglia di Apo, aveva trovato rifugio in Siria. Le pressioni e minacce turche avevano costretto Damasco a mandarlo via nel 1998. Dopo una parentesi in Russia ed in Italia, Abdullah Ocalan era scappato in Kenya per paura dell'estradizione rifugiandosi nell'ambasciata greca di Nairobi. Ma anche Atene voleva disfarsene e cosi' Ocalan, durante un trasferimento verso l'aeroporto e verso l'ennesima fuga in direzione di Paesi piu' sicuri, veniva catturato/riconsegnato ai Servizi turchi. Dal 1999 langue unico carcerato della prigione sull'isola di Imrali in regime di isolamento ed in condizioni di salute precarie. La sua condanna a morte e' stata commutata in prigione a vita. Ma il suo gruppo continua a portare avanti la lotta armata.
Il P.K.K. figura nella black list del Dipartimento di Stato americano dal 10 agosto 1998, e' inserito nel "Terrorism Act 2000" approvato dal Parlamento inglese e confermato nel dicembre 2011, e' nella lista delle organizzazioni terroristiche del Consiglio Europeo (aggiornata il 26 giugno 2012), persino in quella dell'Australia, Canada, Eire e ovviamente Turchia. L'inserimento di questa organizzazione tra quelle dedite al terrorismo non ha sicuramente aiutato a risolvere il problema curdo per via diplomatica attraverso un tavolo negoziale o una mediazione internazionale. Ci si e' limitati quindi a giudicare le azioni di questo gruppo (che ha attuato il proprio terrorismo solo nella direzione delle proprie rivendicazioni) disconoscendone le motivazioni di fondo che forse qualche giustificazione la fornivano. Un appiattimento sulle posizioni turche, per interesse o acquiescenza, che ha escluso qualsivoglia alternativa alla lotta armata.
Comunque, e' bene dirlo, le istanze curde turche sono state portate avanti anche da una formazione politica: il "Koma Civaken Kurdistan" ("Unione delle comunita' in Kurdistan", noto in passato anche come "Koma Komalen Kurdistan" cioe' "Conferenza Popolare del Kurdistan"). E' nella pratica il braccio politico del P.K.K. e come tale molti dei suoi esponenti sono tuttora in galera.

distribuzione della popolazione curda
QUANTI SONO I CURDI
Non esistono dati certi su questa comunita' perche' gli Stati che la ospitano non hanno interesse a quantificare il peso anagrafico.
In Turchia i curdi dovrebbero oscillare tra i 12 ed i 16 milioni su un totale di 75 milioni di abitanti concentrati nelle zone sud-est del Paese.
In Iran invece vengono stimati in circa 7 milioni e la maggior parte di questi, a differenza degli altri Paesi di residenza, sono di fede sciita anziche' sunnita.
In Siria i curdi rappresentano la minoranza etnica piu' numerosa e sono circa 2-3 milioni concentrati nel nord-est del Paese.
Poi ci sono i curdi iracheni stimati in circa 4-6 milioni.
Se tutti questi dati sono attendibili, i curdi in Medio Oriente sono circa 30 milioni a cui aggiungere un'ampia diaspora nel mondo sfuggita alle cicliche persecuzioni.
Complessivamente quindi la comunita' curda e' una delle maggiori etnie nel mondo a non godere di un proprio Stato.
IL CASO IRAKENO
Con la caduta di Saddam Hussein che li aveva perseguitati e combattuti e con l'avvento di una nuova autorita' nel Paese, i curdi iracheni hanno nei fatti conquistato un'ampia autonomia per il Kurdistan iracheno. Liberta' non regolata da accordi con il governo centrale di Bagdad, ma sostanziale nei fatti. I due movimenti principali, il K.D.P. ed il K.P.U., che rappresentano politicamente la comunita' sono stati in passato divisi e conflittuali per questioni egemoniche dei rispettivi leader (Massoud Barzani e Jalal Talabani). Ora pero' sono accomunati dal comune intento di una strisciante e crescente autonomia.
Nella reciproca spartizione degli incarichi Barzani e' Presidente della Regione del Kurdistan dal giugno 2005 mentre Talabani e' Presidente della Repubblica irachena dal 6 aprile dello stesso anno. L'incarico di quest'ultimo, favorito sicuramente anche dai tradizionali buoni rapporti del personaggio con l'Iran, certifica che i curdi vogliono sicuramente una propria autonomia, ma probabilmente non una secessione con la costituzione di un proprio Stato autonomo fintanto che - e questo fa parte del sottile gioco diplomatico in atto - non si creeranno le condizioni politiche per farlo.
Quest'ultima circostanza ha fatto si' che la Turchia, da sempre ostile ad ogni forma di rivendicazione autonomistica curda (il Kurdistan iracheno poteva creare un pericoloso esempio da imitare in casa propria), ha al contrario instaurato stretti rapporti economici con questa regione.
Il Kurdistan iracheno ha un proprio governo, un esercito di Peshmerga mai inglobati nell'esercito nazionale come chiedeva Bagdad, amministra autonomamente la propria vita sociale, garantisce la sua sicurezza, sfrutta l'estrazione del petrolio ed ha quindi una forte autonomia finanziaria. Nei fatti e' gia' uno Stato nello Stato.
Nel Marzo 2012 in un discorso pubblico Massoud Barzani ha fatto cenno all'avvicinarsi di questo traguardo storico ma il sogno curdo, lo sanno bene sia Barzani che Talabani, non potra' realizzarsi senza un adeguato consenso degli Stati limitrofi, in primis la Turchia.
IL CASO SIRIANO
Dal luglio di quest'anno, soprattutto per esigenze militari, le autorita' siriane hanno delegato ai curdi il controllo militare dell'area nord-est del Paese che e' abitata prevalentemente da questa comunita' etnica. La circostanza ha consentito al regime di dedicarsi in modo militarmente piu' massivo ad altre parti del Paese. Il Kurdistan siriano e' oggi sotto il controllo di una serie di formazioni politiche curde affiliate al Partito dell'Unione Democratica (P.Y.K.), a sua volta considerato il braccio politico del P.K.K. (questo e' stato ultimamente accusato di aver ricevuto armi e finanziamenti dalla Vevak iraniana). Nei fatti si e' creato un doppio evento negativo per gli interessi turchi: la creazione di un'area autonoma curda (e quindi foriera di possibili rivendicazioni autonomistiche o secessionistiche future) ed un legame fra questa entita' e la lotta armata che il P.K.K. porta avanti in territorio turco.
Ma quel che preoccupa maggiormente Ankara e' la ricomparsa in questa enclave di un'altra formazione estremista la "Acilciler" (nome che significa "le urgenze " e che prende spunto da un manifesto programmatico pubblicato dopo il colpo di stato militare del 1980), meglio nota anche col nome di "Partito/Fronte popolare di liberazione turco" (T.H.K.P/C) guidato da Mihac Ural, un terrorista ricercato dalla polizia turca. Legato ai Servizi siriani, operativo nella provincia turca di Hatay (da cui deriva anche un'altra denominazione del gruppo "Esercito di Liberazione dell'Hatay"), conta 5/700 militanti armati che potrebbero essere utilizzati per sostenere il P.K.K. nelle operazioni contro le Forze Armate turche. Il P.K.K. e le formazioni dell'Esercito di Liberazione Siriano si sono gia' scontrate nei sobborghi di Aleppo.
LA SITUAZIONE ATTUALE E LE PROSPETTIVE
L'evoluzione della questione curda e l'ottenimento di una autonomia o di uno Stato puo', nelle sue linee generali, seguire due percorsi alternativi :
• La lotta armata, come sta facendo con alterne fortune il P.K.K.
• Una soluzione negoziale o diplomatica
La scelta di un percorso piuttosto che di un altro sara' condizionata dalla situazione nella regione perche', come e' chiaro, la questione si interseca con l'evoluzione del contesto nei singoli Stati dove risiedono i curdi. Non e' un problema nazionale, ma internazionale.
A fronte dell'ostilita' oramai storica della Turchia nel riconoscere l'esistenza della questione curda e di ricercarne quindi una soluzione ed a causa dell'intransigenza del P.K.K., che ritiene ineludibile l'approccio terroristico, quello che sta avvenendo oggi in Siria e Iraq puo' dare spazio a nuove opzioni. Questo e' ovviamente possibile se quel che avviene in questi Paesi sara' considerato dagli aventi causa un'opportunita' e non una rivalsa.

Erbil, Iraq
Un fatto importante e' la riunione che il Presidente del Kurdistan iracheno Barzani ha tenuto a Erbil a luglio assieme alle fazioni curde siriane cercando di mediare tra loro per riconciliarle. Alcune fazioni erano schierate con Assad, altre al fianco dei ribelli. Un tentativo mirato ad evitare che le sinergie del movimento curdo si perdessero nei meandri di una guerra civile in Siria. Uno sforzo per cercare di unificare le istanze della comunita' al di la' delle specificita' nazionali, sotto l'egida della componente irachena.
Che alla componente curdo irachena venga oggi, nei fatti, riconosciuto un certo primato politico sulla questione e' confermato anche da un secondo evento: ai primi di agosto il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha incontrato a Erbil, con i buoni uffici di Barzani, le stesse fazioni curde siriane (con l'eccezione del P.Y.K.) rendendo nota l'ostilita' turca a qualsivoglia entita' autonoma curda in Siria.
Anche se sia da parte turca che curda permangono delle divergenze di fondo, questi tentativi di dialogo tra le parti danno l'idea che un percorso diplomatico possa essere sviluppato. Anche perche' negli ultimi mesi - ed e' una circostanza che Ankara teme - le operazioni armate del P.K.K. sono cresciute esponenzialmente.
Ma nella questione curda c'e' un altro attore regionale defilato: Israele.
Tel Aviv mantiene rapporti alquanto buoni sia con i curdi iraniani, ma soprattutto con quelli iracheni. Il motivo risiede nel fatto che queste comunita' hanno osteggiato nel tempo i rispettivi governi centrali, noti nemici di Israele, e hanno quindi goduto della correlata simpatia (e sostegno pratico; nel passato Israele aveva fornito armi e assistenza militare a Barzani). Per di piu', i curdi non si sono mai esercitati nella retorica arabo-musulmana relativa all'esistenza di Israele, essendosi dedicati alla loro esistenza e sopravvivenza. Le comunita' ebraiche curde hanno sempre goduto di particolare protezione nel Kurdistan iracheno. Il fatto che adesso i curdi siriani rappresentino un problema per la Turchia, Paese una volta alleato con Israele ed oggi invece fortemente critico verso Tel Aviv, e' un'altra circostanza favorevole per la politica ebraica (anche se, a suo tempo, quando Ocalan fu catturato in Kenya, Israele fu accusato di aver fornito informazioni al Servizio turco MIT).
Perche' in Medio Oriente le alleanze e le strategie si sviluppano spesso non su affinita' politiche degli aventi causa, ma sul cinismo pragmatico del momento. E la legge che ricorre nel settore e' che il nemico del mio nemico e' mio amico. La creazione di una entita' autonoma curda in Medio Oriente avrebbe il pregio, agli occhi di Tel Aviv, di indebolire le nazioni arabe laddove insistono geograficamente le comunita' curde e, nel contempo, avere un potenziale alleato regionale, impermeabile al dilagante fondamentalismo islamico. Al momento (apparentemente) i rapporti tra Israele e i curdi iracheni si sono alquanto raffreddati perche' l'ostilita' di Tel Aviv nei confronti del nucleare iraniano pone problemi relazionali all'Iraq ancora alla ricerca di un certo modus vivendi con Teheran (alleata primaria di Bagdad). Nel suo viaggio in U.S.A. ad aprile il presidente iracheno Massoud Barzani aveva evitato incontri con la comunita' ebraica americana. Ma corrono voci che Israele abbia basi nel Kurdistan iracheno per monitorare l'Iran.
Come si e' detto, quello che succedera' nel prossimo futuro nella regione condizionera' anche gli sviluppi e le conseguenti possibilita' di soluzione del problema curdo. C'e' di mezzo la guerra civile siriana , il confronto tra Iran e Israele, la recrudescenza del problema palestinese, i precari equilibri politici in Iraq ed in questo contesto l'instabilita' che deriva dalla mancata soluzione del problema curdo puo' assommarsi all'instabilita' che gia' abbondantemente aleggia nell'area. Quindi un problema nel problema.